I BERSAGLIERI E LO SPORT

GIUSEPPE SABATINI  ENZO COPPINI

    

     
 

   
    L'episodio di Trieste del 1946 raccontato da Coppini

  L’allora maglia rosa Vito Ortelli ricorda in proposito: “Da un campo di granturco vedemmo sbucare alcuni ragazzetti che cominciarono a tirare sassi contro noi e le macchine. Io ero nelle prime posizioni, fui colpito alla testa ed al braccio sinistro.” Anche Volpi è stato colpito a un fianco, Spinozzi ad un ginocchio e la ferita lo costringerà tre giorni dopo al ritiro. Poi si leva un grido: “Hanno ammazzato Marangoni”. In realtà il corridore bergamasco è stato colpito in piena fronte ed è caduto in una pozza di sangue. Mentre si prestano i primi soccorsi a Marangoni si sentono i primi spari. La cronaca della “Gazzetta” registra che sono stati gli agenti di Polizia a sparare al fine di mettere in fuga gli sconsiderati. L’Agenzia delle Nazioni Unite invece diramerà alle 16,45 questo comunicato: “Mentre gli agenti si accingevano a disperdere una piccola folla all’angolo della strada, si è sparato contro di loro. Successivamente alcune persone nascoste tra i cespugli aprivano il fuoco contro la polizia dall’altra parte della strada. La Polizia ha risposto al fuoco e sia la folla che gli assalitori sono stati dispersi”. Ai primi colpi comunque qualcuno ha lanciato l’ordine: “Tutti a terra!”. Ricorda Ortelli: Lasciammo cadere le biciclette e ci sdraiammo sull’asfalto. Io mi ritrovai sotto una macchina con Zambrini, il capo della Bianchi”. Bartali si nascose invece sotto una Millecento, Coppi dietro un bidone di pece, mentre Alfredo Martini ricorda” con il povero Bini ci mettemmo al riparo in fondo a un fosso”. Coppini, che in vita sua ha sempre idolatrato i due superassi Coppi e Bartali in questa circostanza li prende bonariamente in giro (Gli angeli di Coppi- di Marco Pastonesi –pag. 79):”Si vede che non avete fatto la guerra”. Prosegue Coppini, ricordando gli avvenimenti: “Bartali e Coppi si misero in salvo, io ed altri sedici salimmo su un camion militare, sdraiati pancia a terra per evitare le pallottole, ci lasciarono alla periferia di Trieste, proseguimmo in fila indiana con Cottur in testa. Alla fine i tifosi ci presero per le gambe, ci issarono sulle loro spalle, ci portarono in trionfo”. L’ordine di arrivo di questa memorabile tappa vede al 1° posto il triestino Giordano Cottur , 2° Toni Bevilacqua 3° Lino Menon, e non sorprende che i primi tre arrivati indossino la casacca della Wilier Triestina !
     
     

Giuseppe Sabatini

Non ci è stato possibile dedicare ampio spazio al profilo biografico di questo campione del ciclismo poiché la versione on line più specifica è del Prof. Andrea Addobbati dell'Università di Pisa cui mi sono rivolto per averne autorizzazione. L’emerito professore ha ritenuto che non valesse neanche la pena rispondere e quindi vado per ampio riassunto a descrivere la vita di Giuseppe Sabatini, ciclista e bersagliere a Pola al 12°.

 

Giuseppe Sabatini nasce a Peccioli (22 marzo 1915) da famiglia contadina numerosa. Esordisce a diciassette anni con l’Unione Sportiva Raffaele di Paco di Forcoli si dice costruendosi una bici su misura e da poca spesa. Fra il 1933 e il 1935 ottenne diverse vittorie fra i dilettanti toscani e nel 1935 vince la Coppa Olimpia a Grosseto. Nel 1936 diventò professionista con la squadra di Luigi Ganna, ma pochi mesi più tardi è chiamato a prestare servizio militare come bersagliere a Pola in Istria, venendo congedato nel marzo 1937.  Scopriamo un aspetto poco conosciuto dei tanti dilettanti “in proprio” di molte epoche del ciclismo “eroico” che tutt’ora, benché siano passati cinquanta anni dalle prime gare ciclistiche, sopravvive nei piccoli centri italiani fuori dai grandi eventi e dagli sponsor importanti. Ce lo dice il Professore in due appunti: il primo con gli amici che gli preparano uova sbattute mentre il padre si divincola dalla stretta dei compaesani per riportarlo a casa e il secondo la colletta per la carne. 

- Giuseppe fermati! Giuseppe si fermò. "Prendi, bevi, ci sono nove uova sbattute!". Giuseppe trangugiò metà del contenuto. Poi, visto il babbo trattenuto a stento dagli amici, gli gridò: "Babbo, stasera ti porto i soldi!". Finì di bere tutto d'un fiato e si buttò all'inseguimento dei compagni di fuga».

Per mantenere in forze il campione i pecciolesi organizzano delle collette. Vanno per la strada, nei bar, nei luoghi di lavoro a chiedere un centesimo; «un centesimo per il Sabatini! Annotano il nome del donatore su di un quaderno, e raggiunta la cifra desiderata, la versano nelle mani di un macellaro. Poi dicono al Sabatini di andare a ritirare la bistecca».

Giuseppe, chiamato anche Libertario, va forte in montagna e ben presto nella Toscana del grande Bartali si mette in luce. La Ganna lo vuole in squadra e sta allenandosi per la Milano Sanremo quando arriva la cartolina verde. La bici non gli mancava al reggimento ma era di tutt’altro tipo. Quando si congeda è un po’ fuori forma, non esistevano allora facilitazioni o servizi “sedentari” che permettessero l’allenamento e relative gare in regime di licenza. In aggiunta non ha più la licenza da professionista. Deve lavorare (operaio alla Saint Gobain di Pisa) e allenarsi. Tornano le vittorie ma fra i dilettanti per lui è troppo facile. La Ganna lo richiama. Corre la Sanremo del 39 classificandosi 23° ma è pronto anche per il giro dove la rivalità del momento e fra Valletti e Bartali. Bartali andava al Tour eValletti vinceva il Giro ma ora sono di fronte l’uno all’altro e sarà guerra. L’alternanza delle vittorie li porta all’ultima tappa, la Sondrio Milano, quella che oggi si chiamerebbe passeggiata del vincitore (e dove nessuno ti attacca.)

- Bartali deve attaccare sul Ghisallo se non vuole lasciare il Giro all’avversario. Anche lo scalatore di Peccioli ha deciso: darà battaglia in quell’ultima tappa! Si è sacrificato per la squadra, restando a fianco del (moscio) capitano. Il radiocronista, dopo il consueto preambolo, passò a dare notizia della corsa: ”Tre uomini in fuga!”. Due erano noti campioni in campo nazionale… ma del terzo non seppe dire il nome… “Non posso riconoscerlo dal numero – disse – perché è ricoperto di polvere e fango, ora cercherò di raggiungerlo con la moto e gli chiederò il nome”. “Si chiama Giuseppe Sabatini !”

Giuseppe arrivò settimo sul traguardo, terminando in 18a posizione nella classifica generale. Il giro lo rivinse Valletti. La Ganna, per la delusione di uno licenziò tutti e Ganna tornò sulle strade da indipendente incrociando anche in nuovo gigante Fausto Coppi. In seguito si accasò all'Unione Ciclistica Modenese che gli permise di andare al Giro d'Italia del 1940 dove si ritirò all'undicesima tappa. Alla fine del giro scoppia la guerra e Giuseppe è fra i richiamati. Quando il suo reparto finisce nella Divisione Littorio la destinazione africana diventa inevitabile. Nelle battaglie della fine estate del ‘42 rimedia anche una ferita. Torna a casa in convalescenza e ha tutto il tempo di vedere gli stravolgimenti della caduta del fascismo e del passaggio del fronte nell’estate del '43. Di correre non se ne parlava nemmeno. Ci soccorre per questo oscuro periodo la biografia del Professore che ricitiamo

-Le scarne memorie familiari tramandano il ricordo di un negozio di biciclette, messo in piedi con un socio, ma senza troppa fortuna. Ci parlano dell’attiva militanza politica nelle file del PCI, e quindi della partecipazione alle grandi lotte politiche e sociali del dopoguerra.

I compaesani non demordevano dal rivederlo in strada, lui che aveva dato un po’ di notorietà al paese. Il dilettante Sabatini rimonta in bici per la coppa Perozzi, E’ il 1947 e ha trentadue anni. Affronta la corsa con la sua solita indomabile voglia di lottare e di vincere e quando l’ennesima sfortuna lo coglie con un pneumatico a terra non si lascia vincere Cambiato il pneumatico risale in sella e riacciuffa l’avversario, andando a vincere in perfetta solitudine. E’ tardi comunque per ricominciare, fra i dilettanti non si mangia e fra i professionisti uno della sua età non lo vogliono più. Ci sono troppi campioni sia in Italia sia in Europa e lui non ha più l’età di fare il gregario portaacqua. Muore dopo breve malattia all’età di trentasei anni nel 1951. Lascia una moglie, Costanza e tre figli, Giovanna e due maschi, Ivan e Giancarlo.

     
     
     
     
     
     

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