In questo passo, secondo me uno dei
più belli nella storia della fantascienza, viene narrata la disgregazione di Bob Arctor,
agente della narcotici infiltrato nel mondo dei tossicodipendenti, e divenuto drogato lui
stesso. La sostanza M (come morte) gli ha bruciato il cervello e compromesso le capacità
percettive ("lei ora vede come in uno specchio" gli diceva lo psicologo della
polizia, parafrasando la famosa lettera di San Paolo ai Corinzi) . Donna Hawthorne , la
ragazza di cui era innamorato, sarà quella che verrà a raccoglierlo e ad accompagnarlo
nel suo ultimo viaggio verso New-Path , una comunità di recupero. In tutto il brano
aleggiano come speranza le parole di San Paolo " La nostra conoscenza è imperfetta, e così le nostre previsioni, ma
quando arriverà ciò che è perfetto, ciò che è imperfetto scomparirà.(.........) ora
vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma quel giorno vedremo faccia a
faccia."
Mentre lo portava a New-Path, Donna parcheggiò dove
potessero vedere le luci di posizione, da ogni parte. Ma ora il dolore era iniziato per
lui; lei lo vedeva, e non restava molto tempo. Aveva voluto stare con lui ancora una
volta. Bene, aveva aspettato troppo. Lacrime rigavano il volto di Bob; e aveva
incominciato ad avere conati e a vomitare.
< Staremo seduti qui per qualche minuto,
> gli disse, guidandolo tra i cespugli e l'erba, sul terreno sabbioso, tra lattine di
birra buttate e rifiuti vari. < Io..>
<Hai la pipa dell'hashish? > riuscì a
dire.
< Sì, > rispose lei. Dovevano essere
abbastanza lontani dalla strada per non essere notati dalla polizia. O almeno abbastanza
lontani per poter nascondere la pipa nel caso che fosse comparso un poliziotto. Lei
avrebbe visto la macchina della polizia parcheggiare, le luci spente per nascondersi, un
po' distante, e l'agente avvicinarsi a piedi. Ci sarebbe stato tempo.
Pensò: Tempo a sufficienza per questo. Tempo
per essere al sicuro dalla legge. Ma non più tempo per Bob Arctor. Il suo tempo - almeno
se misurato su basi umane - era terminato. Era un altro tipo di tempo quello in cui era
entrato ora. Come, pensò, il tempo che ha un topo: di correre avanti e indietro, e di
essere futile. Di muoversi senza un piano; avanti e indietro. Ma almeno può ancora vedere
le luci sotto di noi. Anche se forse a lui non importa.
Trovarono un luogo riparato, e lei tirò fuori
un pezzo di hashish avvolto in un foglio di alluminio ed accese la pipa. Bob Arctor, al
suo fianco, non sembrò farci caso. Se l'era fatta sotto, ma lei sapeva che non era colpa
sua. In realtà forse, non se ne era nemmeno accorto. Diventavano tutti così durante il
periodo di astinenza.
< Ecco qui. > Si piegò verso di lui, per
supercaricarlo. Ma lui non si accorgeva nemmeno della sua presenza. Stava soltanto seduto
ripiegato su di sé, preso dai crampi allo stomaco; vomitava e si sporcava, rabbrividiva,
e si lamentava forte tra sé; i suoi gemiti sembravano una specie di canto.
Lei pensò allora ad un tizio che una volta
conosceva, che aveva visto Dio. Si comportava come adesso Bob, si lamentavava e piangeva,
sebbene non si fosse insudiciato. Aveva visto Dio in un flashback dopo un viaggio con
l'acido. Aveva sperimentato vitamine solubili nell'acqua, in enormi dosi. La formula
ortomolecolare delle vitamine avrebbe dovuto migliorare i processi nervosi dei cervello,
accelerarli e sincronizzarli. Su quel tizio, comunque, l'effetto non era stato
semplicemente di renderlo più intelligente; gli aveva fatto vedere Dio. E per lui era
stata un'assoluta sorpresa.
< Credo,> disse lei, < che non sappiamo mai
che cosa ci riserva il futuro. >
Accanto a lei Bob Arctor si lamentava e non
rispondeva.
< Tu hai conosciuto un certo Tony Amsterdam ?>
Nessuna risposta.
Donna inalò dalla sua pipa e contemplò le luci che
si allargavano sotto di loro. Odorava l'aria ed ascoltava. < Dopo che
ebbe visto Dio si sentì veramente bene, per circa un anno. E poi incominciò a sentirsi
veramente male. Peggio di quanto non si fosse mai sentito prima. Perché un giorno gli
capitò di pensare, incominciò ad accorgersi, che Dio non l'avrebbe mai più visto;
avrebbe vissuto il resto della sua vita, decenni, cinquant'anni magari, e non
avrebbe più visto altro che ciò che vedeva sempre. Ciò che vediamo tutti. Stava assai
peggio che se non avesse mai visto Dio. Un giorno mi disse che era proprio impazzito; si
era messo a fare cose balorde e aveva preso a ingiuriare e fracassare tutto ciò che aveva
in casa. Perfino lo stereo. Si accorse che avrebbe dovuto continuare a vivere come viveva,
senza avere più visioni. Senza uno scopo. Era soltanto un grumo di carne che consumava
monotonarnente la vita in sorrisi strani, mangiava, beveva, dormiva, cacava.>
< Come tutti noi. > Era la prima cosa che
Bob Arctor fosse riuscito a dire; ogni parola emessa come un conato di vomito.
Donna disse : < E' quello che io gli
spiegai. Glielo feci notare. Eravamo tutti nella stessa barca e a noi non ci faceva quel
brutto effetto. E lui replicò: Tu non sai ciò che ho visto io. Tu non sai. >
Uno spasmo percorse Bob Arctor, uno spasmo
convulso; poi, quasi soffocando, disse: < Ti ha. . . detto com'era ? >
<Scintille. Scrosci di scintille colorate, come
quando qualosa si rompe nel televisore. Scintille su per i muri, scintille nell'aria. E il
mondo intero era un essere vivo, dovunque guardasse. E non c'erano incidenti: tutto si
adattava a tutto e accadeva con uno scopo, per un qualche fine. . . qualche meta futura. E
poi vedeva una porta. Per circa una settimana la vedeva dovunque guardasse. . . a casa
sua, fuori, quando andava al supermercato o quando guidava la macchina. Ed era sempre
delle stesse dimensioni, molto stretta. Diceva che era molto.. . piacevole. È la parola
che lui usò. Non cercava mai di oltrepassarla; la guardava soltanto, perché era cosi
piacevole. Delineata in luce vivida rossa e oro, diceva. Come se le scintille si fossero
raccolte in linee rette, come nella geometria. E poi, non la vide più per tutta la sua
vita, ed è questo che infine l'ha fottuto cosi tanto.
Dopo un momento, Bob Arctor chiese: < Che
c'era dall' altra parte? >
Donna rispose: < Disse che c'era un altro
mondo dall'altra parte. Lui riusciva a vederlo. >
< Non la attraversò mai ? >
< È per questo che sbatté via tutte le
cianfrusaglie di casa sua; non pensò mai di superarla. Guardava ammirato il vano e poi
non poté più vederlo ed ormai era troppo tardi. Si aprì per lui per alcuni giorni e poi
venne chiusa e sparì per sempre. Prese ripetutamente quantità enormi di LSD con quelle
vitamine solubili in acqua, ma non la rivide; non trovò più la combinazione.>
Bob Arctor chiese: < Che c'era dall'altra parte? >
< Disse che era sempre notte.>
< Notte? >
< C'era luce lunare e acqua, sempre le
stesse. Niente si muoveva o cambiava. Acqua nera, come inchiostro, ed una spiaggia, la
riva di un'isola. Era certo che fosse la Grecia, la Grecia antica. Immaginò che la porta
fosse un posto allentato nel tempo, e che lui avesse guardato dentro il passato. E più
tardi, quando non la poteva più vedere, andava in giro per l'autostrada, con tutti quei
camion, e diventava pazzo furioso. Diceva che non sopportava tutto quel movimento e quel
rumore, ogni cosa che andava avanti e indietro, e tutto il frastuono e il baccano.
Comunque, non riuscì mai a capire perché gli avessero mostrato quel che gli avevano
mostrato. Credeva davvero che fosse Dio, e che fosse la porta per il mondo che verrà, ma
in ultima analisi, tutto quello che ottenne fu una gran confusione nella testa. Non era in
grado di trattenere la sua visione e non sopportava la cosa. Ogni volta che incontrava
qualcuno, dopo un po' gli diceva di avere perso tutto.
Bob Arctor disse: < E'come sono io adesso.
>
< C'era una donna sull'isola. Non proprio
una donna... una statua. Lui diceva che era l'Afrodite Cirenaica. In piedi al chiar di
luna, pallida e fredda e fatta di marmo. >
< Avrebbe dovuto passare la porta quando ne
aveva la possibilità. >
Donna ribatté: < Non ne ha avuto la
possibilità. Era una promessa. Qualcosa a venire. Qualcosa di meglio tra molto lungo
tempo, in futuro. Forse dopo che. . . > Si interruppe. < Quando morì.
>
< Ha perduto la sua occasione, > disse
Bob Arctor. < Hai una sola possibilità e poi basta. > Chiuse gli occhi contro il
dolore e il sudore che gli rigava la faccia. < E poi che cosa sa oggi una testa
bruciata dall'acido? Che cosa sappiamo tutti noi ? Non riesco a parlare. Lascia perdere.
< Si voltò, nascondendosi nell'oscurità in modo che lei non vedesse il suo corpo
scosso dalle convulsioni e dai brividi. >
< Ora ci mostrano i
"prossimamente", > disse Donna. Gli mise le braccia intorno e lo tenne
stretto a sé con quanta forza aveva, cullandolo avanti e indietro. < Perciò terremo
duro.>
< È quanto stai cercando di fare. Con me,
adesso. >
<Sei buono. Ti è stato dato un brutto
colpo. Ma la vita per te non è ancora terminata. Ti voglio molto bene. Vorrei .... >
Continuava a tenerlo stretto, nell'oscurità che lo inghiottiva da dentro. Che lo
afferrava mentre lei lo teneva stretto. < Tu sei buono e gentile, > continuò Donna.
< E questo non è giusto, ma deve essere cosf. Cerca di aspettare la fine. Prima o poi,
fra molto tempo, tornerai a vedere come eri solito vedere. Ritornerà tutto come prima.
< Sarà tutto restituito, > pensò. < Il giorno in cui tutto ciò che
ingiustamente e stato tolto sarà restituito. Ci vorranno forse mille anni, o di più, ma
quel giorno verrà, e tutti i conti saranno fatti quadrare. Forse, come Tony Amsterdam,
hai avuto una visione di Dio che se ne è andata solo temporaneamente; che si
èallontanata, pensò, ma che non è terminata. Forse, dentro i circuiti bruciati, e che
ancora bruciano, del tuo cervello, che sempre di più si riducono in cenere, anche ora che
ti tengo stretto a me, una scintilla di colore e di luce in qualche forma nascosta ti si
manifesterà, senza che tu la riconosca, per guidarti, con la sua memoria, nel corso degli
anni a venire, degli anni spaventosi che ti stanno davanti. Una parola non del tutto
compresa, qualche piccola cosa vista ma non capìta; qualche frammento di una stella
mescolato con il ciarpame di questo mondo, a guidarti col suo riflesso fino al giorno. . .
> ma era cosi remoto. Lei stessa non riusciva ad immaginarlo. Mescolato con le
cose comuni, forse qualcosa da un altro mondo è apparso a Bob Arctor prima che tutto
fosse finito. Tutto ciò che era in suo potere fare ora, era tenerlo a sé e sperare.
Ma quando lui l'avesse ritrovata, con un po' di
fortuna, sarebbe avvenuto il riconoscimento del modello. Comparazione corretta
nell'emisfero destro. Anche al livello subcorticale a lui permesso. E il viaggio, cosi
tremendo per lui, così pesante, così chiaramente senza motivo, sarebbe finito.
Le brillò una luce negli occhi. In piedi di
fronte a lei c'era un poliziotto con una torcia. < Volete mettervi in piedi, voi due?
> ordinò. < E mostratemi le carte di identità. Prima lei, signorina.>
Lei lasciò Bob Arctor, che cadde di lato fino
a quando non giacque riverso sul terreno. Non era consapevole del poliziotto, che si era
avvicinato, furtivo, dalla collina, da una strada di servizio più in basso. Tirando fuori
il portafoglio dalla borsa, Donna fece segno all'agente di spostarsi, dove Bob Arctor non
potesse sentire. Per alcuni minuti l'agente esaminò i suoi documenti alla luce abbassata
della torcia, poi disse:
< Lei è un agente segreto federale. >
< Abbassi la voce, > intimò Donna.
< Mi spiace. > L'ufficiale le restitui il
portafoglio.
< E adesso se ne vada, > disse Donna.
L'agente fece brillare la luce sul volto di lei
per un momento, poi si voltò. Se ne andò come era venuto, senza fare rumore.
Quando lei ritornò da Bob Arctor, era evidente
che lui non si era accorto affatto del poliziotto. Non si accorgeva quasi di niente,
ormai. Si accorgeva a malapena di lei, figuriamoci del resto.
Lontana, nell'eco, Donna sentiva la macchina
della polizia che scendeva la strada di servizio invisibile e sconnessa. Qualche insetto,
una lucertola forse, si aprì la strada tra le erbacce secche lì intorno. In lontananza
l'autostrada 91 brillava di strani disegni luminosi; ma non giungeva loro alcun suono; era
troppo remota.
< Bob, > disse dolcemente. < Mi senti?
>
Nessuna risposta.I suoi circuiti sono stati saldati in
un unico blocco, pensò. Fusi e saldati. E nessuno li aprirà più, per quanto si sforzi.
Per quanto qualcuno cerchi di aprirli.
< Vieni, > lo esortò, tirandolo a sé,
cercando di metterlo in piedi. < Dobbiamo andare.>
Bob Arctor ribatté : < Non posso fare
all'amore. Il mio coso e' sparito.> < Ci aspettano, > disse Donna con voce ferma.
< Debbo consegnarti a loro.>
< Ma che cosa farò se il mio coso è
sparito? Mi vorranno ancora prendere? >
Donna lo riassicurò: < Ti prenderanno. >
Ci vuole una grandissima saggezza per sapere
quando applicare l'ingiustizia, pensò Donna. Come può la giustizia essere mai vittima di
ciò che è ingiusto? Come può accadere? Pensò: Perchè questo mondo è maledetto, e
tutto questo lo prova. La prova é qui. Da qualche parte, al livello più profondo
possibile, il meccanismo, la costruzione delle cose, è andata in pezzi, e da ciò che ne
è rimasto è derivato il bisogno di fare ogni sorta di cose chiaramente ingiuste invece
di quelle che una scelta più saggia ci avrebbe fatto operare. Deve essere cominciato
migliaia di anni fa. E ora si è infiltrato nella natura stessa delle cose. E, pensò,
anche dentro ciascuno di noi. Non possiamo voltarci, o aprire la bocca e parlare, prendere
una qualunque decisione, senza farlo. Non me ne importa nemmeno, come è cominciato, o
quando, o perché. Pensò: spero soltanto che prima o poi finirà. Come con Tony
Amsterdam. Spero soltanto che un giorno lo scroscio di scintille di luci colorate
ritornerà, e che questa volta lo vedremo tutti. Lo stretto arco che porta alla pace. Una
statua, il mare, e ciò che appare come luce lunare. E tutto quieto, immobile, senza nulla
che rompa la calma.
Molto, molto tempo fa, pensò. Prima della
maledizione, e prima che tutto e tutti diventassero quello che sono diventati. L'Età
dell'Oro, pensò, quando saggezza e giustizia erano un'unica cosa. Prima che tutto si
frantumasse in cocci taglienti. In pezzetti discordi, che non si possono ricomporre, per
quanti sforzi facciamo.
Sotto di lei, nell'oscurità e nella diffusione
delle luci urbane, suonava una sirena della polizia. Un'auto della polizia
all'inseguimento di qualcuno. Sembrava l'urlo di un animale impazzito, ansioso di
uccidere. Consapevole che tra breve avrebbe soddisfatto il suo impulso omicida.
Rabbrividì. L'aria notturna si era fatta fredda. Era tempo di andare.
L'Età dell'Oro non e' qui, adesso, pensò, con
rumori come questo nell'oscurità. Anch'io emetto questo suono avido? si domandò. Anch'io
sono così ? Quando attacco o magari quando sono già sulla preda? Quando l'ho già presa?
Accanto a lei, l'uomo si agitava e si lamentava
mentre lei cercava di tirarlo su. Lo aiutò ad alzarsi in piedi e lo condusse alla
macchina, passo per passo; sempre aiutandolo a sostenersi ritto. Sotto di loro il rumore
dell'auto della polizia cessò bruscamente; aveva terminato l'inseguimento. Missione
compiuta. Tenendo Bob Arctor contro di sé, pensò: Anche la mia, é compiuta.
I due addetti di New-Path rimasero a osservare quella cosa sul
pavimento che vomitava e rabbrividiva e si sporcava, le braccia intorno al corpo, in un
abbraccio come per cercare di smettere di muoversi a quel modo, per ripararsi contro il
freddo che la faceva tremare con quella violenza.
< Che cos'è questa cosa? > chiese uno degli
addetti.
< Una persona, > rispose Donna.
< Sostanza M ?>
Assentì.
< Gli ha fatto fuori il cranio. Un altro perdente.
>
Donna ribatté, rivolta ad entrambi: < E' facile
vincere. Chiunque può vincere. > Curvandosi su Robert Arctor, disse, senza parlare.
Addio.
Gli stavano mettendo una vecchia coperta dell'esercito
addosso mentre lei se ne andava. Non si voltò a guardare.