IL
PARTIGIANO "GIMMI"
Da anpi Malo Vicenza riportiamo (brani).
Giovannino Marostegan “Gimmi”
nasce a Vicenza il 29 maggio 1916, terzo di sei tra fratelli e sorelle. La
madre casalinga; il padre (antifascista, capocellula della zona della
Polveriera), muratore presso una coperativa, più volte bastonato e
“purgato”. (Muore nell’estate del 1943). A 18 anni Gimmi viene chiamato
alle armi, all’8° Bersaglieri di Verona, in una compagnia motociclisti.
Nel ‘37, alla richiesta di volontari per la Spagna, nessuno della sua
unità risponde all’appello, ma il suo nominativo viene inserito a forza
con una riffa sui generis. Gimmi si ritrova quindi a Roma in attesa della
partenza con altri nelle sue condizioni. Determinati a resistere, tutti i
non volontari decisero di uscire dalla caserma e di recarsi al Corpo
d’Armata a protestare. Naturale conseguenza fu la scelta fra l’imbarco e
il carcere militare. Tornato a casa dalla Spagna, entrò per breve tempo al
Lanificio Rossi di Vicenza come cardatore, ma dopo pochi mesi venne
richiamato alle armi e destinato al 2° bersaglieri, a Roma, quello di
Trastevere di Trombadori, , sempre come motociclista. Nel novembre del ‘40
furono imbarcati a Brindisi con destinazione Valona, Albania. Come andò a
finire lo sanno tutti. Passò il terribile inverno tra il ‘40 e il ‘41, tra
duri combattimenti e migliaia di congelamenti. Anche in questa guerra a
“Gimmi” toccò quale motociclista addetto al comando, di non sparare
nemmeno un colpo come in Spagna. “Gimmi” trascorse tutto il 1942 e oltre
metà del ’43, tra Atene, Tebe di Grecia e Kalchis. Inviato in licenza a
causa dell’aggravarsi delle condizioni del padre, una volta giunto a
Vicenza ne apprese la morte già avvenuta in sua assenza. Decise di non
tornare più in Grecia e a questo scopo riuscì anche a ritardare la
partenza simulando una malattia. Fu durante questo mese e più di
permanenza in Italia che sopravvenne l’armistizio dell’8 settembre, e,
mentre i tedeschi si davano alla caccia di soldati italiani,“Gimmi” decise
che da quel momento sarebbe cominciata la sua guerra. Col cognato svaligiò
la polveriera vicino a casa e nascose casse di armi e munizioni sotto a un
campo nei paraggi dell’aeroporto. Si mise subito i contatto coi cugini, i
comunisti Carlo, Bruno e Giordano Campagnolo, e con tutti i compagni che
in quei giorni stavano organizzando i primi GAP a Vicenza. Cominciò
l’incetta di armi, il sabotaggio di aerei al suolo, gli attentati alle
linee ferroviarie ed elettriche. Raggiunto il distaccamento garibaldino
sull’Altipiano di Asiago dopo vicende e arresto avventuroso ne divenne il
comandante alla partenza di Romano Marchi Mirro e Leone Franchini Franco.
In seguito venne chiamato in Val d’Astico per organizzare, con Alberto
Sartori “Carlo” e Germano Baron “Turco”, il btg. Marzarotto. Il
rastrellamento, lanciato da un’intera divisione nemica, cominciato
all’alba del 12 agosto 1944 che puntò per primo su Malga Zonta, lo colse
con un distaccamento nella vicina Malga Melegna. Frazionatisi a piccoli
gruppi, “Gimmi” e compagni riuscirono a mimetizzarsi per tre giorni, senza
cibo nè acqua, e a uscire indenni dalla tenaglia. Nell’ottobre dello
stesso anno, incaricato di portare un messaggio ad una missione alleata,
venne catturato con Ivan e una staffetta presso le Vezzene, sull’Altipiano
di Asiago; nel corso della cattura la staffetta rimase gravemente ferita
come pure “Gimmi”. Durante la marcia di avvicinamento a Lavarone “Gimmi” e
Ivan tentarono con successo la fuga. Nel febbraio 1945, nei pressi del
rifugio Campomolon, vennero finalmente raccolti abbondanti lanci,
soprattutto di esplosivo, che permisero, in marzo, l’operazione di
sabotaggio che doveva bloccare la statale del Brennero e la parallela
ferrovia. Il complesso piano venne realizzato in collaborazione coi gruppi
trentini della Val Lagarina (parte meridionale della Val d’Adige) e
“Gimmi” vi svolse il ruolo di artificere. La guerra si chiuse il 30 quando
una smagliatura nella rete informativa non avverte i pochi partigiani di
Pedescala che un’ultima colonna in partenza da Arsero sta per imboccare la
valle. Per Pedescala suona l’ora della condanna e non vale a salvarla la
forte reazione dei partigiani appostati sui versanti, che nonostante tutto
riusciranno a inchiodare la colonna per due giorni. Gli eccidi in paese e
nella vicine frazioni di Forni e Settecà faranno alla fine contare 82
morti e numerose case incendiate (all’imprudenza dei partigiani verrà
imputato il tardivo intervento). “Gimmi” deluso dal dopoguerra deciderà
poi di partire con la sua compagna per l’Argentina, dove rimarrà 30 anni.
http://www.israt.it/israt/pubblicazioni/asticont6/carpignano.rtf
Note da una ricerca di Giulia Carpignano > |
LA BRIGATA GIELLE
(Giustizia e Libertà) “DOMENICO TAMIETTI”. La brigata inizia ad operare tra la fine di aprile ed i primi del maggio
1944 attorno a Isolabella (all'epoca frazione di Poirino) paese natale
del comandante, Giovanni Scagliola. Giovanni
Scagliola detto “PIERO” era nato nel 1911
da una famiglia originaria di Tigliole. Dopo il diploma di ragioneria si
iscrisse alla facoltà di economia e commercio a Torino. Successivamente
fu ufficiale dei bersaglieri, combatté in Africa Orientale (dal 1935 al
1937), e dal 1940 (richiamato) in Jugoslavia. Quando ritornò a casa,
dopo l’8 settembre, si unì subito alle prime bande partigiane che si
stavano formando nelle valli del cuneese per poi assumere il comando
della brigata “Tamietti” nella primavera del 1944. per la sua attività
di comandante della brigata Tamietti ricevette due medaglie d’argento.
Il comando della brigata era localizzato inizialmente nella tenuta di
Ternavasso (tenuta di proprietà del conte Paolo Thaon di Revel,
ex-ministro delle finanze di molti governi Mussolini, ma da alcuni mesi
rifugio sicuro per i resistenti), per poi spostarsi presso le cascine
Ramassone di Cellarengo. Dopo i duri rastrellamenti del novembre 1944 si
sposta temporaneamente alla frazione Gianoli di Montà per stabilirsi
definitivamente, dagli inizi del 1945, in località Valmaggiore di
Valfenera. Ed è soprattutto con le altre formazioni operanti in zona, la
21a brigata autonoma di Francesco Bellero “Gris” e Giovanni Toselli
“Otello” e la matteottina “Tre confini” di Gino Cattaneo, che la
“Tamietti” si trova a collaborare, in un evolversi di rapporti non
sempre distesi. La linea ferroviaria Torino-Genova e le sue stazioni in
zona (Villanova, San Paolo, Villafranca, Baldichieri) sono il fulcro
dell'azione della “Tamietti” che, a differenza di altre formazioni
partigiane, nasce con un preciso compito militare da eseguire.
Racconta infatti il suo comandante Scagliola “Con Vian avevamo studiato
anche un po' la zona, e avevano tirato delle conclusioni circa l'utilità
delle formazioni di montagna [...]. Siccome [in montagna] non era
possibile, quando i rastrellamenti avvenivano [...] far fronte a delle
formazioni [regolari][...] avevamo dovuto constatare che in certe
occasioni [...] contava [solo] la preponderanza delle forze. [...]
[Durante un viaggio a Torino] con Vian [...] avevamo visto la
configurazione della collina che da Canale viene a Montà d'Alba, la
Retna [...], e abbiamo fatto delle considerazioni: perché non facciamo
delle formazioni leggere in questa zona, così potremmo eventualmente -
in caso di rastrellamento massiccio - attaccare dietro le formazioni
tedesche o fasciste e dare un contributo [...]. La formazione era nata
là, ma era nata già in considerazione di tutta la zona. Difatti avevamo
studiato anche qual era l'utile immediato che si poteva dare alla lotta
partigiana in considerazione della via di comunicazione Torino-
Asti-Alessandria [...]. E allora la prima azione… [diciamo] così
positiva [...] che c'è stata è stata quella di far saltare il ponte sul
fiume Tigliole”.
Il racconto di Scagliola su come sia nata la prima idea di una banda
operante fra pianura poirinese e collina astigiana in modo da disturbare
i collegamenti dei nemici fra Torino e Asti introduce anche un altro
elemento importante. La “Tamietti” nasce infatti quando la Resistenza in
Piemonte, e in particolare nel Piemonte occidentale, ha già consumato
alcune tragiche vicende di lotta contro i nazifascisti: l'esperienza
vissuta da Scagliola in Val Corsaglia con Vian viene quindi a costituire
un bagaglio di base per la formazione, che varrà ad evitare risvolti
tragici per gli stessi resistenti così come per le popolazioni civili
coinvolte. La “Tamietti” è costantemente attiva su tutto l'arco dei
dodici mesi della sua vita. A questo proposito appare significativo
quanto ha scritto in modo lapidario lo stesso Scagliola in un resoconto
preparato per le celebrazioni del 25 aprile di pochi anni fa: Novembre
1944, proclama Alexander: non ne teniamo conto.
LE BRIGATE
PARTIGIANE
Nell’astigiano operavano molte bande di diversa
ispirazione politica:L’VIII Divisione Garibaldina comprendeva tre
brigate: la 45°, la 78° e la 98° e operava su una vasta area che partiva
da Portacomaro per arrivare a comprendere tutto il sud della provincia.
Il comandante della VIII divisione era Davide Layolo noto come “ULISSE”.
Egli era nato a Vinchio nel 1912 da una famiglia contadina. Era stato un
ufficiale dell’esercito fascista e aveva combattuto tutte le guerre del
fascismo: in Africa, in Spagna, Albania, Grecia e Russia fino a quando,
davanti alla catastrofe in cui si trovava il paese, ebbe il coraggio di
operare la scelta che segnò la sua vita e passò dall’altra parte, cioè
con i partigiani. Dopo molte difficoltà e amarezze riuscì a riunire
dapprima un piccolo gruppo di compagni poi a conquistarsi la fiducia dei
capi fino a diventare il comandante del Raggruppamento Garibaldini. Il
numero maggiore di ingressi nelle formazioni partigiane si ebbe nel
periodo da giugno a settembre del ‘44 quando le bande cominciarono ad
avere una struttura e una organizzazione ben definita e si mantennero
poi praticamente costanti fino all’aprile del ‘45. Aderirono soprattutto
molti giovani renitenti alla chiamata alle armi o disertori ed erano
rappresentate tutte le classi sociali con una preminenza di contadini e
operai. Il fatto che molti partigiani fossero di origine contadina
rappresentava un enorme vantaggio per le bande; prima di tutto perché si
trattava di giovani forti e resistenti che conoscevano molto bene il
territorio su cui operavano e che, proprio perché contadini essi stessi
avevano più facilità nei rapporti con i contadini delle nostre campagne:
erano in pratica quelli che provvedevano al mantenimento dei partigiani
e che li aiutavano a trovare rifugi sicuri nelle campagne. |