LA SECONDA 

GUERRA MONDIALE  

 


CARABINIERI

Seconda Guerra Mondiale (1940-1945). 

Dal sito carabinieri.it  

Durante la Seconda Guerra Mondiale i Carbinieri operarono su tutti gli scacchieri operativi, dai deserti africani ai fronti dei Balcani, a quello della Russia. Memorabili furono le azioni di Klisura (16-30 dicembre 1941 sul Fronte greco-albanese), per il quale l'Arma fu insignita di una Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Per la strenua difesa di Culquaber (6 agosto - 21 novembre 1941. Fronte etiopico) operata dal Battaglione Carabinieri Mobilitato, che ebbe l'onore di essere citato nel Bollettino di Guerra n. 539 del Comando Supremo :"...Nell'epica difesa si e' gloriosamente distinto, simbolo del valore dei reparti nazionali, il Battaglione dei Carabinieri Reali, il quale, esaurite le munizioni, ha rinnovato fino all'ultimo i suoi contrattacchi all'arma bianca. Quasi tutti i carabinieri sono caduti." In memoria dei tanti che diedero la loro vita in quell'occasione, la Bandiera fu insignita della seconda Medaglia d'Oro al Valor Militare .Sul fronte russo i Carabinieri operarono con pari abnegazione in tutti i combattimenti, meritando alla Bandiera una ulteriore Medaglia d'Argento al Valor Militare. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale l'Arma dei Carabinieri ebbe 4618 caduti, 15124 feriti (inclusi 2735 caduti e 6521 feriti durante la Resistenza) e 578 dispersi. Per il contributo dato alla Resistenza, il 2 giugno 1984 la Bandiera fu insignita della terza Medaglia d'Oro al Valor Militare. Tra gli innumerevoli episodi e atti di valore di cui i Carabinieri furono protagonisti nel corso del conflitto, un cenno particolare meritano il Vicebrigadiere Salvo d'Acquisto (Torre di Palidoro - 23 settembre 1943) e i carabinieri La Rocca, Marandola e Sbarretti (Fiesole - 12 agosto 1944) i quali offrirono la loro vita in cambio di quelle di ostaggi civili.

EPISODI DELLA I GUERRA MONDIALE

Eluet el Asel, Gebel Cirenaico, 19 dicembre 1941
Il 1° Battaglione Reali Carabinieri Paracadutisti venne costituito agli inizi della II G.M. in Roma presso la Caserma "Podgora", addestrato a Tarquinia raggiunse l'A.S. nel luglio 1941 ove nel dicembre successivo fu schierato (Comandante Maggiore Alessi morto poi in circostanze misteriose il 26 aprile 1945 in veste di partigiano vedi in calce) al bivio di Eluet el Asel, posto alla confluenza delle piste provenienti da Chaulan e el Mechili - Martuba col compito di proteggere le divisioni italiane che si stavano ritirando lungo la via Balbia (Operazione Crusader Crociato 18 novembre 1941-17 gennaio 1942). Aggregata al battaglione c'era la 9a compagnia bersaglieri (cannoni) del ten Coglitore. Nei furiosi combattimenti che seguirono i Carabinieri Paracadutisti seppero imporre al nemico (7° Divisione Corazzata) la loro indiscussa superiorità e terminata la missione ripiegarono durante la notte in direzione di Agedabia che raggiunsero nel tardo pomeriggio del giorno 20 dopo essersi aperta la strada a bivio Lamluda con travolgenti assalti contro reparti della 4° Divisione Indiana. Per l'eroico comportamento del 1° battaglione Reali Carabinieri Paracadutisti la Bandiera dell'Arma meritò la M.A. al V.M.

 http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_del_Podgora

Il racconto completo alla sottopagina Africa 1941 terza parte il Colonnello del 9° racconta.......

LA CAMPAGNA DI GRECIA-1940

I seicento uomini del terzo battaglione vengono accolti a Durazzo e a Tirana da un violento bombardamento della britannica RAF (Royal Air Force). Il 19 novembre sono Schierati cori il 9° reggimento alpini sulla linea a cavallo della strada Premeti-Perati. Quando il nemico attacca la critica quota 665, i carabinieri comandati dal tenente colonnello Giuseppe Contadini tengono duro e non accennano alla ritirata nemmeno quando la pressione avversaria diventa quasi insostenibile. I militi fanno piovere dozzine di micidiali bombe a mano e solo il cedimento di un altro settore li obbliga ad arretrare. Una loro compagnia ha il difficile incarico di coprire la ritirata e guaderà il fiume Sarandaporos dopo che i genieri italiani hanno fatto saltare il ponte di Perati.
LE QUOTE DI KLISURA. Nel settore di Premeti, presso il comando della Julia, il battaglione agisce come forza di pronto intervento nei settori più minacciati. Il 16 dicembre presso il delicato settore di Klisura la seconda compagnia difende con le unghie e con i denti la quota 1117 di Shesh Mal.Costretti nuovamente alla ritirata, i carabinieri cercano di fermare i greci lungo la mulattiera per Klisura. Accerchiati, lanciano un violento contrattacco. E’ la vittoria, ma pagata con la morte del loro comandante tenente Ronchey (medaglia d'oro) e con la perdita di un quinto degli effettivi. Per tutto dicembre e gennaio l'esistenza del terzo battaglione si sgrana in un doloroso rosario di sofferte resistenze e tremendi assalti in una zona i cui nomi resteranno impressi nelle menti dei superstiti: Chiarista, Fratint, quota 287 a Klisura. Le loro gesta varranno una medaglia di bronzo alla bandiera dell'Arma. In tutto il settore greco-albanese sono presenti 106 ufficiali dell'Arma, 280 sottufficiali e 5.800 militari a piedi, più 97 uomini dello squadrone a cavallo. Oltre al III battaglione mobilitato ve ne sono altri 9, tutti impiegati a fondo nella sicurezza contro il numero crescente di bande partigiane nella zona del Kossovo e di Scutari, sia nella difesa del passo Llogorà o di altri punti critici del fronte greco, sia nel servizio di polizia.

JUGOSLAVIA PARTIGIANI OVUNQUE 1941-1943

In Grecia i rapporti con la popolazione locale erano progressivamente migliorati con l’occupazione. Inizialmente i greci avevano diviso i loro sentimenti nei confronti delle truppe dell'Asse, che avevano occupato il Paese, riservando ammirazione ai tedeschi, la cui avanzata era apparsa inarrestabile, e disprezzo agli italiani che avevano penato così tanto sui monti del Pindo. L'arroganza dei tedeschi e l'umanità degli italiani avevano mutato, in un secondo momento, l'atteggiamento della popolazione. Ma anche questa seconda fase fu presto superata. La guerra partigiana divise la Grecia fra collaborazionisti e patrioti, comunisti e filomonarchici, traditori ed eroi. Gli agguati si moltiplicarono, le strade diventarono insicure, nemmeno le caserme offrirono più un rifugio sicuro. Vi furono episodi sanguinari e vergognosi, con imboscate e rappresaglie incivili, senza più alcun rispetto umano. I prigionieri venivano spesso sottoposti a maltrattamenti e torture. I rastrellamenti si susseguivano senza sosta, e anche i carabinieri parteciparono a scontri durissimi. Molti pagarono con la vita la loro fedeltà alla consegna ed alla bandiera. Il carabiniere Rahaman Gjanaj cadde nel 1940 presso Scutari durante uno scontro con sei fuorilegge. Il suo collega Alfredo Gregori fu preso prigioniero a Veli-Dolac e passato per le armi perché non cantava con i partigiani (1941) e così molti altri fino al 43.

RUSSIA 1941-1943

I carabinieri erano presenti con un battaglione, una compagnia, 45 sezioni e 8 squadriglie e condivisero in pieno la tragedia della ritirata. La campagna di Russia fu teatro di grandi atti di eroismo individuale e collettivo. Di un episodio straordinario fu testimone, durante la tormentosa ritirata della divisione Torino, il sottotenente Attilio Boldoni, comandante la 66ª sezione in forza alla Torino, insieme alla 56ª. Da Popowka ad Arbusov la retroguardia sostenne durissimi combattimenti per proteggere la ritirata, prima di arrivare alla conca di Arbusov, che venne successivamente soprannominata la Valle della Morte. Quando i russi chiusero la sacca, il comando italiano e quello tedesco decisero di sferrare un contrattacco generale. Ricorda Boldoni: "Sin dal mattino del 22 dicembre, la situazione si fa tanto insostenibile che il comando della Torino, d'intesa con il comando tedesco, decide di tentare un ultimo disperato sforzo per allargare il cerchio, così da dare un po' di respiro alla difesa. Dovrebbe essere un contrattacco generale delle truppe germaniche, irradiantesi nelle varie direzioni più redditizie, dal centro, dove saranno riunite, per l'accompagnamento dell'azione, le armi pesanti ancora utilizzabili (cannoni, mortai e mitragliatrici). ( ... ) Arbusov è una località situata al centro di alture che erano dominate dai russi. Gli italiani dovettero subire completamente allo scoperto un bombardamento micidiale perché i tedeschi si erano affrettati ad occupare tutte le case disponibili. Nelle loro ristrette buche scavate nel terreno gelato i fanti sentivano sibilare la morte, con il tonfo sordo dei potenti mortai da 120 millimetri, il boato delle granate di grosso calibro e l'urlo delle katjushe. Quando arrivò l'ordine di forzare il blocco, gli atti di valore non si contarono. 

Negli oltre 180 anni di vita dell'Arma dei Carabinieri, la Bandiera e gli Ufficiali, Sottufficiali, Appuntati e Carabinieri sono stati insigniti di :Alla Bandiera dell'Arma
  • 4 Croci di Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia
  • 3 Medaglie d'Oro al Valor Militare
  • 3 Medaglie d'Oro al Valore dell'Esercito
  • 5 Medaglie d'Argento al Valor Militare
  • 4 Medaglie di Bronzo al Valor Militare
  • 5 Medaglie d'Oro al Valor Civile
  • 1 Medaglia d'Argento al Valor Civile
  • 2 Croci di Guerra al Valor Militare
  • 3 Medaglie d'Oro al Merito della Sanita' Pubblica
  • 5 Medaglie d'Oro di Benemerenza
 Ufficiali, Sottufficiali, Appuntati e Carabinieri
  • 20 Croci di Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia
  • 111 Medaglie d'Oro al Valor Militare
  • 2 Medaglie d'Oro al Valore dell'Esercito
  • 1 Medaglia d'Oro al Valor di Marina
  • 3155 Medaglie d'Argento al Valor Militare
  • 14 Medaglie d'Argento al Valore dell'Esercito
  • 22 Medaglie d'Argento al Valor di Marina
  • 5724 Medaglie di Bronzo al Valor Militare
  • 14 Medaglie di Bronzo al Valor dell'Esercito
  • 42 Medaglie di Bronzo al Valor di Marina
  • 70 Medaglie d'Oro al Valor Civile
  • 2012 Medaglie d'Argento al Valor Civile
  • 3282 Medaglie di Bronzo al Valor Civile
  • 3614 Croci di Guerra al Valor Militare

Carabinieri hanno partecipato sovente, anche in anni recenti, e in tutte le aree alla ricostituzione, addestramento di unità di Polizia in paesi che si andavano risollevando da dominazioni straniere. Citiamo di seguito le operazioni nei balcani dal 1912 al 1936 sempre riassunte dal sito

La Grecia, pur avendo acquistata la propria indipendenza già 80 anni prima, si trovava ancora come il classico vaso di coccio fra i tre giganti Austria , Turchia e Russia (a lei favorevole per affinità religiosa). Alla fine del 1910, i rapporti italo-turchi erano molto tesi, mentre quelli con la Grecia erano in quel momento cordiali. Il 6 maggio del 1911 in un più generale progetto di riorganizzazione della difesa il governo Greco scriveva al Ministero della Guerra per chiedere il concorso di ufficiali italiani per la riorganizzazione della Polizia locale. La loro presenza a Creta per la riorganizzazione di quella Gendarmeria aveva lasciato un ottimo ricordo nelle autorità greche. Il contratto d’ingaggio prevedeva che la Missione italiana, dipendente direttamente dal Ministero dell’Interno greco, fosse incaricata di organizzare la Gendarmeria, di stabilirne i servizi, sia speciali che di Polizia, di elaborare i regolamenti del Corpo e di prendere la direzione del suo addestramento. La Missione sarebbe stata composta da quattro ufficiali dei Carabinieri Reali e avrebbe avuto la durata di due anni, rinnovabili. Il 30 gennaio 1912,  furono nominati il tenente colonnello Francesco dei marchesi D’Aulisio Garigliota e il maggiore Gondisalvo Rodda.
All’epoca la Gendarmeria greca si componeva di un Comando Generale e di 16 Direzioni di Polizia. A parte gli ufficiali e i
sottufficiali, la forza effettiva era di 3.416 gendarmi di 1a e 2a classe, per la truppa a piedi, e di 218 unità, per quella a cavallo. La permanenza nei gradi era molto lunga e mal compensata e anche l’immagine, oltre alla disciplina, lasciava a desiderare, perché molto spesso non vi era il senso del decoro dell’uniforme. Agli inizi del XX secolo in pochi Stati si era formata la coscienza dell’importanza per l’ordine interno di una gendarmeria professionale, cioè di una polizia addestrata con gli stessi criteri di un esercito, e pagata in modo adeguato. Nell’agosto del 1912 la Missione italiana presentò al locale Ministero degli Interni una bozza di Regolamento organico studiato sulla base di quello vigente in Italia, ma adattato alle esigenze della situazione ellenica. Fu anche presentato il progetto per la costituzione di un Battaglione di Gendarmeria e di un Reparto di gendarmi anziani da inviare in servizio per il regno in circostanze speciali. Fu redatto un progetto per la ricostituzione della Scuola Sottufficiali di Gendarmeria. Un momento molto delicato si presentò nel 1912, in autunno, quando scoppiò il conflitto greco-turco: Nel 1913, nel bel mezzo della crisi, moriva assassinato re Giorgio I e ai suoi funerali la Polizia ellenica, con la Missione italiana, fornì un servizio d’ordine inappuntabile. Qualche problema interno iniziava a farsi sentire: D’Aulisio chiedeva di avere l’esclusiva responsabilità del servizio di polizia, specialmente nelle zone più pericolose come quella di Salonicco, dove era stato ucciso re Giorgio, ma era molto difficile cedere totalmente la responsabilità dell’ordine pubblico ad una Missione che aveva caratteristiche di cooperazione tecnica (in un paese in Guerra in aree dove non vigeva alcuna legge. I massacri con motivazioni politiche erano all'ordine del giorno) . Nonostante le difficoltà il Presidente del Consiglio greco Venizelos, alla fine del 1913, avanzò al Governo italiano la richiesta di inviare una decina di sottufficiali dei Carabinieri da adibirsi ad istruttori della Scuola di Gendarmeria, che nel frattempo era stata riorganizzata sulla base dei progetti italiani. La richiesta fu estremamente puntuale, perché in particolare furono richiesti elementi che avevano già servito a Creta, nel periodo in cui l’allora principe Giorgio era stato Alto Commissario dell’Isola. La nuova contrattazione non fu facile, però, principalmente dal punto di vista finanziario, poiché D’Aulisio chiedeva la parificazione con quanto ottenuto dalla Missione francese e da quella britannica, non tanto per gli aspetti remunerativi, quanto per il prestigio e l’autorità della Missione e l’immagine dell’Italia. 

Diverse ragioni indussero Roma a non spingere per rinnovare la terza volta il contratto e a ritirare, almeno in via temporanea, gli ufficiali. Gli ufficiali italiani, con l’intento di alleviare in parte le difficoltà finanziarie governative per il funzionamento degli istituti di istruzione, si erano attivati per ottenere delle gratuità, che potremmo definire sponsorizzazioni ante litteram, cercando cioè privati fornitori che provvedessero alla vestizione degli allievi e anche in parte cospicua al loro vitto. La Missione aveva continuato a studiare tutti i miglioramenti possibili e a proporre al Governo, per organizzare soprattutto le rafferme, progetti intesi a migliorare le condizioni economiche della truppa e a procurare un numeroso arruolamento di elementi maggiormente idonei, così come venne regolato con nuove e più razionali disposizioni l’avanzamento dei militari di truppa e dei quadri superiori. Fu compilato un dettagliato progetto per l’istituzione di una Scuola Allievi Ufficiali di Gendarmeria. Venne curata approfonditamente anche la parte amministrativa, proponendo uno schema di regolamento sul carteggio e sulla tenuta degli uffici del Corpo di Gendarmeria, per riorganizzare anche questo importante ramo del servizio.
La situazione politica nel Mediterraneo si evolveva e la guerra procedeva. In realtà in un primo momento il Regio Governo aveva dato mandato a de Bosdari,, di iniziare le trattative per il rinnovo del contratto, ma in seguito ritenne che non ci fossero più quelle ragioni di opportunità politica che avevano consigliato la permanenza della Missione. Durante le trattative si considerò anche la possibilità che gli ufficiali della Missione, restituita al suo numero originario, rimanessero in Grecia con la semplice funzione di consiglieri militari, togliendo loro quindi il comando della Gendarmeria e qualsiasi diretta responsabilità operativa, amministrativa e disciplinare. Ma anche questa possibilità venne scartata, e quindi, allo scadere del contratto, fu deciso che tutti gli ufficiali sarebbero stati rimpatriati. La stampa italiana, nel riportare la notizia, accusò del mancato rinnovo del contratto la stampa ellenica, ritenuta filo-tedesca, e che, per motivi politici, aveva cercato di distruggere il lavoro fatto dalla Missione nei quattro anni di permanenza in Grecia. 
Al momento della rottura delle trattative, unilaterale da parte italiana, il de Bosdari informò il Ministero degli Affari Esteri che il Capo del Governo greco, in quel momento Scoulidis, si era mostrato dolente per il provvedimento italiano e aveva deciso di esternare ai nostri ufficiali la riconoscenza e la benevolenza del Governo greco, concedendo loro delle onorificenze cavalleresche: lo stesso re Costantino lo confermò al D’Aulisio, quando costui, in qualità di Capo Missione, si presentò per l’udienza di congedo. La collaborazione con il Governo ellenico non era affatto terminata poichè era subentrta la Missione Alleata di Controllo predisposta da Gran Bretagna, Francia, Italia e Russia per il concentramento forzato delle truppe greche e del loro armamento nel Peloponneso. Questo periodo di permanenza di alcuni degli ufficiali dei Carabinieri Reali in Grecia, tra i quali lo stesso D’Aulisio, non può essere considerato come una Missione di pace, nel senso di “cooperazione tecnica”, perché il servizio venne attuato nel quadro del primo conflitto mondiale, che si stava evolvendo, con numerose complicazioni, nei Balcani e nel Mediterraneo. La Missione Militare Italiana di Controllo in Grecia doveva sorvegliare l’operato della Polizia locale e riferire sulle eventuali deficienze, illegalità o atti partigiani della Polizia stessa. Questo incarico fu affidato al D’Aulisio che, rientrato in Grecia nel marzo 1916, dipendente direttamente dal Comando Italiano di Salonicco, vi sarebbe restato fino all’agosto dell’anno successivo. 
Già nel 1917 ripresero le trattative tra il Governo italiano e quello ellenico per un contratto con i Carabinieri Reali, sempre volto alla riorganizzazione della Gendarmeria. Furono analizzati con cura i contratti precedenti per apportare quelle modifiche che rendessero più agevole il lavoro degli ufficiali stranieri e non si dovessero ripetere spiacevoli episodi quali quelli verificatisi sotto il Governo Gunaris, ad esempio, quando si era tentato di mettere sotto processo disciplinare il capitano Giovenale, per alcune sue dichiarazioni sulla condotta dell’Italia nel conflitto e per non aver vestito l’uniforme greca.. Quindi si tese a specificare in modo più preciso le attribuzioni della Missione, stabilendo chiaramente che i membri di essa sarebbero dipesi disciplinarmente soltanto dall’autorità del Capo Missione e dalle autorità militari italiane. La nuova Missione sarebbe stata composta dal tenente colonnello Capo Missione e da sette fra maggiori e capitani. Il contratto avrebbe avuto durata triennale.Fu designato come nuovo Capo Missione Guido Gandini, coadiuvato dai maggiori Erminio Mazza e Marco Falta, dai capitani Pietro Rubino, Ferdinando Viale, Gualtiero Ferrari, Casimiro Delfini e Antonio Battiti. Fu successivamente nominato anche il capitano Emilio Bassignano. Il nuovo contratto fu firmato il 5 ottobre del 1917 e dal giorno successivo gli ufficiali già presenti sul territorio passarono al servizio del Governo greco, continuando a vestire l’uniforme italiana: Atene aveva lasciato cadere la pretesa che gli italiani vestissero la divisa della Gendarmeria greca. Nel 1918, come già era accaduto precedentemente, il Governo greco chiedeva a Roma anche l’invio di un ufficiale d’Intendenza. Nonostante le favorevoli premesse, l’opera della Missione ebbe ancora serie difficoltà con il Governo ellenico, soprattutto per l’organizzazione dei servizi di ordine pubblico nelle maggiori città: infatti quel Governo aveva chiamato ad organizzare i servizi di polizia urbana una Missione inglese, e le due rappresentanze militari, quella italiana e quella britannica, erano logicamente entrate in rotta di collisione per le rispettive attribuzioni, che non erano state ben chiarite dal richiedente. Da notare comunque che gli inglesi non avevano alcuna funzione di comando diretto ed erano presenti in veste di consiglieri militari e propositivi, non certo operativi sul territorio. Spettava però al Governo greco chiarire meglio cosa intendesse e quali servizi attribuisse alla Polizia urbana e quali alla Gendarmeria. Furono costituiti dalla nostra Missione, sulla base del sistema italiano, sei Comandi di Legione, e alcuni membri della Missione furono distaccati in capoluoghi regionali di maggiore importanza, quali Comandanti. Gli ufficiali assegnati alla Legione di Atene disimpegnavano prevalentemente le funzioni di ispettori e consulenti, istradando i nuovi Comandi sul sistema amministrativo e disciplinare italiano. Nel maggio del 1918 iniziò a funzionare una Scuola Allievi gendarmi e sottufficiali ad Atene, nella sede di un vecchio seminario, adattato convenientemente, che diede non poche soddisfazioni alla Missione italiana. Di risultati se ne iniziavano a vedere: andando a fare una visita alla Scuola Allievi gendarmi di Atene, Venizelos così si espresse al giornalista italiano Ernesto Vassallo, che era presente come inviato speciale del Corriere della Sera: 

«Come italiano dovete essere veramente orgoglioso per l’eccellente corpo dei vostri carabinieri. Per questo sono felice nel vedere affidata oggi a questi la riorganizzazione della Gendarmeria ellenica. Sono certo che grazie alla cooperazione ed al zelo di tutti, anche noi otterremo la completa organizzazione della nostra Gendarmeria».
I risultati erano aumentati, ma anche il capitolo di spesa relativo, a carico del bilancio del Ministero degli Interni ellenico, era considerevolmente lievitato, sia per l’impianto delle Scuole che dei nuovi Comandi di Legione e di Divisione. Secondo quanto si ricava dai documenti d’Archivio, il bilancio per il Corpo di Gendarmeria presso il Ministero degli Interni aveva avuto i seguenti incrementi: anno 1916: dracme 15.651.380; anno 1917: dracme 20.543.950; anno 1918: dracme 24.421.140; anno 1919: dracme 44.075.262.L’aumento esponenziale delle spese era dovuto alla nuova organizzazione della catena di comando e dei reparti amministrativi; all’acquisto ed affitto delle nuove caserme e dei locali che meglio si prestavano per le esigenze di servizio; alle nuove spese di ufficio; alle indennità speciali concesse a gendarmi e sottufficiali allontanati dalle foresterie perché ammogliati o inadatti al servizio; all’acquisto di nuovi stampati e registri, prescritti per la tenuta della contabilità. 
Le trattative per il primo rinnovo del contratto triennale alla Missione furono avviate nel marzo del 1920, limitando peraltro, secondo il desiderio del Governo greco, i membri della stessa a cinque: Gandini, Falta, Mazza, Savoia e Delfini. Nel mese di settembre la Missione italiana fu riconfermata per un ulteriore triennio – sarebbe stato l’ultimo di permanenza in Grecia, fino al settembre 1923 –, con sei ufficiali, i cinque sopra nominati più Ferdinando Viale. Rimpatriarono Battiti e Bassignano, in quanto erano quelli con minore anzianità di servizio in Grecia. Nel nuovo contratto fu chiarito che i Carabinieri italiani sarebbero stati incaricati in modo esclusivo dell’organizzazione del Corpo di Gendarmeria interamente separato dal Corpo di Polizia, così come era stato stabilito dalle leggi in vigore in Grecia. Le trattative, a detta dello stesso Ambasciatore italiano, furono lunghe e laboriose, anche per la decisione del Governo greco di ridurre i membri della Missione, soprattutto per contrarre l’impegno finanziario profuso nella questione. La promozione di Gandini, oltre che per meriti, era necessaria affinché il Governo greco potesse dargli il grado superiore di generale, che avrebbe portato il Capo della Missione italiana allo stesso livello di quella francese e inglese.
Il 4 marzo 1923 il Gandini, ormai promosso colonnello nei ranghi dell’Arma, ancora a Capo della Missione Militare Italiana in Grecia per la Riorganizzazione della Gendarmeria Ellenica – questa era la dizione ufficiale – comunicava al Comando Generale dell’Arma a Roma che, allo scadere del contratto, il Governo ellenico non avrebbe proceduto al suo rinnovo. In effetti il Ministro degli Interni Yorgo Papandreou aveva scritto al colonnello Gandini, il quale nel frattempo aveva ricevuto dal Governo greco la nomina a generale, che per «delle ragioni imperiose di economia» non si sarebbe proceduto al rinnovo del contratto né alla Missione militare italiana, né a quelle francese e britannica. Papandreou elogiava il lavoro svolto fino ad allora dagli italiani, il loro zelo e il loro costante impegno profuso per la riorganizzazione della Gendarmeria.
Il 12 maggio, contrariamente ad ogni previsione, fu comunque decisa unilateralmente la fine della missione, concedendo agli ufficiali le ordinarie licenze prima del rimpatrio definitivo. A conclusione di queste, essi si sarebbero dovuti presentare al Comando Generale per ricevere le istruzioni relative alla loro destinazione.
Per la fine di maggio, ad eccezione di Mazza, che fruiva di una parte della sua licenza a Patrasso, gli ufficiali erano tutti rientrati nel territorio metropolitano e il loro ingaggio al servizio del Governo greco era definitivamente terminato. In realtà la decisione unilaterale si spiega ricordando che le relazioni italo-greche non erano più così buone come nel passato. Da parte italiana vi era stato un riavvicinamento verso i turchi, durante la Conferenza di Losanna: del resto l’Italia aveva forti interessi economici e commerciali con la Turchia. Non vi era sentore che il Dodecaneso, abitato da greci, sarebbe stato restituito alla Grecia, anche perché l’Inghilterra non aveva lasciato Cipro, condizione prevista il 29 luglio del 1919 da un accordo Tittoni-Venizelos sull’atteggiamento che le due potenze avrebbero dovuto tenere alla Conferenza della Pace a Parigi. L’incidente italo-greco del 27 agosto 1923 distrusse i rapporti fra Atene e Roma: l’uccisione in territorio greco, nei pressi di Yanina, della Missione militare italiana (quattro persone) comandata dal generale Enrico Tellini, incaricata dalla Conferenza degli Ambasciatori di fissare il confine greco-albanese, provocò da parte italiana una giusta richiesta di riparazioni. I rapporti sarebbero ridivenuti cordiali fra i due Stati solo dopo la seconda guerra mondiale.

I Carabinieri D'Albania 

I carabinieri erano entrati in terra d'Albania già nel 1928 con un gruppo di istruttori di educazione fisica della missione militare italiana. Questa missione faceva seguito alle due precedenti (una delle quali aveva fornito l'occasione per il bombardamento di Corfù) incaricate essenzialmente di delineare i confini greco-albanesi. Durante lo svolgimento di quelle missioni, dal 1923 al 1926, i militari italiani avevano assistito alla rapida ascesa al potere di un giovane ed ambizioso feudatario della regione del Mat: Alimed Bej Zogolli. Alla testa della sua fedele milizia di dibrani e di sudditi del Mati, era riuscito al termine di una serie di complicate lotte intestine, a conquistare il potere a Tirana. Nel gennaio 1925 Zogolli si era fatto proclamare presidente e capo del governo, affrettandosi prima a sostituire l'esercito con una milizia a lui fidata. Insieme ai loro colleghi di altre armi, i carabinieri avevano tenuto corsi di istruzione post-militare, propedeutici al servizio di leva, e corsi di educazione post-militare per migliorare la qualità dei riservisti. La loro attività, coronata dal successo dell'introduzione della leva obbligatoria, si era conclusa nel 1933. Nel 1939, dopo l'unione dello stato Albanese sotto la Corona dei Savoia, si formò a Tirana un reggimento Guardie Reali, con ufficiali Italiani che avrebbe dovuto fornire un servizio di rappresentanza al Quirinale a Roma (equivalenti dei corazzieri). Al termine della Guerra contro la Grecia il Reggimento venne ridotto a Battaglione, senza aver mai prestato servizio. Molti dei suoi uomini, delle migliori famiglie albanesi, erano transitati nei ruoli dell'Arma dei Carabinieri. Notizie scarse ci precludono ogni ulteriore approfondimento sulla fine del reparto. 

Cacciatori d'Albania   

Guardia Reale  (fonte E.I.)

Edoardo Alessi
Quando gli venne chiesto di giurare fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana, Alessi, l’eroe d’Africa, rispose con un fiero «Nossignore, un parà non giura due volte». Congedatosi, Alessi si rifugiò in Svizzera, sfuggendo così alla reclusione. Tra i partigiani era chiamato "Marcello" e fu nominato dal "Cnl" comandante della prima divisione partigiana alpina "Valtellina". Dalla la sua base nelle vallate attorno a Sondrio aveva salvato centinaia di ebrei in fuga, aiutandoli a raggiungere la Svizzera. Venne ucciso in circostanze non chiare in un agguato alle porte di Sondrio, il 26 aprile 1945:
Alessi - aostano, classe 1897 - era un ufficiale dei carabinieri più volte ferito: divenuto cristiano fervente e terziario francescano dopo la morte prematura della prima moglie, cugina di Sandro Pertini, era di quei fedelissimi alla patria e al re che avrebbero accettato persino la deportazione in Germania (la quale in effetti dopo l'8 settembre gli fu minacciata dai nazisti) pur di non contraddire il giuramento militare, ma che non si facevano scrupolo di inoltrare - per iscritto e in alto loco - le loro schiette opinioni sulla della guerra o sulle obbedienze non dovute ai gerarchi. Finito comandante dei carabinieri di Sondrio, in effetti, Alessi durò poco e il suo rifiuto a firmare per Salò («Il giuramento l'ho già prestato al Re): la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1943 riuscì fortunosamente a riparare in Svizzera con la seconda moglie. Di lì (dopo un ruolo direttivo nell'enclave di Campione d'Italia, dichiaratasi nel 1944 aderente al Regno d'Italia del Sud) l'ufficiale riprese contatto con la Resistenza, con la quale aveva già collaborato sia partecipando alle prime riunioni del Cln, sia convogliando verso la clandestinità le armi sequestrate ai soldati in fuga, sia facendo espatriare - parola dell'atto d'accusa del tribunale militare - «centinaia di militari sbandati ed ebrei» dal campo di raccolta valtellinese dell'Aprica. All'inizio di febbraio 1945 il cattolico Alessi rientrava in Italia, prendendo il comando della I Divisione Alpina, fondata 6 mesi prima dai suoi amici del Cln in antagonismo ideologico e tattico coi partigiani comunisti della locale Brigata Matteotti. In effetti gli uomini di Alessi, oltre a dichiarare il loro impegno esplicitamente «nel nome di Cristo redentore», usavano metodi alquanto diversi dai garibaldini: per esempio non fucilavano i repubblichini, ma erano tenuti ad accoglierli qualora volessero cambiare bandiera; dichiaravano di «evitare scontri non ponderati», ovvero che provocassero rappresaglie sui civili; rifiutavano i «commissari politici» nelle loro formazioni; si preoccupavano di impedire la distruzione delle dighe alpine, indispensabili per la ricostruzione; sceglievano insomma «di tutto tentare perché non si inasprisca la guerra civile e perché il braccio dei traviati sia disarmato dalla libera persuasione anziché dalla violenza». «Marcello» fece persino ciclostilare una lettera aperta ai fascisti, distribuita poi in tutta la Valtellina e invitante a disertare in nome della Patria e dei princìpi cristiani. Ma proprio la mattina del 26 aprile Alessi e il suo aiutante cadono in uno scontro, poco sopra Sondrio. Nemmeno sul suo cadavere fu effettuata l'autopsia. Le versioni sul fatto discordano: quella ufficiale è di un'estrema rappresaglia fascista, ma l'indagine compiuta da un fedelissimo di «Marcello» e testimonianze recenti fanno propendere invece per un tradimento, se non un'esecuzione concertata da chi temeva l'influenza del carabiniere sul dopoguerra. In effetti, nei 20 giorni seguenti la morte di Alessi, i giustiziati in Valtellina furono un centinaio.

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