La storia è racconto attraverso i libri  

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

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Eravamo sulla linea del fuoco

di Angelo Gamberini con testi di Alma Gamberini

 

“Guardavo fuori gli alberi, i campi e più giù il torrente che mi parlassero di tutte le giornate che vi avevo vissuto, del mio mondo,

che mi tenessero ancora con loro, lontano dalla guerra che mi chiamava. Così riuscivo a mantenere un contegno dignitoso” pag 11

 

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Gaspari editore Udine

 

il 15° Bersaglieri

http://digilander.libero.it/fiammecremisi/approfondimenti/plezzo-saga-15.htm

I Monticelli Rossi

 

- "Signor Generale, il nostro compito di agevolare la fanteria al "Ridottino dei Morti" si presenta più difficoltoso del previsto. Anche loro ripiegano da quella trincea."

- "Colonnello (Piaggia di Santa Marina), proprio per evitare questo ripiegamento, che sarebbe uno smacco per il corpo d'armata, dovete impegnare gli austriaci ai "Monticelli Rossi."
- "In alcune incursioni, proseguiva il colonnello, - l'ultima di qualche ora fa - abbiamo potuto constatare che quella trincea risulta sgombra, ma i nostri incursori hanno dovuto ritirarsi rapidamente, investiti da una fitta fucileria. È probabile che il grosso delle forze nemiche siano concentrate al "Ridottino dei Morti" per respingere la nostra fanteria, ma è anche possibile che di proposito lascino vuota la trincea dei "Monticelli Rossi" sottraendosi come bersaglio certo alle nostre artiglierie e rifugiandosi in anfratti e doline non note, da cui poi colpire i nostri"
- "Come lei può ben rendersi conto, colonnello, le sue sono soltanto valutazioni opinabili, che non possono certo portare a una modifica del piano."
- "Vorrei però ricordarle, signor generale, che il nostro 15° reggimento ha già dato molto per la vittoria, ottenendo anche riconoscimenti al valore. Durante le campagne del Carso è stato più volte distrutto e ricostituito. Mi permetta da ultimo, signor generale, che bisognerà affrontare una spianata completamente allo scoperto, bersagliati dal fuoco nemico. Poi non posso sottacere che nel nostro reggimento ci sono molti padri di famiglia."
- "Con codeste sue valutazioni ispirate alla prudenza non si fa e non si vince la guerra", concludeva il generale.
 

Sentivo con una certa meraviglia che il mio colonnello andava esprimendo dei concetti coraggiosi, che però non erano di casa in questa guerra disumana. Infatti il generale non ne tenne alcun conto e ordinò la preparazione immediata dell' attacco. Il tenente colonnello Piaggia non poté che rispondere: "Eseguirò gli ordini e uscirò dalla trincea in testa ai miei bersaglieri guidandoli all'assalto." Pag. 54

 

Ndr: Delle diverse chiavi di lettura del libro di Angelo dedicato al padre Domenico, ho scelto di parlarvi degli ufficiali e del rapporto di Domenico con questi che si apre a pagina trenta con un pericoloso qui pro quo cui lui assiste (e che assiste anche a quello sopra di cui diremo in seguito).
-"Sperem in ti noster superiur ch'is seven guider:'. Il tenente, che non era emiliano, attribuì alla frase che aveva ascoltato un significato completamente stravolto, e assai drammatico: "Spariamo sui nostri superiori che non sanno guidarci" anziché il “speriamo nei superiori che sappiano guidarci”.

... e Creso rispose: "Sovrano, ho agito così per la tua felicità e per la mia rovina:  di tutto questo il colpevole fu il dio dei Greci, che mi esortò alla guerra. Perché nessuno è così folle da preferire la guerra alla pace: in pace i figli seppelliscono i padri, in guerra sono i padri a seppellire i figli.  Ma piaceva forse  a un dio che le cose andassero come sono andate" 

Libro 1 - par 85-87" di Erodoto

Ci volle del bello e del buono perché il povero disgraziato non finisse al muro. Era l'Italia dei cento dialetti che s’incontrava per la prima e che avrebbe riempito altre pagine del libro/diario. Ed eravamo solo all’inizio dei problemi. Domenico parla di un tenente e quindi di un superiore “rodato” (si spera), ma in trincea c’era di tutto a partire dagli aspiranti ufficiali appena “sbarcati” da uno dei tanti corsi semestrali istituiti presso scuole militari e accademie sparse per l’Italia. Accenno solo brevemente a quest’aspetto della guerra perché condizionerà altri ricordi di Domenico e farà cambiare anche molte delle vostre opinioni.
Il bisogno disperato di uomini, e come comandarli, rese ben presto evidente che avevamo forse un esercito ma non avevamo una classe dirigente militare a partire dai modesti ma necessari sergenti su su fino ai Generali. Si ricorse così in fretta e furia a “costruirne” per decreto arruolando tutti i diplomati per sformare in tre mesi l’aspirante sottotenente poi la gavetta in trincea per tre mesi per patentarlo. E questo era l’unico lato positivo se non metteva in pericolo la vita dei sottoposti al primo assalto.
Dal giugno 1915 al maggio 1916, in quattro corsi accelerati la scuola militare di Modena "sfornò" circa 12.400 Aspiranti. Ma i corsi potevano anche essere più corti di quanto detto. Si registrò nel ’15 il caso della scuola d'Artiglieria di Torino il cui corso durò 50 giorni !!.
Dalle parole ai fatti: non essendoci in trincea tempo per catechizzazioni che non c'erano state prima nelle retrovie poteva anche succedere che .. Così recitava nel 1914 la Gazzetta Ufficiale: Art.1. Per la durata di sei mesi dalla data del presente decreto i sottotenenti di complemento potranno essere reclutati anche dai caporali e caporalmaggiori in congedo o temporaneamente richiamati alle armi, che abbiano ottenuta la dichiarazione d'idoneità al grado di sergente e che posseggano tutti gli altri requisiti prescritti per i sottufficiali... I caporali diventavano ufficiali e gli ufficiali generali
Dal diario di Dionigio Annovi da me raccolto …. e venne l'ordine di metterci in marcia, era buio e pioveva a dirotto. Distribuirono munizioni, maschere antigas, pacchetti di medicazione (garza, ovatta e iodio) e gallette. Erano arrivati anche ufficiali e un aspirante appena uscito dalla Accademia di Modena per il nostro plotone. Sostituiva il Sottotenente Montanari di Ferrara che ci trattava come fratelli. Il nuovo arrivato era pessimo, esordì con un cicchetto al Maresciallo perché non ci aveva presentati sull'attenti. Sul Carso, da lungo tempo, non si parlava più di attenti con i veterani. Si camminava ai lati della strada, la coperta in testa perché pioveva a dirotto e il nemico ci martellava. Marciando arrivammo alle case di San Martino (San Michele). Cominciavamo a sentire la stanchezza e il nuovo arrivato prese anche a calci qualcuno che era rimasto indietro. Al passaparola  ci fermammo tutti. Caricammo un colpo in canna e  si udì uno sparo (chi voleva capire, capiva). Arrivarono altri ufficiali e trasferirono il novellino. La discussione era chiusa. Ritorno a “bomba” a Domenico che esordisce a pagina trentaquattro con l’incontro/scontro con Emilio de Bono allora colonnello comandante del 15° reggimento. Domenico aveva inforcato una bicicletta da bersagliere, vero e proprio catenaccio in fatto di guida, manovrabilità e confort, e si esercitava nella vaga speranza di essere messo prima o poi nelle compagnie cicliste. Ma un dilemma sorse subito come ci si presenta o saluta su tale mezzo quando s’incontrano dei superiori ?.

- Gli ufficiali erano ormai molto vicini ed io stavo ancora studiando la possibile manovra, ma non c'era più tempo! Così non mi venne altro se non il gesto abituale del soldato, il saluto militare ai superiori. Solo che, togliendo la mano destra dal manubrio per portarla alla fronte in segno di rispettoso saluto, persi l'equilibrio e, non avendo avuto il tempo di frenare, piombai rovinosamente addosso agli ufficiali. Erano i nostri comandanti, il colonnello Emilio De Bono e il capitano Ciavarra. I quali, ricomponendosi per gli effetti peraltro non gravi dell'impatto, si lasciarono andare a una grande risata e mi canzonavano mentre, impacciato e vergognoso, mi rialzavo: "E pensare che volevamo promuoverti al reparto ciclisti!. Sogno svanito

De Bono, per chi non lo ricordasse, era quel vecchio col pizzetto che nel gennaio del '44 fu fucilato a Verona assieme a Galeazzo Ciano genero di Mussolini rei di aver tradito al Gran Consiglio del 25 luglio 1943 che fece cadere il fascismo. Non erano i soli. Uomo di un’energia infinita e di severe analisi, aveva già previsto gli sviluppi successivi al dopoguerra. De Bono dalle Memorie: le trincee - "Inconcepibile e irrazionale il tracciato della nostra linea. Assurdo aver ottemperato all’imposizione di non cedere un palmo di terreno conquistato, (1915 Trincea delle Frasche) se io avessi avuto il tempo necessario avrei corretto i più grossi difetti della linea, anche a costo di ritirarla in qualche punto. Fu oltremodo penoso e si prolungò per tutto un giorno e una notte: perdemmo quasi 1500 uomini". “Non ho vergogna di confessarlo - io mi trovavo di fronte ad un problema nuovissimo che non mi era mai stato dato di risolvere, neppure teoricamente, prima di allora. Il non vedere, il non poter sentirsi alla mano i propri soldati; capire la difficoltà che vi sarebbe stata per accorrere tempestivamente e nella direzione più opportuna con le riserve, mi dava una certa sensazione di impotenza”. “bisogna avere il coraggio di confessarlo: nel 1915 eravamo ancora spaesati; la guerra che si combatteva non era quella che ci avevano insegnato”.

Tutti avevano la faccia del Cristo
nella livida aureola dell’elmetto
Tutti portavano l’insegna del supplizio
nella croce della baionetta
E nelle tasche il pane dell’ultima cena
E nella gola il pianto dell’ultimo addio

 
Siamo alla Trincea delle Frasche tomba del 15° bersaglieri: è il 28 ottobre del 1915
Dice Domenico – A furia di sparare la canna del fucile si era talmente arroventata che mi cominciò a fumare tra le mani. Li vedevo (i nemici) sempre più vicini ..e il capitano Ciavarra “soldati continuate a sparare tanto tra poco saremo tutti morti”.

Ma Domenico non muore, uno scoppio gli fa perdere i sensi e si risveglia su una barella nelle retrovie. De Bono va ad ispezionarli e a lui rivolgendosi “Bravo bersagliere! Ho visto i tuoi “scheletri” alla trincea delle frasche”. Il giorno dopo il colonnello chiama a comandare il 50° battaglione, quello di Domenico, il Tenente Colonnello Francesco Piaggia di Santa Marina. Era questi uno sportivo, nel vero senso della parola, campione come tanti ufficiali dei bersaglieri nella disciplina della scherma olimpica. Scrittore sia di cose militari che civili questi apparteneva alla vecchia classe degli ufficiali nobili dell’800 che riteneva il conflitto in corso inconcepibile nelle condizioni poi nella maniera di gestirlo. Ma la guerra non era lo sport. Le olimpiadi (appena introdotte) non interrompevano le guerre erano le guerre a interrompere le olimpiadi. Sempre rispettoso dei sottoposti non mancava mai di segnalarli per eventuali ricompense. Anche Domenico viene segnalato e un anno dopo avrà il bronzo.
E’ opinione diffusa che le ricompense al valore spingano il soldato a un più alto senso del dovere e dell’eroismo, ma non è vero. Dalla proposta all’assegnazione della ricompensa passava molto tempo e quando arrivava quasi non te ne ricordavi più. Erano poche le promozioni sul campo e di solito in "articulo mortis". Il re spesso, da un osservatorio, assisteva ai sanguinosi attacchi poi passava con le medaglie. Nel marzo del 1916 De Bono è promosso Generale e passa a comandare la Brigata di Fanteria Trapani, Il suo posto è preso da Villanis poi da Eugenio Orso ma durano poco. Piaggia, per i meriti indiscussi, nei vuoti di comando assolve ad interim la funzione di comando. E la guerra continua fino ad arrivare ai giorni della Gorizia Liberata dell’agosto del ’16. Su tutto il fronte si combatte per ingannare dove avvenga lo sforzo decisivo. Siamo sempre sul carso a sud alla trincea delle Frasche dove i nomi sono sempre malauguranti: Ridottino dei morti, passo del diavolo, passo della morte, etc.. Ma sentiamo direttamente dalle parole di Domenico come si svolge il fatto dei Monticelli Rossi:

Alfonso La Marmora, fratello di Alessandro fondatore del corpo dei Bersaglieri, scriveva a suo tempo (risorgimento): "Il paese e l'esercito hanno  diritto e bisogno di conoscere la verità e, piuttosto che dolermi di certe pubblicazioni come fanno coloro che confondono il tempo di guerra con il tempo di pace, io vorrei che in tempo di guerra tutti tacessero e in tempo di pace tutti parlassero (tutti gli uomini di buona fede si intende). può il governo lasciare agli intriganti faccendieri fuori dell'esercito libero il campo di accusare  e calunniare chi loro voglia? E l'esercito non avrà mai la soddisfazione di sapere chi ha fatto bene e chi male dovendo talvolta anzi tollerare che alcuni trovino  il modo di carpire il merito e le prove ?".

- "Ero da tempo portaordini del colonnello Piaggia che comandava il nostro 50° battaglione. Quel pomeriggio egli incontrò il comandante la brigata, incontro al quale, come portaordini, potei assistere.
"Signor Generale, il nostro compito di agevolare la fanteria al "Ridottino dei Morti" si presenta più difficoltoso del previsto. Anche loro ripiegano da quella trincea."
segue sopra....Andiamo: disse finalmente.
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Ndr: Preciso che per un portaordini stare dietro a un colonnello in testa ai suoi durante un attacco è la via più breve per l’aldilà. Domenico aveva scritto a casa la sera precedente l’attacco (mercoledì 9 agosto) e fra le altre cose aveva detto:
- Voglio viverle da sveglio queste ultime ore della notte che potrebbero anche essere le mie ultime -

Superato il tratto più esposto il colonnello è colpito a morte e cade rovesciandosi all’indietro. Domenico accorre per portarselo anche a spalle nelle retrovie ma non c’è più nulla da fare. Raccoglie e raduna i suoi effetti personali onde evitare che il cadavere sia saccheggiato in una controffensiva. C’è anche un bell’orologio fra le sue cose, quell’orologio che aveva nervosamente guardato fino all’ultimo istante prima dell’attacco. Si segna a memoria visiva il luogo in cui è caduto per poterlo recuperare anche in terra di nessuno con le tristi corvee post scontro ma non ce ne sarà bisogno. La moglie salirà poi dalla Sicilia per riportare a casa il marito e Domenico le racconta gli ultimi istanti di vita del comandante e dell’affetto che tutti provavano nei suoi confronti. Nell’allungargli l’orologio, un Longines da taschino, la signora lo rifiuta e vuole che sia lui a tenerlo per ricordarlo, cosa che Angelo anche a distanza di tempo ha fatto. Un impegno è un impegno.

La lettera Domenico l'ha imbucata e viaggia per i meandri ufficiali ma è partito anche Domenico con una licenza premio in tasca ed è talmente veloce che arriva prima della lettera. – Giunto a Bologna, apprendo che la prossima corriera per Monghidoro partirà solo l'indomani. Allora decido di avviarmi a piedi. Dopo sette ore di marcia, coperti quasi cinquanta chilometri, arrivai a casa ancor prima che i miei ricevessero la lettera che avevo spedito. La leggemmo insieme la sera del giorno dopo, accanto al camino, trattenendo tutti a stento la commozione e le lacrime."

"Francesco Lorenzo Pullè nei ricordi di uno scolaro". "Gli studenti della Facoltà di Lettere (Bologna), uscendo dalla grande aula ancora risonante della voce di Carducci, salivano le scale, per recarsi in un’altra aula, più modesta, quasi appartata, dove erano sicuri di essere accolti dalla cordiale, signorile ospitalità del Prof. Pullè. Ciò che spingeva i giovani a  seguire l'insegnamento di Pullè era la consapevolezza di poter accedere a un universo nuovo e inesplorato: l'India, con la sua arcana e millenaria sapienza. I giovani rimanevano affascinati,  dalle prospettive aperte dal  risveglio di studi  sull'India, iniziati  in Germania e favoriti in Italia dalle Opere di Pullè stesso" .

E la guerra continua. Molti ufficiali sono rimandati nelle retrovie per esaurimenti nervosi, trattamento di favore non ugualmente riservato alla truppa che in simili casi viene accusata di simulazione. Al 15° reggimento entra in servizio da luglio come ufficiale di collegamento con le unità superiori il capitano Francesco Lorenzo Pullè (1850-1934) professore a Bologna di filologia, volontario e membro di quella sparuta squadra di ultra sessantenni che hanno affrontato per l’ennesima volta l’odiato austriaco. Ma Pullè è anche senatore, ha i suoi impegni a Roma, e Domenico gli farà spesso da conducente con un calessino quando si ripresenta al fronte. Il 12 ottobre il senatore viene ferito. Per questo e per gli scontri di fine mese riceverà l’argento. Il morale fra gli uomini è a pezzi e non è infrequente che sorgano o si materializzino proteste e insubordinazioni quando i turni di riposo non sono rispettati. Se poi il diretto superiore non riesce a smussare il contendere la cosa diventa grave come in questa circostanza con una denuncia al tribunale di guerra.
LA FUCILAZIONE Pag 58 e segg. Dal libro
Fu giudicata gravissima la circostanza che quei soldati, essendo in tre, potevano aver agito "in concerto tra loro", e che l’insubordinazione era avvenuta "in faccia al nemico". La sentenza del tribunale di guerra fu la più crudele: condanna a morte mediante fucilazione. Per i due più anziani e con famiglia la condanna a morte fu commutata in pena detentiva, mentre il più giovane, un ragazzo forse appena ventenne, doveva essere passato per le armi. Il senatore Pullè aveva il compito di presenziare all'esecuzione e mi volle come conducente. Quella sera assistemmo all'accompagnamento del condannato in un bosco non molto lontano dalle linee. Il terreno era imbiancato da una precoce sfarinata di neve. Giunti sul posto, fermai il cavallo per far scendere il senatore dal calesse. Allora udimmo il pianto disperato di quel povero ragazzo, mentre era trascinato e legato a quella sedia con le mani dietro la schiena. Quel piccolo soldato, intirizzito dal freddo e dal terrore, si sottometteva a tutto senza un gesto di resistenza o di ribellione, soltanto singhiozzava e chiamava in continuazione la madre. Il cappellano militare gli si avvicinò con preghiere e parole di conforto, ma lui seguiva solo il suo ultimo pensiero, che era un lamento, un’invocazione continua, mamma, mamma. Uno strazio che non finiva. Finché non si sentì una scarica di fucileria. Il ragazzo si piegò sul fianco, finalmente quieto. Al ritorno il senatore Pullè era cupo e silenzioso.

" In data 28 ottobre il Senatore Pullè si reca col tenente Leopoldo Baracco al Tribunale di guerra del XIII Corpo d'Armata ed esprime riprovazione per la crudeltà dei tribunali militari, in particolare del colonnello Scolari, presidente di quel tribunale di guerra

   

Paolo Dompè

E Domenico supera anche il vittorioso scontro del 2 novembre su quota 208 che frutta al Colonnello Paolo Dompè, da poco arrivato (già comandante del XXX battaglione del 9°), il bronzo e a tutto il reggimento l'agognata “vacanza” in Val Dogna. Gli organici sono devastati e i polmoni dei bersaglieri pieni di miasmi e veleni. La Val Dogna è il posto migliore per dimenticare la guerra e guarire le ferite. Il Colonnello Dompè, forse consigliato dal senatore, prende Domenico come attendente. Dico questo perché il senatore non aveva continuo bisogno di un conducente: era spesso a Roma per le sedute parlamentari. All’occasione si riprende, si spartiscono, calessino e conducente, ma capiterà in quelle montagne che il trasporto standard sarà un asino.
 

Il colonnello Dompè non amava le denunce e tutta la pratica burocratica che porta alla fine contro un muro. Se proprio era necessario punire un’infrazione un po’ seria preferiva chiamare in disparte il “colpevole” e somministrargli qualche vergata, neppure tanto forte. Doveva essere una pratica diffusa perché l’ho ritrovata anche fra gli alpini, gente tosta della nostra stessa tempra. Il colonnello alpino Luigi Chicco era famoso per il metodo con cui ristabiliva la disciplina dei ritardatari dalle licenze (diserzione). Il colonnello che era un armadio d'uomo non inoltrava denunce. Quando i ritardatari gli comparivano davanti alla baracca comando, chiudeva la porta, ma i tonfi e i moccoli si sentivano lo stesso lontani. All'aprirsi della porta il comandante si aggiustava la divisa e il ritardatario "Grassie tante sior colonel, el se sta bon, nol me desmentego un'altra volta". Pratica chiusa.

E’ il 26 novembre 1916 quando nell’innevata valle, maestro di cerimonia il senatore, si organizza una modesta ma sentita cerimonia per la consegna delle decorazioni per i fatti dell'anno prima: un argento all’Aspirante Cesare Rivanera e sei bronzi compreso il suo (di Domenico), quello del conterraneo Mansueto Bonzi da Baricella e quello di Leopoldo Baracco. Era questi un giovane ufficiale (classe 1886) originario di Asti già avviato alla carriera forense sulla cui strada è entrata di forza la guerra.

   

Leopoldo Baracco aveva aderito da giovane all'Azione Cattolica e nonostante il divieto per i cattolici di fare politica viene eletto consigliere comunale nella lista dei "Moderati Costituzionali". Quando termina il conflitto è tra i fondatori ad Asti del Partito Popolare di Don Sturzo. Entra alla Camera dei deputati la prima volta nel '19, poi ancora nel '21. ma son tempi difficili e il partito popolare deve pian piano cedere spazio ai fascisti. Baracco, che non fa mistero della sua estraneità alla visione politica di quel movimento, è radiato dalla professione di avvocato ed è costretto a ritirarsi anche dalla politica. Solo con la liberazione, il 27 aprile 1945, riunisce nel suo studio di via Carducci ad Asti il comitato dei promotori che formerà la Sezione provinciale della Democrazia Cristiana. Sarà eletto all'Assemblea Costituente e sarà senatore della Repubblica per ben 4 legislature. Muore nel 1966.

Il primo dell’anno (1917) arriva inaspettatamente in valle il piccolo re che porta una decorazione alla bandiera del reggimento e in autunno, dopo mesi di pausa e riposo arriva anche li la Caporetto degli italiani nell’angolo più lontano d’Italia. Il Senatore è a Roma e Domenico da molti giorni è stato trasferito al vicino 16° reggimento che combatte in un’altra valle della Carnia. Entrambi, il 15° e il 16° rimarranno con molte compagnie intrappolate fra le valli e la pianura veneta. Il Senatore rientra da Roma solo dopo che è stato varato il nuovo governo Orlando il 30 ottobre. Sul treno per Bologna il senatore sente le notizie più esagerate e spera di trovare al comando tappa indicazioni per raggiungere i suoi. Al reparto ha lasciato tutto, cambi di vestiario, appunti e ricordi. Egli cercherà per giorni il 15° Bersaglieri, per settimane si recherà per averne notizie al Comando Supremo a Padova, ma ogni suo tentativo sarà vano, uomo dopo uomo quasi tutti finiranno in prigionia.


Dal suo Diario - Lunedì 5 novembre, Meduna: La riva destra del fiume (Tagliamento) è già occupata fra Pinzano e il lago di Cavazzo Carnico e la depressione dove sono impegnati i resti della 36ª Div. e quindi il mio 15° come sapeva il Cadorna. Pare che le truppe tedesche operino nella parte alta, mentre le austriache avanzano nella pianura. Si combatte ancora lassù ma di qui non ci si arriva più. Per raggiungere la via più sicura per Longarone dalla valle del Tagliamento, c’è la Clautana, strada e sentieri di montagna ad alta quota. La più prossima è quella per la valle del Meduna. E' probabile che chi ha potuto, prenda questa; quella da Verzegnis lungo le rive del torrente Arzino, li porterebbe da oggi in bocca al lupo; a quest'ora i nemici occuperanno per certo Forgaria e Clauzetto.

 

Per un ufficiale di carriera come Dompè la cattura dell'intero reggimento e la prigionia, che narriamo in altro capitolo, vuol dire la fine della carriera. Al ritorno grado superiore, medaglia ricordo ma fine degli incarichi

  La fine del 51° (LI) battaglione

Il primo a "perdersi" è il LI: questo l'ultimo ordine ricevuto il 27 ottobre 1917 dopo più nulla

"Stamani il nemico attaccò stretta S. Rocco. Austriaci giunti a Stauli Buric e a quota 1820 di Monte Slenza. V.S. (Vostra signoria) con le truppe parta seguendo la strada che le indicherà la guida Ciccon. Dopo passati i ponti sul Fella V.S. ordinerà che siano fatti saltare, essendo le interruzioni già predisposte. Punto di riunione Chiusaforte. Firmato Col. Dompè.

Dalle vette di Monte Schenone il 51° (battaglione del 15° Reggimento) giunge a Dogna. Brillano le mine sui ponti, sotto la protezione delle pistole mitragliatrici, la gran massa dei tralicci del ponte della ferrovia resiste in luogo d'ingombrare il passo al nemico che cala dal Canale di Dogna; per la Pontebbana avanzano i Tedeschi a masse serrate; il tentativo di forzare la strada nazionale verso Chiusaforte fallisce, essendo le gallerie della ferrovia già in mano all'avversario sceso in forze da Val Raccolana: occorre cercare altrove un varco per raggiungere il Reggimento, il Battaglione punta su Moggio Udinese aggirando l'angusta stretta di Chiusaforte. Attaccante ed attaccato, fatto segno al fuoco del Forte di Chiusa, già in possesso degli Austriaci (Quando a Chiusaforte venne l’ordine di usare i cannoni, le tavole di tiro erano già state bruciate. Il 29 ottobre la guarnigione del forte si arrendeva agli Jaeger della 59° divisione alpina. Il nemico ha ora in mano il forte), costretto a procedere per i più duri e infidi sentieri (Pian de’ Molini, Sella Patoc, Piananizza, Ponte per Aria, Ovadasso e Moggio), il 51° Battaglione, accerchiato dal nemico irrompente sul Canale del ferro, per ogni dove, decimato dai combattimenti e dalla tempesta, pressato, incalzato di giorno e di notte, stremato dalla deficienza delle munizioni, con la più deprimente visione dell'isolamento assoluto, il 31 ottobre, a notte alta, sull'angusta confluenza dell'Aupa col Fella, tentato invano di forzare Moggio già occupata da una Divisione austriaca, saltati i ponti da ogni lato, attanagliato dai monti e dal fiume avvolgente, esaurite le munizioni, scrisse con la baionetta l'ultima sua pagina.

   

All'epoca dei fatti di Caporetto, verso la fine di ottobre del 1917, Domenico non era quindi più col 50° battaglione. Reparti di Bersaglieri, sempre in Carnia, avevano bisogno di anziani in grado di concorrere con la loro esperienza all'addestramento dei più giovani non solo a fare la guerra, ma anche ad eseguire i vari lavori di trinceramento e di manutenzione delle attrezzature, sempre necessari per attestarsi a difesa o per avanzare all'attacco.

"Il colonnello Dompè, nel congedarmi, volle che conservassi il ricordo del lungo periodo di lodevole servizio, non privo di quella confidenza e simpatia che in qualche misura avevano pur potuto esserci tra un ufficiale superiore e un piccolo bersagliere ai suoi ordini per quasi un anno. Per questo mi consegnò una sua bella fotografia che conservai sempre con molta cura. Mi trovavo col nuovo reggimento (16°). nella zona di Cavazzo Carnico. Con lo sfondamento austriaco a Caporetto, venimmo a essere anche noi pericolosamente esposti all' accerchiamento, tagliati fuori dall' ordinato ripiegamento della terza armata. La ritirata per noi fu quindi precipitosa e avventurosa, salvo talvolta voltarsi indietro e sparare in direzione del nemico, nel tentativo di bloccarne almeno per un po' l'avanzata. Qualcuno diceva addirittura che, persa ormai la guerra, avremmo potuto andarcene tutti finalmente a casa. "Pur nella confusione generale, il nostro gruppo rimase sempre unito, attento agli ordini superiori, fucile alla mano. Al Piave fummo rapidamente messi in riga, in quella severa riorganizzazione che avrebbe dato inizio alla resistenza vittoriosa e alla controffensiva.

LA  IV BRIGATA BERSAGLIERI E IL RITORNO A CASA.

Il suo servizio al 16° dura poco. Questo, come altri reggimenti e battaglioni, è andato completamente distrutto. Non esistono ufficiali,   comandanti che possano ripristinare gli organici, men che meno nuove leve e complementi privi di esperienza. Si preferisce ridistribuire gli uomini rimasti, e validi, fra gli altri reggimenti che sono sott'organico ma con uno stato maggiore in piedi. Dopo un primo periodo passato nelle retrovie sul Garda, a fine febbraio se ne decide la soppressione. Anche fra i documenti ufficiali dopo il '17 non si trova per il 16° un comandante e dopo il 7 marzo 1918 solo un T. Colonnello in comando al 58° battaglione, l'ultimo operativo. Forse gli uomini validi come Domenico passati al 20° reggimento che col gemello 14° va a formare la giovane IV Brigata Bersaglieri.

Lorenzo Del Boca Grande guerra, piccoli generali UTET Torino 2007 Pagina 46
... In campo di battaglia, di fronte ai nemici veri che li combattevano ad armi pari, (molti) si lasciavano divorare dai dubbi e dall'impotenza. E il più delle volte scappavano con la coda in mezzo alle gambe, senza pudore e senza vergogna. Semmai, l'aspetto straordinario della questione stava nel fatto che riuscivano a fare ricadere la colpa del disastro bellico su qualche altro. E, se non rimediavano una medaglia al valore, almeno uscivano indenni da una sconfitta che, in qualunque parte del mondo, sarebbe risultata scandalosa. Allontanandosi dal fronte, raggiungendo le piazze delle loro città, i conigli riprendevano vigore. Senza nemici da combattere, alle prese con operai o studenti che protestavano, il coraggio tornava nel cuore degli ufficiali. ... Non erano tagliati per i combattimenti veri, quei tromboni in divisa. Non disponevano di scuole dove imparare e non avevano l'umiltà di mettersi a disposizione per capire. Faceva loro difetto l'intelligenza, la fantasia, la duttilità per comprendere le situazioni e «leggere» il terreno dello scontro. In abbondanza soltanto vanagloria.

Il 20° Bersaglieri di Domenico può vantare un mese prima di Caporetto un attacco a sorpresa in Valsugana che mal gestito dai comandi porta alla perdita di moltissimi uomini del 72° battaglione e al fallimento di una operazione che poteva essere per gli austriaci la loro "Caporetto". Il 24 ottobre comunque la Brigata era investita sul fronte orientale dalla offensiva nemica e a ranghi falcidiati raggiunge il Piave. Entrambi i reggimenti saranno protagonisti sull'altopiano di Asiago (Valbella) di una disperata resistenza dai primi di dicembre alla fine di gennaio del 1918.

Dal Diario storico della Brigata - Nei giorni dal 22 al 27 marzo 1918 il 14° viene destinato in prima linea sostituendovi il 250° fanteria, nella difesa dell'alto Posina (M. Pruche - M. Majo - Bocchette di Campiglia - Ciparle - Lighizzoli - valle dei Corvi). 11 4 aprile, poiché il settore Posina è stato suddiviso in due sottosettori, la brigata assume la difesa di uno di essi (alto Posina). Nello stesso giorno il LXXII/20° si porta ad occupare la linea "Rossa", fra q. 1740 degli Scarubbi e la testata di val Fucenecco. Il LXX ed il LXXI/20° permangono a S. Caterina quale riserva. La linea, con alacre lavoro, viene consolidata dai riparti che vi si alternano nella difesa. Vengono spinte ardite pattuglie verso le trincee avversarie. 11 16 giugno la brigata, destinata sul Piave, si riunisce tra S. Caterina - contrada Marsili, di dove il 21 si sposta, in auticarri, alla volta di Vascon (Treviso). Il giorno seguente rilevando riparti della "Caserta" si schiera in prima linea nel tratto: argine Regio di Candelù Maserada (23a divisione) ed il 23 giugno, poichè il nemico battuto è in ritirata, la brigata ha ordine di scacciarne gli ultimi nuclei e di ristabilire cosl il nostro completo possesso della riva destra del fiume. L'avanzata procede rapida e decisa tanto che alla sera le nostre precedenti linee vengono completamente riconquistate. Il 3 luglio, la brigata, destinata nuovamente sul settore alto Posina, viene rilevata dalla VI bersaglieri e, il 4, dalla stazione di Treviso parte diretta a Schio (69a divisione) riunendosi il 6 tra S. Caterina - C. Marsili - Contrada Bemardi. Il 19 luglio essa assume nuovamente la difesa del settore alto Posina. Il 30 agosto ha luogo un'azione per la conquista delle posizioni di M. Majo, tra il "dente di Cane" e "quota Gemella".

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Cosi a pag 95 il racconto della sofferenza e l'omonimia che lo vorrebbe morto.... Mio figlio é a casa. Non é qui con me (il padre di Domenico), perché non sta bene. È a letto da tre giorni. Trema e si agita, la febbre lo  divora. Urla di terrore, smania e suda tanto che le donne che lo assistono, devono cambiargli più volte le lenzuola. Ma spero che col tempo riuscirà a dimenticare gli orrori vissuti. Mi dispiace moltissimo per tuo figlio. Se pensi che possa esserti utile in qualche modo, conta pure su di me."
In quella stretta di mano di saluto intenso e commosso, c'era tutta la condivisione, da parte dei due padri, dei lutti e della disperazione provocati per tutti dalla guerra.
Gamberini Domenico, di Angelo, celibe, colono, soldato del 3° artiglieria da montagna, nato il 5 ottobre 1886 a Monghidoro, distretto di Bologna. Morto il 3 dicembre 1918 nell'ospedaletto da campo 164, per malattia."
 

L'azione principale viene affidata al LXXII/20° ed a nuclei del XXXI e LI riparto d'assalto; quella sussidiaria agli arditi del 14° reggimento ed a nuclei del LV riparto d'assalto. In un primo tempo, i nostri, con slancio riescono ad avanzare, ma poi, causa la forte pressione avversaria, sono costretti a ripiegare sulle posizioni di partenza. Dal 1° al 3 settembre la brigata, sostituita in linea dalla "Pallanza", scende a riposo a Torre Belvicino rimanendovi sino al 5 ottobre, epoca in cui torna a presidiare il consueto settore. Allorchè l'avversario, premuto dalla nostra offensiva finale si ritira, la brigata ha ordine. il 2 novembre, di avanzare verso la Borcola e la cresta di M. Maggio. Gli obbiettivi, malgrado la tenace resistenza nemica, vengono raggiunti e superati. In un secondo tempo alla brigata viene assegnata la conquista della linea Cima Maggio - Toraro ed il 3 novembre, essa raggiunge e oltrepassa Folgaria, mentre una piccola colonna di arditi del 14°, visti prima, giunge a Trento.
 
Dopo quattro quasi cinque ininterrotti di servizio militare (era del 1892), e quattro di conflitto Domenico torna a casa in licenza ai primi di dicembre del 1918 (a guerra conclusa ma con la forza tutt'ora mobilitata),  per un grave esaurimento nervoso che nel libro si dice abbia colpito anche molti superiori che nel caso vengono allontanati per non ingenerare nei bersaglieri stessi ulteriori paure. Il tema dello shock da stress  verrà poi approfondito dalla medicina e dalla psichiatria quando decine di migliaia di soldati verranno ricoverati presso strutture sanitarie, del tutto simili ai manicomi, da cui molti non usciranno più. Oggi è anche nota come Sindrome del Vietnam. Si manifesta  con reazioni nervose involontarie, come tremori, sudorazione fredda, convulsioni incontrollate; disturbi dell'equilibrio. A volte a questi fenomeni si associa la paura degli spazi aperti, l'insonnia, i sogni che spesso sono ricorrenti e sempre uguali, come quello classico di avere un nemico davanti e l'arma che premi il grilletto non spara.

per saperne di più  

http://www.grandeguerra.ccm.it/files/grandeguerra_itinerari_it_811_file_pdf_orig.pdf   http://www.youreporter.it/video_Dolina_Bersaglieri_1

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i danni collaterali della guerra http://dspace-unipr.cilea.it/bitstream/1889/1846/6/tesi la fata.pdf  le nevrosi di guerra