Ricordi personali del Legionario Ardito "Folgore" 

Dante Fares

In memoria del Ten. Giuseppe Meridda di Sassari, Med. d'Oro al V.m. Eroe di guerra

 

Meridda, proveniente dall'Arma dei Bersaglieri, viene arruolato volontario nel Battaglione CC.NN. Arditi "Folgore", al comando del Primo Capitano Gian Paolo Ferrari, ultra decorato al V.M.

Motivazione della Medaglia d’Oro Giuseppe Meridda Tenente dei Bersaglieri

"Valoroso ufficiale distintosi in 20 mesi di campagna, incaricato di assaltare posizioni nemiche, fortemente difese, trascinava  i propri compagni a atti di sublime eroismo. Ferito a morte, ma con lo spirito proteso verso la vittoria, si trascinava incitando con nobili parole il reparto a sfruttare il successo conseguito. si spegnerà serenamente chiedendo di indossare la camicia nera al grido di Viva il Re Viva il Duce. Seros 23 dicembre 1938."

     

Nato a  Ozieri e diplomato all' Istituto La Marmora nel 34 viene ammesso al corso Ufficiali (complemento) a Bassano. Da sottotenente nel 1935 prende incarico al 9°. Rientrato a casa per termine ferma lavora al Banco di Napoli di Nuoro vi lavora fino al settembre 1937 quando viene richiamato su sua precisa richiesta. Sbarca a Cadice ....... il racconto lo prosegue Dante Fares........  

  Premetto che col Ten. Meridda correva una rispettosa ma grande amicizia, derivata da reciproca stima per i comuni valori dimostrati in varie occasioni di fatti d'arme "attuati e voluti" contro postazioni nemiche, dico voluti perché conseguenti a nostre prestazioni volontarie e in particolari azioni là dove l'ardire dei singoli prevaleva sugli schemi tattici dei regolari reparti. E' peraltro importante dire che -MAI- il ten. Meridda fù comandante del plotone di mia appartenenza. Ii nostri contatti nascevano di volta in volta quando particolari azioni di guerra richiedevano impegni eccezionali da parte di piccoli nuclei volontari. Nel merito e quale buon esempio voglio ricordare in particolare una azione : Dietro sollecitazione del Com. Ferrari, il ten. Meridda si portò presso il mio plotone chiedendo alcuni volontari, per un particolare colpo di mano (il furbo sapeva bene dove "pescare"...gli uomini giusti...), formammo una squadra di una decina di volontari, tra i quali ricordo : Dante Fares (io), Ottavio Capecchi, Sergio Fabbri, Csq. Guido Biagianti, Forci Febo, Guglielmo Corda, Ugo Giglioli, Mille Carboni e Cesare Milani.

Dante Fares è nato a Grosseto il 25 dicembre 1915, volontario di Spagna nel 1936 con la Milizia, ritorna in Italia con varie decorazioni di cui una medaglia di bronzo  per un assalto ad una trincea nemica. Doveva essere d'argento ma il suo comandate di plotone dovette venire alle mani con un altro ufficiale per chi se la meritava di più, alla fine fù bronzo. Dopo la Spagna, venne richiamato e andò volontario in Russia con le camicie nere del gruppo Montebello, sempre con le truppe d'assalto fino a quando sul Don si congelò un piede dopo una notte passata in agguato delle pattuglie russe. Si salvò.

  Il compito affidatoci era semplice : dovevamo mettere a tacere tre nidi di mitragliatrici nemici, che con il loro tiro incrociato impedivano l'avanzata del nostro battaglione, proiettato, sotto la supervisione di una missione nippo-tedesca di osservatori, alla conquista di Sagunto. Il solo ricordo di quel nostro attacco, ancora oggi, a distanza di 62 anni, mi mette i brividi, perché eravamo allo scoperto e dovevamo superare un culmine spoglio di ogni vegetazione, terreno rasato a zero: quando strisciando come serpenti arrivammo lassù, raffiche di mitragliatrice ci inchiodarono al suolo, le pallottole le sentivamo ronzare come sciami di api, non potevamo nemmeno spostare la testa ne' alzarla. Con il mento e l'orlo dell'elmetto cercavamo la salvezza scavando nella dura terra alla ricerca del centimetro salvavita. Alla fine intravedemmo la salvezza, e in extremis ci buttammo di fianco rotolando su noi stessi fino ad una cunetta. Eravamo salvi, ma le tre mitraglie nemiche erano ancora al loro posto. Ci eravamo comunque portati a poca distanza da una delle tre, dalla quale ci divideva un argine, un terrapieno insormontabile perché posto sotto il tiro diretto del nemico ma non per noi, abituati ad ogni trucco di guerra : stando così rintanati nella cunetta ci esercitammo al tiro libero di bombe a mano, in particolare col tiro a parabola... che come pioggia cadevano sulla posizione nemica mettendola fuori gioco. Restavano ancora le altre due, che senza il tiro della terza permettevano più movimento alla nostra squadra. Il nostro mitragliere Corda infatti con il suo fucile mitragliatore Breda, riuscì a disturbarle assai, permettendo al nostro battaglione di effettuare il balzo in avanti senza riportare grosse perdite.
  Al rientro al reparto, tutti illesi ma alquanto provati nel fisico per essere stati rasati dalle pallottole nemiche, Meridda candidamente ci disse: ora vado a trovare una buca per cambiarmi le mutande... Capito ? E questo valeva per tutti noi... vittime dello stesso sfogo, ma lui lo aveva ammesso per primo con la solita sfrontatezza accompagnata da quel largo e sonoro sorriso, che ce lo rendeva ancora più caro e prezioso. Puro cameratismo ? No qualcosa di più ci univa a lui: stima e affetto, amicizia e colleganza umana nonché lo stesso Amor di Patria. Ma ora lo voglio ricordare nei giorni e negli attimi che precedettero la sua gloriosa morte e di come avvenne. Nei giorni che precedettero l'attacco dalla testa di ponte di Seros (battaglia della Catalogna), la nostra Compagnia Arditi "Folgore", aggregata al Battaglione CC.NN. Vampa di nuova formazione, si era accampata sul versante alle spalle della prima linea, che divideva i "rossi" dai "neri". Stante la colleganza e l'amicizia corrente in particolare tra il Ten. Meridda e il Ten. Sorba, comandante del mio plotone, spesso ci univamo per parlare del prossimo attacco.  Anzi almeno due volte al giorno, accompagnati anche dal Csq. Pietro Masi, ci portavamo sul ns. trinceramento, tenuto dai fanti di Franco. Per studiare attentamente il terreno che separava le due linee e le composizioni dei fortini nemici.

San Antonio de los Italianos in Saragozza. Junto a la iglesia y convento de los Franciscanos Capuchinos, se alza el Sacrario Militare Italiano, patrocinado por el gobierno de Mussolini y construido en 1942 como monumental Mausoleo de los combatientes italianos muertos durante la guerra civil española. El arquitecto Victor Eusa proyectó una torre monumental en talud y cuatro grandes arcos de medio punto que conforman una especie de pórtico abierto.Todo ello construido en grandes sillares rústicos, salvo en el arco de la puerta de ingreso a la torre-mausoleo.

  Tanto studio ci portò alla classificazione storica di quel tratto di terreno come " gli ottanta metri della morte". L'attacco era predisposto così: protetti nel primo balzo da altrettanti carri armati leggeri, i tre plotoni della Folgore, giunti a breve distanza dai fortini dovevano sganciarsi e proiettarsi sulle fortificazioni nemiche attaccandole con bombe a mano. Dovevamo volare, non si doveva dare tempo al nemico di abbatterci con le sue mitragliatrici. Il piano era ben congegnato sulla carta, ma a realizzarlo e condurlo a buon fine toccava a noi truppe d'assalto, valorosi quanto si vuole ma pur sempre esseri umani sia pure dediti alla Patria. All'ora X i tre carri varcarono il confine tra i due schieramenti opposti con i tre plotoni : 1°: al comando del C:M. Gatto, 2° al comando del C:M. Meridda, 3° al comando del C.M. Sorba (il mio plotone). A questi tre plotoni ne seguiva un quarto (plotone Comando) con portaferiti etc. al comando del C:M. Vicari. (CM = capomanipolo o tenente nei gradi dell’esercito). Dalla mia posizione di destra vedevo il Meridda, che si trovava al centro dello schieramento offensivo. Tutti i piani predisposti nelle nostre menti si presentarono subito veritieri e crudi nella realtà: dopo lo sgancio dei carri armati che ci avevano protetti dallo sbarramento di fuoco del nemico, si abbatté su di noi una falcidia di proiettili nemici che causò morti e feriti. Nel mentre che si operava lo sganciamento dai carri armati, vidi il Meridda proiettarsi in avanti con lo scatto del vecchio atleta in testa al suo plotone...poi seppi della sua eroica morte e lo piansi così come si può piangere un fratello. Trai ricordi più cari ho la sua foto col pizzo alla moschettiera e col cappello piumato dei bersaglieri. Un giorno ci ritroveremo lassù, nella nuvoletta dei valori, insieme al mio comandante Sorba anch'egli Medaglia d'oro alla memoria.  

Dante Fares

argomenti guerra civile spagnola Pietro Ramella La partecipazione fascista alla guerra di Spagna - "l'impegno", a. XXVII, n. 2, dicembre 2007 © Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli. È consentito l'utilizzo solo citando la fonte.

  Il 3 maggio 1942, alla presenza dell'ambasciatore italiano a Madrid e delle maggiori autorità civili, militari e religiose della città, fu posta la prima pietra della costruzione, che prevedeva una torre ossario con annessa una chiesa e un convento. Nella pietra fu sigillata una pergamena con le parole: "Regnando Vittorio Emanuele III, mentre l'Italia combatte contro i nemici del diritto e della Fede, sotto gli auspici di Mussolini e Franco, con la benedizione del Romano Pontefice Pio XII, quest'opera di pace secondo la tradizione dei padri per la diffusione della religione e la memoria dei legionari italiani caduti in Spagna si costruisce con romana grandezza. Il giorno 3 maggio 1942". Ma mancava poco alla caduta del regime in Italia e alla sospensione dei lavori. Alla fine della guerra il nuovo governo democratico italiano si trovò di fronte all'incongruenza di dover finanziare un'opera non terminata del regime fascista celebrante la memoria di caduti per Mussolini; venne allora deciso di dedicare l'opera "a tutti gli italiani caduti in Spagna appartenenti a tutti i partiti" e di reperire i fondi per ultimare la torre, ridotta a 42 metri, vendendo la parte del convento già costruita ed il terreno circostante ai padri cappuccini per la somma di 1.000.000 di pesetas. La torre fu inaugurata il 13 giugno 1945, mentre il 25 luglio dello stesso anno fu consacrata la chiesa. Sopra l'arco principale della cripta venne posta la lapide: "L'Italia a tutti i suoi caduti in Spagna", mentre in un altro lato della stessa un'altra lapide ricorda: "In questa torre ossario sono ricordati 4.183 italiani caduti in terra di Spagna nella guerra del 1936-1939". Tra loro sono compresi 526 soldati delle Brigate internazionali accorsi per difendere la libertà e la democrazia spagnola. Il recupero ed il trasporto delle 2.876 salme dei caduti del Ctv fu agevolato dal fatto che, se anche erano disseminati in numerosi cimiteri, al momento dell'inumazione i padri cappuccini incaricati delle sepolture avevano deposto nella fossa una bottiglia contenente l'indicazione di nome, grado, reparto e data della morte. Notevoli difficoltà sorsero nell'individuare le tombe dei brigatisti, definiti "rinnegati" dai fascisti, che in molti casi erano rimasti abbandonati sul luogo della morte o, se fucilati dopo la cattura, interrati in anonime fosse comuni; inoltre gli incaricati dal Commissariato onoranze caduti del recupero di queste salme non furono agevolati dalle autorità spagnole. Molti brigatisti giacevano in tombe anonime avendo, come disse la Pasionaria, "la terra di Spagna come sudario"; infatti, su circa 600 morti, furono solo 22 le salme di antifascisti riconosciute e sepolte nella torre ossario. Tutti gli anni, il 2 novembre, viene celebrata una messa in suffragio dei caduti mentre, in particolari occasioni, delegazioni delle associazioni d'arma delle due parti si recano al Sacrario per rendere loro omaggio con la deposizione di corone di fiori. http://www.storia900bivc.it/indexnet.html 
     

Liberatori Lazzaro, n. 1903 Collepardo (Frosinone). Camicia Nera del 2° Reggimento CC. NN. d'assalto, Div. « Littorio », ex bersagliere del 2° "Porta arma di un plotone fucilieri avanzato, sprezzante di ogni pericolo, difendeva la, posizione che gli era stata affidata, causando gravi perdite ai nemici, che, resi baldanzosi dal numero, per tre volte erano venuti inutilmente all'assalto. Nel corso di nuovo e più violento attacco, avuta la sensazione che i pochi difensori, già duramente provati dalla stanchezza e dalle perdite subite, non avrebbero ulteriormente potuto resistere al nuovo poderoso urto degli assalitori, votandosi coscientemente al sacrificio, per infondere nei propri compagni la disperata volontà di resistere, usciva dalla posizione e si slanciava contro il nemico irrompente.  In piedi, solo, bersaglio di tutte le armi, sotto il lancio delle bombe a mano, già ferito, imbracciando il fucile mitragliatore  a guisa di moschetto, decimava il gruppo più minaccioso, volgendo in fuga gli altri, sorpresi da tanta audacia. Cadeva poi colpito a morte, mentre i compagni infiammati da tanto sublima eroismo, scattavano al contrattacco che determinava la definitiva sconfitta dell'aversario". Fronte di Catalogna Quota 802 di S. Coloma de Queralt, 16 gennaio 1939. Dal diario della M.O. Mario Granbassi 

 

Medaglie d'Oro legionarie

Le Medaglie d'Oro al V.M. concesse a combattenti di Spagna distintisi per atti di eroismo, furono complessivamente 152. Di esse 3 premiarono la memoria di militari spagnoli aviatori. 137 costituiscono riconoscimenti alla memoria di aviatori, fanti, arditi, artiglieri, camicie nere, carristi. 12 furono assegnate a viventi (oggi anch'essi tutti scomparsi), superstiti di straordinarie imprese. 33 di queste ricompense furono attribuite a legionari provenienti dalla M.V.S.N.  (30 Caduti e 3  sopravvissuti). Negli appositi albi del Ministero Difesa e nei fogli matricolari, com'è noto, tali decorazioni, come ogni altra  al V.M. guadagnate in Spagna dai mobilitati dalle Legioni CC.NN sono state depennate e il loro ricordo scalpellato sulle pietre tombali nel Sacrario di San Antonio de los Italianos in Saragozza. Ma il Gruppo Medaglie d'Oro e l'Istituto del Nastro Azzurro, tutori del valore e dell'onore dei soldati italiani, continuano a conservare nel dovuto rilievo i nomi dei proscritti. Le vedove ed i figli continuano a portarne sul petto le insegne sfidando l'incriminazione a norma delle leggi vigenti. 

Le medaglie  rimasero però intatte sulle tombe di Saragozza. Ma la burocrazia era in agguato: nel 1982, dopo 37 anni, qualcuno al Ministero della Difesa si accorse che il decreto del '45 non era stato applicato al sacrario di Saragozza. Un maresciallo dell'esercito fu mandato a Saragozza per completare l'applicazione del decreto, in quel mausoleo dove riposavano insieme i caduti italiani, di entrambe le parti. Le targhe tombali vennero rimosse. Le associazioni d'arma protestarono, ma nessuno in Italia prestò loro ascolto. Nel novembre del '91  ex-combattenti ottantenni decorati al valor militare decisero di rendere giustizia ai loro commilitoni ripristinando nel mausoleo le targhe affisse ai loculi. Non è stato un atto ufficiale, ma i vertici del Ministero della Difesa erano informati e non hanno frapposto ostacoli.

Le lapidi smontate di Saragozza

   
  Nota Storica: La battaglia di Catalogna e la fine della guerra.

In previsione della nuova offensiva nazionalista per la conquista della Catalogna il C.T.V. fu schierato nella piccola testa di ponte di Seros, sulla riva sinistra del Segre. L'attacco ebbe inizio il 23 dicembre; la divisione «Littorio» avanzò su Cogull, avendo sulla sinistra la «Frecce Nere», e riuscendo nella stessa prima giornata di battaglia a penetrare per una trentina di chilometri nelle linee nemiche sulla direttrice della strada da Lerida a Tarragona. Ma davanti agli italiani ecco di nuovo presentarsi la forte e tenace Divisione «Lister»; ed ecco subito farsi più accaniti i combattimenti nella zona di Castellserà. Per liquidare più presto l'avversario intervengono in modo massiccio e come sempre esemplare, l'artiglieria e l'aviazione legionarie. Solo il 5 gennaio 1939 i legionari conquistano Borjas Blancas ed il 10 Montblanch. Durante questi aspri combattimenti i legionari soffrirono sensibili perdite; lo stesso Gen.Gambara fu ferito leggermente ma non per questo lasciò il comando. La ferocia della lotta da parte dell'esercito repubblicano, conscio della sua fine, non ebbe limiti: il tenente Mario Ricci e tre altri suoi compagni del Raggruppamento carri, ebbero la disavventura di essere catturati dagli uomini della Divisione «Lister», nel corso della battaglia, e furono fucilati.

  Il proseguimento dell'azione è favorevole ed avviene su due direzioni: una colonna motorizzata agli ordini del Ten. Col. Pace si dirige su Tarragona dove entra con la 5a Brigata di Navarra, l'altra prosegue verso Igualada ed Esparraguera verso il rio Llobregat; superato questo gli italiani, passando al largo di Barcellona, dove entrano solo gli spagnoli, si dirigono verso S. Quirico de Tarrasa. Il 29 gennaio il C.T.V. divide le sue forze sii tre colonne, inviando le «Frecce Nere» su Granollers, la «Littorio» su Gerona (che sarà presa il 4 febbraio), e le «Frecce Azzurre» su Blanes; le «Frecce Verdi» rimangono in riserva. Durante questa seconda fase si ebbero ancora numerose perdite; le sole «Frecce Nere» ebbero 456 caduti (14 ufficiali) e 954 feriti (69 ufficiali). Alcuni giorni dopo la conclusione della battaglia di Catalogna il Generalissimo Franco passò in rivista le truppe vittoriose in Barcellona; alla grande parata intervennero anche i Legionari italiani. Chiusa la fase della guerra in Catalogna, senza fretta, il Comando supremo spagnolo iniziò il concentramento delle truppe per il colpo finale alla barcollante repubblica. Il C.T.V., sempre al comando del Generale Gambara, passò alle dipendenze dell'Esercito del Centro e fu schierato sul fronte di Toledo. Franco, lasciando ai nemici il tempo di sfasciarsi da soli, ritardò l'inizio dell'ultima offensiva e la sferrò solo il 28 di marzo. L'avanzata non fu difficile; i Legionari conquistarono Aranjuez, Albacete e finalmente, il 30 marzo, entrarono in Alicante. Qui sono ricordati con particolare simpatia dagli ex nemici, circa 15.000 fra combattenti, rifugiati e fuggitivi, che si erano raccolti in quel porto in attesa di varie navi inglesi già contrattate e mai giunte, e che furono trattati molto umanamente dagli italiani.
 

Finita la guerra, cominciarono in Spagna gli onori e le cerimonie di addio ai Legionari che si avviavano al concentramento di Cadice per essere imbarcati e rimpatriati. Il 1° giugno 1939 partirono, coi Legionari, alcuni Generali spagnoli, tra cui l'eroico Queipo de Llano, ed il Ministro degli esteri di Spagna, Serrano Suner. I Legionari sbarcarono a Napoli dove furono accolti dall'entusiasmo della folla e dall'abbraccio affettuoso dei parenti; sfilarono in parata davanti al Re Imperatore. Una rappresentanza dei combattenti volontari e tutti gli ufficiali del C.T.V. raggiunsero Roma dove li attendeva l'elogio commosso di Mussolini, cui furono presentati personalmente dal Generale Bergonzoli. Il tributo italiano alla guerra civile spagnola fu di oltre 3.300 caduti e di più di 11.000 feriti; il sangue delle CC.NN. si era ancora una volta mescolato a quello dei soldati volontari dell'esercito e delle altre FF.AA., così come era avvenuto in precedenza e come avverrà ancora e sempre, fino allo scioglimento della Milizia.

     
   

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