REALIZZARE IL SOGNO DI UN UOMO CHE SAPPIA ASCOLTARE
Missione vuol dire tante cose: è un’esigenza, uno strumento di maturazione personale, è il bisogno e al tempo stesso la voglia di donarsi agli altri… Al giorno d’oggi siamo tutti chiamati a risvegliarci dal nostro torpore, dalla nostra pigrizia che, chi più chi meno, rischia troppo spesso di renderci privi di iniziativa, testimoni impassibili di ciò che accade nel mondo. Sempre pronti a tirar fuori le unghie quando qualcuno invade il nostro “territorio”. Ma dove finisce quella stessa energia quando vediamo che il “territorio” viene invaso agli altri? Una domanda che tocca tutti noi da molto vicino. Siamo spettatori troppo spesso distaccati e distanti.
Ecco perché, a mio avviso, una delle missioni più importanti è quella di “educare all’ascolto”. Un’educazione, ma soprattutto una rieducazione, perché ad ascoltare si può insegnare soltanto ponendosi per primi nella condizione di accogliere la parola di chi ci sta intorno. La nostra frenesia ci spinge altrove, ma un mondo di uomini che non sappiano ascoltarsi dove può accompagnarci se non alla reciproca autodistruzione? E’ l’ascolto, l’unica possibilità di “incontro” che abbiamo. Chi ci circonda non è un nemico: sono tutte persone che hanno bisogno di noi e che, al tempo stesso, sono lì per aiutarci. E’ Cristo che ci mostra la strada: accogliere l’altro che ci viene incontro (anche quando dal resto della società è già stato bollato come mela marcia o come poco di buono). Cristo accoglie le persone più impensabili: prostitute, samaritani, lebbrosi, esattori delle tasse… E li accoglie perché sa ascoltare il loro cuore. Noi Cristiani crediamo in un Dio che ha scelto di rinunciare a tutti i privilegi per farsi uomo come noi, ultimo tra gli ultimi e crocifisso tra i malfattori. Ma noi ai nostri privilegi quand’è che impareremo a rinunciare? Quand’è che riusciremo ad aprire gli occhi e a capire che nel mondo esistono ancora un’infinità di persone alle quali viene negata ogni forma di diritto e di umanità? Quand’è che impareremo ad “ascoltare” le grida silenziose e inesorabili di tutti gli sfruttati? Quand’è che ci sentiremo chiamati a fare qualcosa di concreto per chi ha bisogno del nostro impegno per risollevarsi da situazioni al limite con l’inumano? Basterebbero piccoli gesti concreti nella nostra quotidianità: gesti che impediscano quantomeno il diffondersi di una cultura dell’odio e dell’indifferenza, che sappiano sottrarsi alla spietata e disumana logica del mero profitto. L’altro non è solo il lontano (magari troppo per consentirci di vedere nella sua vita le conseguenze delle nostre scelte) è anche chi, ogni giorno, ci sfila accanto negli uffici, per le strade, in famiglia, nelle nostre comunità. Ascoltare significa soprattutto sintonizzarsi sui segnali che queste persone, quotidianamente, con la loro vita, ci inviano… “Sentirsi interrogati, anche quando non ci viene fatta una domanda esplicita”. Sentirsi chiamati in causa ogniqualvolta riusciamo ad individuare attorno a noi un elemento di sofferenza. Ascoltare vuol dire riconoscere la voce di chi ci chiama e che ci ricorda che possiamo sempre fare qualcosa.