La storia è racconto attraverso i libri Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito. 96 Eravamo sulla linea del fuoco di Angelo Gamberini con testi di Alma Gamberini
“Guardavo fuori gli alberi, i campi e più giù il torrente che mi parlassero di tutte le giornate che vi avevo vissuto, del mio mondo, che mi tenessero ancora con loro, lontano dalla guerra che mi chiamava. Così riuscivo a mantenere un contegno dignitoso” pag 11
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Gaspari editore Udine
il 15° Bersaglieri http://digilander.libero.it/fiammecremisi/approfondimenti/plezzo-saga-15.htm |
I Monticelli Rossi
- "Signor Generale, il nostro compito di agevolare la fanteria al "Ridottino dei Morti" si presenta più difficoltoso del previsto. Anche loro ripiegano da quella trincea."
- "Colonnello (Piaggia di
Santa Marina), proprio per evitare questo ripiegamento, che sarebbe uno
smacco per il corpo d'armata, dovete impegnare gli austriaci ai
"Monticelli Rossi." Sentivo con una certa meraviglia che il mio colonnello andava esprimendo dei concetti coraggiosi, che però non erano di casa in questa guerra disumana. Infatti il generale non ne tenne alcun conto e ordinò la preparazione immediata dell' attacco. Il tenente colonnello Piaggia non poté che rispondere: "Eseguirò gli ordini e uscirò dalla trincea in testa ai miei bersaglieri guidandoli all'assalto." Pag. 54
Ndr: Delle diverse chiavi di lettura del libro di Angelo dedicato al
padre Domenico, ho scelto di parlarvi degli ufficiali e del rapporto di
Domenico con questi che si apre a pagina trenta con un pericoloso qui
pro quo cui lui assiste (e che assiste anche a quello sopra di cui
diremo in seguito). |
.….. e Creso rispose: "Sovrano, ho agito così per la tua felicità e per la mia rovina: di tutto questo il colpevole fu il dio dei Greci, che mi esortò alla guerra. Perché nessuno è così folle da preferire la guerra alla pace: in pace i figli seppelliscono i padri, in guerra sono i padri a seppellire i figli. Ma piaceva forse a un dio che le cose andassero come sono andate" Libro 1 - par 85-87" di Erodoto |
Ci volle del bello e del buono perché il povero disgraziato non finisse
al muro. Era l'Italia dei cento dialetti che s’incontrava per la prima e
che avrebbe riempito altre pagine del libro/diario. Ed eravamo solo
all’inizio dei problemi. Domenico parla di un tenente e quindi di un
superiore “rodato” (si spera), ma in trincea c’era di tutto a partire
dagli aspiranti ufficiali appena “sbarcati” da uno dei tanti corsi
semestrali istituiti presso scuole militari e accademie sparse per l’Italia.
Accenno solo brevemente a quest’aspetto della guerra perché condizionerà
altri ricordi di Domenico e farà cambiare anche molte delle vostre
opinioni. Il bisogno disperato di uomini, e come comandarli, rese ben presto evidente che avevamo forse un esercito ma non avevamo una classe dirigente militare a partire dai modesti ma necessari sergenti su su fino ai Generali. Si ricorse così in fretta e furia a “costruirne” per decreto arruolando tutti i diplomati per sformare in tre mesi l’aspirante sottotenente poi la gavetta in trincea per tre mesi per patentarlo. E questo era l’unico lato positivo se non metteva in pericolo la vita dei sottoposti al primo assalto. Dal giugno 1915 al maggio 1916, in quattro corsi accelerati la scuola militare di Modena "sfornò" circa 12.400 Aspiranti. Ma i corsi potevano anche essere più corti di quanto detto. Si registrò nel ’15 il caso della scuola d'Artiglieria di Torino il cui corso durò 50 giorni !!. |
Dalle parole ai fatti: non essendoci in trincea tempo per catechizzazioni che non c'erano state prima nelle retrovie poteva anche succedere che .. | Così recitava nel 1914 la Gazzetta Ufficiale: Art.1. Per la durata di sei mesi dalla data del presente decreto i sottotenenti di complemento potranno essere reclutati anche dai caporali e caporalmaggiori in congedo o temporaneamente richiamati alle armi, che abbiano ottenuta la dichiarazione d'idoneità al grado di sergente e che posseggano tutti gli altri requisiti prescritti per i sottufficiali... I caporali diventavano ufficiali e gli ufficiali generali |
Dal diario di Dionigio Annovi da me raccolto …. e venne l'ordine di metterci in marcia, era buio e pioveva a dirotto. Distribuirono munizioni, maschere antigas, pacchetti di medicazione (garza, ovatta e iodio) e gallette. Erano arrivati anche ufficiali e un aspirante appena uscito dalla Accademia di Modena per il nostro plotone. Sostituiva il Sottotenente Montanari di Ferrara che ci trattava come fratelli. Il nuovo arrivato era pessimo, esordì con un cicchetto al Maresciallo perché non ci aveva presentati sull'attenti. Sul Carso, da lungo tempo, non si parlava più di attenti con i veterani. Si camminava ai lati della strada, la coperta in testa perché pioveva a dirotto e il nemico ci martellava. Marciando arrivammo alle case di San Martino (San Michele). Cominciavamo a sentire la stanchezza e il nuovo arrivato prese anche a calci qualcuno che era rimasto indietro. Al passaparola ci fermammo tutti. Caricammo un colpo in canna e si udì uno sparo (chi voleva capire, capiva). Arrivarono altri ufficiali e trasferirono il novellino. La discussione era chiusa. |
Ritorno a “bomba” a Domenico che esordisce a pagina trentaquattro con
l’incontro/scontro con Emilio de Bono allora colonnello comandante del
15° reggimento. Domenico aveva inforcato una bicicletta da bersagliere,
vero e proprio catenaccio in fatto di guida, manovrabilità e confort, e
si esercitava nella vaga speranza di essere messo prima o poi nelle
compagnie cicliste. Ma un dilemma sorse subito come ci si presenta o
saluta su tale mezzo quando s’incontrano dei superiori ?.
- Gli ufficiali erano ormai molto vicini ed io stavo ancora studiando la possibile manovra, ma non c'era più tempo! Così non mi venne altro se non il gesto abituale del soldato, il saluto militare ai superiori. Solo che, togliendo la mano destra dal manubrio per portarla alla fronte in segno di rispettoso saluto, persi l'equilibrio e, non avendo avuto il tempo di frenare, piombai rovinosamente addosso agli ufficiali. Erano i nostri comandanti, il colonnello Emilio De Bono e il capitano Ciavarra. I quali, ricomponendosi per gli effetti peraltro non gravi dell'impatto, si lasciarono andare a una grande risata e mi canzonavano mentre, impacciato e vergognoso, mi rialzavo: "E pensare che volevamo promuoverti al reparto ciclisti!. Sogno svanito De Bono, per chi non lo ricordasse, era quel vecchio col pizzetto che nel gennaio del '44 fu fucilato a Verona assieme a Galeazzo Ciano genero di Mussolini rei di aver tradito al Gran Consiglio del 25 luglio 1943 che fece cadere il fascismo. Non erano i soli. Uomo di un’energia infinita e di severe analisi, aveva già previsto gli sviluppi successivi al dopoguerra. De Bono dalle Memorie: le trincee - "Inconcepibile e irrazionale il tracciato della nostra linea. Assurdo aver ottemperato all’imposizione di non cedere un palmo di terreno conquistato, (1915 Trincea delle Frasche) se io avessi avuto il tempo necessario avrei corretto i più grossi difetti della linea, anche a costo di ritirarla in qualche punto. Fu oltremodo penoso e si prolungò per tutto un giorno e una notte: perdemmo quasi 1500 uomini". “Non ho vergogna di confessarlo - io mi trovavo di fronte ad un problema nuovissimo che non mi era mai stato dato di risolvere, neppure teoricamente, prima di allora. Il non vedere, il non poter sentirsi alla mano i propri soldati; capire la difficoltà che vi sarebbe stata per accorrere tempestivamente e nella direzione più opportuna con le riserve, mi dava una certa sensazione di impotenza”. “bisogna avere il coraggio di confessarlo: nel 1915 eravamo ancora spaesati; la guerra che si combatteva non era quella che ci avevano insegnato”. |
Tutti avevano la
faccia del Cristo
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Siamo alla Trincea delle Frasche tomba del 15° bersaglieri: è il 28
ottobre del 1915 Dice Domenico – A furia di sparare la canna del fucile si era talmente arroventata che mi cominciò a fumare tra le mani. Li vedevo (i nemici) sempre più vicini ..e il capitano Ciavarra “soldati continuate a sparare tanto tra poco saremo tutti morti”. Ma Domenico non muore, uno scoppio gli fa perdere i sensi e si
risveglia su una barella nelle retrovie. De Bono va ad ispezionarli e a
lui rivolgendosi “Bravo bersagliere! Ho visto i tuoi “scheletri” alla
trincea delle frasche”. Il giorno dopo il colonnello chiama a comandare il
50° battaglione, quello di Domenico, il Tenente Colonnello Francesco
Piaggia di Santa Marina. Era questi uno sportivo, nel vero senso della
parola, campione come tanti ufficiali dei bersaglieri nella disciplina
della scherma olimpica. Scrittore sia di cose militari che civili questi
apparteneva alla vecchia classe degli ufficiali nobili dell’800 che
riteneva il conflitto in corso inconcepibile nelle condizioni poi nella
maniera di gestirlo. Ma la guerra non era lo sport. Le olimpiadi (appena
introdotte) non interrompevano le guerre erano le guerre a interrompere
le olimpiadi. Sempre rispettoso dei sottoposti non mancava mai di
segnalarli per eventuali ricompense. Anche Domenico viene segnalato e un
anno dopo avrà il bronzo. |
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Alfonso La Marmora, fratello di Alessandro fondatore del corpo dei Bersaglieri, scriveva a suo tempo (risorgimento): "Il paese e l'esercito hanno diritto e bisogno di conoscere la verità e, piuttosto che dolermi di certe pubblicazioni come fanno coloro che confondono il tempo di guerra con il tempo di pace, io vorrei che in tempo di guerra tutti tacessero e in tempo di pace tutti parlassero (tutti gli uomini di buona fede si intende). può il governo lasciare agli intriganti faccendieri fuori dell'esercito libero il campo di accusare e calunniare chi loro voglia? E l'esercito non avrà mai la soddisfazione di sapere chi ha fatto bene e chi male dovendo talvolta anzi tollerare che alcuni trovino il modo di carpire il merito e le prove ?". |
- "Ero da tempo
portaordini del colonnello Piaggia che comandava il nostro 50°
battaglione. Quel pomeriggio egli incontrò il comandante la brigata,
incontro al quale, come portaordini, potei assistere.
Ndr: Preciso che per un portaordini stare dietro a un colonnello in
testa ai suoi durante un attacco è la via più breve per l’aldilà.
Domenico aveva scritto a casa la sera precedente l’attacco (mercoledì
9 agosto) e fra le altre cose aveva detto: Superato il tratto più esposto il colonnello è colpito a morte e cade rovesciandosi all’indietro. Domenico accorre per portarselo anche a spalle nelle retrovie ma non c’è più nulla da fare. Raccoglie e raduna i suoi effetti personali onde evitare che il cadavere sia saccheggiato in una controffensiva. C’è anche un bell’orologio fra le sue cose, quell’orologio che aveva nervosamente guardato fino all’ultimo istante prima dell’attacco. Si segna a memoria visiva il luogo in cui è caduto per poterlo recuperare anche in terra di nessuno con le tristi corvee post scontro ma non ce ne sarà bisogno. La moglie salirà poi dalla Sicilia per riportare a casa il marito e Domenico le racconta gli ultimi istanti di vita del comandante e dell’affetto che tutti provavano nei suoi confronti. Nell’allungargli l’orologio, un Longines da taschino, la signora lo rifiuta e vuole che sia lui a tenerlo per ricordarlo, cosa che Angelo anche a distanza di tempo ha fatto. Un impegno è un impegno. La lettera Domenico l'ha imbucata e viaggia per i meandri ufficiali ma è partito anche Domenico con una licenza premio in tasca ed è talmente veloce che arriva prima della lettera. – Giunto a Bologna, apprendo che la prossima corriera per Monghidoro partirà solo l'indomani. Allora decido di avviarmi a piedi. Dopo sette ore di marcia, coperti quasi cinquanta chilometri, arrivai a casa ancor prima che i miei ricevessero la lettera che avevo spedito. La leggemmo insieme la sera del giorno dopo, accanto al camino, trattenendo tutti a stento la commozione e le lacrime." |
"Francesco Lorenzo Pullè nei ricordi di uno scolaro". "Gli studenti della Facoltà di Lettere (Bologna), uscendo dalla grande aula ancora risonante della voce di Carducci, salivano le scale, per recarsi in un’altra aula, più modesta, quasi appartata, dove erano sicuri di essere accolti dalla cordiale, signorile ospitalità del Prof. Pullè. Ciò che spingeva i giovani a seguire l'insegnamento di Pullè era la consapevolezza di poter accedere a un universo nuovo e inesplorato: l'India, con la sua arcana e millenaria sapienza. I giovani rimanevano affascinati, dalle prospettive aperte dal risveglio di studi sull'India, iniziati in Germania e favoriti in Italia dalle Opere di Pullè stesso" . |
E la guerra continua. Molti ufficiali sono rimandati nelle retrovie per esaurimenti nervosi, trattamento di favore non ugualmente riservato alla truppa che in simili casi viene accusata di simulazione. Al 15° reggimento entra in servizio da luglio come ufficiale di collegamento con le unità superiori il capitano Francesco Lorenzo Pullè (1850-1934) professore a Bologna di filologia, volontario e membro di quella sparuta squadra di ultra sessantenni che hanno affrontato per l’ennesima volta l’odiato austriaco. Ma Pullè è anche senatore, ha i suoi impegni a Roma, e Domenico gli farà spesso da conducente con un calessino quando si ripresenta al fronte. Il 12 ottobre il senatore viene ferito. Per questo e per gli scontri di fine mese riceverà l’argento. Il morale fra gli uomini è a pezzi e non è infrequente che sorgano o si materializzino proteste e insubordinazioni quando i turni di riposo non sono rispettati. Se poi il diretto superiore non riesce a smussare il contendere la cosa diventa grave come in questa circostanza con una denuncia al tribunale di guerra. |
LA FUCILAZIONE Pag 58 e segg. Dal libro | |
Fu giudicata
gravissima la circostanza che quei soldati, essendo in tre, potevano
aver agito "in concerto tra loro", e che l’insubordinazione era avvenuta
"in faccia al nemico". La sentenza del tribunale di guerra fu la più
crudele: condanna a morte mediante fucilazione. Per i due più anziani e
con famiglia la condanna a morte fu commutata in pena detentiva, mentre
il più giovane, un ragazzo forse appena ventenne, doveva essere passato
per le armi. Il senatore Pullè aveva il compito di presenziare
all'esecuzione e mi volle come conducente. Quella sera assistemmo
all'accompagnamento del condannato in un bosco non molto lontano dalle
linee. Il terreno era imbiancato da una precoce sfarinata di neve.
Giunti sul posto, fermai il cavallo per far scendere il senatore dal
calesse. Allora udimmo il pianto disperato di quel povero ragazzo,
mentre era trascinato e legato a quella sedia con le mani dietro la
schiena. Quel piccolo soldato, intirizzito dal freddo e dal terrore, si
sottometteva a tutto senza un gesto di resistenza o di ribellione,
soltanto singhiozzava e chiamava in continuazione la madre. Il
cappellano militare gli si avvicinò con preghiere e parole di conforto,
ma lui seguiva solo il suo ultimo pensiero, che era un lamento,
un’invocazione continua, mamma, mamma. Uno strazio che non finiva.
Finché non si sentì una scarica di fucileria. Il ragazzo si piegò sul
fianco, finalmente quieto. Al ritorno il senatore Pullè era cupo e
silenzioso. " In data 28 ottobre il Senatore Pullè si reca col tenente Leopoldo Baracco al Tribunale di guerra del XIII Corpo d'Armata ed esprime riprovazione per la crudeltà dei tribunali militari, in particolare del colonnello Scolari, presidente di quel tribunale di guerra |
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Paolo Dompè |
E Domenico supera anche il vittorioso scontro del 2 novembre su quota
208 che frutta al Colonnello Paolo Dompè, da poco arrivato (già comandante
del XXX battaglione del 9°), il bronzo e a
tutto il reggimento l'agognata “vacanza” in Val Dogna. Gli organici sono
devastati e i polmoni dei bersaglieri pieni di miasmi e veleni. La Val
Dogna è il posto migliore per dimenticare la guerra e guarire le ferite.
Il Colonnello Dompè, forse consigliato dal senatore, prende Domenico
come attendente. Dico questo perché il senatore non aveva continuo
bisogno di un conducente: era spesso a Roma per le sedute parlamentari.
All’occasione si riprende, si spartiscono, calessino e conducente, ma
capiterà in quelle montagne che il trasporto standard sarà un asino. Il colonnello Dompè non amava le denunce e tutta la pratica burocratica che porta alla fine contro un muro. Se proprio era necessario punire un’infrazione un po’ seria preferiva chiamare in disparte il “colpevole” e somministrargli qualche vergata, neppure tanto forte. Doveva essere una pratica diffusa perché l’ho ritrovata anche fra gli alpini, gente tosta della nostra stessa tempra. Il colonnello alpino Luigi Chicco era famoso per il metodo con cui ristabiliva la disciplina dei ritardatari dalle licenze (diserzione). Il colonnello che era un armadio d'uomo non inoltrava denunce. Quando i ritardatari gli comparivano davanti alla baracca comando, chiudeva la porta, ma i tonfi e i moccoli si sentivano lo stesso lontani. All'aprirsi della porta il comandante si aggiustava la divisa e il ritardatario "Grassie tante sior colonel, el se sta bon, nol me desmentego un'altra volta". Pratica chiusa. E’ il 26 novembre 1916 quando nell’innevata valle, maestro di cerimonia il senatore, si organizza una modesta ma sentita cerimonia per la consegna delle decorazioni per i fatti dell'anno prima: un argento all’Aspirante Cesare Rivanera e sei bronzi compreso il suo (di Domenico), quello del conterraneo Mansueto Bonzi da Baricella e quello di Leopoldo Baracco. Era questi un giovane ufficiale (classe 1886) originario di Asti già avviato alla carriera forense sulla cui strada è entrata di forza la guerra. |
Leopoldo Baracco aveva aderito da giovane all'Azione Cattolica e nonostante il divieto per i cattolici di fare politica viene eletto consigliere comunale nella lista dei "Moderati Costituzionali". Quando termina il conflitto è tra i fondatori ad Asti del Partito Popolare di Don Sturzo. Entra alla Camera dei deputati la prima volta nel '19, poi ancora nel '21. ma son tempi difficili e il partito popolare deve pian piano cedere spazio ai fascisti. Baracco, che non fa mistero della sua estraneità alla visione politica di quel movimento, è radiato dalla professione di avvocato ed è costretto a ritirarsi anche dalla politica. Solo con la liberazione, il 27 aprile 1945, riunisce nel suo studio di via Carducci ad Asti il comitato dei promotori che formerà la Sezione provinciale della Democrazia Cristiana. Sarà eletto all'Assemblea Costituente e sarà senatore della Repubblica per ben 4 legislature. Muore nel 1966. |
Il primo dell’anno (1917) arriva inaspettatamente in valle il piccolo re che porta una decorazione alla bandiera del reggimento e in autunno, dopo mesi di pausa e riposo arriva anche li la Caporetto degli italiani nell’angolo più lontano d’Italia. Il Senatore è a Roma e Domenico da molti giorni è stato trasferito al vicino 16° reggimento che combatte in un’altra valle della Carnia. Entrambi, il 15° e il 16° rimarranno con molte compagnie intrappolate fra le valli e la pianura veneta. Il Senatore rientra da Roma solo dopo che è stato varato il nuovo governo Orlando il 30 ottobre. Sul treno per Bologna il senatore sente le notizie più esagerate e spera di trovare al comando tappa indicazioni per raggiungere i suoi. Al reparto ha lasciato tutto, cambi di vestiario, appunti e ricordi. Egli cercherà per giorni il 15° Bersaglieri, per settimane si recherà per averne notizie al Comando Supremo a Padova, ma ogni suo tentativo sarà vano, uomo dopo uomo quasi tutti finiranno in prigionia.
Per un ufficiale di carriera come Dompè la cattura dell'intero reggimento e la prigionia, che narriamo in altro capitolo, vuol dire la fine della carriera. Al ritorno grado superiore, medaglia ricordo ma fine degli incarichi |
La fine del 51° (LI) battaglione | |
Il primo a "perdersi" è il LI: questo l'ultimo ordine ricevuto il 27 ottobre 1917 dopo più nulla "Stamani il nemico attaccò stretta S. Rocco. Austriaci giunti a Stauli Buric e a quota 1820 di Monte Slenza. V.S. (Vostra signoria) con le truppe parta seguendo la strada che le indicherà la guida Ciccon. Dopo passati i ponti sul Fella V.S. ordinerà che siano fatti saltare, essendo le interruzioni già predisposte. Punto di riunione Chiusaforte. Firmato Col. Dompè. |
Dalle vette di Monte Schenone il 51° (battaglione del 15° Reggimento) giunge a Dogna. Brillano le mine sui ponti, sotto la protezione delle pistole mitragliatrici, la gran massa dei tralicci del ponte della ferrovia resiste in luogo d'ingombrare il passo al nemico che cala dal Canale di Dogna; per la Pontebbana avanzano i Tedeschi a masse serrate; il tentativo di forzare la strada nazionale verso Chiusaforte fallisce, essendo le gallerie della ferrovia già in mano all'avversario sceso in forze da Val Raccolana: occorre cercare altrove un varco per raggiungere il Reggimento, il Battaglione punta su Moggio Udinese aggirando l'angusta stretta di Chiusaforte. Attaccante ed attaccato, fatto segno al fuoco del Forte di Chiusa, già in possesso degli Austriaci (Quando a Chiusaforte venne l’ordine di usare i cannoni, le tavole di tiro erano già state bruciate. Il 29 ottobre la guarnigione del forte si arrendeva agli Jaeger della 59° divisione alpina. Il nemico ha ora in mano il forte), costretto a procedere per i più duri e infidi sentieri (Pian de’ Molini, Sella Patoc, Piananizza, Ponte per Aria, Ovadasso e Moggio), il 51° Battaglione, accerchiato dal nemico irrompente sul Canale del ferro, per ogni dove, decimato dai combattimenti e dalla tempesta, pressato, incalzato di giorno e di notte, stremato dalla deficienza delle munizioni, con la più deprimente visione dell'isolamento assoluto, il 31 ottobre, a notte alta, sull'angusta confluenza dell'Aupa col Fella, tentato invano di forzare Moggio già occupata da una Divisione austriaca, saltati i ponti da ogni lato, attanagliato dai monti e dal fiume avvolgente, esaurite le munizioni, scrisse con la baionetta l'ultima sua pagina. |
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All'epoca dei fatti di Caporetto, verso la fine di ottobre del 1917, Domenico non era quindi più col 50° battaglione. Reparti di Bersaglieri, sempre in Carnia, avevano bisogno di anziani in grado di concorrere con la loro esperienza all'addestramento dei più giovani non solo a fare la guerra, ma anche ad eseguire i vari lavori di trinceramento e di manutenzione delle attrezzature, sempre necessari per attestarsi a difesa o per avanzare all'attacco.
"Il colonnello Dompè, nel congedarmi, volle che
conservassi il ricordo del lungo periodo di lodevole servizio, non privo
di quella confidenza e simpatia che in qualche misura avevano pur potuto
esserci tra un ufficiale superiore e un piccolo bersagliere ai suoi
ordini per quasi un anno. Per questo mi consegnò una sua bella
fotografia che conservai sempre con molta cura. Mi trovavo col nuovo
reggimento (16°). nella zona di Cavazzo Carnico. Con lo sfondamento
austriaco a Caporetto, venimmo a essere anche noi pericolosamente
esposti all' accerchiamento, tagliati fuori dall' ordinato ripiegamento
della terza armata. La ritirata per noi fu quindi precipitosa e
avventurosa, salvo talvolta voltarsi indietro e sparare in direzione del
nemico, nel tentativo di bloccarne almeno per un po' l'avanzata.
Qualcuno diceva addirittura che, persa ormai la guerra, avremmo potuto
andarcene tutti finalmente a casa.
"Pur nella confusione generale, il nostro gruppo rimase sempre unito,
attento agli ordini superiori, fucile alla mano. Al Piave fummo
rapidamente messi in riga, in quella severa riorganizzazione che avrebbe
dato inizio alla resistenza vittoriosa e alla controffensiva.
Il suo servizio al 16° dura poco. Questo, come altri reggimenti e battaglioni, è andato completamente distrutto. Non esistono ufficiali, comandanti che possano ripristinare gli organici, men che meno nuove leve e complementi privi di esperienza. Si preferisce ridistribuire gli uomini rimasti, e validi, fra gli altri reggimenti che sono sott'organico ma con uno stato maggiore in piedi. Dopo un primo periodo passato nelle retrovie sul Garda, a fine febbraio se ne decide la soppressione. Anche fra i documenti ufficiali dopo il '17 non si trova per il 16° un comandante e dopo il 7 marzo 1918 solo un T. Colonnello in comando al 58° battaglione, l'ultimo operativo. Forse gli uomini validi come Domenico passati al 20° reggimento che col gemello 14° va a formare la giovane IV Brigata Bersaglieri. |
Lorenzo Del Boca Grande guerra,
piccoli generali UTET Torino 2007 Pagina 46 |
Il 20° Bersaglieri di Domenico può vantare un mese prima di Caporetto un attacco a sorpresa in Valsugana che mal gestito dai comandi porta alla perdita di moltissimi uomini del 72° battaglione e al fallimento di una operazione che poteva essere per gli austriaci la loro "Caporetto". Il 24 ottobre comunque la Brigata era investita sul fronte orientale dalla offensiva nemica e a ranghi falcidiati raggiunge il Piave. Entrambi i reggimenti saranno protagonisti sull'altopiano di Asiago (Valbella) di una disperata resistenza dai primi di dicembre alla fine di gennaio del 1918. Dal Diario storico della Brigata - Nei giorni dal 22 al 27 marzo 1918 il 14° viene destinato in prima linea sostituendovi il 250° fanteria, nella difesa dell'alto Posina (M. Pruche - M. Majo - Bocchette di Campiglia - Ciparle - Lighizzoli - valle dei Corvi). 11 4 aprile, poiché il settore Posina è stato suddiviso in due sottosettori, la brigata assume la difesa di uno di essi (alto Posina). Nello stesso giorno il LXXII/20° si porta ad occupare la linea "Rossa", fra q. 1740 degli Scarubbi e la testata di val Fucenecco. Il LXX ed il LXXI/20° permangono a S. Caterina quale riserva. La linea, con alacre lavoro, viene consolidata dai riparti che vi si alternano nella difesa. Vengono spinte ardite pattuglie verso le trincee avversarie. 11 16 giugno la brigata, destinata sul Piave, si riunisce tra S. Caterina - contrada Marsili, di dove il 21 si sposta, in auticarri, alla volta di Vascon (Treviso). Il giorno seguente rilevando riparti della "Caserta" si schiera in prima linea nel tratto: argine Regio di Candelù Maserada (23a divisione) ed il 23 giugno, poichè il nemico battuto è in ritirata, la brigata ha ordine di scacciarne gli ultimi nuclei e di ristabilire cosl il nostro completo possesso della riva destra del fiume. L'avanzata procede rapida e decisa tanto che alla sera le nostre precedenti linee vengono completamente riconquistate. Il 3 luglio, la brigata, destinata nuovamente sul settore alto Posina, viene rilevata dalla VI bersaglieri e, il 4, dalla stazione di Treviso parte diretta a Schio (69a divisione) riunendosi il 6 tra S. Caterina - C. Marsili - Contrada Bemardi. Il 19 luglio essa assume nuovamente la difesa del settore alto Posina. Il 30 agosto ha luogo un'azione per la conquista delle posizioni di M. Majo, tra il "dente di Cane" e "quota Gemella". |
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Cosi a pag 95 il
racconto della sofferenza e l'omonimia che lo vorrebbe morto.... Mio
figlio é a casa. Non é qui con me (il padre di Domenico), perché non sta
bene. È a letto da tre giorni. Trema e si agita, la febbre lo
divora. Urla di terrore, smania e suda tanto che le donne che lo
assistono, devono cambiargli più volte le lenzuola. Ma spero che col
tempo riuscirà a dimenticare gli orrori vissuti. Mi dispiace moltissimo
per tuo figlio. Se pensi che possa esserti utile
in qualche modo, conta pure su di me." |
L'azione principale viene affidata al LXXII/20° ed a nuclei del XXXI e LI riparto d'assalto; quella sussidiaria agli arditi del 14° reggimento ed a nuclei del LV riparto d'assalto. In un primo tempo, i nostri, con slancio riescono ad avanzare, ma poi, causa la forte pressione avversaria, sono costretti a ripiegare sulle posizioni di partenza. Dal 1° al 3 settembre la brigata, sostituita in linea dalla "Pallanza", scende a riposo a Torre Belvicino rimanendovi sino al 5 ottobre, epoca in cui torna a presidiare il consueto settore. Allorchè l'avversario, premuto dalla nostra offensiva finale si ritira, la brigata ha ordine. il 2 novembre, di avanzare verso la Borcola e la cresta di M. Maggio. Gli obbiettivi, malgrado la tenace resistenza nemica, vengono raggiunti e superati. In un secondo tempo alla brigata viene assegnata la conquista della linea Cima Maggio - Toraro ed il 3 novembre, essa raggiunge e oltrepassa Folgaria, mentre una piccola colonna di arditi del 14°, visti prima, giunge a Trento. |
Dopo quattro quasi cinque ininterrotti di servizio militare (era del 1892), e quattro di conflitto Domenico torna a casa in licenza ai primi di dicembre del 1918 (a guerra conclusa ma con la forza tutt'ora mobilitata), per un grave esaurimento nervoso che nel libro si dice abbia colpito anche molti superiori che nel caso vengono allontanati per non ingenerare nei bersaglieri stessi ulteriori paure. Il tema dello shock da stress verrà poi approfondito dalla medicina e dalla psichiatria quando decine di migliaia di soldati verranno ricoverati presso strutture sanitarie, del tutto simili ai manicomi, da cui molti non usciranno più. Oggi è anche nota come Sindrome del Vietnam. Si manifesta con reazioni nervose involontarie, come tremori, sudorazione fredda, convulsioni incontrollate; disturbi dell'equilibrio. A volte a questi fenomeni si associa la paura degli spazi aperti, l'insonnia, i sogni che spesso sono ricorrenti e sempre uguali, come quello classico di avere un nemico davanti e l'arma che premi il grilletto non spara. | |
per saperne di più |
http://www.grandeguerra.ccm.it/files/grandeguerra_itinerari_it_811_file_pdf_orig.pdf http://www.youreporter.it/video_Dolina_Bersaglieri_1 |
i danni collaterali della guerra http://dspace-unipr.cilea.it/bitstream/1889/1846/6/tesi la fata.pdf le nevrosi di guerra |