I BERSAGLIERI E LO SPORT

Amedeo Amadei: 

il fornaretto di “Frascati”  

   

Ottavo Re di Roma, primo dell’Era Moderna

La storia di Amedeo Amadei inizia a Frascati il 26 Luglio 1921, dove la sua famiglia possiede un forno che è un'istituzione storica (1876). Da ragazzo faceva il "cascherino" ovvero distribuiva il pane ai negozi della zona per aiutare la famiglia. Nei momenti liberi giocava a calcio, nei giovani del Frascati rubando il tempo al lavoro. Si diceva che tutti i suoi compagni di squadra per fare più in fretta si prendessero una borsa di pane da distribuire. Un giorno lui e un suo amico leggono su un ritaglio di giornale che la Roma fa dei provini per i giovani. Amedeo inventa una scusa e con la sua bicicletta va all'appuntamento, gioca e torna indietro. A casa disse che aveva fatto una gita attraverso i Castelli e aveva forato. Mi ingaggiarono subito, e inutilmente intervenne Armando Lugari, responsabile della sezione ciclismo di Frascati «Tu sei bravo al calcio, ma sei più forte in bicicletta!». Papà Amadei si infuria, dice che non si può fare, bisogna lavorare al forno. Per fortuna di Amedeo, le sorelle Adriana e Antonietta si prendono carico del lavoro del fratello, pur di farlo tentare. Nasce così la favola del "fornaretto" Amadei. Umile, introverso, chiuso di carattere, Amadei esordisce in serie A non ancora sedicenne, contro la Fiorentina (2-2) il 2 maggio 1937 (9 giorni più giovane del Gianni Rivera che avrebbe esordito in A nel '59). Dopo due anni fu prestato per una stagione all’Atalanta in serie B per farsi le ossa. Tornato in società divenne titolare inamovibile, a soli 19 anni, dalla stagione 1939-40 fino al 1948. Il suo debutto, ma soprattutto il suo permanere nella formazione titolare a lungo, anche contro l’opinione dei tifosi e degli addetti ai lavori, si deve all’allenatore dell’epoca Schaeffer. Negli esordi Amadei giocava come ala destra, ma sia la stima nei suoi confronti sia la nullità sotto porta del centravanti d’allora, l’argentino Provvidente, soprannominato cinicamente “Provolone” spinsero Amadei al centro attacco, dando il via ad un lunga sequela di gol che raggiunse quota 189 (207 con coppa e nazionale).  L'allenatore Schaffer gioca basandosi sul contropiede e Amadei è la punta di diamante, affiancato da Krieziu e Pantò. La sua velocità risulta decisiva così come i suoi 18 gol che spazzano via ogni critica e ne fanno il beniamino  dei tifosi. Nel 1942 arriva lo scudetto e Amadei ne è l'artefice, mettendo a segno le reti più importanti, quelle decisive. Grazie a lui, la Roma riprende quel titolo che le era sfuggito nel 1935 a causa della fuga dei tre “traditori” Guaita, Scopelli e Stagnaro (fuga che tra l’altro portò all’esordio di un altro attaccante del vivaio romanista dei Castelli: Amadei  è di Frascati, Di Benedetti di Velletri). La Roma tranne la straordinaria stagione dello scudetto in quell’epoca non era squadra da quartieri alti, tanto che rischiò anche la serie B. Anche per questi motivi finchè Amadei militò fra i giallorossi non fu mai preso in considerazione per la Nazionale. Il calcio italiano era l'unico che in Europa non si fosse ancora fermato per la guerra. Lo fece solo nel 1943 dopo un torneo che vide la Roma cominciare con Schaffer e finire con Kertesz dopo la fuga di questi. La squadra giallorossa terminò al decimo posto di un torneo che vide aprirsi l'epoca del Grande Torino. E proprio dopo una gara di Coppa Italia coi granata perduta per 3 a 2 si buscò una squalifica a vita. Fu amnistiato solo a fine guerra. Il fornaretto fu considerato l'autore di un calcio rifilato all'arbitro durante la gara. Soltanto dopo si seppe che era stato invece Dagianti. La guerra interrompe il campionato e gli anni migliori del bomber.  Alla ripresa la Roma si dibatte in problemi economici ed è così costretta a vendere Amadei all'Inter (1948). Quì giocò per due stagioni e in 70 partite segnò ben 42 reti. «Quando passai all'Inter e poi al Napoli, misi subito le cose in chiaro: il giorno che incontreremo la Roma io non giocherò, dovesse pur essere una partita decisiva per lo scudetto. Non potete pretendere che io pugnali mia madre» . Amadei capiva che solo lontano da Roma poteva conquistare la maglia azzurra. Infatti,dopo il suo passaggio all’Inter, esordì in nazionale (7 presenze) e successivamente ne divenne titolare anche a causa della contemporanea tragedia di Superga che eliminò gran parte dei titolari dell’epoca. Nel 1950 va a Napoli dove viene impiegato prevalentemente come interno d’attacco (oggi si direbbe trequartista). Il Napoli per il ruolo di centravanti aveva in quegli anni ingaggiato un ottimo attaccante svedese, Jeppson, il primo giocatore in Italia a superare per il suo acquisto il favoloso tetto di 100 milioni (quando cadde per la prima volta a terra un tifoso gridò “è crollato ‘o banco ‘e napule”). Nel Napoli giocò 171 partite con 47 reti (6 stagioni) e tornò ancora 6 volte con la Nazionale (7 le sue reti in azzurro di cui 4 dal Napoli). Nell’ultimo anno, su espressa richiesta del presidente, Achille Lauro, iniziò anche la carriera di allenatore subentrando a Eraldo Monzeglio che era stato suo compagno nella Roma dei primi anni. Chiude con ben 189 gol in serie A. Nel girone unico solo Piola e Meazza riescono a fare meglio. Giocatore di grandissima tecnica, ambidestro, veloce, ottimo specialista sui calci di punizione spioventi sopra la barriera, difettava un pochino nel gioco di testa.  Idolo della gente, godette presso il popolo romanista di una popolarità eccezionale tanto che la Democrazia Cristiana lo convinse a presentarsi candidato alle elezioni comunali di Roma. Secondo degli eletti in generale ricevette molti più voti del sindaco entrante.

" Parlo di calcio, ma erano guai veri -
dice Amedeo parlando piano piano -
si seguiva il giuoco ( sembrerà strano ),
anche per scordare i problemi seri.

C'era la guera, erano tempi neri,
allora era soldato ogni...cristiano:
noi, alla Roma, eravamo Berzajeri...
tanto allenati...d'arrivà lontano.

Adesso Amedeo fruga nella giacca,
e tira fuori dal portafoglio
una foto tenuta dentro un foglio:
sembra na reliquia  dentro una sacca

La guarda per un pò e  mi  dà una pacca,
sospira e mi dice"..è il mio grande orgoglio,
il pensiero dalla realtà si stacca:
rivedo tutto..liscio come l'olio."

Gira la foto e me la fa vedere:
" E' quella squadra -dice- a colori;
abbiamo il cappello da Bersagliere.

Ce l'ho conservato dentro un bauletto,
però ogni tanto lo ritiro fuori,
insieme alla maglia dello scudetto.

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<  Franco Romano autore di 21 sonetti dedicati ad Amedeo Amadei, eccovene un  pezzo

 Col. Antonini e CosciaIl forno andò distrutto nel corso della guerra e venne ricostruito giorno dopo giorno dall'ex romanista con i primi soldi guadagnati giocando a calcio. «Il pallone - ha raccontato Amadei - mi ha dato la forza di ricostruire quello che la guerra mi aveva tolto. Pur di sistemare il forno del mio bisnonno andavo ad elemosinare il pane in un'altra bottega vicina».. In giallorosso ha giocato dal '36-'37 al '47-'48 totalizzando 234 gare con ben 110 gol all'attivo, che lo rendono il terzo cannoniere di tutti i tempi in giallorosso dietro a Pruzzo e Volk.  

 

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Poichè l'Italia era in guerra, il momento era il meno adatto per dar luogo a grandi festeggiamenti e perciò le feste per lo scudetto furono molto sobrie. Il segno più vistoso del giubilo che percorse la Capitale nel giorno dello scudetto furono i cappelli piumati indossati da molti dei giocatori romanisti (Pantò, Andreoli, Borsetti, Jacobini, Coscia) che facevano parte del corpo dei Bersaglieri e che, proprio per questo, avevano potuto godere di un trattamento di favore in vista degli allenamenti

 

http://www.asroma1927.net/as%20roma/la%20mia%20roma/04%20cara%20roma/

Notizie tratte da vari siti di appassionati e tifosi della Roma a cui va la nostra riconoscenza pur non potendo citarli tutti e a cui dedichiamo la foto sopra della squadra campione.

I Bersaglieri giallorossi dopo la conquista dell Scudetto ( tutti del 2^ reggimento a Trastevere) da sinistra:PANTO', BORSETTI, ANDREOLI, JACOBINI e AMADEI