Il diario di Sesto Bozio Madè 1940-1945

memorie di guerra "i primi giorni" -  64° fanteria Cagliari

A cura di Tiziano Bozio Madè e Alberto Lovatto "l'impegno" a. XII, n. 2, agosto 1992 © Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea di Biella e Vercelli.

Mostrina della Div. CagliariSesto Bozio Madè nasce nel 1918 a Fervazzo, frazione di Coggiola, in Valsessera, ultimo di sette fratelli. Frequenta le scuole elementari a Fervazzo, "fino alla terza", va a Coggiola per fare quarta e quinta, poi inizia a lavorare. A vent'anni, avendo 5 fratelli che prima di lui hanno prestato servizio militare, spera in un esonero ma nel 1939 è chiamato alle armi; è assegnato al "64°", reggimento inquadrato dapprima nella Sforzesca e successivamente nella divisione Cagliari. Quando, nel giugno del 1940, scoppia la guerra, Sesto Bozio Madè è in zona di operazioni già da alcuni mesi "perché c'era già il pericolo della guerra". Durante la guerra Sesto tiene un diario manoscritto su due quaderni scolastici ed alcuni fogli sparsi. ……….. Scrivere è, per Sesto, principalmente un "passatempo", anche se la cura con cui tutto il materiale è conservato durante cinque anni di guerra e l'attenzione riposta anche ad altri "ricordi" della guerra ne fanno qualcosa di più di un semplice svago. Passione e interesse principale della vita di Sesto Bozio Madè è la musica: "Io ho cominciato con quattordici anni. C'era uno qui che insegnava; ho cominciato con il violino, e poi avanti, ho sempre studiato. Allora suonavo solo strumenti a corda". Durante il servizio militare impara a suonare anche gli strumenti a fiato: "C'era un amico di Gattinara che ha incominciato ad insegnarmi la scala: ho incominciato col trombone e pian piano ho imparato, così. E dopo lì si suonava sempre e così dopo sei mesi me la cavavo". La banda, le orchestrine, il suonare insomma è l'attività principale dell'esperienza di Sesto Bozio Madè anche durante la guerra, interrotta, potremmo dire, solo dall'inasprirsi, in alcuni periodi, dell'attività bellica. C'è in questo senso una dinamica complessa fra l'attività di musicante e quella di soldato nell'esperienza di Sesto Bozio Madè. Una dinamica che si estende per intero alla narrazione. Mettendo a confronto i diari scritti allora e i racconti orali di oggi - riportati qui ad integrazione dei diari manoscritti - balza subito all'occhio un fatto: c'è molta "guerra" nei diari e c'è molta "musica" nei racconti orali.  Non che manchino le esperienze tragiche nei racconti orali, così come non mancano episodi piacevoli nei diari, è certo tuttavia che, almeno, la lettura di uno solo dei documenti, o quello orale o quello scritto, avrebbe dato una immagine molto diversa. La tendenza a dimenticare i dolori, a raccontare solo le cose piacevoli, le reticenze o le rimozioni spiegano solo in parte la differenza.  C'è qualcosa di più. I diari sono infatti il "passatempo" principale di quei periodi in cui Sesto non può suonare perché la guerra glielo impedisce. Così inizia il primo diario: "4 giugno 1940. Si sfascia la musica e devo separarmi così, non senza una stretta al cuore da tutti i miei cari amici. Io sono destinato ad una compagnia che sta molto lontano, la 3a compagnia cosiddetta compagnia alpina". E così è per l'interruzione, come si vedrà, fra l'aprile 1941 e il settembre 1943, ed anche per la chiusa stessa del diario. Tra il 1941 e il 1943 infatti, in Grecia, la banda del reparto viene ricomposta e l'attività musicale riprende con regolarità. A partire dall'inverno 1943 in Germania, dopo un primo periodo di ambientamento, Sesto riesce a riprendere l'attività musicale da prima saltuariamente e, poi, in maniera continuativa e privilegiata. 

1940: Francia 
Resa Francese a Traversette4 giugno 1940. Si sfascia la musica (la banda) e devo separarmi così, non senza una stretta al cuore da tutti i miei cari amici. Io sono destinato ad una compagnia che sta molto lontano, la 3a compagnia cosiddetta compagnia alpina. Sono solo e parto alla sera e arrivo il giorno successivo alle ore 2 pomeridiane. Qui sono in mezzo alla neve, altezza 2600, Passo Avanzà. La vita qui è molto dura, fa freddo si mangia male e non si può avere nessuna comodità. 
Passo Avanzà 14 giugno 1940, (alla mia mamma). 
Piove, e io sotto la tenda ascolto attento il susseguirsi ininterrotto della piova che picchiettando con moto or lesto or lento, mi canta una canzone sempre nuova.
Quanti ricordi fa svegliare nella mia mente, mi fa pensare quand'ero piccolino e approfittando della mamma assente scappavo col mio piccolo ombrellino. 
Godevo nel sentir la pioggerella e ascoltavo come ascolto in questo momento la musica scherzosa e pazzerella e mi sentivo lieto, ero contento.
E quando poi la mamma si accorgeva, a casa mi portava vicino alla fiamma, mi sgridava un po', ma poi rideva, com'era buona e cara la mia mamma.
Quanto tempo è passato? Tanto tempo, son passati mesi e son passati anni la voce della mamma più non sento, di colore grigio or porto i panni.
Sopra la tenda la pioggia suona stonate note io mi cullo su una dolce rimembranza una furtiva lacrima mi solca le gote mentre il cannone suona in lontananza. 


15-17 giugno.  

 Sono ancora a Passo Avanzà, si aspettano ordini per andare avanti. La vita è sempre più che mai durissima, sempre neve e tormenta, quasi mai si vede un raggio di sole. Il giorno 16 arrivano ordini tassativi di lasciare il posto per fare l'avanzata. Si parte alle ore 14 pomeridiane e si discende non senza difficoltà verso Moncenisio ove si arriva verso le ore 18. La fame e la stanchezza già si fanno sentire. Qui si mangia un boccone di pane e cioccolata e una sosta. Si riprende la marcia verso il Moncenisio. La faticosa marcia è cominciata a notte ormai già alta e si arriva al Moncenisio dopo la mezzanotte. Un pezzo di pane puro serve ad allontanare un po' la fame che sempre più attanaglia. Così si ricomincia la marcia più che mai faticosa e difficile su di un sentiero fangoso e scosceso e sempre si sale tutta la notte si fà passare camminando e il sorgere dell'alba ci trova ai 2000 m, molti soldati sono sfiniti al suolo. Alle 10 si arriva al lago Nero qui ci fermiamo e trovo colla mia più grande gioia i vecchi amici della musica. Mangio una scatola di carne e dopo un po' di riposo si riprende il cammino e si raggiunge il Tuas Bianco a mezzogiorno. Piove a dirotto e si pianta la tenda sotto l'acqua. A pochi passi sta il confine che si dovrà varcare. 
 

18-19-20-21-22-23-24 [giugno 1940]

Abbiamo dormito malissimo e nella notte una gelida nevicata porta un freddo insopportabile. Siamo tutti intirizziti mentre la fame concorre a farci soffrire. Durante la giornata leviamo le tende e ci portiamo nelle caserme della G.A.F. al Giaset del Malamot, qui si sta un po' meglio, si può gustare il rancio quasi tutti i giorni. Restiamo qui dal 19 al 21 mentre nel pomeriggio del 21 viene l'ordine di partire alla volta della Francia. In poco tempo si è raggiunto e oltrepassato la frontiera. Davanti a noi c'è l'avanguardia costituita da un battaglione del 63° Fanteria. Scendiamo su di una strada molto scomoda e arriviamo in Val Savin che la notte è alta. Restiamo qui tutta la notte colle armi piazzate mentre la pioggia non ci dà un istante di tregua. L'alba ci trova tutti tremanti di freddo, bagnati al punto che abbiamo tutti i vestiti appiccicati alla pelle. Qui troviamo i primi morti, la pattuglia G.A.F. massacrata. Il 63° ha già dovuto affrontare un attacco ma riesce a infiltrarsi. Nel pomeriggio partiamo anche noi facendo la strada del piccolo Moncenisio. Camminiamo tutta la notte e nessun inconveniente ci ferma, si sente solo nella valle più avanti il tuonare rabbioso dei cannoni nemici. I nostri della G.A.F. Artiglieria dal Malamot rispondono ma con tiri imprecisi mentre il nemico pratico del suo terreno batte qualunque sito. Avanziamo sotto il primo forte ma forse non ci ha visto il nemico perché passiamo senza essere bersagliati. Giunti sotto il tiro dei forti successivi ci fermiamo a mangiare un pezzo di galletta e per riposare un po'. Dopo più di un'ora schierati compagnie per compagnie ci accingiamo alla conquista di Bramans che dista a tre chilometri. Non abbiamo cominciato a marciare che i nemici ci aprono un fuoco d'inferno, le bombe fischiano in ogni lato e noi avanziamo così per una mezz'ora lasciando morti e feriti ad ogni passo. Vista l'impossibilità di continuare ad andare avanti il comandante dà l'ordine di retrocedere e avviene così la ritirata accompagnata dalle bombe nemiche. Ci andiamo così a nascondere in una pineta e verso sera andiamo ad attendarsi dietro la nostra artiglieria che ora ha il difficile compito di far tacere il nemico. Durante tutta la notte continua il bombardamento ma si vede che il nemico è ancora in piena efficienza perché risponde continuamente al fuoco nostro. Ora qualche colpo arriva già vicino a noi che ora non ci resta che una speranza: l'intervento dell'aviazione o di qualche reggimento di artiglieria pesante per distruggere il forte nemico. Intanto in questo frattempo la nostra pattuglia fa prigionieri dieci francesi e molti si sono resi da loro. Ora noi aspettiamo ordini colla speranza che la nostra artiglieria abbia ragione sul nemico e possa così tacere questo maledetto fuoco. 

Dal Malamot 19 giugno 1940.

Cade la neve piano piano
e sfiora lieve la mia mano
È bella ma fredda la neve bianca
che cade in fretta e non si stanca
Scende a volteggi, fa piroette,
sembran motteggi di marionette
Son soffici fiocchi e son vellutati
ma se li tocchi sono gelati
e ovunque si posano lasciano un manto
e là riposano candido incanto
Però vive ad un patto il manto lucente
"Sparire al contatto del sole nascente"

25 giugno 1940

Ieri dopo avere smesso di scrivere mi trovavo sotto la tenda cogli amici sperando una tranquilla giornata comincia un attacco nemico diretto a noi. Il nostro capitano è ferito ad una gamba e così altri soldati. Scappiamo così e cerchiamo un sito più sicuro, il nemico ci manda delle ben dirette bombe. Ci rifugiamo vicino al comando di divisione e così al sicuro stiamo tutto il giorno e buona parte della notte. I cannoni non cessano un istante, tutto è un frastuono infernale. A mezzanotte il fuoco cessa e noi eseguendo ordini superiori cominciamo ad avanzare. La strada è tutto un disastro e non senza molto timore ci accingiamo ad avanzare sul luogo che è stato il palcoscenico del dramma. Questa volta il nemico tace e così possiamo raggiungere Braman. La strada è cosparsa di morti e feriti e giungendo a Braman si vedono pure bene improntati i segni del bombardamento.  Noi aspettiamo sempre da un momento all'altro di essere nuovamente attaccati ma sulla strada troviamo il portaordini dei bersaglieri che comunica che è stato firmato l'armistizio nella notte. Un grido di gioia irrompe da tutti noi e così dimentichiamo la fame e la stanchezza e ricominciamo a marciare con nuove forze. Raggiungiamo Sollieres e qui troviamo nelle case dei profughi molta roba da mangiare e bere, così rinfrancati continuiamo fino a Termignon e qui ci fermiamo. Anche qui tutti trovano molta roba, io e i miei amici troviamo il modo di fare una buona pasta al burro, molti uccidono conigli, galline. Passiamo qui il giorno 26 e partiamo di qui il 27 mattina. Attraversiamo Lansleburg e Lansevillard e ci fermiamo a metà strada per Bosson. Anche qui malgrado siamo accantonati nelle grange dei contadini troviamo il modo di allestire frugali cibi, specialmente caffè e patate. Non sappiamo quanto tempo ci dovremo fermare qui. Notre Dame de la Delivrance.  L'ho vista nei giorni brevi ma durissimi del 21-22-23-24 giugno, quando sotto l'incessabile fuoco dei cannoni nemici, si marciava alla conquista di Braman. Situata su di un colle ch'è un ovale rialzo di terreno, incorniciata da un prato che la circonda, un prato tutto coperto di fiori che forse spandono un grato profumo, ma che non ho potuto fermarmi ad aspirare. Là sta la graziosa chiesetta, la Notre Dame de la Delivrance, bella nella sua elegante posizione, più bella nella forma e fattura. Peccato che un solo sguardo abbiamo potuto posare sulla chiesetta. Uno sguardo che però era tutta una preghiera tutto un ringraziamento, uno sguardo che racchiudeva in sé tutta una benedizione sentita e sincera. Così abbiamo passato davanti di corsa, una corsa folle, disperata. I cannoni nemici che dal forte di Esseion gettavano un fuoco inesauribile ci accompagnano spargendo vittime ovunque. È stato un attimo oltrepassare la sacra visione, col cuore in tumulto mentre un milione di idee volevano affacciarsi alla mente ma non trovavano spazio, la confusione già lo invadeva. E quando poi più avanti addossati ad un vallone che ci riparava dal fuoco, abbiamo potuto volgere gli occhi alla chiesetta, mentre una scena orrenda si svolgeva ai suoi piedi, le bombe che si abbattevano circondandola in un fragore mostruoso. Tutto crolla al contatto dell'enorme pressione e dall'urto del fuoco, sembra che ad ogni istante anche la chiesetta debba cadere, ma una forza divina la protegge e non lascia che si compia il sacrilegio. Illesa, col suo conico campanile sormontato da una croce volge il suo benigno sguardo e la sua benedizione. 
Di vedetta 27 giugno 1940

Sono di vedetta. Il sito è molto bello, bello perché si è in montagna e la vista ha sempre qualcosa di bello da godersi. Ecco, per esempio in questo momento nel viale che passa in basso si vedono degli ufficiali a cavallo, vanno al trotto e si allontanano e scompaiono dietro una curva. Solo il ruscello compiendo un'acrobatica cascata corre e lo vedi sempre al suo posto. E gorgoglia il ruscello, chissà quante cose dirà nel suo linguaggio, forse manda un saluto alla montagna, agli abeti che impassibili lo guardano coi suoi rami ondeggianti, cullati dal vento. Il sole sta per tramontare, già i suoi raggi si indeboliscono.  Le nubi che sembrano posate sulle cime coperte di neve sono baciate da questi ultimi raggi e mandano dorate scintille, pare che ringrazino il sole che col suo benefico calore le abbaglia. Intanto il sole è scomparso, lo si vede ancora sulle cime alte. È bastata la sua mancanza per cambiare l'aria, è già diventata più fredda. Già l'impressione della notte mi fa scorrere un brivido sulla pelle. Che contrasto tra il giorno e la notte in montagna. Di giorno tutto è bello, caldo, la montagna ha belle forme e colori: mentre di notte cambia totalmente aspetto. È tutto nero e l'aspetto del monte è orribile, mostruoso. L'aria gelida coadiuvata dalla nebbia umida ti batte sulla faccia facendoti intirizzire, è tutto un complesso di elementi cattivi che ti fanno trovare il tempo smisurato. Ed io dovrò stare qui a provare tutti questi mali. Il sole di domani sarà il premio per i disagi passati nella notte. 
29 giugno-16 luglio

Non ci siamo ancora spostati, non è il caso però di lamentarsi perché la vita qui è abbastanza comoda. Tutto procede regolarmente. Si ricomincia a fare l'istruzione militare e attendiamo sempre qualche novità. Pare che presto si debba rifare la musica ma non si sa ancora niente di certo. 14 luglio 1940. È domenica. Lo segna il calendario. Dappertutto si fa festa, dalle spiagge ove uno sciame di gente fra la quale maggior parte di signore e signorine più o meno pitturate più o meno svestite. Alle montagne ove innumerevoli comitive amanti dell'alpinismo si godono la salubre aria di pini, dalle città ai borghi, in questo giorno la vita è un movimento differente dai consueti giorni feriali. La gente dopo una settimana di fatiche cerca di svagarsi dimenticando i fastidi e le noie. Per noi soldati invece è un giorno uguale a tutti gli altri, a parte quando si è in caserma e si ha così quelle ore in più di libera uscita, qui non c'è nessuna distinzione che renda l'idea che sia festa. La stessa sveglia, la stessa adunata e dopo il rancio le stesse ore di riposo. È appunto in questo periodo di riposo mentre faccio l'abituale cura del sole a torso nudo che mi sono ricordato che è domenica e mi è venuto in mente così di scrivere questi miei pensieri e riflessioni. Chissà quanti però non si ricordano che è domenica. Ecco io li osservo. Un gruppo di amici all'ombra di un pino approfittano del riposo per godersi una, direi così, merenda e pare che già abbiano anche bevuto perché le loro discussioni si fanno animose e qualcuno ha già voglia di cantare. Attorno a me, bruciati dal sole molti altri fanno la mia cura, chi dorme chi al canale si lava chi scrive chi canta, insomma le stesse scene che si ripetono ogni giorno nella vita militare. Ora smetto perché il sole mi scotta già le spalle e voglio voltarmi un po'. Frattanto però credo che si sia fatta anche l'ora dell'adunata e così il fischietto del comandante mi distoglierà da tutte le mie riflessioni. 
17-18 [luglio 1940]

Oggi arriva l'ordine di traslocare da qui e di andare alloggiarsi a Bramans. Io e la mia squadra andiamo a preparare gli accantonamenti per la compagnia. Così il giorno 18 partiamo tutti affardellati e con una sola sosta facciamo gli 8 chilometri che ci distanziano dal colle della Maddalena ove siamo a Bramans luogo del nuovo alloggio. Ora siamo in una rustica casa ma abbastanza bene riparata dai venti e piogge. …….

Segue al sito  http://www.storia900bivc.it/pagine/memoguerra/boziolovatto292.html È consentito l'utilizzo dei testi solo citando la fonte. Il diario prosegue al link con la successiva campagna di Grecia e la deportazione in Germania come internato
 

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