Il diario di Delfino Borroni (Turago Bordone, 23 agosto 1898 – Castano Primo, 26 ottobre 2008) Brani rielaborati da http://www.cimeetrincee.it/delfino.htm Delfino Borroni ha combattuto nella Grande Guerra e a 110 aveva ancora tanta voglia di raccontare le sue avventure di soldato grazie ai suoi lucidi ricordi. in calce gli altri centenari più longevi superstiti |
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Faceva il meccanico quando veniva chiamato alla visita militare nel gennaio 1917 e destinato al 6° Bersaglieri a Bologna. La chiamata alle armi sopraggiungeva a marzo e a maggio partiva per il fronte. Raggiunto in treno Castelfranco Veneto, Bassano e Marostica, alla fine dello stesso mese arrivava “zaino in spalla” sull’Altopiano di Asiago dove rimaneva solo alcuni giorni, poi all’inizio di giugno veniva trasferito sul Pasubio, dove incontrava la vera guerra. Sul Monte Maio, Delfino ricorda che: “Gli austriaci stavano su una cima undici metri più alta della nostra” e lì i bersaglieri respingevano diversi attacchi nemici, in una guerra di posizione tra sassi e rocce in cui: “Non si andava né avanti né indietro”; a settembre arrivava in Valsugana, a Cismon, da dove come racconta: “Un giorno ci caricarono in treno e ci spedirono a Caporetto”. (in Valsugana era fallita in quel tempo la sorpresa di Carzano e i preallarmi di Caporetto erano ormai cosa nota). Il 22 ottobre Delfino e gli altri bersaglieri giungevano a Cividale del Friuli, facendo rifornimento di munizioni e viveri. Iniziava così la marcia verso i monti in direzione di Caporetto: la mattina del 23 “pioveva ed era molto freddo, ma l’ordine era di andare avanti” e quindi di raggiungere il fronte minacciato dall’imminente attacco nemico. Delfino era ora nel 14° reggimento della IV Brigata Bersaglieri [1], in una compagnia agli ordini del sergente Mosconi. Nella notte tra il 23 e il 24 i bersaglieri giungevano sulla posizione da difendere, la sella di Luico, che dall’alto domina l’Isonzo e le spalle del Kolovrat: “in basso vedevamo il paese di Caporetto, mentre di fronte si ergeva il Monte Nero”. All’improvviso un grido ad alta voce: “Innestate le baionette, avanti ragazzi!”. Al buio i bersaglieri andavano all’assalto, riuscendo a fare molti prigionieri tra cui, ricorda Delfino: “Un ragazzino di soli diciassette anni, classe 1900, che si arrese a me”, e precisa che: “A Caporetto gli austriaci combattevano con due classi in più di noi italiani”, in quanto proprio la sua classe, la 1898, era stata l’ultima chiamata. (ciò dava anche l’idea che gli austriaci stessero raschiando il fondo del barile) La storia racconta che alle ore 2 del 24 ottobre 1917, mentre su tutta la zona gravava un fitta nebbia, l’artiglieria nemica apriva il fuoco su tutto il settore fra il Rombon e l’alta Bainsizza, più violento tra Plezzo e Tolmino, anche con l’impiego di gas asfissianti, precedendo di poche ore l’attacco delle fanterie austro-tedesche. La mattina del 24 i bersaglieri venivano mandati a fare resistenza nella valle che portava giù a Caporetto; verso mezzogiorno il sergente Mosconi ordinava a Delfino, che era il più giovane, di andare fuori dalle trincee per vedere la situazione, mentre lui gli rispondeva: “Mosconi, mandi a morire proprio me?! Almeno gli altri anno vissuto vent’anni in più!”(c’erano effettivamente in trincea delle classi del 1880/1/2/3 e anche più vecchie: barile inverso da parte nostra). Comunque, il bersagliere usciva di pattuglia ritrovandosi in mezzo al tiro incrociato delle mitragliatrici nemiche, che lo costringevano a cercare riparo dove capitava, anche dietro a due soldati tedeschi caduti. Intorno le truppe nemiche in movimento erano ovunque e Delfino non riusciva ad avvertire i compagni, poi ad un certo punto tentando la fuga veniva colpito da una pallottola al tallone: dopo essersi finto morto, iniziava a strisciare e rotolare a terra, fino a raggiungere il reparto dove ormai lo credevano caduto. Il maresciallo vedendolo gli disse: “Nessuno sarebbe riuscito a salvarsi, ho ragione quando dico che sei tutto sale e pepe, proprio come uno scoiattolo!”. I ricordi di Delfino scorrono limpidi e continuando racconta che: “Non avevamo più munizioni nè rinforzi, da dietro non ci arrivava più nulla. In compenso, un intero battaglione di tedeschi era scatenato all'attacco e minacciava di accerchiarci. Avevamo centinaia di prigionieri con noi, catturati il giorno prima. Il pomeriggio del 25 ottobre siamo dovuti fuggire a gambe levate da Caporetto…”. I bersaglieri erano così costretti a ritirarsi facendosi strada in qualche modo, nel caos più totale, fino a Cividale, fermandosi di tanto in tanto ad opporre resistenza; non lontano da lì venivano presi, dopo che il capitano e l'attendente erano stati colpiti durante un combattimento. Gli austriaci li guardavano cattivi e dicevano: “Ma bravi, prima ci sparate poi ci dite Gut Kamerad?”. Iniziava così per Delfino la prigionia, prima a Cividale, poi in Austria e alla mente gli torna il ricordo della fame patita e che affliggeva gli stessi austriaci; in seguito veniva rimandato in Veneto per scavare trincee lungo il Piave. Negli ultimi giorni di guerra Delfino tentava più volte la fuga, prima da Vittorio Veneto poi da Conegliano, subito dietro le linee nemiche, riuscendo a raggiungere il Friuli; Delfino si ricorda in particolare di una donna a Spilimbergo che gli aveva dato un bel pezzo di polenta e alla quale disse: “Giuro che con questa ci campo quindici giorni!”. L’avventura del bersagliere finalmente giungeva alla fine con l’arrivo delle truppe italiane che vittoriose entravano a Trieste. NOTE [1] La IV Brigata Bersaglieri, costituita dai reggimenti 14° e 20° (il 14° era appunto quello di Delfino), faceva parte della 62° Divisione insieme alla Brigata Salerno e all’alba del 24 ottobre 1917, quando iniziò l’offensiva austro-tedesca di Caporetto, era schierata con il VII Corpo d’Armata in seconda linea (3° e 62° Divisione), nel settore di Luico-Monte Kuk, sulla dorsale montuosa del Kolovrat alla destra dell’Isonzo. La brigata, che si trovava in Valsugana, era partita il 22 ottobre da Bassano per Cividale con autocarri e treni. Da qui i bersaglieri proseguirono a piedi per Savogna, impiegando tutta la giornata per raggiungere a notte avanzata la sella di Luico, che dall’alto domina l’Isonzo. All’alba del 24, quando la “12° Battaglia dell’Isonzo” era già iniziata, la brigata stava ancora schierandosi in un settore che non aveva mai visto prima, quasi privo di trincee, reticolati e altre opere di difesa adeguate. Alle ore 12 del 24, dopo che il nemico aveva sfondato le prime linee italiane sull’Isonzo, a nord nella conca di Plezzo e a sud presso la testa di ponte di Tolmino, la 62° Divisione ricevette l’ordine di schierarsi a difesa della linea Monte Matajur-Monte Kuk, con la Brigata Salerno sul Monte Matajur e la IV Brigata Bersaglieri al Passo di Luico, mentre alla sua destra la Brigata Arno della 3° Divisione si posizionava sul Monte Kuk-Passo Zagradan. Nella notte sul 25 ottobre i bersaglieri passavano al contrattacco e respingevano più volte i tedeschi dalle posizioni di Golobi, lungo la linea che scendeva verso Caporetto, ma al mattino verso le 10, privi dell’appoggio dell’artiglieria, dovettero ritirarsi definitivamente. Alle 15 i tedeschi entrarono a Caporetto. Il tentativo di interrompere la risalita del nemico sulla destra dell’Isonzo era così fallito, e quando la IV bersaglieri, che difendeva la sella di Luico, cedette di fronte alle forze soverchianti della 12° Divisione slesiana e dell’Alpenkorps bavarese, anche il destino della brigata Salerno sul Matajur fu segnato: tutta la 62° Divisione venne travolta, costretta alla ritirata e in gran parte catturata. La conquista del Matajur, difeso anche da alcuni reparti di bersaglieri, è passata alla storia come una “brillante operazione” del battaglione Wurttemberg del Tenente Rommel, il quale era riuscito anche a bloccare la strada che da Luico scendeva verso Savogna, facendo un gran numero di prigionieri tra i bersaglieri che ripiegavano. Il 27 i tedeschi arrivarono a Cividale, il 28 a Udine e l’esercito italiano dovette così ripiegare prima sul Tagliamento e poi definitivamente dietro il Piave. |
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I centenari superstiti | |
Les huit
derniers survivants de la guerre de 1914-1918 PARIS (AFP) – 2008 Huit vétérans de la Grande guerre de 1914-1948, ayant pris part aux combats sont encore en vie après le décès de Lazare Ponticelli, qui était le dernier poilu français. Sono 8 i veterani rimasti in vita della grande guerra dopo la morte di Lazzaro Ponticelli naturalizzato francese e Erich Kästner il tedesco morto a 107 anni in gennaio (2008) Armée britannique 1- Henry Allingham, né le 6 juin 1896, 111 ans. Doyen des vétérans, il est le seul à avoir combattu du début à la fin du conflit. Engagé volontaire dans l'armée britannique dès 1914, il intègre comme mécanicien le Royal Naval Air Service, prend part en 1916 à la bataille navale du Jutland. Il est reversé en 1917 dans une unité de la Royal Air Force, au sein de laquelle il combat dans la Somme. Il vit aujourd'hui en Angleterre. E’ l’unico ad aver combattuto dall’inizio alla fine. Imbarcato dal ‘16 (RNAS) passa a una unita aerea 2- Harry Patch, né le 17 juin 1898, 109 ans. Il est le dernier vétéran britannique à avoir combattu dans les tranchées. Appelé en 1917, il intègre la 7e division d'infanterie légère du Duc de Cornouailles. Il combat sur le front franco-belge, notamment à Ypres. Il est grièvement blessé le 22 septembre 1917 par un obus. Il vit aujourd'hui en Angleterre. E’ l’unico ad aver combattuto in trincea. Combatte ad Ypres nel Duca di Cornovaglia e viene ferito nel 1917 3- Claude Choules, né le 3 mars 1901, 106 ans. Entré en 1916 dans la Royal Navy, il sert dès 1917, à bord du cuirassé HMS Revenge en Mer du Nord. Il vit aujourd'hui en Australie. Marinaio imbarcato all’età di 15 anni !!! (era questa la sola possibilità per l’età) vive in Australia |
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Armée
italienne Outre Lazare Ponticelli, deux autres vétérans ont combattu pour l'Italie: 4- Delfino Borroni (morto vedi sopra). 5- Francesco Chiarello, né 5 novembre 1898, 109 ans. Appelé dans l'armée italienne dès 1918, il intègre le 19e régiment d'infanterie de Cosenza. Envoyé au front dans la région de Trente, il participe à la contre-offensive de la Piave et à la bataille finale de Vittorio Veneto. Il vit aujourd'hui dans le sud de l'Italie (morto il 30 giugno 2008). Armée américaine 6- Franck Buckles, né le 1er février 1901, 106 ans. Il s'engage en 1917 à l'âge de 16 ans. En décembre 1917, il part pour la France. D'abord ambulancier, il est ensuite affecté à la surveillance et l'escorte de prisonniers allemands. M. Buckles est le dernier vétéran de l'armée américaine à avoir servi en zone de combat. Il vit aujourd'hui en Virginie Occidentale (côte est). Il più giovane di tutti : Arruolato nel 1917 parte per la Francia dove guida ambulanze poi al servizio prigionieri. Armée austro-hongroise 7- Franz Künstler, né le 24 juillet 1900, 107 ans. Le 6 février 1918, il entre au 5e régiment d'artillerie hongrois de Szeged. Après six semaines de formation militaire, il est envoyé sur le front italien et participe aux batailles du Piave (juin 1918) et de Vittorio Veneto (octobre-novembre 1918). Dernier survivant des armées austro-hongroises, M. Künstler vit actuellement dans le sud de l'Allemagne. E’ arruolato l’ultimo anno di guerra in artiglieria (reggimento ungherese di Szeged) giusto in tempo per la battaglia del solstizio e Vittorio Veneto Armée de l'Empire Ottoman 8- Yakup Satar, né le 11 mars 1898, 109 ans. Il s'engage dans l'armée ottomane en 1915. Il intègre une unité secrète surnommée "gazcilar", dans laquelle des instructeurs allemands les forment à lancer des gaz. Yakup Satar est fait prisonnier par les forces anglo-indiennes lors de la 2e bataille de Kut-el-Amara, le 23 février 1917, sur le front de Bagdad. Dernier vétéran de l'Empire Ottoman, Yakup Satar vit aujourd'hui en Turquie. Combatte in un’unità lanciagas addestrata dai tedeschi sul fronte Irakeno dove viene catturato il 23 febbraio 1917 |