Il diario di Marco Janni FIAMMA BIANCA BRANI TRATTI DA http://pellegrinetti1.interfree.it/nuova_pagina_6.htm Motivazione della medaglia oro Volontario di
guerra, giovanissimo, dopo ripetute domande ottenne di essere inviato in
prima linea per la difesa del patrio suolo. Intrepido, temerario,
cosciente, trascinatore con l’esempio, già distintosi in precedenti azioni
di guerra, sempre primo a correre dove la battaglia si svolgeva più
cruenta. Ferito da schegge di mortaio, rifiutava recisamente di
abbandonare la postazione. Rimasto a difendere un’importante posizione
durante un violento attacco nemico, con perizia pari ad indomito valore,
conteneva l’avversario superiore di numero e di mezzi, seminando strage
nelle file nemiche col fuoco ben diretto della propria arma. Colpito
mortalmente da granata nemica che stroncava la sua ardente giovinezza,
spirava col grido d’Italia sul labbro.Esempio luminoso e fulgido di alte
virtù militari, indomito coraggio, sublime amor di Patria. Valle del
Serchio – Ca’ de Mattei 2 aprile 1945 |
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Z. O (zona d’operazioni). Pasqua, 1945 Carissimo babbo, per la prima volta dal fronte voglio scrivere a te personalmente: ho molte cose da dirti sopra questo. Il pericolo che mi circonda è grave, gravissimo; ma non si abbatte mai su di me con troppa violenza. Il mio cuore è sempre saldo e la mia fede né si piega né si spezza. Il morale è più che alto. Questo ti può fare facilmente comprendere che l' ideale e più ancora l' amore verso la Patria che avevo alla mia partenza per il fronte, anche se non conoscevo il pericolo, è tale quale oggi che sono in prima linea e rimane sempre più saldo e più fermo. Babbo, sono guarito perfettamente. Ho atteso la guarigione per dirti che sono stato ferito da tre schegge di mortaio (non dirlo alla mamma). Nonostante questo, non ho voluto abbandonare mai il mio posto in linea e non è che voglia esaltare questo mio atto. Ma voglio dimostrarti che tuo figlio sa mantenere con gioia la promessa fatta alla Patria: resistere fino all' ultima goccia di sangue. Perché deve ancora esistere una massa di gente che si diverte al caffè, al cinema, al ballo, mentre noi - sì, dico noi, perché ci sono pure io- si combatte, si soffre e si muore? Quale immenso baratro passa fra noi e loro? Questo: che loro vogliono o almeno desiderano la caduta della Patria, mentre noi vogliamo l' immortalità, la gloria della nostra terra martoriata. Il nostro suolo è calpestato, le nostre città distrutte, le nostre ricchezze asportate: ed ora avrebbero il coraggio di devastare questo pezzo di terra che ci rimane: ma non riusciranno. Siamo in pochi ma la morte non ci fa paura e vinceremo, babbo. Vedrai che le parole di tuo figlio non verranno meno. Si ha bisogno di pace giusta e di riposo. E voi, repubblicani, sveglia! Fate vedere ai bersaglieri dell' Italia, agli alpini della Monterosa, ai marò della S. Marco che contribuite pure voi, anche se anziani, alla salvezza di questa infelice Patria nostra. La mia salute è ottima, così spero di te e della mamma. Sempre in gamba, che i capelli non contano! Qui ci vuole fede e fede sono sicuro che in te non mancherà mai. Sino alla morte! Baci tanti ed abbracci a te e alla mamma. W l' Italia Aff.mo Marco |
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Marco Janni era un giovanissimo volontario, che
aveva lasciato la casa e la famiglia per correre in aiuto di quella
Patria che sentiva minacciata da eserciti stranieri. Era nato al Alassio,
in provincia di Savona, il 16 giugno 1926. Suo padre l’architetto Marco,
era uno stimato professionista ed egli, unico figlio, era uno studente
di liceo poco più che adolescente quando si arruolò volontario
nell’esercito della R.S.I., probabilmente vista l’età in un reparto di
“Fiamme bianche”. Questi giovanissimi volontari delle classi
1926,1927,1928 non dovevano essere in prima linea, ma un piccolo gruppo
che ne fece richiesta, coi 17 anni già compiuti, raggiunse i reparti al
fronte. Marco, non volendo essere coinvolti in conflitti coi partigiani,
chiese di essere trasferito alla Divisione Bersaglieri “ITALIA”. Liberato Iannantuoni, un sergente suo amico, dice che Janni gli confidò : ” Io mi sono arruolato volontario per combattere il nemico che calpesta il nostro suolo, non per fare la guerra fratricida. Non odio i partigiani, né voglio imporre loro la mia idea. Essi sono italiani come noi e se non fossero stati traviati dai rinnegati e traditori, sarebbero qui con noi a combattere per la salvezza di questa nostra infelice e martoriata patria”. Il suo comportamento in combattimento fu tale che lo impose subito all’attenzione dei suoi camerati. Era ragazzo buono, affabile e gentile, amico di tutti e da tutti ammirato per il suo coraggio. Le azioni più rischiose lo vedevano volontario. Generoso fino al sacrificio, si offriva spesso di sostituire i commilitoni che dovevano affrontare compiti pericolosi. Il primo giorno d’aprile era Pasqua e Marco Janni, come sempre, si trovava in un avamposto molto avanzato, Ca’ di Matteo, con il compito di sorvegliare le mosse americane e con l’ordine di difendere la postazione ad ogni costo. Il lunedì in albis (2 aprile), il fuoco americano si intensificò: i nostri bersaglieri si riparavano alla meglio dentro le trincee che, a Ca’ di Matteo, erano state scavate in una vigna. A un certo punto, Janni gli fece (a Iannantuoni) promettere che, se gli fosse capitato di morire, lui, il più caro amico, avrebbe subito avvertito i suoi genitori e lo avrebbe ricordato nelle sue preghiere. Iannantuoni promise e aggiunse che, in fondo, la mala sorte avrebbe potuto capitare a lui. Al che Janni insorse dicendo: “ Non sia mai ! Il Signore non lo permetterà. Tu hai moglie e figli !”. Verso le due del pomeriggio l’infernale pioggia di granate continuava senza sosta. Una granata, sibilando sinistramente, si schiantò sulla trincea, proprio nel punto dove si trovava Marco Janni. La notizia della sua morte si diffuse rapidamente. Iannantuoni parlò della conversazione avuta al mattino col giovane e parve che si fosse trattato di una premonizione della fine della sua avventura terrena. Di lui ora si parlava come di un giovane eroe, e si raccontavano le sue gesta e il suo coraggio. Di lui si parlò nelle canzoni in quegli ultimi giorni di guerra. LE FIAMME BIANCHE Come era successo per la Gil anni prima, si fecero avanti ragazzi la cui età non era nemmeno dei 18 anni utili per un arruolamento volontario. Se non baravi !!! sui documenti, non dovevi essere nato dopo il 26. Le fughe da casa e l’anarchia che regnava faceva si che si vedessero contemporaneamente padri e figli in divisa (Decima ma non solo). Ricci, comandante della GNR, diede disposizioni per portare su canali legali la creazione di un corpo d’Avanguardisti Moschettieri presso ogni Comitato provinciale. I giovani, di età non inferiore a 15 (e non superiore ai 18, con l'avallo dei genitori, ma molti bararono su tutto) ebbero l’uniforme di combattimento standard ma si distinsero per le "Fiamme bianche" sul bavero della giubba e dalle quali trassero il nome. A Milano, sul finire del gennaio 1944, si riaprirono le porte della Caserma di Via dei Cinquecento (ma non solo qui) affidata ai Ten. Fiorentini e Pettinati. Dopo un severo addestramento presso le sedi di reclutamento il 20 maggio '44 i Reparti cominciarono a svolgere scorte ad autocolonne di materiali e viveri dirette a centri periferico dell’Opera Balilla, Servizi di guardia e piantonamento a diverse sedi della stessa Organizzazione. Erano i giorni della caduta di Montecassino e poi di Roma, difesa dai soli Italiani. L’eco di queste gesta giungevano alle “Fiamme Bianche” che aspiravano a sostituire i Reparti che scomparivano nella mischia o affiancarsi ad essi nell’ultima battaglia. Invece si cominciò a parlare dell’istituzione di un campeggio permanente per le “Fiamme Bianche” presso l’altipiano di Asiago e precisamente a Velo d’Astico (VI) per un ulteriore futuro impegno. Alla fine di maggio del ‘44 il primo Reparto delle “Fiamme bianche” (che ne aveva fatto richiesta a Milano), quello dei ragazzi che avevano già superato i 17 anni ricevette il tanto atteso ordine di trasferimento ad un Reparto operante, la Legione Autonoma Mobile E. Muti. A Velo d'Astico i restanti circa 2000 volontari furono ripartiti in 6 Legioni, impegnati in severe attività addestrative. Il 18 luglio a Tonezza il I° Battaglione (motto: "RENDICI L'ONORE!”), accantonato nella Caserma della ex-Scuola A.U. fu attaccato da 60 partigiani, ma i ragazzi, cantando "Fratelli d'Italia", combatterono valorosamente. Caddero il Ten. PETTINATI e le Fiamme bianche CECCARELLI, NASUTI e TREVISAN, ma anche tre partigiani. Il 10 agosto il Campo fu sciolto. I giovani più idonei furono immessi in due Battaglioni inviati prima ad Albavilla (CO) poi a Marzio (VA) e quando nacque la Divisione "ETNA" della G.N.R. i ragazzi furono smistati prima nel I° Btg. Ciclisti d’assalto “ROMA", poi in reparti di Difesa contraerea e altri in linea sulla Gotica. http://www.feldgrau.com/rsi.html |
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R.S.I.: GLI ULTIMI GIORNI A TORINO "… Noi delle Fiamme Bianche fummo sistemati su di un autocarro con rimorchio insieme a camerati delle Brigate Nere. Croce, io ed altri sul rimorchio, seduti vicino alle sponde; al centro c.era un cannoncino e sotto i piedi avevamo le cassette delle munizioni. Nella notte gli automezzi iniziarono a muoversi. Una parte di essi andarono verso Via Pietro Micca, il nostro mezzo e altri, invece, voltarono verso sinistra attraversando i Giardini Reali. Dietro di noi c’erano mezzi corazzati della .Leonessa.. Giunti in Corso Giulio Cesare, dopo il Ponte Mosca, c’era già una lunga fila cui ci accodammo. Fu la partenza ufficiale. Guidavano la colonna i carri armati tedeschi Tigre. All’altezza della Stura, il camion fece dei violenti sobbalzi: erano i mattoni del fortino del posto di blocco (vi avevo prestato servizio alcune volte), che i .Tigre. avevano distrutto passandovi sopra. Nessuno di noi aveva le idee chiare su quale sarebbe stata la nostra ultima meta. Da tempo si sentiva parlare di Valtellina, negli ultimissimi giorni la radio annunciava invece: .Adunata di tutti i fascisti a Milano. Era il 28 aprile, da Chivasso la colonna si diresse verso il Canavesano. Ci fu una sosta quando arrivammo a Caluso, lì i tedeschi si staccarono dalla colonna. Conobbi in seguito le ragioni di quel movimento: per i germanici il generale Wolf aveva già firmato la resa. La nostra formazione proseguì in direzione di Cigliano. Nel tratto tra Mazzè e Villaneggia, in una curva, avvenne l’incidente. Rovesciandosi il camion rimorchio, essendo io accovacciato vicino alla sponda, sonnecchiante, fui proiettato a parabola in un prato dove mi ritrovai con il moschetto tra le mani. Ci furono morti e feriti. Il quindicenne camerata Croce ebbe il cranio schiacciato dal cannoncino. Altri furono colpiti dalle cassette di munizioni. I soccorsi furono frenetici. Venivano impartiti ordini secchi. Mi dissero che era intervenuto personalmente il comandante Adami Rossi. Con automezzi scortati da blindati, i feriti furono portati all’ospedale, i morti al cimitero di Villaneggia. Il giorno successivo, parlamentari partigiani si presentarono per proporre la resa: furono respinti in malo modo. La capitolazione fu poi firmata il 5 maggio con gli americani. Un ufficiale della GNR scelse me e altri nove giovani. Ci ordinò di vestire indumenti borghesi e ci consegnò degli zainetti pieni di cose da portare ai feriti in ospedale. Ci guidava un sergente di diciassette anni. Eseguito l’ordine, al ritorno sulla strada provinciale vedemmo transitare un’auto militare tedesca con bandiera bianca e bandiera inglese. Il sergente disse: .Se loro hanno firmato la resa è tutto finito. Conviene ritornarsene a casa. Un camerata della Brigata Nera rifiutò e tornò al campo. Io avrei voluto seguirlo ma giovane com’ero non avevo voce in capitolo. Il sergente mi disse. Tu vieni con me. Per un primo tratto ottenemmo un passaggio su di un camion. L’autista, in prossimità di Chivasso, ci pregò di scendere perché non se la sentiva di rischiare oltre. Smontammo. Poi, dividendoci, raggiungemmo in maniera piuttosto avventurosa (e faticosa) le nostre case. Giunto in famiglia, il giorno seguente vennero i partigiani a prelevarmi. Interrogatorio, botte. Finii al carcere per minorenni Ferrante Aporti. Così si concluse la mia esperienza di Fiamma Bianca. Avevo 14 anni». Luigi Marchisio da Historica n. 12/2005 |
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Gastone Tarasconi , nasce a Torino , in Borgo San Paolo, il 18 maggio del 1929. Nel 1943, al termine della scuola, viene assunto come apprendista alla Fiat e la nascita del PFR lo vede tra i primi aderenti ma , vista la giovane età, viene dirottato all’ Opera Nazionale Balilla, come Fiamma Bianca, presso la sede di Piazza Bernini. Nel gennaio 1945 viene accettato come volontario nella Brigata Nera ,dove milita suo padre. Fa parte della colonna fascista che lascia Torino il 28 aprile ; sarà poi rinchiuso nei Campi POW di Modena e Coltano, rientrando a casa ad ottobre , dove lo aspettano varie angherie dei “vincitori”.Ri-arrestato ad aprile del ‘46 , processato e detenuto in vari carceri , verrà assolto solo nel 1947. |
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