Un' esperienza di condivisione e ricerca con le famiglie dei campesinos

SUOR ANTONIETTA POTENTE

 

Cenni Biografici

 

Antonietta Potente (1958), è teologa domenicana. Dopo aver conseguito il dottorato, ha insegnato teologia morale a Roma e a Firenze; dal 1994 vive in Bolivia. Recentemente ha aperto la sua vita comunitaria a una esperienza di condivisione e di ricerca con famiglie di campesinos, di artigiani e di studenti di etnia indigena; insegna teologia nelle università di Cochabamba e di La Paz; tiene conferenze, corsi di ritiro e di studio in altri paesi latino americani. Con il Cipax ha pubblicato: “Osare un tempo nuovo”, 1991; “La resistenza dei deboli”. Una lettura del Cantico dei Cantici, 1995; “Raccogliere i frammenti”. Dalla teologia missionaria alla teologia contestuale. 1996; “Un tessuto di mille color”i. Differenze di genere, di cultura, di religione. Prefazione di Dalmazio Mongillo, 1999; “Sapienza quotidiana”. Una lettura del Qoèlet dal Sul del mondo. Prefazione di Dalmazio Mongillo. 2000.

 

 

"LA CASA, PUNTO DI PARTENZA ..."

testimonianza di G. Piacentini dopo un convegno con A. Potente sul tema "Quotidianità"

 

Venite e vedete: solo seguendo il Signore sapremo restare, aspettare, preparare, senza scandalizzarci delle sofferenze della vita. Allora possiamo rientrare in quello che è il senso più vero della nostra vita: la quotidianità. Si coglie la religiosità della vita stando dentro al quotidiano, non da soli. Non troviamo risposte a tutte le nostre domande se non guardando la realtà e ascoltandoci vicendevolmente. In Geremia 1, 11 Dio chiede a Geremia cosa vede e la risposta è: “un ramo di mandorlo”. Spesso ciò che vediamo non corrisponde a ciò che ci aspettiamo, perché dobbiamo imparare a vedere la realtà. In Matteo 11, 2-3 la risposta di Gesù a chi domanda se è lui colui che deve venire è “riferite ciò che udite e che vedete”. Ci sono domande della vita che non ottengono risposte, ma fanno aprire gli occhi, come quella di Maria in Luca 1, 34 “com'è possibile” o che stupiscono come quella di Elisabetta in Luca 1, 43 “a che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” 

La quotidianità è la casa, fatta di cose semplici, non rifugio, ma punto di partenza per affrontare la vita, per affrontare il male, per ascoltare e sapersi muovere. Qui la vita religiosa di tutti può recuperare le sue radici profonde, fedele a quella intuizione che rende possibile una vita alternativa. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo casa presso di lui” (Giovanni 14, 23). Questo riscatta la dignità della storia: la storia vuol diventare casa e il sogno di Dio per la storia è fare casa. La storia si trasfigura se noi facciamo gesti di familiarità e di casa, come il gesto del perdono, che può fermare il male. Se comprendiamo cosa è mancato veramente all'altro, possiamo perdonare. Non si tratta di riconciliazioni facili, in situazioni che continuano a essere ingiuste. La casa bisogna costruirla, fare dei gesti, creare situazioni di familiarità. Il sogno di Dio passa attraverso persone che vivono la storia come casa loro e la domanda etica è: “come posso abitare la Tua casa? Dove stai Tu?” (non “cosa debbo fare?”). La quotidianità è il luogo dove il Signore abita, non il mondo del potere e della dominazione. Nascere di nuovo è possibile, perché il sogno di Dio è grande. Su queste parole il gruppo si è sciolto. Tutte le sovrastrutture che si erano stratificate in ciascuno di noi sembrano cadute e rimane solo la nostalgia per quel sogno e la nostra responsabilità davanti a Dio, agli altri, alla storia.

 

 

"DALLA TEOLOGIA MISSIONARIA ALLA TEOLOGIA CONTESTUALE"

di Suor Antonietta Potente

 

“Prima di tutto sappiamo che i privilegiati interlocutori del Vangelo sono gli esclusi dalla storia ufficiale. La rivelazione, l’annuncio di liberazione non risuonano nei templi che custodiscono gli idoli morti del potere politico e religioso o tra le casseforti dell’economia mondiale. Le comunità dei quartieri periferici non sempre sono le eccezionali palestre dove si elaborano progetti ed iniziative, come si pensa negli ambienti occidentali devoti osservatori del Terzo mondo, ma piuttosto luoghi dove si impara ad amare la nudità della fede e la speranza silenziosa del popolo. Realtà dove la teologia prima di essere traduttrice di interessanti intuizioni è ascoltatrice fedele e contemplativa dell’impronunziabile mistero degli emarginati della storia.

In questi mondi periferici non esistono vacanze programmate, importanti viaggi di lavoro, solo quotidiani spostamenti verso i centri della sopravvivenza. Tutto scorre in un ritmo lento in cui solo il presente si può arrogare il diritto di preparare il giorno dopo, mentre il passato resta immediatamente nascosto e custodito o volutamente dimenticato e lasciato nell’inesprimibile segreto. Tutto ciò ci ricorda lo stesso lento ritmo e movimento svelato dalla sapienza biblica. Il popolo dei poveri sembra essere immobile nella resistenza che provoca l’avvento del tempo della liberazione. La moltitudine che impressionò così tanto i discepoli di Cristo da fargliela descrivere più volte, non è solo quella in cammino dietro al Signore Maestro, ma quella che lo aspetta ai piedi del monte o all’altra sponda del lago.

Sono lente le riunioni dei poveri che cercano anche nella loro comunità di base timide soluzioni alla loro vita, che ci fanno aprire ancora le labbra e parlare e osare il sogno di Dio, costanti ripassi fatti sulla nostra quotidianità, su ciò che si era detto solo pochi giorni prima che ci insegnano a far memoria di Dio e a crescere come suoi intimi amici. Infine la vita dei poveri non è occupata dagli impegni che riempiono le agende degli operatori pastorali e di noi intellettuali. Non è abituata ai programmi annuali che prevedono nostri giorni a distanza di tempo. La vita dei poveri è crocifissa ai bordi della storia, nelle periferie del mondo, i loro problemi sono quelli della quotidianità. Quelli che stancavano anche il Signore Maestro e i suoi entusiasti discepoli”.

 

 

 

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