Il diario di Aimone Finestra
Dal libro “E’ passata senza fermarsi” edito nel 1953: la prima uscita in banda
Aimone Finestra, che comandò la 5a Banda A.C. greco-ortodossa, così narra di un’azione notturna in seguito a una spiata. Per opportunità parla di se stesso come del tenente Ferreri.
-Operazione notturna della Banda Anticomunista terminata: Novità N.N.-
“La distanza da superare è di circa 16
chilometri. Bisogna partire immediatamente, perché l’agguato venga teso in tempo
utile. Il maresciallo Sakota, il più elevato in grado fra i suoi connazionali, è
messo al corrente della cosa. Egli conosce la zona nei minimi particolari, per
cui, con un’occhiata sulla carta, ne rileva subito il punto ed il percorso. In
un batter d’occhio cinquanta volontari sono schierati in assetto di guerra.
Tutti calzano sandali a punta rialzata secondo l’usanza turca, con fondo di
spessa gomma. Anche il tenente è invitato a calzarne un paio. Ad un ordine del
maresciallo Sakota sono spente le sigarette, cessa il brusio. I volontari
controllano le armi poi, toltisi dal capo il berretto, lo rovesciano, in
maniera che la bianca morte scompaia all’interno. Questa precauzione impedisce
che gli argentei fregi punteggino con la loro lucentezza la marcia, svelando a
distanza la loro presenza. Ardigò Ferreri osserva con curiosità e interesse
tutte le operazioni. E’ questa la prima sapiente lezione per ogni nuovo
comandante di banda. Una pattuglia di cinque uomini, gli esploratori.
silenziosi, con il fucile bilanciato nella mano destra, prende la via che
conduce a Roskj-Slap. In un attimo essi scompaiono inghiottiti dalle tenebre. Il
cielo è coperto di grosse nuvole; una leggera brezza, proveniente dal Velebit.
fa stormire le chiome degli alberi. Dopo qualche minuto anche il grosso della
spedizione, in fila indiana, inizia la marcia al margine della strada nella
stessa direzione presa dalla pattuglia di punta. Gli uomini sono distanziati
l’uno dall’altro di pochi metri, Il tenente è al centro dello schieramento, tra
Acjo Obrenovic e Milan Gaica, due ex-partigiani. Una piccola pattuglia di
retroguardia chiude la marcia, seguendo di qualche minuto il grosso.
Dopo circa un chilometro Ardigò Ferreri, che non deve perdere di vista il dorso
di Acjo, ha un attimo di distrazione e perde il collegamento con questo. Si
guarda attorno indeciso: non sa se andare avanti o fermarsi. Un leggero fischio
lo fa volgere di scatto verso destra. Sosta. Acjo Obrenovic salta fuori da uno
stretto passaggio che fende la siepe di rovi e dice sottovoce: -
Da questa parte, gospodin tenente. I volontari marciano con una celerità che lo sorprende:
i loro muscoli allenati non conoscono stanchezza. La marcia continua senza una
parola, un rumore, ed il giovane ufficiale comincia a sudare ed a sentir caldo.
Acjo Obrenovic. come un fantasma senza pace, scompare ed appare in giri viziosi
lungo il sentiero. Il suo fucile ondeggia ritmico nel saldo pugno. Un vigneto è
presto attraversato. Dopo aver scavalcato una decina di masiere si addentrano in
un bosco. Qui la temperatura è più fresca. La marcia verso l’ignoto non ha fine
ed Ardigò Ferreri sente le gambe pesanti. E’ il primo sintomo di stanchezza. Più
volte ha incespicato sulle maligne radici, ciò nonostante con lo sguardo non ha
più perso di vista Acjo Obrenovic. Stringendo il suo corto mitra che lo
rincuora, insiste nello sforzo, rinnovando la lena. Dopo circa 10
chilometri di andatura infernale, ode un bisbiglio: - Stoj! (Alt) Il maresciallo Sakota. sbucato dalle tenebre, gli è di fronte e dice: -
Gospodin tenente, 10
minuti di riposo, se credete opportuno... Ciò detto si mette seduto,
appoggiandosi con il busto al tronco di un grosso albero. Il tenente si lascia
cadere sul muschio umido. Sakota con fare paterno, gli porge la borraccia. Ardigò Ferreri la porta alla bocca, beve con voluttà lunghi sorsi ristoratori e
sente il liquido scendergli per la gola infuocato: è rakija. Ora vorrebbe fumare
una sigaretta tanto per darsi un contegno, ma non osa. In seguito può constatare
che la piccola brace è visibile nel buio a centinaia di metri di distanza e che
perciò nelle spedizioni notturne, è severamente proibito fumare. Il fogliame
fruscia sommesso. Nessun altro segno di vita intorno. Nel percorso una cosa ha
colpito e meravigliato il tenente: la mancanza assoluta di abitazioni. Eppure è
certissimo di averne notate molte nell’accurato studio e nella lettura della
carta topografica.
Di questo vuole chiedere spiegazioni al vecchio maresciallo, che risponde: - I cani dei nostri pastori e dei contadini, quelle povere bestie spelacchiate ... magre ... sporche ..., sono dotate di un fiuto formidabile. Qualsiasi brusio non sfugge al loro sensibilissimo udito. Nelle scorrerie notturne è necessario avanzare sottovento, evitare, compiendo talvolta intricati giri, ogni agglomerato di abitazioni ed i casolari isolati. In caso contrario, il furioso, insistente abbaiare dei cani rivelerebbe la presenza di estranei. Sarebbe così in parte compromesso l’esito dell’azione... Non dimenticate, gospodin tenente. che i partigiani hanno fiuto pari a quello dei cani... La vita dei boschi e delle montagne li ha resi selvatici; li ha resi bestie sospettose, astute, vigili.
Poi, senza dire altro, con un balzo è in piedi. E la marcia
riprende con il solito passo forzato. Nel sorpassare una radura e poi un prato Ardigò Ferreri può finalmente scorgere, anche perché il cielo si è schiarito, la
fila immutata nelle distanze, degli uomini avanti e dietro di lui. Camminano un
poco curvi ma con andatura agile e sciolta. Sono ombre armate che, flettendosi
sui forti muscoli, calpestano leggere l’erica odorosa. Le pupille, esercitate al
buio, scrutano il mistero della notte. L’orecchio teso, attento, cerca di
penetrare il silenzio.
La riposante brughiera ha fine. Per una macchia il sentiero li conduce tra rocce
e sterpeti. Ancora una volta viene bisbigliato: - Stoj!
Si trovano sull’obiettivo. Trenta metri più in basso il Kerka, con un lieve
borbottio, continua il suo eterno corso tra i grossi pendii rocciosi. I
comandanti di squadra sistemano i gregari in varie direzioni, scelte
opportunamente. I volontari in un attimo si confondono, diventano tutt’uno con i
massi di pietra. I mitragliatori Skoda sono sistemati in modo da tenere sotto il
loro tiro lo sbocco dei sentieri, che, sfociando da direzioni diverse,
s’incanalano in quello che conduce alla sponda.
Di lontano s’intravede la mole imponente e isolata del monte Promina. Il nemico
non è venuto all’appuntamento con la morte. L’appostamento è tolto. Con le
medesime misure di sicurezza della notte, la fila dei contro-guerriglieri si
snoda questa volta per la via maestra che li conduce a Gewresk. I volontari con
le armi in spalla, nelle più diverse maniere, cantano canzoni di guerra e
d’amore. Sui loro copricapi, tornati nella posizione normale, sotto i primi
raggi del sole scintilla la morte con il pugnale tra i denti. Polverosi
raggiungono la caserma, ove li attendono i camerati. La fila si compone in un
blocco compatto, schierato in ordine, le armi al piede. Il maresciallo Sakota
ordina l’attenti. I volontari scattano al comando imperioso. Il tenente porta la
mano alla bustina, indi mette gli uomini in libertà. In seguito egli si porta
presso il telefono:
al piantone assonnato del Comando Settore in Kistanje giungono le parole
-
Operazione terminata.
Novità: N.N. - .
(domani si ricomincia)
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