Jean-Antoine Carrel il "Bersagliere"

Alla conquista del cielo

(Carrel - Valtournenche 1829-1890)

IL BERSAGLIERE

Chiamato alla leva del 48 Carrel ha dovuto abbandonare la sua valle nativa, da cui mai s'era allontanato. Incorporato nel reggimento (battaglione) di Torino , sbalestrato dalla vita campagnuola a quella di una grande città, di subito vi era rimasto sbalordito e mal sapeva adattarsi a vivere lontano dai suoi cari e dalle sue abitudini. L'essere bersagliere di Lamarmora era d'altronde a quei tempi motivo d'orgoglio. Quando passavano per le vie preceduti da una fanfara, viva, piena di brio, tutti i cittadini andavano in sollucchero ed i ragazzini ansavano per seguirli. Il cappello col pennacchio messo di quarto (sulle 23) alla sbarazzina, mentre era un simbolo geloso per il soldato aveva destato uan così sincera simpatia che persino le signore l'usavano come modello di modisteria. Negli esercizi ginnici J, Antoine eccelleva per la sua prestanza fisica e la sua flessibilità felina. Sempre primo nell'arrampicarsi sulle pertiche e nel sollevare pesi non perdeva il premio che l'ufficiale metteva in palio a chi primo saltava il muro della caserma a cui erano stati chiusi gli ingressi. Evitava le grandi strade del passeggio e dello "shopping) privilegiando quello scorcio di natura che era il Valentino. Anche la zona collinare verso il Monte dei Cappuccini da cui scopriva la cerchia incomparabile e maestosa delle Alpi verso cui volavano i rimpianti della sua anima e il desiderio di ritorno. A mezzogiorno del 20 marzo spirava l'armistizio, concesso nell'agosto del 48 dopo la sconfitta di Custoza. Sul ciglione sopraelevato sulla pianura stendentesi verso sud sorgevano alcuni solidi cascinali, fra i quali la Bicocca, su cui potevano imperniarsi una efficace difesa. Il 23 marzo la battaglia si accende  (dopo che gli austriaci avevano sfondato a Cava per colpa di Ramorino che verrà giustiziato) ostinata e micidiale attorno a questo (Bicocca) importante caposaldo.... i bersaglieri si sono coperti di gloria con uno slancio ed uno spirito di corpo superiori ad ogni elogio. J. Antoine s'è prodigato baionetta in canna s'è sempre slanciato tra i primi cercando il corpo a corpo. Duro come un macigno si batte a fine giornata. La sofferenza fisica si sopporta facilmente quando è accompagnata dal successo ma quella ritirata triste, quella confusione colpisce l'immaginazione semplice del montanaro ventenne.

Episodio della Battaglia di Solferino

10 ANNI DOPO

24 giugno 1859. Verso le 11 a S. Martino il comando supremo dei piemontesi fa avanzare la 2a divisione di Fanti rinforzata dai mobilissimi bersaglieri. Verso le 16, al gran completo, svolge un attacco avvolgente contro la sinistra austriaca inchiodandola e rendendo impossibile a Radetzky di soccorrere i suoi a Solferino contro i francesi o di svolgere qualsiasi altra azione d'attacco. Al tramonto le alture di S. Martino sono sgombre. Sempre di fianco al suo comandante, quando non lo precede,  il sergente Carrel non fallisce il bersaglio, ne sciupa mai una baionettata. Due casolari, veri nidi della più fiera resistenza sono espugnati. Quando giunge sull'aia gli ultimi difensori scantonano in fuga dietro il fabbricato. Una pallottola vagante però abbatte il suo comandante precludendogli ogni citazione di ricompensa, che solo a questo competeva.

rielaborato da JEAN ANTOINE CARREL: IL PADRE DI TUTTE LE GUIDE" VIRIGLIO ATTILIO LICINIO CAPPELLI EDITORE IN BOLOGNA 1A EDIZIONE XXXX

 

Alle origini degli alpini

 

LA SFIDA PER IL CERVINO

Per gentile concessione di http://www.inalto.org/temi/cultura/personaggi/schede/carrel.shtml

Pastore, cacciatore, contadino ed artigiano, ma soprattutto arrampicatore. Questo era Jean-Antoine Carrel. Aveva fatto della conquista del Cervino lo scopo della sua vita e considerava la sfida a questa montagna come una faccenda personale. Classe 1829, nato nel villaggio di Avouìl nel comune di Valtournenche, ebbe gli anni giovanili segnati dal servizio militare, laggiù nelle pianure lontano da casa, lontano dalle sue montagne. La sua gioventù coincise con le due guerre d'Indipendenza (1848 - 1859): si battè a San Martino dove ricevette i gradi di sergente; da allora per i suoi paesani fu “il Bersagliere” Ci fu un primo tentativo di conquista del Cervino, poco convinto, nel 1857 in compagnia dello zio Jean-Jacques Carrel e di un giovane seminarista di nome Amé Gorret (l'orso della montagna lontano parente). Ne uscì la prima ascensione alla Testa del Leone. Nel 1861 anche l'inglese Edward Whymper (illustratore) si "innamorò" della Becca (come chiamavano i valligiani il Cervino) e contattò Carrel per scalarla. Non trovarono un accordo perché Jean -Antoine voleva con sé anche Jean-Jacques Carrel. Whymper tentò ugualmente con una guida bernese, dal versante svizzero, raggiungendo un punto mai toccato prima. I due Carrel, per dimostrargli le loro capacità, superarono il record dell'inglese e raggiunsero la Crête du Coq (4032 m) dove scolpirono un'iscrizione nella roccia.
Dopo una quindicina di tentativi sul versante italiano per la cresta del Leone e quasi altrettanti lungo la cresta svizzera dell'Hornly, il 14 luglio 1865 Whymper, Hudson, Douglas e Hadow con le guide Croz e i due Taugwalder pongono per primi i piedi sulla vetta del Cervino. Tre giorni dopo sarà la volta degli italiani J.A. Carrel, Jean-Baptiste Bich, l’abate Amé Gorret, (l’ex seminarista ora Abbé, definito "l'Ours de la montagne")
 e Jean-Augustin Meynet: che arrivano in cima lungo la cresta del Leone: era il 17 luglio 1865.
I rapporti con Whymper, che si erano fatti tesi in piena competizione per la vetta del Cervino, si ricomposero anche in virtù della profonda stima che l'inglese nutriva per la guida valdostana: lo ingaggiò infatti per una spedizione sulle Ande ecuadoriane. In Ecuador esisteva una montagna considerata per molto tempo fra le più alte del mondo: il Chimborazo (6310 m). Il 4 gennaio 1880 Carrel il Bersagliere ne raggiunse la cima in prima ascensione con Edward Whymper, poi la quinta del Cotopaxi (5943 m), più varie altre cime tra i 4000 ed i 5000 metri. Al rientro in Inghilterra, Whymper profuse grandi lodi per la guida valdostana, che umilmente tornò alla sua principale occupazione, agricoltore, dato che del mestiere di guida non si poteva vivere, specialmente con dodici figli a carico.
Nel 1890 Carrel inanellò la sua 51° scalata del Cervino, in compagnia di Leone Sinigaglia e Charles Gorret. Il rientro risultò difficoltoso a causa del maltempo (15 ore di tregenda). Portati in salvo i compagni di cordata Jean-Antoine si accasciò e morì nel luogo dove ora sorge la cosiddetta Croce Carrel.

 

EDWARD WHYMPER da "Scalate nelle Alpi" (così la raccontava)

Alle sei e venti eravamo a 3900 metri e sostammo circa mezz'ora; poi continuammo a salire senza fermarci fino alle dieci; allora soltanto ci permettemmo un'altra fermata di cinquanta minuti a 4270 metri.

- Ed ora - disse Croz mettendosi in marcia - le cose cambiano.

L'ascensione si faceva sempre più difficile ed erano necessarie le più grandi precauzioni. In certi punti quasi non si trovavano appigli e perciò era indispensabile porre a capo della comitiva coloro che avevano il piede più sincero. L'inclinazione generale di questo versante non raggiungeva i 40 gradi; la neve accumulandosi aveva riempito gli interstizi delle rocce; i rari frammenti che spuntavano qua e là erano talvolta ricoperti da un sottile strato di ghiaccio formato dalla neve fusa e gelatasi poi quasi immediatamente. Questo passaggio non presentava difficoltà per uno scalatore esercitato e, come nel resto dell'ascensione, Hudson non richiese alcuna assistenza. Più volte, avendomi Croz teso la mano per sostenermi in qualche difficile passo, volgendomi offrii lo stesso aiuto a Hudson; ma egli non l'accettò mai dicendo che era inutile. Invece Hadow evidentemente non era allenato a simili scalate cosí che occorreva aiutarlo continuamente. Questa parte, la sola veramente difficile dell'ascensione, non si estendeva molto. La traversammo quasi orizzontalmente dapprima, per una lunghezza di circa 120 metri, poi salimmo verso la vetta per più di 20 metri, indi dovemmo tornare sulla cresta che scende verso Zermatt. Un lungo e difficile giro, che dovemmo compiere per evitare una sporgenza rocciosa, ci ricondusse nuovamente sulla neve. Giunti a questo punto l'ultimo dubbio scomparve: il Cervino era nostro poiché non avevamo più da scalare che una sessantina di metri su un nevaio facilissimo. Alle tredici e quaranta il mondo era ai nostri piedi: il Cervino era conquistato! Hurrà! Non una traccia di passi sulla neve immacolata. Tuttavia il nostro trionfo non era certo. La vetta del Cervino era formata da una cresta grossolanamente livellata, lunga circa 107 metri; gli Italiani potevano esser pervenuti sulla più lontana estremità. Raggiunsi in fretta la punta meridionale, scrutando la neve a sinistra e a destra. Ancora una volta dunque: Hurrà! Nessun piede umano 1'aveva calcata. Dove potevano essere i nostri rivali? Sporsi il capo sopra le rocce, tra il dubbio e l'incertezza; immediatamente potei scorgerli molto in basso, sulla cresta. Agitando le braccia e sventolando il cappello, presi a gridare:

- Croz! Croz! Venite, in fretta!
- Dove sono?
- Laggiù, non vedete, laggiù molto in basso!
- Ah
! Les coquins! Sono ancora ben lontani!
- Croz, bisogna assolutamente che ci facciamo udire da loro!

Ci mettemmo a gridare a squarciagola fino ad arrochirci. Gli Italiani parevano guardare dalla nostra parte, ma non ne eravamo ben sicuri.

- Croz, voglio che essi sentano; bisogna trovarne il modo.

Afferrai una grossa pietra e la lanciai nell'abisso con tutte le mie forze, poi incitai il mio compagno a fare altrettanto in nome dell'amicizia. Adoperando i nostri alpenstock come leve facemmo cadere enormi blocchi di roccia e ben presto una vera valanga di pietre rotolò lungo i pendii della montagna. Desistono… (nessun alpinista vero farebbe mai una cosa del genere per danneggiare il suo rivale, è quindi da pensare che il tutto venne fatto per attirare la loro attenzione e non per colpirli)

A margine del nostro personaggio che viene cronologicamente prima di quanto stiamo per dire, spendiamo due parole sul seguito che la cultura alpina ha avuto anche sulla branca militare. Questa non è la storia del Corpo degli Alpini che lasciamo raccontare agli stessi, ma sulle diatribe della primogenitura che dopo un secolo percorrono spesso i dibattiti di storia.

Nessuno conosceva le Alpi sotto profilo  militare meglio del Gen. Agostino Ricci; nessuno era in grado, meglio di lui, di comandare  un Corpo d'Armata nella zona alpina. Ricci, quando era comandante della Scuola di Guerra,ebbe a scrivere in una lettera del 25 settembre 1894.  

"Quando nel 1868 studiai il primo progetto di campagna logistica per la Scuola di Guerra, mi colpì l'idea dell'utilità che vi sarebbe stata di avere una fanteria speciale da impiegare in montagna. Volendo fare una prova ideai di destinare a tale servizio alcuni battaglioni di bersaglieri mobilitati con le classi in congedo delle zone alpine. Nella preparazione della campagna attuai poi tale concetto che, perfezionato nelle campagne successive, fece nascere l'idea delle truppe alpine come mi disse un giorno il Generale Cesare Ricotti che ne fu l'istitutore (non il padre, all'epoca Ricotti era Ministro della Guerra)".

La lettera con cui il Generale Ricci rivendicava la paternità degli alpini venne pubblicata poi in un articolo del Col. Oreste Zavattari nel 1908 sulla "Rivista Militare" distribuita in copia a tutti gli ufficiali alpini senza averne risentite rimostranze. Quanto emerge dalle ricerche recenti del generale Pier Giorgio Franzosi non fa che confermare

 “Nell'anno 1979 ero insegnante alla Scuola di Guerra. Cercando negli archivi, mi capitò di trovare le lezioni del Colonnello Ricci, insegnante di tattica, che prevedevano, nei particolari, una serie di “campagne tattiche” sperimentali per la difesa delle Alpi. Era la prova, inconfutabile, che l'idea di creare gli alpini, la loro dottrina tattica e strategica era di Ricci: il capitano Perrucchetti, che scrisse un articolo per la creazione degli alpini (quando erano già stati ideati), era allievo di Ricci”.

 

LA MONTAGNA

Il secolo dei lumi, (il 700) mentre aveva  iniziato a interrogarsi sull'origine dei fossili, dei fiumi e dei ghiacciai, andava anche riscoprendo (con Rousseau) la visione tradizionale delle Alpi, scoprendo nei luoghi “malfamati, orridi e neri” del passato il segno del bello e del sublime. Le cascate e i ghiacciai alpestri destarono la meraviglia del viaggiatore e riempirono i taccuini  degli artisti che avevano la ventura di addentrarsi nelle vallate. Horace-Bénédict de Saussure, naturalista ginevrino, osservando il Monte Bianco dalla sua casa di Ginevra, sognava di raggiungerne la cima; egli era uno scienziato, buon camminatore, appassionato di alpinismo, ma leggermente sovrappeso come alpinista. Molti lo danno come primo a salire perché molte litografie lo ritraggono in cordate sui ghiacciai, ma ad andare su sembra fosse Balmat, cercatore di cristalli di Chamonix che il 7 giugno 1786 effettuò una prima ricognizione insieme allo zio del medico di Chamonix (di nome faceva Paccard). Il 7 agosto dello stesso anno Balmat partì alla conquista del Monte Bianco scegliendo come compagno proprio il medico di Chamonix, Paccard, buon alpinista, camminatore. Fu comunque Balmat che poi condusse l'anno successivo (1787) il pesante De Saussure sulla vetta del Bianco. Chamonix ha reso onore al Balmat dedicandogli uno splendido monumento che lo ritrae mentre indica a De Saussure la vetta del Bianco. "Nel momento in cui raggiunsi il punto più alto  della neve, la calpestai più con collera che con un sentimento di piacere. Del resto, il mio scopo non era soltanto quello di raggiungere il punto più alto: dovevo soprattutto compiere le osservazioni e gli esperimenti che, soli, davano un senso a quel viaggio" (H.B. de Saussure, "Voyages dans les Alpes", Neuchâtel, 1834).
Nel 1865, l'anno del Cervino, l'alpinismo è già completamente cambiato. La prima fase iniziata negli anni cinquanta si era estesa anche alle Dolomiti con le scalate di Ball, Grohmann e degli Italiani Lacedelli, Siorpaes e Dimai. Si assiste ora a una vera e propria gara condizionata dagli interessi di Stato. Quintino Sella e Felice Giordano combattono l'ultima guerra del Risorgimento per una cima: "L'alpinista ha la data di nascita del soldato dell'Italia unita. Ci siamo innamorati delle nostre Alpi quando vi abbiamo riconosciuto le guardiane della patria. Il Cervino dev'essere strappato alla mano degli inglesi" (M. Mestre, "Le Alpi contese", Torino, 2000).  

PRINCIPALI SALITE E VETTE VIOLATE
1786 M. Bianco, 1804 Ortles, 1811 Jungfrau, 1829 Finsteraarhorn, 1829 Bernina, 1850 Antelao,1855 Civetta, 1863 Tofane, 1864 Adamello, 1864 Marmolada, 1865 Cervino, 1869 Sassolungo

Non si può chiudere questo capitolo senza parlare dell'ultimo grande alpinista, esploratore scienziato che va sotto il nome di Ardito Desio (1897-2001) che abbiamo già incontrato nelle esplorazioni africane.

Questo piccolo uomo già segnato nel destino dal nome nasce a Palmanova di Udine il 18 aprile 1897. Fu durante gli anni del liceo che Desio scoprì la passione per la montagna, passione che lo portò a scalare, molto precocemente, quasi tutti i monti delle Alpi Orientali Alla vigilia della guerra, all'insaputa della sua famiglia e come spesso succedeva falsificando documenti, si arruola ancora minorenne nelle formazioni dei Bersaglieri ciclisti volontari. Molti altri che non hanno ancora l’età minima come lui, e non sono inclusi nelle prime classi chiamate lo hanno già fatto. Si chiudeva spesso un occhio o tutti e due. C’era una aura da legione straniera fra quei reparti improvvisati in attesa di istruzione. Partecipa agli eventi bellici di quei primi mesi di guerra sul fronte orientale. Rimandato a casa al primo controllo formale, ne approfitta per conseguire la maturità liceale e per iscriversi alla Facoltà di Scienze dell'Università di Firenze. Nel 1917  venne chiamato dalla sua leva ordinaria e avviato ai corsi di ufficiale di complemento nel corpo degli Alpini. Ardito Desio partecipa a numerose operazioni di guerra finché, nel novembre del 1917, cade prigioniero. La prigionia durò quasi un anno, prima nel campo di Wegscheid presso Linz, in Austria, poi a Plan, in Boemia. In quei lunghi mesi imparò il tedesco leggendo libri di geologia e paletnologia che in qualche modo si era procurato. Conclusasi la triste esperienza della guerra, Desio poté riprendere i suoi studi universitari a Firenze, dove incontrò per la prima volta Italo Balbo. Desio si laureò col massimo dei voti il 27 luglio del 1920 e, dopo circa un anno, prese servizio all'Istituto di Geologia di Firenze. Le imprese successive sono ormai leggenda. Ardito Desio muore all’età di 104 e passa anni il 12 dicembre 2001.

In inglese

  http://www.alpinist.com/doc/ALP16/profile-matterhorn

foto del Cervino 

  http://erda.neozero.net/descarga/fotos/cervino.jpg   
     
LA FINE DI CARREL NEL RACCONTO LETTERARIO

rielaborato da JEAN ANTOINE CARREL: IL PADRE DI TUTTE LE GUIDE" VIRIGLIO ATTILIO LICINIO CAPPELLI EDITORE IN BOLOGNA 1A EDIZIONE XXXX

     

  Sigmaringen: disegno di WhimperJean-Antoine Carrel, il combattente delle guerre di indipendenza, contro Edward Whymper, l'ambizioso disegnatore britannico che vuole la cima a tutti i costi.  Whymper e compagni, saliti a sorpresa dalla cresta di Zermatt. Lo stesso giorno, la stessa ora, le stesse emozioni (ma forse non è vero, Carrel era ancora molto indietro)... Allora Carrel ritorna a Breuil sconfitto, ma Whymper è sconfitto a sua volta, e ben più duramente, perché tre inglesi e la guida Croz precipitano e muoiono durante la discesa. Incriminato e processato per omicidio colposo, Whymper sarà salvato all'atto del processo dalla testimonianza dello stesso Carrel. Carrel ( ignaro della tragedia), prosegue però la scalata del Cervino e tre giorni più tardi è in cima per la sua valle e per l'Italia di Sella.
     
A Perrucchetti andava comunque il merito dello “studio” –Considerazioni su la difesa di alcuni valichi alpini e proposta di un ordinamento… anno 1871.- che faceva seguito a una relazione dell’Agosto di una commissione parlamentare che sosteneva la convenienza di… sbarrare tutte le strade rotabili alpine…

Studio pubblicato nel maggio 1872 sulla "Rivista Militare", “pochi” mesi prima della creazione del Corpo. Cosi dirà nel 1911 (75° del Corpo e ritorno delle spoglie di Alessandro Ferrero della Marmora dalla Crimea). "...fin dal 1871, nel proporre per la difesa della frontiera, un ordinamento territoriale alpino, espressi il voto che ai difensori, nati nelle nostre montagne fosse dato il nome di Bersaglieri delle Alpi e che ...con norme analoghe a quelle praticate nel Tirolo (Alto Adige) si formassero anche reparti volontari di Bersaglieri" In effetti cosi si chiamò in trentino la Landwehr fino al grande conflitto.

  Un altro personaggio importante per il Corpo degli Alpini degli albori è Angelo Filippo Fonio coetaneo di Perrucchetti, nato a Galliate il 3/8/1839. Esce nel 1858 dalla Accademia di Torino come sottotenente dei Bersaglieri  e partecipa col 7° battaglione al passaggio della Sesia. E’ presente a Palestro (1859) dove merita l’argento e alla campagna nell’Italia Centrale col grado superiore. Fonio parteciperà anche da Capitano alla campagna del 1866. Fonio transiterà poi nel neonato Corpo degli Alpini dal 1882 e nel 1892 ne comanderà il 6° e 7° reggimento. Nel 1892 sotto il suo comando venne costruito il ricovero militare intitolato alla Regina Margherita nel gruppo del Canin, Predil. Il lavoro, durato sei mesi, venne eseguito dagli zappatori del 7° reggimento Alpini. Filippo Fonio lo volle, conscio dell'importanza dei ricoveri militari in quota. Il ricovero venne incendiato il 28 ottobre 1917 dalle truppe italiane in ripiegamento dal Rombòn, a seguito della disfatta di Caporetto.

Per saperne di più

http://www.planetmountain.com/Special/libri/narrativa/mondodalto.html       

http://www.inalto.org/temi/cultura/personaggi/schede/desio.shtml   

Torna all'indice di Carneade

Torna all'indice