Alcune riflessioni dal mondo cattolico sul tragico evento dell' 11 settembre
|
“Non pensavamo di essere così fragili, non pensavamo bastasse così poco per sconvolgere le nostre certezze. Non sappiamo come esprimerci, non riusciamo ancora a vederci chiaro su tutto questo. E’ possibile dare un giudizio morale su queste cose? Forse no, per questo non possiamo fare altro che continuare a pregare per la pace e per la giustizia. Eppure probabilmente c’è un messaggio in tutto questo, non voglio elaborarlo, ma ricordare solo un passo del Vangelo: “Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni non vi terrorizzate”. E’ una parola molto provocatoria. Non vuol dire non dare un giudizio drammatico su ciò che avviene, ma cercare più a fondo quali atteggiamenti stanno alla radice di quello che succede, quali atteggiamenti di ingiustizia, di incapacità a governare il mondo in maniera solidale, quali atteggiamenti di egoismo nascosto. Al di là degli eventi, nella loro drammaticità e nella condanna che essi richiamano c’è un richiamo più profondo a rivedere il nostro modo di vedere, di pensare e di agire. Il richiamo ad una maggiore solidarietà nel vivere umano”.
Mons. Carlo Maria Martini Terni, ottobre 2001 |
IL TERRORISMO DAL BASSO E QUELLO DI BIN LADEN
di Ettore Masina
La disperazione dei poveri, perseguitati e schiacciati, ha talvolta contemplato il terrorismo come necessità di auto-difesa di quelli che Dostoevskij chiamava gli “umiliati e offesi”. La storia ricorda atti di terrorismo posti in essere da poveri, oppressi, al fine di liberarsi da una dominazione feroce (o di renderla più difficile con la diffusione del terrore fra gli oppressori), atti in cui il coinvolgimento di innocenti è possibile e anche la propria fine è prevedibile e prevista da parte degli agenti. Questo ci porta all’esame di un terrorismo che avremo sempre con noi finché avremo con noi i poveri, finché vi saranno popoli calpestati, denegati, gettati nella più cupa disperazione. Nessuna guerra riuscirà mai a sradicarlo completamente, nessun apparato repressivo. Ci sarà sempre un povero che preferirà morire piuttosto che vivere nel disprezzo di se stesso; e vorrà rendere la sua morte “produttiva” di un evento cui i mass-media saranno finalmente obbligati a dare spazio e immagine, essi che della condizione del suo popolo non hanno mai voluto parlare o lo hanno fatto nel più sprezzante dei modi.
Sia chiaro: io considero spaventosi tutti gli atti di terrorismo, non li giustifico. E tuttavia lasciatemi dire che, se mi straziano, non li trovo però incomprensibili; e che penso necessario, urgente e doveroso studiarne le matrici politico-economiche. Penso per esempio a certi “martiri” palestinesi. Io non posso qui non testimoniare ciò che ho visto nei campi profughi palestinesi nel 1991, guidandovi - su invito della UNWRRA, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati - una delegazione di deputati italiani. Persone di quarant’anni nate e vissute dalla nascita in poi in baracche infette, fra canaletti fognari a cielo aperto perché gli israeliani avevano deciso che tutto doveva rimanere allo stato di provvisorietà, perennemente minacciate da mitragliatrici puntate su di loro dalle colline sovrastanti; impedite di darsi organizzazione sociale, sofferenti di rifornimenti idrici inadeguati, continue perquisizioni e angherie, mancanza di strumentazione medica, disoccupazione: due generazioni costrette alla “scodella di minestra umanitaria”; per ogni atto ostile (non si parla di sparatorie, si parla di sassi), sbrigativa identificazione del colpevole o supposto tale, suo arresto e deportazione, chiusura di una delle stanze della misera abitazione della sua famiglia o addirittura intervento di un bulldozer che la spiana al suolo. La situazione dei palestinesi, poi, è, per così dire, l’acme del disprezzo con il quale il mondo arabo è stato sempre trattato dalle Grandi Potenze. Quando il massacratore Bin Laden parla di ottant’anni di umiliazione araba non s’inventa una data. Gli anni '20 sono quelli in cui Francia e Gran Bretagna ridisegnano a loro piacimento la mappa del Medio Oriente, usando il righello invece del rispetto della storia dell’area e dei più elementari diritti dei popoli mentre l’Italia prepara una riconquista della Libia che avverrà con indicibile crudeltà. La condanna del terrorismo dei disperati non basta. Bisogna che tutti facciamo quello che è possibile fare (ed è molto di più di ciò che facciamo) perché siano spenti i focolai di disperazione; è accanto ai focolai di disperazione che cova le sue perversioni il terrorismo, anche quello organizzato. La disperazione dei poveri è l’acqua in cui nuota e sempre più nuoterà lo squalo ferocissimo di Bin Laden e dei suoi epigoni. Confondere il terrorismo dei disperati con quello organizzato da Bin Laden, è ciò che maggiormente farebbe il suo gioco. Bin Laden non è né un difensore della causa palestinese (soltanto da poco ha cominciato a parlarne) né un fondamentalista religioso se con questa espressione si vuole definire una persona inchiodata alla lettera dei Libri sacri: non c’era una sola citazione del Corano nel suo tele-messaggio. Bin Laden è quello che in genetica si chiama una “chimera”, cioè un’essere che porta l’impronta di due diverse matrici biologiche. E’ uomo dell’Occidente in quanto ha saputo inserirsi nelle pieghe del sistema capitalistico, ha accumulato enormi ricchezze, approfittando dell’anarchia delle cosiddette “leggi del mercato”; è uomo dell’Occidente per la sua capacità di ideare un atto di ferocia di così grande impatto mediatico e di perpetuarne l’eco con i suoi proclami. Ed è un fanatico che sogna insieme di diventare il fondatore di un impero panislamico petrolifero e il violento correttore del nostro materialismo che gli appare del tutto ateo. Credo che noi non dovremmo lasciare a lui né la difesa della causa palestinese né l’evidenza di certe accuse alla nostra civiltà.
(Estratto della conferenza tenuta il 9 ottobre 2001 alla Cappella Universitaria de LA SAPIENZA di Roma)
Pagina Precedente Pagina Successiva Indice Home