di Don Primo Mazzolari

 (Stralci dal diario dal 1905 al 1926 edito dalle edizioni Dehoniane di Bologna Ediz. 1981 che ne ha autorizzato la parziale pubblicazione) 

Le foto sono state concesse dalla "Fondazione Don Primo Mazzolari" di Bozzolo

« Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro.  Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti » (Paolo VI)

Non è mia intenzione aggiungere nulla alla già alta figura di Don Primo Mazzolari nota e documentata. Queste poche righe e gli estratti dei diari relativi alla missione di pace in Alta Slesia serviranno solo a descrivere, all’interno di questa missione politico-militare, un punto di vista diverso e disincantato tipico del suo carattere che ha dovuto spesso subire censure e fare i conti con l’establishment. A.W

 

Don Mazzolari e l’esercito  

BIOGRAFIA

Brani tratti dall'anno 1920 annotati da Aldo Bergamaschi  

http://www.fondazionemazzolari.it/

4 giugno 1920..… A Teschen vidi il Cappellano del M. Baldo, don Pesenti. Ci siamo scambiati le impressioni. Anche lui è stanco e desidera tornare. L'ambiente militare - in questo siamo tutti d'accordo- non è più tollerabile. Durante la guerra, sia per la gravità del compito, sia perché uomini di ogni condizione civile ne trasformavano la fisionomia, l'esercito era mutato. Accanto a ufficiali senza mente e senza coscienza incontravi tipi simpaticissimi, i quali portavano nel compimento del loro dovere militare la stessa scrupolosità, la stessa nobiltà professionale: tipiche, pur essendo talora lontani dalla religione, perché intelligenti e onesti sapevano essere più che rispettosi, e valutare convenientemente l'importanza educatrice del sentimento religioso. Tra questi il Cappellano trovava i migliori amici, chi meglio lo sapeva intendere e coadiuvare. Se ne sono andati tutti con la smobilitazione. L'esercito ha ripreso, per reazione anche, una faccia ancor più antipatica che prima della guerra, poiché i molti rimasti si inorgogliscono di meriti che essi non hanno meritato. Sono, in gran parte, gli ex sottufficiali di ieri: gli spostati che la guerra ha portato su fino a capitano e più in là, e che incapaci d'altro si sono ben volentieri accomodati nelle file dell'esercito, dove la vita è comoda e avventurosa; sono infine i ragazzi delle ultime classi, con la licenza ginnasiale o tecnica, se l'hanno, e con tutti i capricci e la storditezza della età accresciute dalla licenza senza freno e dal denaro (la classe del 1900 che non ha combattuto, poi quella del '1). Ci sono ancora qua e là delle eccezioni, uomini retti e nobili, trovatisi nell'esercito e costrettivi a rimanere per ragioni particolari: questi sono i primi a soffrirne, vedendo i loro sforzi rompersi contro la cattiva volontà della maggioranza. Qui in Slesia sono tutti venuti per correre l'avventura. Paesi nuovi, donne tedesche. Noi siamo i padroni e saremo i conquistatori. Con questo animo partivano dall'Italia, e ogni cosa subordinano a questa ricerca fatta con ignobilità, spesso e stupidamente. Quando arrivano in nuova sede non si domandano se i soldati possono essere bene accantonati, se il servizio per essi è gravoso o meno, che cosa si può fare per migliorarlo, se c'è qualche cosa da apprendere. No, si fa la caccia alla donna, non si cerca che lei, qualunque essa sia e in qualunque modo la si possa avere. I soldati sono l'ultimo dei pensieri e quando vi sono costretti ad occuparsene, eccoli svogliati, irritati, come dinnanzi a gente che toglie loro di attendere a cose più importanti. E' penoso tutto questo soltanto a vederlo di lontano. Ufficiali del Battaglione, ufficiali e funzionari della Missione, di qualunque grado e di qualunque nazione, fanno pazzie. La miseria della popolazione ha dato il tracollo al costume, facile anche prima. Una frenesia di godimento ha invaso tutti. Le cose serie a domani... E intanto i plebisciti si rimandano, le questioni si procrastinano. Che importa se migliaia di minatori scioperano, se milioni di gente attendono una decisione che li metta tranquilli nel loro focolare! Così, proprio così, muore il militarismo! Una tal morte gli è soltanto degna. Come si respirerà meglio quando la terra sarà liberata da questa permanente organizzazione di ozio, di soprafazione e di corruzione!

 

Don Ernesto Primo Mazzolari nasce a Boschetto nel comune di Duemiglia nel circondario di Cremona il 13 gennaio 1890. Nel 1902 entra in seminario e da questa data, su indicazione di un suo insegnante, inizia a trascrivere le sue impressioni su un diario. 10 anni dopo nel 1912 viene ordinato sacerdote a Verolanuova. Nei due anni che ci separano dalla Grande Guerra svolge funzioni in parrocchie fino a quando, alla fine di luglio del 1914, viene inviato dalla diocesi sul lago di Costanza (Svizzera) per recuperare gli emigrati italiani che debbono lasciare le fabbriche e il paese che, benché neutrale, è minacciato dal conflitto. Dieci giorni prima della dichiarazione di guerra, il 13 maggio 1915, don Primo così scriveva sul suo diario: "Giorni d'angosciosa vigilia. Ho nell'anima il dolore di un'età e lo spasimo di una vergogna che deve pesare sulla coscienza di ogni italiano come un'infamia perpetua" Nelle sue meditazioni e nei suoi concetti verso la grande guerra si evidenzia un sentimento di moderato interventismo radicato però in un ideale patriottico di ispirazione risorgimentale. (F. Boselli: La fede, La famiglia, l’amor patrio 1914-1920 – maggio 2011). Conseguente alle sue idee (ma non rinnega la pace che deve stare sopra tutti “ La guerra va condannata in nome della dottrina dell’amore e promossa in nome della Giustizia) chiede di essere arruolato come il fratello. Per gli appartenenti alla chiesa non era però previsto in tempo di guerra l’arruolamento. Si ovviava per la indisponibilità degli incarichi di cappellano in un incarico di addetto sanitario che per Don Primo si materializza il 24 novembre 1915 in un incarico all’Ospedale militare di Genova, poi nella sua Cremona nei locali del seminario adattati a ospedale. E fu così per due anni.

 

«Io amo la Chiesa e il Pontefice, ma la mia devozione e il mio amore non distruggono la mia coscienza di cristiano».

     

Don Primo Mazzolari sul Fronte Francese

Messa a Ratibor

 

     
Don Mazzolari e il cappellano    

 

... Autorità non ne ho, ne me l'arrogo: ma poichè è giusto che qualcuno pensi a questi giovani che dalla milizia tornano alle proprie cure, ecco ve li addito. Ma, si dirà, c'è l'autorità ecclesiastica che pensa e provvede per essi. E' recente un decreto della Concistoriale che riguarda appunto i sacerdoti che tornano dalla milizia. Sono sedici articoli, ove si discorre di irregolarità, di dispense, di cautele, di esercizi spirituali e, qualora occorra, anche di permanenza temporanea in una casa religiosa. Mi guardo bene dal sollevare una critica. Nulla di più utile che un po' di riposo e di silenzio per raccogliere lo spirito e guarirlo. Ma - permettete - tutto qui? Basta questo spolveramento, questa - come dirla? - imbiancatura per calmare, restaurare, rinsaldare degli spiriti su cui, in una maniera singolarissima, è passata la guerra?
Non hanno proprio altri bisogni all'infuori di quelli che voi soddisfate così alla lesta? Li avete seguiti questi giovani? Li conoscete? Sapete ciò ch'essi hanno veduto, esperimentato, sofferto nella mente, nel cuore, nella fede in quattro anni di una vita affatto diversa dall'usata, la quale ha lasciato in tutti delle tracce incancellabili? Li riconoscete ancora? Forse - ho motivi per dubitarne - non li avete mai conosciuti. Si conosce il tipo; il quale è la deformazione dell'Idea.
Il tipo lo fabbricano i seminari: eppure anch'esso già veniva scomparendo nella vita ordinaria, un anno o due dopo l'uscita dal seminario. Passandoci poi sopra la guerra, questa immane rivoluzione che volle provare, come un gigante, tutte le costruzioni del passato, stringendole e scotendole nelle mani titaniche con una violenza mai raggiunta da nessun'altra tragedia umana: la guerra, che urlò sulle rovine di fiorenti regioni; che passò senza commuoversi dinanzi agli episodi di interi popoli: che guardò senza inorridire i campi di battaglia più insanguinati, che le anime innalzò fino al sacrificio più puro o sommerse nell'egoismo più verace: che alla scienza chiese gli strumenti più micidiali, alla carità il lenimento più soave, alla fede il rifugio più certo, alla speranza la più fulgente visione di domani.
E il prete-soldato fu nella trincea, all'assalto, nell'ospedale, nell'accantonamento e nel suo cuore incandescente (le pietre si fondevano sotto il cannone) dovettero confluire le confidenze più tenere, i segreti più reconditi, le ambascie più nere, lo spasimo, l'angoscia, le lacerazioni di un'umanità, vicina, ora, con la quale egli viveva, agiva, soffriva, si confondeva. E molti che per la prima volta s'affacciavano alla vita furono costretti a guardarla così, con gli occhi ancora lucidi d'innocenza e d'ingenuità; molti per la prima volta vedevano l'uomo ... Ci sono delle virtù che non sono fatte per le lunghe e perigliose traversate. Quanti sacerdoti si sono trovati nella tempesta con nessun altro mezzo all'infuori delle fragili imbarcazioni, buone tutt'al più per passeggiare lungo i laghi artificiali in cui da tempo è rinchiusa la religione?
Perciò i naufraghi furono numerosi. Parecchi non sono giunti a riva e non so se mai ci arriveranno: altri vi giunsero aggrappati a qualche tavola, a dei rottami afferrati lì per lì, quando tutto mancava. I pochi giunti in porto coi loro mezzi hanno un tale stordimento, provarono una tale impressione, sono così persuasi della fragilità del mezzo cui li si affidò ... E a tali uomini voi dite: «Orsù, tornate alle tranquille occupazioni di ieri. Rappezzate le vele: pulite le carene; riparate le falle. Tornate ai pensieri di un tempo ... ».
In un primo momento, in un primo spontaneo bisogno di riposo essi vi seguiranno; troveranno anzi buone le prime giornate; vi benediranno per la familiare dolcezza dei ricordi ... Poi ... Poi l'inquietudine li riprenderà. Voi la chiamerete il male del mondo, e sarà vero per qualcuno. Ma per molti quello che sentiranno, quello che già sentono è l'inquietudine dell'apostolo. Il piccolo mondo spirituale di ieri non basta al sacerdote che ritorna dalla guerra. Chi vede una volta soltanto il campo che sta oltre la minuscola cinta non lo può scordare: è il campo dell'apostolo. Gli dissero che di là c'era il male, la menzogna, il fallace godimento, la morte. Egli trovò queste brutte cose; ma accanto al male scorse inesplorate sorgenti di bene, accanto alla menzogna una sete, una sete di verità, accanto alle insane passioni delle aspirazioni nobilissime, nella morte degli indelebili segni …pag 586/7


Note:Aldo Bergamaschi.... Ricordiamo che questo articolo dedicato ai sacerdoti che tornano dalla guerra è riferito alla salvezza « vocazionale » dell'amico don Annibale Carletti *(M.O.V.M). Si rileggano le prime 50 pagine de "La Pieve sull'argine" e vi si troverà il dramma del prete reduce dalla guerra. (Cf. anche L. Bedeschi, Obbedientissimo in Cristo, op. c., p. 45). 
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Medaglia d'oro al V.M. a CARLETTI Don Annibale Tenente Capellano 207° reggimento fanteria della brigata "Taro" luogo di nascita: Motta Baluffi (CR) : Data del conferimento: 26- 10- 1916 D.L. motivazione: Dal giorno in cui si presentò al reggimento, con opera attiva ed intelligente, seppe inspirare in tutti i militari i più elevati sentimenti di fede, di dovere e di amor patrio, dando, anche in azioni militari, costante prova di coraggio personale e di sprezzo del pericolo. In vari combattimenti, sempre primo ove più intensa infuriava la lotta, incurante dei gravi pericoli ai quali era esposto, incitava i soldati a compiere, fino all’ultimo, il loro dovere, mostrandosi anche instancabile nel raccogliere e curare i feriti. Ben due volte riunì militari dispersi, rimasti privi di ufficiali, e, approfittando dell’ascendente che aveva saputo acquistarsi fra i soldati, li riordinò e li condusse all’assalto. Intimatagli dal nemico la resa, vi si rifiutò risolutamente, ordinando e dirigendo il fuoco contro le forze preponderanti dell’avversario, al quale inflisse gravi perdite. Costa Violina, 15-17 maggio; Passo Buole, le termopili d'Italia, 30 maggio 1916.

 

Finalmente il 26 aprile 1918 Don Primo ricevette la nomina a Tenente Cappellano nel corpo di spedizione italiano in Francia, nello specifico nelle truppe ausiliarie del TAIF (ex operai militarizzati). Alla fine del 1918 il corpo venne sciolto e Don Mazzolari poteva rientrare in Italia e riprendere il suo ruolo di cappellano in reparti ancora mobilitati per lo sminamento e il recupero delle salme insepolte o malamente sepolte. Fu durante questa esperienza che volle recuperare a San Floriano (Oslavia) i resti di suo fratello morto proprio il 24 novembre 1915. Considerando la sua missione finita chiese a più riprese il congedo che per la classe di cappellani più giovani come la sua non venne concesso. Anzi a fine 1919 venne nominato Cappellano al 135° Fanteria in Verona in partenza per la Slesia. Il suo incarico si esaurirà a Luglio dell’anno dopo. E’ quindi dal suo diario che cercheremo di ricostruire ed analizzare quei momenti sia sotto l’aspetto militare che umano.
Al termine dell’impegno in Polonia venne nominato parroco a Cicognara. Il 10 luglio 1932 trasferito infine nella parrocchia di Bozzolo, dove visse per il resto della sua vita. Da questo momento nascono i problemi coi fascisti che portarono anche a una pesante intimidazione. Dopo l'8 settembre 1943, partecipò attivamente alla lotta di liberazione, incoraggiando i giovani a partecipare. Dopo un primo arresto fu costretto a vivere in clandestinità fino al 25 aprile 1945. L'Anpi di Cremona gli riconoscerà la qualifica di partigiano.
Nel 1949 fondò il quindicinale –Adesso- (del quale fu direttore) che diede inizio ai suoi problemi con la gerarchia ecclesiastica. I suoi scritti attirarono le sanzioni dell'autorità che ordinarono la chiusura del giornale nel 1951. A luglio dello stesso anno, venne imposto al sacerdote il divieto di predicare fuori diocesi senza autorizzazione e il divieto di pubblicare articoli senza una preventiva revisione dell'autorità ecclesiastica.
Dagli inizi degli anni cinquanta don Primo sviluppa un pensiero sociale vicino alle classi deboli (Nessuno è fuori della carità) e ai valori assoluti del pacifismo che attireranno le critiche e le sanzioni delle autorità fino a portarlo all'isolamento nella sua Bozzolo. Echi delle sue riflessioni si ritroveranno nel mondo fiorentino espresso da Padre Balducci, Giorgio La Pira e più tardi da Don Milani. Con la pubblicazione anonima di Tu non uccidere, nel 1955, Mazzolari attaccava a fondo la dottrina della guerra giusta e l'ideologia della vittoria, il tutto in nome di un'opzione preferenziale per la "non violenza", da sostenere con un forte «movimento di resistenza cristiana contro la guerra» e per la giustizia, vista come l'altra faccia della pace. Sarà solo verso la fine degli anni cinquanta, alla vigilia della morte, che don Primo Mazzolari cominciò a ricevere le prime attestazioni di stima da parte delle gerarchie ecclesiastiche. Nel novembre del 1957 l’arcivescovo di Milano Montini, futuro Papa Paolo VI, lo chiama a predicare presso la propria diocesi: nel febbraio del 1959 Papa Giovanni XXIII lo riceve in udienza privata e lo saluta pubblicamente "Tromba dello Spirito Santo in terra mantovana".

La vittoria avrebbe dovuto restituire alla Chiesa il suo pastore ma a questi non bastò l’animo di rinunciare, per la missione di Soldato di Cristo quella di Soldato d’Italia e, nel bivio critico della sua esistenza Carletti, svestì la tonaca e rimase nelle file dell’Esercito.

 

A Cosel

Don Mazzolari primo a sinistra con Mons. Ratti seduto al tavolo

 

Mons. Achille Ratti, nunzio apostolico accettò di celebrare messa a Cosel il 21 giugno 1920. Il parroco, anziano, sulla porta della chiesa, «accolse il Nunzio con commosse espressioni di devozione e di saluto» - annota Don Primo nel suo diario. Assenza ostentata del primo Cappellano del luogo e dell’insegnante di religione del ginnasio. …«Guardando il vecchio vescovo italiano, venuto da Roma a ricordare ai sacerdoti ch’essi hanno un ministero di pace e che non debbono avvilirlo per nessuna ragione, mi sentii preso da una commozione grandissima e un’onda di spontanea, non mai provata devozione mi portò verso il Pontefice. Avrei gridato anch’io ‘Viva il Papa'!».

     

Riassunto da l'Osservatore Romano - ottobre 2009

   
Don Ratti giunse in “Polonia” come "Visitatore Apostolico", il 29 maggio 1918 prima che la guerra fosse conclusa. Il suo ambito territoriale allora non poteva che essere l’effimero Regno di Polonia costruito al posto del Ducato di Varsavia. Tutte le altre aree tedesche (o Prussiane) e austriache gli erano precluse salvo rare eccezioni. Alla fine del conflitto, nonostante la limitazione, a lui facevano riferimento anche i territori sui quali stava sorgendo il nuovo stato polacco e a lui venne rivolta la costituzione di un ordinariato militare. Nella relazione sulla visita apostolica nel territorio del Governatorato generale di Lublino, merita di essere evidenziata la considerazione sulle relazioni tra occupanti e la popolazione nei territori occupati dall'Austria e dalla Germania. Ratti, già all'inizio del viaggio, si accorse che esse si differenziavano in modo sostanziale. Sotto l'occupazione tedesca una barriera alta e fredda divideva occupanti da occupati, invece sotto l'occupazione austriaca, era possibile osservare dei segni chiari di benevolenza. Il 30 marzo 1919, a nome della Sede apostolica, consegnò a Varsavia a Paderewski "il formale riconoscimento del rinato Stato". Con questo atto si costituiva anche la sede della Nunziatura e per la carica Don Ratti venne consacrato Vescovo il 28 ottobre nella cattedrale di Varsavia (arcivescovo Aleksander Kakowski ed elevato alla dignità di arcivescovo titolare di Lepanto e nominato nunzio apostolico. La sua missione, dopo la difficile situazione a occidente nei territori spartiti fra Polacchi, Tedeschi e Cechi (Alta Slesia), lo portò ad affrontare anche la difficile situazione verificatasi con l'invasione sovietica dell'agosto 1920 per i problemi creati dalla formulazione dei nuovi confini postbellici. Ratti chiese a Roma di restare a Varsavia prossima all'assedio ma Benedetto XV, temendo per la sua vita, gli ordinò di raggiungere il governo polacco in esilio. Nell’Alta Slesia all’atto del plebiscito era forte la presenza del clero tedesco (sostenuto dall'arcivescovo di Breslavia cardinale Bertram), che spingeva per il ricongiungimento con la Germania. Il governo polacco, allora, chiese al Papa di nominare un rappresentante plebiscitario ecclesiastico che fosse al di sopra delle parti, in grado di garantire l'imparzialità in occasione del plebiscito. Avvenne però che l'arcivescovo Bertram (tedesco) vietò ai sacerdoti stranieri della sua diocesi (in pratica i polacchi) di prendere parte al dibattito sul plebiscito. Bertram fece inoltre sapere di avere avuto l'appoggio della Santa Sede: il Segretario di Stato, cardinale Gasparri, aveva maldestramente dato l'appoggio a Bertram e al clero tedesco, senza informarne Ratti. Contro gli si scatenò la stampa polacca, che lo accusava, ingiustamente, di essere filotedesco. In questa situazione e dopo le sue già espresse convinzioni di non essere più adatto alla missione venne richiamato (giugno 1921) e subito dopo nominato Arcivescovo di Milano e Cardinale. Ambrogio Achille Ratti (futuro Papa Pio XI) era nato a Desio il 31/5/1857: è stato il 259º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica dal 6/2/1922 e 1º sovrano dello Stato della Città del Vaticano a seguito del concordato. Morirà a Roma il 10 febbraio 1939 alla vigilia di una nuova devastante guerra.

IL PRETE, LA CHIESA

 

Riforma vita parrocchiale 
Fabbricerie, prestanome e despotismi di parroci. Nessuno - è il lamento comune - si prende a cuore le cose della parrocchia, le quali camminano come le cose che avendo bisogno dell'interessamento di tutti sono da tutti trascurate e neglette. Chi de' cristiani della parrocchia, una volta tanto, si dà pensiero del come vive e viene amministrata la sua Chiesa? Se gliene accennate come di un dovere, non v'intenderà neppure. Egli sente di essere un estraneo, uno spettatore soltanto. Forse ché il cittadino che si diverte si preoccupa dell'andamento del teatro? Gli parrebbe anzi di commettere una sconvenienza professionale ficcando il naso negli affari di un altro. Poiché c'è un po' in tutti, pure ne' migliori, che la Chiesa sia un po' un'azienda privata che ha il suo uomo, il prete e la sua clientela, e che non c'è proprio tornaconto di volerci veder dentro, tanto più che le son cose di cui non ci si intende. Che se la sbrighi lui con la sua Chiesa. Quando abbiamo dato la nostra offerta che ce ne torna? E stia pur cheto il pacifico parrocchiano che nessuno verrà ad importunarlo con in mano la carta di un qualunque bilancio, più lo spauracchio di un ammanco. Già egli non tirerebbe fuori il portafoglio. Tutt'al più potrebbe mettere due dita nel taschino la domenica allora che il sacrestano gli sbatacchia sotto il naso la bussola, e tirarvi su un bel soldone.
« Oh! che pretendete? Ce l'ho io ben la mia casa ». E non so dargli torto. Come pretendere che uno si occupi dell'andamento della parrocchia quando ci si adopera in ogni modo per metterlo fuori e tenerlo lontano? Così è infatti. Vedete se questa non è la preoccupazione di ogni parroco il quale ama fare da sè le sue cose e ministrare a piacimento senza che altri vi possa intervenire. E come sono gelosi, di questa che non è autonomia, ma autocrazia, e risente della malattia che incancrenisce un po' tutto il corpo ecclesiastico che per meglio dominare esagera le sue attribuzioni, creandosi un vuoto d'attorno simile in questo a vecchie castella medievali che si munivano di fossa e palizzate che ne facevano difficile l'accesso ai nemici e agli amici pure. L'organamento parrocchiale, questo primo e mirabile nucleo di vita religiosa, è sempre stato un'istituzione popolare a cui tutti prendevano parte e di cui si sentivano un pò tutti padroni. Nelle origini questo spirito democratico che gli derivava dallo spirito religioso operava come vincolo saldandosi nella coscienza della fraternità, la quale se distingueva non separava mai nella comunità dove la casta, pur quella sacerdotale, era affatto ignorata. L'indipendenza economica, schiavitù statale, quando il culto cristiano venne riconosciuto e aiutato dal pubblico erario, fu fatale. Ciò che è gratuito non è oggetto di pretese.

 

MANUALE RELIGIOSO DEL SOLDATO
AI SOLDATI D'ITALIA!
Non si creda che la religione, la Fede, la Chiesa diminuisca e faccia passare in seconda linea l'affetto di patria, Solo chi non ha approfondito la religione, n0n ha inteso in sé i sublimi palpiti della fede, può ripetere che il sentimento religioso sia in detrimento dell'amor vero di Patria.
Era l'altare innalzato sul Carroccio, che infondeva il disprezzo della morte agli strenui difensori dei Comuni d'Italia contro l' invasore, e da quell'altare prendevano forza a difendere famiglia e patria. Anche oggi in nazioni sorelle, forti nelle armi, si ripete il grido: Per Iddio e per la Patria.
Poiché dunque l'amor di patria è rafforzato e arriva all' eroismo, quando sia innestato nei principi sublimi della religione cristiana, scrissi questo libriccino per voi, per mantenervi saldi in quella Fede santa che è la gloria più bella d'Italia.
Troverete, leggendolo, le stesse cose udite un giorno sulle ginocchia delle vostre madri. Ebbene, queste brevi pagine vi rammentino l'affetto di chi ve le insegnò la prima volta.
Se alcuno mai cercasse strapparvi dalla mente e dal cuore le dottrine sacre della fede, gettando il ridicolo sulle pratiche di nostra religione, allontanatelo da voi come uno che, tradendo la vostra coscienza, vuole la vostra rovina, vuole togliervi dal cuore gli affetti più santi, e offende voi stessi, le vostre famiglie, le cose che più amano i vostri cari. Siate felici!
2 Febbraio I9I6. P.CARLO MASSARUTI Roma Coll. Americano Via G. Belli, 3

     
La questione morale

27 aprile 1920. La missione pasquale è terminata. La chiusa non è stata molto soddisfacente. L'ambiente di Leobschutz, religiosamente, è sviato più degli altri. E' l'influenza dei costumi. Non è che la cittadina sia peggiore delle sue vicine, ma il soldato trova nell'elemento equivoco, che è parecchio, il suo pascolo malsano. Me ne sono accorto dalle facce, mentre io parlavo loro. Dove non c'è vita buona l'ostacolo alla pratica religiosa è centuplicato. Su un giornale di Leobschutz fu pubblicato un appello alle giovani tedesche perché non siano dimentiche della loro dignità e non si gettino così facilmente, come fanno, con quelli che ieri erano i nostri nemici: e questo in nome dei morti, in nome delle sofferenze patite, in nome della dignità tedesca. Al parroco, che me lo fece leggere con un certo compiacimento, risposi che mi sembrava inopportuna una tale pubblicazione, non per i miei soldati, ma per le giovani tedesche, di cui si scrive anche pubblicamente, a confermare la leggerezza; la parola nemici era proprio fuori di posto, poiché la moralità non è questione di nazionalità o altro, e chi non ha una coscienza morale non si trattiene per considerazioni di questo genere, che poi sono anche senza fondamento; che i miei soldati non sono diversi dagli altri soldati di questo mondo, e che da essi non si può pretendere una forza eroica di resistenza alle continue e innumerevoli tentazioni. Io non voglio giustificare i miei soldati. Dio me ne guardi, ma non è giusto che essi debbano portare anche la colpa che non è loro. Naturalmente, parlando ad essi nel Vangelo della Messa, ho loro ricordato che la debolezza della donna non è una giustificazione (alla stessa maniera quanti delitti si dovrebbero approvare), che uno dei primi doveri dell'uomo è quello di essere il sostegno e l'aiuto, mai lo sfruttatore della miseria che la società fa pesare sulle povere nostre compagne; che la donna è così perché noi la teniamo come il padrone teneva lo schiavo, in questa condizione d'inferiorità. In fatto di costumi i tedeschi non possono farci da maestro. Il senso morale, da noi, nelle campagne in specie, non è basso come qui, dove tutt’al più, c'è non dico maggior compostezza esteriore, chè la volgarità è senza ritegni, ma un non so che d'ipocrisia che tenterebbe di mettere un velo. In un paese dove perfino nelle vie principali, e non a ora tarda e con nessuna aria di avventura, ti senti invitato, preso per mano e quasi forzato, i giovanotti nazionalisti hanno ben donde di denunciare sui muri i nomi delle fanciulle che si dimenticano…E la religione, in un paese ove tutti vanno in chiesa e si mostrano zelantissimi, quale influenza regolatrice esercita sui costumi? Questo è per me uno dei molti lati oscuri della religiosità tedesca. Finora non riesco a comprendere gran che del come essi intendano e pratichino la religione….
Da parecchi giorni non scrivo. Sono preso da una svogliatezza la quale è un poco malessere e stanchezza corporale. La stagione forse: ma più il disagio morale che aumenta. La schifezza dell'ambiente cresce spaventosamente. Non immaginavo mai che la corruzione avesse preso tutti e a tal segno e neppure che da parte delle donne tedesche si eccedesse così. Propendevo a credere che nei racconti degli ufficiali ci fosse molto di esagerato, ciò che vi aggiunge una fantasia malsana; o la vanità, non infrequente, di farsi stimare più tristi di quello che si è. Fatti recenti e indubbi mi tolsero pur questa illusione lasciandomi dinnanzi un quadro della realtà rivoltante. Il soldato s'è abituato alla donna, come alla sigaretta, al bicchier di birra e spesso non gli costa di più: talora soltanto la pena di scegliere. Ci fu un momento in cui la paura dell'affissione dei nomi pareva frenare alquanto: la minaccia messa in atto si scoperse ridicola. Quando né l'onore personale, né quello di famiglia, né il sentimento religioso, né quello del pudore valgono a trattenere, è sciocco credere che l'artificioso argomento dedotto dalla nazione faccia presa. Ma se la novità è un incentivo allo sbrigliamento libidinoso, se essa opera sulle malsane fantasie delle ragazze corrotte come un'attrattiva ... Bisogna che tutti i pedagogisti della morale sessuale laica si persuadano che buttano il tempo e le parole se non s'appoggiano un po' più alto. A meno che non vogliano ridurre la questione dei rapporti a un capitolo di profilassi celtica. I più seri, infatti, arrivano fin qui nelle loro preoccupazioni: evitare che si ammalino. E' inimmaginabile il male che fa una tale scuola. Essa distrugge il senso morale e la possibilità di nobilitare i comuni rapporti tra l'uomo e la donna. E poi parlano di elevare la donna! fino a quando non vedrete in essa che un soggetto di piacere, che la femmina, non la innalzerete di un palmo. Essa, alla sua volta, si vendicherà traendovi più giù, dove si oscurerà anche la vostra coscienza di uomo. ... E quelli che avevano ancora un ritegno, un'ombra di pudore, quelli che o la religione, o la famiglia o un affetto buono tratteneva, furono spinti giù per la china. Ma le conseguenze sono immediate e così chiare che farebbero aprir gli occhi anche ai ciechi. Si ruba per mantenere il vizio: ove non c'è malattia venerea c'è esaurimento nervoso, debolezza di volontà; sparisce il carattere, il rispetto, la voglia di lavorare; cresce l'insofferenza, la volgarità, ogni appetito inferiore si sfrena. Come capisco quello che avviene in Italia. Ma questi giovani saranno, quando tornano a casa, tutti bolscevichi. Li avete fatti così voi, o ufficiali, o classe borghese. E' la vostra morale, la vostra scuola, il vostro esempio. Non lamentatevi. C'è una logica fatale e le idee, come la natura, maturano lentamente ma inesorabilmente le loro vendette. Avete decapitato Dio, l'avete strappato dal cuore degli uomini con tripudio di vittoria e questa umanità senza Dio, senza morale, non può che calpestarvi, disprezzarvi, ammazzarvi
18 Luglio 1920 L'offensiva sovietica bolscevica minaccia di travolgere la Polonia. A Spa (Belgio sede delle trattative interalleate) si chiacchiera..... (siamo alla vigilia della sua sostituzione ma lui ancora non lo sa, è stanco ... )

17 Note:Aldo Bergamaschi. Osiamo affermare che tutta la carica apostolica. la freschezza evangelica, il sincero sinistrismo sociale di Mazzolari - tutte scelte che bruciano lo spazio ad ogni carriera per sostituirlo con una solitudine .interiore cui soltanto un innamorato della Verità può assuefarsi senza cadere in nevrosi - siano dovuti alla sua fede nel celibato. La storia della chiesa - anche la più recente - insegna che al di fuori della statura mazzolariana ci sono i contestatari della chiesa istituzione che tutto contestano eccetto la istituzionalizzazione del matrimonio dei preti, e gli integristi che per avanzare nella carriera si fanno difensori d'ufficio della chiesa-istituzione esaltando il celibato senza tuttavia testimoniarlo. Né gli uni né gli altri portano una qualche "novità" evangelica nel mondo. I "vocazionisti" della nostra epoca dovrebbero riflettere a lungo su queste pagine del diario mazzolariano. Un certo potere ecclesiastico, infatti, preferisce avere sudditi dissoluti ma obbedienti, anziché puliti ma fedeli al messaggio di Cristo e alla propria coscienza.....

 

…Sera. Lunga conversazione con D. T. sulle condizioni del clero napoletano. Ho sempre creduto, quando me ne parlavano gli altri, che ci fosse un poco di esagerazione poiché, sulla bocca di certa gente, certi argomenti si deformano facilmente: invece c'è nella realtà qualcosa di ancora più brutto. Perfino dei professori e dei superiori del seminario vivevano scorrettamente, e i chierici sapevano e commentavano. Con quali disposizioni poi questi chierici accettavano gli obblighi del sacerdozio io non riesco a spiegarmi: forse, col proposito non confessato di fare altrettanto ?. Che valore ha una promessa quando quelli che ce la chiedono, dopo averla essi stessi fatta, non la mantengono? In simili condizioni il celibato diviene un orrore e toglierlo varrebbe ridare un po' di sincerità e di stima. Se per altre vie non è raggiungibile una riforma del clero, e dato che esso debba ancora continuare nella forma presente, l'abolizione del celibato è urgentissima. La mia opinione è un poco diversa. Quando il sacerdote sarà davvero sacerdote anche questo sacrificio eccezionale potrà essere portato convenientemente, e darà una luce e un'efficacia irresistibile al ministero." 17
 

RICORDI PASQUALI - IL CAPPELLANO MILITARE DELLE TRUPPE ITALIANE IN ALTA SLESIA
-1. Se credi in Cristo e lo ami e metti in pratica il suo Vangelo, sei un cristiano. Chi si dice cristiano e non ha una vita buona è un menzognero.
Chi è cristiano e si vergogna di farne aperta professione, è come il soldato disertore che nega la patria e lo tradisce. Se non hai il coraggio della tua fede, cambiala o cambia te stesso, ma non mettere l'ombra di una viltà su una Religione che ha milioni di Martiri.
-2. Non gettare lo scherno o il disprezzo su nessuna religione.
Cerca e pretendi la libertà e il rispetto per la tua, rispettando l'altrui. Ogni fede, quando è sincera e nobilmente professata, merita rispetto. Chi non sa rispettare la fede degli altri dimostra di non avere stima della propria: come dimostra di non amare la propria mamma chi offende e dispregia l'altrui.
-3. Non bestemmiare.
Malauguratamente la bestemmia è divenuta presso di noi un'abitudine che gli stranieri, a ragione, ci rinfacciano. Chi bestemmia offende la Religione, disonora se stesso, lo famiglia, lo patria. I forti invocano Dio, i fiacchi lo bestemmiano.
-4. Rispetta le abitudini del paese ove vivi, anche se non le comprendi. Impara quelle buone: lascia le cattive: non disprezzare nulla. In questa maniera ti farai rispettare. Il rispetto può pretenderlo solo chi lo merita. Sii quindi gentile senza debolezza: dignitoso senza boria: italiano senza ostentazione.

5. Onora la donna.
I popoli dimenticano tante cose, anche le sconfitte: non dimenticano mai le offese fatte all'onore familiare.
Vedi in ogni donna la mamma, le sorelle, la tua fidanzata lontana.

La Fondazione Don Primo Mazzolari ONLUS ha sede in Via Castello 15 a Bozzolo di Mantova. Per contribuire alla vita della Fondazione è sufficente usare il canale della contribuzione del 5%° con la denuncia dei redditi dei modelli Cud, 730 e Unico. Basta apporre negli appositi spazi il codice fiscale 01405770205.

Apertura al pubblico:
dal lunedì al sabato dalle 9.00 alle 12.00.
Appuntamenti per gruppi, i pomeriggi della settimana, compresi sabato e domenica. Segretario della Fondazione Sig. Ghidorsi Giancarlo cell. 339-8458376

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Muore più giovinezza in certe guarnigioni che non sui campi di battaglia. Tieni cara la tua giovinezza: non è una giubba, che si può mutare quando è sciupata. Torna in patria sano e puro come ne partisti. Che la tua mamma, quel giorno, ti ritrovi ancora giovane e ti possa guardare col suo occhio profondo senza vederti arrossire.
Fratello, è la Pasqua! Sosta un poco e riposa nella gioia di Cristo Risorto.
Nel tuo paese la primavera è più bella: più festevole l'alleluia delle campane nell'azzurro del tuo cielo ... Ma il Signore è qui come dappertutto, se tu Lo vuoi, se tu Lo cerchi, Lui stesso ti viene incontro nell'esilio: sta alla porta del tuo cuore. Aprigli, fratello. E' il Signore che viene a te nella Comunione di Pasqua. E ti dirà, se tu gli apri - Pace -, come ai discepoli: ti custodirà, se tu vuoi, il cuore, facendoti capace di un amore puro e bello come la giovinezza che è Suo dono: ti farà più alacre nel dovere, che è la voce della Patria: più aperto alla fraternità; che non ti fa straniero presso nessun popolo. Fratello, è la Pasqua! Pax et Bonum

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