La storia è racconto attraverso i libri

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

84

Trent'anni di lotte dei comunisti italiani

Paolo Robotti -Giovanni Germanetto

Edizioni di cultura sociale

  Paolo Robotti

LA STORIA SECONDO IL PCI 

Pag. 186 del libro…Le potenze occidentali fecero dichiarare al ministro degli esteri polacco, colonnello Bek, legato a filo doppio alla Germania, che la Polonia non avrebbe permesso il passaggio di truppe sovietiche anche nel caso di una aggressione nazista. Mentre i colloqui erano in corso, la stampa inglese (23 luglio 1939) annunciò il prossimo inizio di trattative anglo-tedesche per la concessione alla Germania di un prestito di 100 milioni di sterline (ndr: non so dove peschi questa informazione bufala perché non c'è alcun riscontro). In questa situazione l'U. R. S. S., che non intendeva prestarsi al giuoco anglofrancese, nell'estate del 1939, mentre le «democrazie» tiravano alle lunghe le trattative, senza volerle concludere, accettò la proposta tedesca di negoziare un patto di non aggressione con la Germania. Il patto (noto anche come patto Ribbentrop-Molotov) venne rapidamente concluso e firmato il 23 agosto 1939 a Mosca. Era evidente che il governo sovietico - il quale era sempre stato disposto a concludere patti di non aggressione con ogni paese non poteva lasciar cadere nel vuoto la proposta tedesca senza favorire il giuoco anglo-francese; in questo caso la Germania avrebbe accelerato i tempi della sua aggressione contro l'U. R. S. S. senza che le potenze occidentali, che avevano già lasciato strozzare l'indipendenza della Cecoslovacchia, si muovessero per impedirglielo. Anzi, i fatti lo dimostravano, l'aggressione nazista all'U. R. S. S. avrebbe esaudito una loro antica e malcelata aspirazione. La conclusione del patto di non aggressione sovietico/tedesco costituì un punto di fondamentale importanza segnato all'attivo dal governo dell'U. R. S. S.: con la conclusioni di quel patto l'U. R. S. S. pur non facendo agli hitleriani nessuna concessione che significasse violazione della propria o dell'altrui integrità territoriale * allontanava, per un certo tempo, dalle sue frontiere la minaccia dell’aggressione…
pag 189 ....Il 3 luglio 1941 - Stalin disse: « Che cosa abbiamo guadagnato noi concludendo con la Germania il patto di non aggressione? Abbiamo assicurato al nostro paese la pace durante un anno e mezzo e la possibilità. di preparare le nostre forze per resistere e rispondere qualora la Germania fascista si fosse arrischiata, malgrado il patto, ad aggredire il nostro paese ». La storia degli anni successivi si incaricò di dimostrare che il governo sovietico aveva agito saggiamente, nell'interesse del suo popolo e dei popoli d'Europa. Dopo una serie di minacce, di ricatti e di provocazioni verso il governo di Varsavia, il l° settembre 1939, il governo nazista - col pretesto di riunire Danzica e la Prussia orientale alla Germania - ordinò alle sue truppe di passare le frontiere della Polonia. Inghilterra e Francia, che avevano alimentato la belva nazista concedendole di ingoiare la Cecoslovacchia e poi Klaipeda ai danni della Lituania, raccoglievano i frutti della loro politica. La seconda guerra mondiale incominciava fra le selvagge urla dei nazisti tedeschi e l'ammirazione dei fascisti italiani, fra il crollo delle case e il lamento delle madri di Varsavia. Venticinque anni dopo lo scoppio della prima guerra mondiale l'Europa era nuovamente portata al macello. Legate alla Polonia da un patto di mutua assistenza, Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania; in realtà non la fecero. Il governo francese preferì invece sciogliere il partito comunista, confiscarne i beni, dichiarare decaduti i deputati comunisti, perseguitare ed arrestare i dirigenti del partito, internare in campi di concentramento i comunisti degli altri paesi. Per i partiti comunisti europei incominciò un periodo di lotte ancor più difficili nelle quali dovettero risolvere problemi politici nuovi e complessi e condurre lotte mai condotte da quando l'Internazionale Comunista era sorta....Per impedire che il nazismo occupasse i territori popolati da ucraini e bielorussi che l'ingiusto e iniquo trattato di pace di Versailles (1919) aveva separato dalla loro madre patria, il governo sovietico ordinò all'Esercito rosso di passare la frontiera e di prendere sotto la sua protezione quelle popolazioni. Fu un atto opportuno ed energico contro il quale i nazisti non osarono reagire, e che diede ai lavoratori d'Europa, compresi gli antifascisti italiani, la dimostrazione che vi era un paese il quale aveva la forza di opporsi alla aggressività hitleriana...

BIOGRAFIA (questo sotto è il profilo che fornisce il libro

 

Edoardo d'Onofrio

da "Il foglio" del 14 aprile 2007 di Gabriella Mecucci

*(ndr: non violazione della propria o dell'altrui integrità territoriale: nella non violazione quindi dell'altrui integrità veniva ricompresa da parte russa la guerra vincente della Russia alla Finlandia con rettifiche territoriali, la spartizione della Polonia fra Russia e  Germania, l'occupazione di Lettonia, Estonia e Lituania da parte russa, la rettifica dei confini in Romania (tutti questi stati hanno ristabilito in tempi recenti la loro sovranità politica o l'indipendenza dopo anni di sudditanza da Mosca).

Punto III del Protocollo segreto aggiuntivo al Patto Ribbentrop-Molotov del 23/8/1939-**dettaglio in colonna a sx
- Nell’estate del 1940, la Romania è stata obbligata dalla Russia sovietica (con l'astensione della Germania) a cedere i seguenti territori: Bessarabia, Bucovina e Herþa – alla Russia; il nord della Transilvania – all’Ungheria (filo tedesca) e il Quadrilatero (il sud della Dobrugia) – alla Bulgaria pure filotedesca, il che rappresentava più di 1/4 del territorio e della popolazione, a maggioranza rumena. Nelle aree cedute all’Ungheria, i romeni vennero perseguitati giungendo sino a massacri di intere comunità (a Ip, Trãsnea, Nufalãu, Hida, Huedin ecc.); altrettanto avvenne nei confronti degli ebrei (300.000) scomparsi senza lasciare traccia. Come per la Polonia, occupata dai russi e dai tedeschi, non ci fu nessun segno di reazione da parte di Francia e Inghilterra che in questo momento si trovavano nemiche  di entrambe.
 

Da Fondazione Gramsci

Queste sono notizie aggiuntive che "completano" la BIOGRAFIA (integrazioni significative)
Nel 1917 fu assunto alle Officine ferroviarie e nominato segretario del comitato regionale della Fgsi (fed. giovanile socialista). In questo periodo ebbe i primi contatti con Gramsci, Togliatti e Terracini. Licenziato per aver partecipato allo sciopero generale della fine del 1918, passò a lavorare per l'Istituto medico legale della Camera del lavoro di Torino, con l'incarico di aprire una succursale a Vercelli. Nel gennaio 1921 aderì al Pcd'I. Chiamato alle armi alla fine del 1920, assegnato al reggimento di artiglieria pesante di stanza a Merano e poi trasferito in Libia, scontò vari mesi di prigione, a Tripoli e a Trento, per aver svolto propaganda comunista tra i soldati. Ottenuto il congedo nell'estate 1922, entrò nel comando delle squadre di difesa proletaria, assumendone la guida alcuni mesi dopo. Dopo la strage fascista di Torino del dicembre 1922, ricostituì con Giovanni Roveda e Cesare Ravera la federazione comunista torinese, di cui divenne segretario. Raggiunto da un mandato di cattura alla fine del 1923, fu costretto a emigrare in Francia, presto raggiunto dalla moglie Elena Montagnana (sorella di Rita compagna di Togliatti). Stabilitosi a Lione, fu nominato segretario del comitato regionale del Rodano dei gruppi comunisti italiani. Nel giugno 1925 nacque il figlio Sergio. Rientrato in Italia alla fine dell'anno, si trasferì a Genova per un nuovo impiego presso la sezione genovese della Rappresentanza commerciale sovietica in Italia. Dopo le leggi eccezionali fu condannato a due anni di ammonizione per attività sovversiva, venendo arrestato un anno dopo e chiuso in isolamento nel carcere di Marassi.

Nel 1933 prese la cittadinanza sovietica, insieme a Elena, senza perdere quella italiana, e fu assunto come caporeparto in un'officina sperimentale della Direzione generale dell'artiglieria. Dopo lo scioglimento del Club degli emigrati politici alla fine del 1935, proseguì ancora per due anni il lavoro con gli emigrati italiani, non mancando di denunciare alla sezione italiana del Komintern e al Nkvd gli elementi ritenuti sospetti. Nell'estate 1936 passò a lavorare alla Kalibr, fabbrica di strumenti di precisione. Dopo che la sua richiesta di andare a combattere in Spagna fu respinta, ebbe l'incarico di vagliare le domande presentate dai volontari italiani. L'8 marzo 1938 fu arrestato con l'accusa di attività provocatoria e di spionaggio e imprigionato nel carcere Taganka di Mosca, dove rimase fino al 4 settembre 1939, venendo sottoposto a estenuanti interrogatori e torture. Riabilitato e assolto da ogni imputazione, riprese il lavoro in fabbrica, dirigendo, nell'inverno 1941, il trasferimento di uomini e macchinari in Siberia. Nel 1942 iniziò a frequentare la scuola del Komintern e nel maggio 1943 fu destinato alla prima scuola antifascista per prigionieri di guerra nei pressi di Vladimir, venendo trasferito tre mesi dopo alla scuola superiore antifascista per prigionieri di guerra di Krasnogorsknei dintorni di Mosca, incaricato della direzione dei corsi del settore italiano. Collaboratore de «L'Alba», il giornale per i prigionieri italiani in Urss, dopo i primi quattro numeri ne assunse la direzione insieme a Luigi Amadesi.

Al termine della guerra proseguì il lavoro con i prigionieri italiani e si occupò delle pratiche per il rientro in Italia o per la definitiva sistemazione in Urss di alcuni emigrati politici italiani. Nel gennaio 1947, dopo 19 anni di esilio in tre paesi, lasciò Mosca alla volta dell'Italia. Stabilitosi a Roma, negli anni seguenti svolse numerosi incarichi per il Pci. Collaborò alla creazione delle scuole di partito, in particolare quella alle Frattocchie, nei dintorni di Roma, e la scuola centrale di Reggio Emilia, tenendo di frequente conferenze e lezioni, soprattutto sull'Urss, in varie località italiane. Dal luglio 1948 fino al novembre 1949, quando fu costretto a rientrare a Roma per problemi di salute, fu inviato in Sicilia, come vicesegretario regionale accanto a Girolamo Li Causi. Nel 1950 fu nominato viceresponsabile della commissione centrale stampa e propaganda diretta da Gian Carlo Pajetta. Si occupò anche di tenere i rapporti con le rappresentanze diplomatiche dei paesi socialisti e concorse alla creazione di alcune associazioni di amicizia tra l'Italia e i paesi del blocco sovietico. Collaborò a «l'Unità»» e a vari periodici del partito, tra cui «Rinascita», su cui tenne una rubrica dedicata all'Unione sovietica. Morirà a Roma il 5 agosto 1982.

La storia del comunista, ucciso dai comunisti, perché tradito dai comunisti e che resta, nonostante tutto, comunista si dipana fra cinismo, crudeltà e una terribile grandezza....
Clementina Perone, una vita intrisa di amore e di dolore, di generoso entusiasmo, di grandi cadute e di esemplari risalite, ancora giovane e molto attraente abbandonò il marito e due figli piccoli per seguire in Urss Giovanni Parodi, che nel secondo dopoguerra diventerà un importante dirigente della Cgil. Tina fu arrestata a Mosca per la prima volta nel 1937, il suo compagno era già rientrato in Italia per ordine del partito e lì era stato catturato e condannato. La giovane donna finì alla Lubjanka e poi in un campo di concentramento. Grazie all’aiuto di alcuni amici russi riuscì però a scamparla e a tornare a Mosca. Il peggio purtroppo doveva ancora venire. Quando scattò la seconda ondata della repressione fu di nuovo catturata, nell’agosto del 1940. Questa volta la sua rovina fu decretata dalla delazione di Elena Montagnana, moglie di Paolo Robotti. Ecco le parole che accusano: “A causa della sua instabilità e leggerezza non le veniva affidato il lavoro clandestino. Sapevo di persona e attraverso altri che la Parodi (Clementina viene indicata con il cognome del suo compagno; ndr) già in Italia era fautrice di Bordiga… adesso non posso dire di considerarla trotzkista… la considero, prima di tutto, leggera e politicamente incostante”. Ce n’era abbastanza perché la Nkvd (la polizia politica sovietica) la rinchiudesse di nuovo alla Lubjanka. Bastava far scivolare nelle orecchie di qualche poliziotto moscovita la parola bordighismo per provocare l’arresto di un compagno. Ma la Montagnana non si fermò e denunciò il legame diretto di Tina con la “direzione fascista” del carcere italiano in cui i suoi figli e il marito erano detenuti. La loquace accusatrice raccontò che l’imputata le parlava di questa fitta corrispondenza e disse che il modo in cui ne riferiva era “stomachevole”. Era più che sufficiente: per la “quinta colonna” bordighista si apriva il lungo cammino verso l’inferno. Tina si beccò ben otto anni di gulag. Finì prima a Igarka, un paese oltre il circolo polare Artico, poi a Karaganda. Rilasciata nel 1948, venne di nuovo arrestata e condannata all’esilio a vita in Siberia. Solo nel 1956 riuscì a tornare a Mosca dove fu riabilitata. Qual era stata la sua colpa? Nessuna, non aveva fatto niente di illegale. A perderla furono solo le parole della Montagnana.

 

**Protocollo segreto aggiuntivo al Patto Ribbentrop-Molotov.

I. In caso di riassetto territoriale e politico nei settori appartenenti agli Stati baltici (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania), il confine settentrionale della Lituania rappresenta il confine delle sfere di influenza della Germania e URSS. A questo proposito l'interesse della Lituania nella zona di Vilna è riconosciuto dalle Parti.

 

Estratto intervista al Gen. Martini, prigioniero del campo di Suzdal. A cura di M. Paola Gianni Come si è salvato? - “Se io in questo momento le sto parlando lo devo a un uomo che era prigioniero con me in Russia, il capitano Emilio Lombardo, classe 1912, del Distretto di Messina. Allora Lombardo aderì al comunismo, entrò nel gruppo antifascista e fu mandato a Mosca. Aveva percorso tutte le tappe per diventare un uomo di fiducia di Paolo Robotti, il cognato di Togliatti, il quale aveva la sovrintendenza a tutti i prigionieri. Quando siamo arrivati a Vienna, Palmiro Togliatti, alias Ercole Ercoli, alias Mario Correnti, disse a Robotti che non voleva veder tornare gli ufficiali italiani, per non far raccontare loro l’accaduto. Purtroppo non ci sono documentazioni scritte, ma Togliatti, nei primissimi giorni del luglio ’46, decise di dirottarci in Jugoslavia, nelle foibe di Tito, dov’era facilissimo far scomparire ogni traccia. Per fortuna Lombardo, amico di Robotti, riuscì a capire la vera destinazione della nostra tradotta e si precipitò al comando alleato, per chiedere aiuto. Mi ricordo una gran frenata del treno a Vienna, gli inglesi, con le armi spianate contro i russi, hanno fermato la tradotta e ci hanno liberato. Eravamo più di 570, tutti ufficiali italiani, tutti scampati alla morte”.
Quello sopra è sicuramente un trasporto diverso ma la situazione si ripete con la testimonianza di Bruno Cecchini dalle sue memorie recentemente pubblicate - 19 luglio 1946: fine di un incubo.
... Né Odessa, né Vladimir, né Stalino, né Sighet avevano qualcosa in comune con questa sconosciuta metropoli dove ci eravamo fermati. Impensabile, impossibile, miracolo! Eppure quella grande città che s’intravedeva era Vienna, la celebre Vienna, la Vienna vicina all’Italia e non Praga o Varsavia, tantomeno Mosca. Alleluia, osanna al Signore, alleluia, risorge la speranza nei cuori!... Questa è la volta buona - pensò B.C.; - Da Vienna indietro non si torna, costi quel che costi; se siamo in Austria, poco distanti ci sono le Alpi, poi l’Italia e la libertà e le nostre famiglie, tutto. Inoltre in questi luoghi la steppa non esiste; non soffia il gelido vento del nord, isbe non se ne vedono in giro e tra la gente non dovrebbe nascondersi l’Nkvd; insomma qua è tutto un altro mondo. Gente, ma che vogliamo di più?...La sera i celoviek (prigionieri) parlottarono a lungo fra loro sul fatto accaduto; tante ipotesi, tante congetture, tanti propositi e... E poi l’alpino scrisse un bigliettino in tedesco, lo arrotolò per benino e tutti furono concordi di farlo avere alla fanciulla nel caso che fosse di nuovo ripassata sulla via nei pressi del chiusino di ferro, il nostro ben mimetizzato osservatorio: Siamo 50 ufficiali italiani prigionieri di guerra e trattenuti a Vienna dai russi, nascosti nella ex scuola semi diroccata. Chiunque, non russo, riceva questo messaggio ci aiuti; avverta inglesi, francesi, americani di venirci a salvare. Aiutateci tutti, nel nome di Dio. E l’attesa non fu vana. Dopo alcuni giorni, in un pomeriggio pieno di sole, il piccolo angioletto di Vienna riapparve in lontananza; udì le accorate parole uscire dal chiusino appena sollevato; non ebbe paura, anzi si avvicinò lentamente e quando fu a due passi dal tombino si fermò e, chinandosi con un solo ginocchio poggiato per terra, prese a legare insieme i lacci di una scarpa mai slacciatasi. Poi guardò di sottecchi verso il chiusino leggermente alzato da un lato; rispose qualcosa nella sua lingua al celoviek alpino che parlava tedesco; vide il rotolino di carta cadere vicino ai suoi piedi, lo raccolse con mano sicura, lentamente si rialzò ...il messaggio va a buon fine .....Due giorni dopo, di buon mattino, la macchina strana, la Lancia, riapparve e si fermò davanti al Comando delle guardie russe. Non era sola, però; l’accompagnavano altre più strane macchine, mezzi militari parevano, che sulla fiancata mostravano una grande stella bianca, come la cometa di Natale, ma senza la coda. Belle quelle grandi stelle, e di colore bianco, non rosso! Scesero dai mezzi una decina di uomini: quello solito col Borsalino, un altro in borghese e gli altri con divise militari di fogge diverse, mai viste prima. Alcuni portavano al braccio una larga fascia bianca, più grande però di quella che nel nostro paese cingeva il braccio dei fanciulli per la cerimonia della cresima; inoltre su quella candida striscia si vedevano disegnate due grandi lettere dell’alfabeto ....Un militare con divisa cachi, inglese o americano forse, raggiunse per primo l’ingresso del reticolato e rivolto verso di noi urlò in un italiano stracciato, ma comprensibile: “Italiani prigionieri, da questo momento siete liberi, tra poco vi accompagneremo alla stazione e partirete verso il vostro paese; noi resteremo qui ad attendervi, sbrigatevi”. Dio santissimo, che colpo al cuore e al cervello! Roba da matti, momenti indescrivibili, sensazioni ed emozioni da restare secchi per arresto cardiaco o coma irreversibile! È vero, anche di gioia, di felicità, di contentezza si può morire! E in quel momento irreale gli occhi dei più duri che mai avevano pianto, e quelli degli altri che non avevano più lacrime, per un attimo si inumidirono guardando increduli il cielo....Tra il gruppetto dei soccorritori spiccano due esemplari del nostro Bel Paese: un rappresentante italiano a Vienna e il rappresentante consolare. Il Console, mai visto prima, più che darci il benvenuto, ci raccomanda di essere cauti, di fare attenzione alle nostre dichiarazioni una volta arrivati in Italia, perché il nostro Paese è molto cambiato, così come sono cambiati modi di pensare e di agire della popolazione. Beh? Il rappresentante, invece, con una diplomazia rozza e grossolana ci fa capire che in fin dei conti non è del tutto contrario a dare Trieste alla Iugoslavia. Il console riesce a porre fine a una reazione violenta dei celoviek a quella bestemmia udita già in Russia da Robotti e compagni. Forse quell’omino ancor oggi ringrazia il piccolo Padre per lo scampato pericolo corso. Altra vivace discussione tra russi e gli altri e infine l’ufficiale che biascicava un po’ d’italiano aggiunse con un tono che non ammetteva replica: “Signori ufficiali, dovrete attraversare qualche centinaio di chilometri in territorio occupato dai russi, ma state tranquilli; noi vi accompagneremo fino al confine".

 
II. In caso di riassetto territoriale e politico delle aree appartenenti allo stato polacco, le sfere d’influenza della Germania e dell'Unione Sovietica sono delimitate approssimativamente dalla linea dei fiumi Narev, Vistola e San. Il problema di sapere se gli interessi di entrambe le parti rendono auspicabile il mantenimento di uno stato polacco indipendente e come tale stato debba essere limitato, può solo essere risolto, solo nel corso di ulteriori sviluppi politici. In ogni caso entrambi i governi risolveranno la questione per mezzo di un accordo amichevole.
III. Per quanto riguarda l'Europa sud-orientale la parte sovietica reclama il suo interesse per la Bessarabia. La Germania dichiara il suo completo disinteresse per questi settori.
IV. Questo protocollo deve essere trattato da entrambe le parti come rigorosamente segreto. Mosca, 23 agosto 1939.
Per il governo del Reich tedesco v. Ribbentrop
Plenipotenziario del governo della USSR V. Molotov

 

IL PROCESSO D'ONOFRIO - 1948

Non era andata così al Sergente Artigliere della divisione Acqui Tomei Giuseppe che, caduto prigioniero dei tedeschi a Cefalonia e passato DA PRIGIONIERO attraverso le peripezie di un reparto SS in ritirata dalla Russia, era finito a Berlino (o d'intorni) ai primi di maggio del '45 nelle mani degli americani a guerra conclusa. Gli americani, per la tragica situazione viaria e ferroviaria, non potendo all'epoca gestire i rientri dalla Germania chiesero a chi se la sentiva se potevano affrontare un viaggio a piedi verso l'Italia!! o in camion quando se ne presentava la possibilità. Molti aderirono e uno di questi era il sergente Tomei. Vitto assicurato lungo il percorso a tappe fisse salvo inconvenienti. Ma c'era da attraversare l'Austria e ex prigionieri o no dei tedeschi questi finirono in zona controllata dai Russi poi dai Titini. Per i Russi cedere un "convoglio" a piedi internazionale di prigionieri sotto l'egida della croce rossa ai Titini (perchè sparissero) non costò molto. Iniziava quindi per questi soldati una nuova avventura, se non bastasse quella passata, nei lager di Tito. Sarebbero stati sicuramente eliminati sul finire dell'estate del '45 se qualcuno, sovvenendosi del gruppo, non fece fare ad un aereo un volo esplorativo sui campi conosciuti di Tito. Lo sventolio questa volta di panni bianchi e della croce rossa fecero individuare il lager e la conseguente liberazione. Qualcuno parla anche di treni della Croce rossa scomparsi, ma l'informazione oltre ad essere senza riscontro è moralmente irricevibile. Poi in guerra si è visto di tutto e di più. Il sergente Tomei rientrerà a casa  in autunno e non sarà riconosciuto dai propri familiari.

 

ROBOTTI, IL PCI E GLI AMERICANI - Pag 200 ….L' U. R. S. S. sotto Mosca e sotto Stalingrado aveva vinto con le proprie forze, e con le proprie forze continuava ad inseguire Il- nemico su tutto il fronte dell'est, mentre i suoi alleati continuavano a tradire le loro ripetute promesse di aprire un secondo fronte in Europa. L'U. R. S. S. non aveva bisogno di fare gesti graditi ai suoi alleati poiché era in grado di vincere da sola il potente nemico. Nei primi del luglio 1943, mentre sull'Italia si abbattevano più terribili i bombardamenti, e le forze militari alleate si apprestavano a sbarcare in Sicilia, il nazismo fece un ultimo sforzo per arrestare l'avanzata sovietica. Passando all'offensiva nel settore Kursk-Oriol, gli hitleriani tentarono di aprire. una breccia nel fronte sovietico: con un poderoso contrattacco l'Esercito rosso distrusse le forze nemiche. Gli alleati attesero questa operazione per sbarcare in Sicilia. Il capo del fascismo si precipitò da Hitler per chiedere soccorsi, ma senza risultato: la Germania era anch'essa nei guai. I nazisti, sconfitti sotto Kursk dalle forze armate sovietiche (le quali diedero cosi un concreto aiuto al popolo italiano), non potevano soccorrere il governo fascista ed impedire lo sviluppo delle operazioni militari alleate in Sicilia....

Si temeva il ritorno dei prigionieri perché si temeva che potessero testimoniare sulla situazione in Unione Sovietica, su cosa era davvero il comunismo. Chi fu veramente responsabile della scelta si trattenerne diversi: le autorità sovietiche o i comunisti italiani che, come per esempio Paolo Robotti ed Edoardo D'Onofrio, diretti da Palmiro Togliatti, avevano cercato di indottrinarli nei campi di prigionia? Perché dopo tanti anni questo argomento ha suscitato così tanta polemica?. Al ritorno dalla lunga prigionia alcuni ufficiali dell’ARMIR (Giorgio Pittaluga, Ugo Graioni, Domenico Dal Toso, Luigi Avalli e Ivo Emett) diffusero un numero unico intitolato “Russia” in cui accusavano esplicitamente alcuni fuoriusciti italiani per il loro comportamento verso i prigionieri. I comunisti chiamati in causa furono Ruggero Grieco, Paolo Robotti, Luigi Amadesi e Edoardo D’Onofrio in carica da senatore. Il D’Onofrio, offeso dal contenuto del numero unico pubblicato a cura della Unione Nazionale Italiana Reduci Russia, denunciò gli estensori per diffamazione. Era il 1948 e l’Unità ovviamente difese a spada tratta il compagno D’Onofrio e la sua positiva attività d’aiuto ai nostri connazionali. Durante il processo, la difesa del querelante e tutta la stampa di sinistra cercarono in tutti i modi di eludere le responsabilità del D’Onofrio ed il processo si ritorse contro il povero “innocente”. Le accuse dei reduci inchiodarono il senatore alle sue responsabilità ; non potendo negare quanto fu dichiarato dai “colpevoli”, cercò di trasformare i fatti, arrivando ad affermare che gli interrogatori ai quali sottoponeva i prigionieri non erano altro che innocenti conversazioni. Alla fine del processo, arrivò addirittura a prevedere che una sua condanna, avrebbe potuto avere ripercussioni per gli ancora 28 italiani prigionieri in Unione Sovietica; da notare :
a) che la guerra era abbondantemente finita e l’Italia era passata al fianco degli Alleati
b) la minaccia era di stampo mafioso. Ed infatti il D’Onofrio non vinse la causa ma i 28 prigionieri ancora in Russia furono condannati a 20 anni di lavori forzati con l’accusa di “attività antisovietica“; riuscirono a rimpatriare solo nei primi mesi del 1954.
http://www.controstoria.it/documenti/processo-donofrio.html 
da http://www.diavolineri.net/ospitalieri/i-comunisti-italiani-nei-lagher-russi/
 
NOTA DEL SITO: LO SBARCO IN SICILIA

CONFERENZA DI CASABLANCA 12 Febbraio 1943
Dalla Dichiarazione Ufficiale Conclusiva
I piani concordati e le decisioni raggiunte a Casablanca riguardano ogni teatro di guerra. Prima della fine dell'anno sarà reso noto al mondo, attraverso i fatti e non con le parole, che la Conferenza di Casablanca ha prodotto numerose novità dalle quali scaturiscono pessime notizie per i Tedeschi, gli Italiani e i Giapponesi.....Nel tentativo di salvarsi dall'inevitabile sconfitta, i Paesi dell'Asse stanno cercando di dividere le Nazioni Unite ricorrendo ai soliti vecchi stratagemmi propagandistici, come quello di sostenere che nel caso in cui vincessero la guerra, Russia, Inghilterra, Cina e Stati Uniti si azzannerebbero successivamente tra loro come cani e gatti. Essi stanno solo compiendo l'estremo disperato sforzo per creare disaccordo tra le Nazioni Alleate nella vana speranza di concludere una pace separata con ciascuna di esse, ma non considerano il fatto che nessuno di noi sarà così ingenuo o smemorato da farsi ingannare e siglare "accordi segreti" a danno dei propri Alleati.

Si era giunti a questa conferenza passando per altre in cui la presenza dei Russi ad alto rango non era sempre dimostrata.

- Alla II Conferenza di Washington 20-25 giugno 1942 (Churchill, Roosevelt) si diede priorità alla apertura di un secondo fronte nella Campagna del Nord Africa prima di lanciare un'invasione attraverso la Manica.
- II Conferenza di Mosca 12-17 agosto 1942 Churchill, Stalin, Harriman Discussioni circa le ragioni dell'apertura di un secondo fronte in Nord Africa piuttosto che un'immediata invasione della Francia
Conferenza di Casablanca - Churchill, Roosevelt, de Gaulle, Giraud pianificazione della Campagna d'Italia, prevista (per ora) per il 1944 dichiarazione della "resa senza condizioni" delle forze dell'Asse
- III Conferenza di Washington (TRIDENT) 12-27 maggio 1943 Churchill, Roosevelt ulteriore pianificazione della Campagna d'Italia (dopo la caduta del fronte africano) aumento degli attacchi aerei contro la Germania, incremento delle operazioni militari nel Pacifico.
Stalin premeva ormai da qualche tempo affinché venisse aperto dagli anglo-americani un secondo fronte (nel nord Europa), per distogliere l'ingente numero di truppe tedesche dal fronte orientale (ed occupare gran parte dell’Europa centrale come poi fece). La non sopita forza dei sommergibili tedeschi e la scarsità di naviglio al trasporto truppe, convinse i comandi americani che fosse necessario quindi attaccare l'Italia, se non si voleva rimanere a guardare combattere i soli sovietici. Furono prese in considerazioni altre alternative nel mediterraneo ma scartate per vari motivi come una nei Balcani stante l’assenza della Turchia dalla coalizione. La battaglia di Kursk, nome in codice Unternehmen Zitadelle ("Operazione Cittadella") era stata pianificata da mesi dai tedeschi e percepita dai Russi ugualmente. Altrettanto lo sbarco in Sicilia che non si improvvisa. Mikoyan scrive nelle sue memorie che fu informato dei principali dettagli dell'attacco tedesco da Stalin già il 27 marzo 1943. L'8 aprile il Maresciallo Zhukov spiegò il suo punto di vista a Stalin con queste parole:
"considero inutile un'offensiva da parte nostra in un prossimo futuro che miri a prevenire una mossa nemica. Sarebbe meglio lasciar logorare il nemico contro le nostre difese, frantumare le sue forze corazzate e poi, facendo intervenire riserve fresche, passare a un'offensiva generale per polverizzare una volta per tutte i suoi principali contingenti". L’attacco, inizialmente programmato per il 4 maggio 1943 fu rimandato al 12 giugno, per poi essere ulteriormente posticipato prima al 20 giugno e infine al 5 luglio. Il 13 luglio, notevolmente irritato con i vertici militari tedeschi, Hitler decise di cancellare l'Operazione Zitadelle. Sulla decisione pesava la sconfitta ma pesava anche la notizia dello sbarco americano in Sicilia che avrebbe compromesso la permanenza dell’alleato italiano al suo fianco (spostò anche come sappiamo diverse divisioni dal settore sovietico a quello italiano). E’ vero quindi il contrario di quello che dice Robotti. L’apertura del 2° fronte era stata chiesta dai Russi e di fatto portò i tedeschi a non insistere nella grande offensiva in corso e da questo momento a cancellare le offensive e fare una guerra di copertura e di ritiro dalle pianure sovietiche.

   

tutto il processo    http://www.cuneense.it/processo_onofrio.htm

 

Dispositivo della sentenza: Visti gli articoli 479 e 482 del C. P. P. il Tribunale assolve gli imputati Luigi Avalli, Domenico Dal Toso, Ivo Emett, Giorgio Pittaluga, Ugo Graioni dal reato di diffamazione loro ascritto in ordine ai fatti specificati nei numeri 1 e 2 dell’opuscolo «Russia» essendo provata la verità dei fatti stessi, e dalle diffamazioni relative ai fatti specificati dai numeri 3 e 4 perché il fatto non costituisce reato. Condanna inoltre il querelante sen. Edoardo D'Onofrio al pagamento delle spese processuali.

http://www.larchivio.org/xoom/togliatti.htm  Togliatti e le minacce di morte ai prigionieri di guerra in Russia.

Ma cosa era successo alla fine della guerra: dal libro di B.Cecchini -

Pag 226 e segg. del libro … Nel Mezzogiorno ed in Sicilia, prima ancora della liberazione, si erano manifestate tendenze separatiste fomentate da gruppi monarchici e fascisti e finanziate dai gruppi imperialisti americani. In Sicilia particolarmente, gli agenti americani erano riusciti, appoggiandosi su una parte della mafia e su numerosi elementi criminali, a fomentare movimenti separatisti armati, legati ad una parte dell'aristocrazia siciliana e a parecchi grandi latifondisti. L'imperialismo americano incominciava così a fomentare quei disordini, che nelle sue intenzioni avrebbero dovuto fornirgli l'occasione di intervenire più apertamente e direttamente in Sicilia e di stabilirvi nel prossimo futuro le sue basi militari. Lunghi anni di inganno e di soprusi delle autorità governative centrali nei confronti del popolo siciliano, lunghi anni di miseria avevano creato le premesse per la facile diffusione delle manovre separatiste. Gli imperialisti americani seppero sfruttare questa situazione ricorrendo ai metodi abituali del gangsterismo e impiegando nella lotta elementi corrotti disposti a tutto. Da parte sua il P. C. I. formulò, per bocca di Palmiro Togliatti, la propria linea di condotta sulla questione del separatismo: il partito comunista era decisamente contrario alla separazione dell'isola dalla madre patria e rivendicava invece per la Sicilia una ampia autonomia regionale. Si manifestava così, concretamente, nella difesa dell'unità nazionale, la funzione del partito di nuovo tipo. I lavoratori siciliani compresero che quella politica era giusta. In difesa dell'unità nazionale, contro le mene separatiste dell'imperialismo americano, intervennero anche i rappresentanti diplomatici dell'Unione Sovietica: gli agenti americani dovettero rendere meno scoperto il loro gioco. Trasformarono i loro uomini in bande armate che in seguito, quando ebbero in mano il governo centrale democristiano, abbandonarono agli avventurieri politici siciliani, che se ne servirono in funzione antioperaia ed anticontadina. I monarchici, che avevano intuito l'approssimarsi della fine del loro regime, contavano molto sul movimento separatista; inoltre, anche un certo numero di militanti locali dei partiti di sinistra si lasciava abbagliare dall'idea separatista pensando di -farla finita col capitalismo del nord-. Questi militanti, il cui peso organizzativo e politico era scarso nella vita locale, non capivano che l'avvenire dei lavoratori del Mezzogiorno e delle Isole poteva essere salvato e garantito soltanto dalla loro unione con i lavoratori del nord contro i fascisti, i monarchici e la borghesia del nord e del sud. I circoli dominanti anglo-americani avevano un particolare interesse a dividere l'Italia ed a fare della Sicilia una loro base politica e militare. Essi, infatti, intendevano condurre la lotta su altri fronti del bacino mediterraneo: in Grecia, contro il popolo che lottava per liquidare la monarchia fascista, nell' Africa settentrionale dove i contrasti anglo-americani si manifestavano nella lotta sotterranea per l'accaparramento delle basi libiche e cirenaiche, in Siria, nel Libano e Palestina. La difesa della nostra unità nazionale era, dunque, una lotta che riguardava il futuro pacifico del nostro paese: bisognava impedire che la Sicilia diventasse base o teatro di nuove avventure dell'imperialismo.

MEMORIE DI.... UN BERSAGLIERE

 
 

TESTIMONIANZA DI SALVATORE PONTIERI AL PROCESSO D’ONOFRIO

La guerra è finita: Nello spiazzo adiacente il caseggiato tutti i celoviek (Bersaglieri) sono riuniti. “Silenzio, attenti, pronti per l’appello”, ordina il nacialnik russo con voce imperiosa, e per diverse volte. Nel vasto cortile della riunione mi è a fianco un amico d’infanzia, Ruzzolini Andrea e due dei più cari amici, insofferenti e duri dello stesso calibro: un ufficiale degli Alpini, Ebene, e uno del 3° bersaglieri, Salvatore Pontieri. I cognomi di coloro che si apprestano a partire vengono scanditi ad alta voce. I chiamati lasciano in fretta il gruppo dei 540 superstiti (più i trenta trattenuti a Susdal), che si assottiglia, e si riuniscono poco distante nel gruppo dei partenti che via via cresce di numero. “Che strano, però”, “Siamo già alla lettera elle ed io con Ebene non siamo stati ancora chiamati. Poi si arriva alla lettera erre e il paesano Ruzzolini passa nell’altro gruppo che è ora molto numeroso mentre quello in attesa è ridotto a un centinaio di persone. Parte Ruzzolini e Pontieri resta. “O questa è bella!”, sussurrano in coro i tre amici per la pelle: “Niet Italia, da? Niente scuola, niente Italia, da?” dice il funzionario russo. Altro che reazionari, altro che fascisti, o gentaglia misera e trista, migliori e peggiori compresi! Sono uomini, uomini veri quelli, fulgidi esempi di cittadini e di soldati che emergono dalla grigia uniformità e si elevano sulla massa indistinta e anonima; personaggi rari, inflessibili, integerrimi e incorruttibili, la cui regola di vita, immutabile da qualsiasi evento o contrarietà o sacrificio, è la dignità e l'onore, l'inviolabilità del prestigio della Patria,dell'Italia.

Cinquanta furono i nomi che vennero saltati nell'elenco, destinati a non fare più ritorno in Italia, condannati a morte in quell'inferno di ghiaccio fino al 19 luglio 1946: "davai bistrày davai". *** Reginato Enrico S. Ten. Medico - Btg Monte Cervino, don Giovanni Brevi, Cap. Magnani Franco, (tutti medaglie oro) saranno condannati ai lavori forzati da un tribunale speciale e assieme ad altri irriducibili saranno liberati solo nel 1954 !!!. (due anni dopo l'uscita di questo libro)

Pontieri, era tenente del 3° bersaglieri in Russia quando venne fatto prigioniero la notte di natale del 1942 (alla fine degli anni 60 comanderà l'8° Bersaglieri di Pordenone) e nel 1948 comparve come teste al processo D'Onofrio -

Interrogatorio Pontieri: - Al campo di Tambov (Tambov mille sopravvissuti su 20 mila, Krinovaja 3 mila su 30 mila), dove trascorsi i primi tempi della prigionia, conobbi la signora Torre. Molti internati si rivolgevano a lei per avere qualche indumento pesante che li riparasse dal freddo intensissimo di quella zona. Ma la “fuoruscita” ad ogni richiesta del genere rispondeva invariabilmente: «Avete battuto tanto le mani al Duce fino a ieri, ora abituatevi a battere i piedi». (Nel luglio 1943 il querelante Edoardo D'Onofrio tenne due conferenze al campo di Skit).
Presidente a Pontieri: - Venne mai interrogato, lei, dal D'Onofrio?
Pontieri: - Sì. Fu la sera stessa della seconda conferenza. Appena entrato nel suo ufficio, mi chiese per quale ragione non mi fossi iscritto alla scuola antifascista e aggiunse, senza aspettare risposta, che era stata proprio la mentalità come la mia a spingere i soldati italiani a venire a far la guerra contro la Russia. Io risposi che avevo fatto soltanto il mio dovere di ufficiale, al che D'Onofrio
*** replicò: «Altro che dovere. Voi siete venuti in Russia per rubare e per commettere delle atrocità e state attenti perché il vostro atteggiamento può portare a gravi conseguenze». Le stesse minacce il querelante le rivolse al cap. Magnani**** e al ten. Ioli, i quali due giorni dopo furono trasferiti in un campo di punizione.
Il primo numero de "l'Alba" comparve il 10 febbraio 1943, sotto la direzione di Rita Montagnana (all'epoca compagna di Palmiro Togliatti prima della sua relazione con la Jotti, relazione che oggi 2011 farebbe programma politico). La prima pagina del foglio esordiva con un commento sulla situazione militare in Unione Sovietica, mentre un fondo anonimo criticava aspramente il regime fascista operante in Italia. Il giornale usciva ogni dieci giorni e raggiunse in breve una tiratura di 7000 copie per un totale complessivo di 144 numeri (l'ultimo dei quali reca la data del 15 maggio 1946). Dopo i primi quattro numeri fu diretto da Edoardo D'Onofrio (fino all'agosto del 1944): in seguito tale compito fu assunto da Luigi Amadesi e Paolo Robotti. 

***1954 - In seguito all'elezione di Edoardo D'Onofrio alla vicepresidenza della Camera si accese un'altra campagna stampa che riprendeva le accuse del ‘48; venne richiesta la sua rimozione dalla carica istituzionale ma l'inchiesta si concluse con un non luogo a procedere. http://www.anpi.it/donne-e-uomini/edoardo-donofrio

 

 

… Articolo di Stefano Lorenzetto pubblicato su Il Giornale di domenica 30 gennaio 2011

... A indottrinarli arrivò Paolo Robotti, il famigerato cognato di Palmiro Tognatti, rifugiato in Urss. Il suo primo atto fu la chiusura della chiesa cattolica che era stata costruita nel 1840. Il vescovo Aleksander Frison fu imprigionato dal 1929 al 1931, nel 1935 venne arrestato definitivamente, accusato di spionaggio, condannato dopo un processo farsa e fucilato a Mosca il 20 giugno 1937. Anche il fratello di Giancarlo Pajetta, Giuliano, esponente del Pci, soggiornò nel 1934 fra gli italiani di Kerch. Molti anni dopo, uscito vivo da Mauthausen, non risulta che si sia mai preoccupato di sapere che fine avessero fatto quei suoi connazionali»….«Invece in Kazakistan vivono ancora 500 italiani, figli dei pochi sopravvissuti alla deportazione staliniana. Don Edoardo Canetta, un sacerdote milanese da vent’anni missionario nella capitale Astana, ha scoperto che gli archivi del ministero degli Esteri custodiscono 800 schede di italiani morti a Karaganda, scritte in cirillico, che nessuno ha mai consultato. Giuliano Pajetta è deceduto nel 1988. Avrebbe avuto tutto il tempo per occuparsene».
Oggi vivono da poveri e vorrebbero la cittadinanza italiana, ma non possono dimostrare le loro origini perché i sovietici hanno distrutto ogni archivio. 47 di essi già negli anni Novanta hanno chiesto la cittadinanza italiana, ma solo due ci sono riusciti. Nel 1992 hanno costituito un'associazione e stanno lentamente restaurando la chiesa, che è l'unica cattolica della città e ha un parroco polacco. Memoria rimossa: nessuno in Italia si è sentito obbligato a fare nulla per questa gente. Meglio per i clandestini che rendono di più in televisione.

EMANUELE MACALUSO EX DIRETTORE DELL' UNITA' http://archiviostorico.corriere.it/1999/ottobre/12/amarezza_Macaluso_che_mascalzonata_co_0_9910124246.shtml 
L' amarezza di Macaluso: "Non si sono fermati davanti a nulla, hanno cercato di usare contro di me una storia sentimentale profonda"
Robotti, si legge nella scheda del rapporto Mitrokhin, "in una conversazione confidenziale con un membro del comitato centrale del Pcus" traccia un quadro piuttosto fosco "degli aspetti negativi" di Macaluso. Sull' ex direttore dell' Unita' si scarica di tutto: viene accusato di "non aver attaccato la mafia sulla stampa o nei suoi discorsi"; viene censurato per "aver avuto una relazione duratura con la moglie del direttore del Giornale di Sicilia, quotidiano determinante in Sicilia". Ma non basta: Robotti insinua che Macaluso frequentasse uomini d' affari (di cui oggi si sono perse le tracce) "legati ai capi della mafia siciliana e a ufficiali della Sesta flotta americana". "Materiale davvero sporco, vergognoso. Robotti non si e' fermato davanti a nulla, nemmeno di fronte ai grandi dolori della mia vita".
Sarcina Giuseppe Pagina 11 - (12 ottobre 1999) - Corriere della Sera

Piccoli Italiani russi di Crimea

Dal 1830 in poi un flusso migratorio dal sud Italia (Puglia) prese la via marittima per l'estremità orientale della penisola di Crimea (Kerč), non si sa in base a quale parametro (forse la coltivazione del grano), quando già se ne era sviluppato uno verso il Sud America. Con la crisi sovietica di fine 800 e i movimenti sociali che porteranno alla rivoluzione il flusso si interruppe, ma tanto qualche migliaio di persone era già arrivato. Erano soprattutto agricoltori, marinai (pescatori, nostromi, piloti, capitani) e addetti alla cantieristica navale. La città di Kerč si trova infatti sull'omonimo stretto che collega il Mar Nero col chiuso Mar d'Azov porto granario. Qui costruirono nel 1840 una Chiesa cattolica romana, detta ancora oggi la chiesa degli Italiani, una scuola, ed altri locali che individuano solitamente le piccole comunità. Da Kerč gli Italiani si diffusero anche a Feodosia (l'antica colonia genovese di Caffa) e in altre località sempre sul Mar Nero come Batum. E' qui che Garibaldi approdava nei suoi viaggi mercantili e che incontrava fuoriusciti. A metà degli anni venti (XX secolo) gli emigrati italiani antifascisti rifugiati in Unione Sovietica cominciarono ad interessarsi della minoranza italiana: le autorità sovietiche li inviarono da Mosca perché sondassero le opinioni e il risultato fu la chiusura della chiesa (erano state chiuse quasi tutte indipendentemente dagli italiani). Anche qua, scontata la NEP, nacque un Kolchoz che prese il nome di "Sacco e Vanzetti". Quelli che non vollero farne parte, furono obbligati ad andarsene, lasciando ogni avere. A seguito di ciò, nel censimento del 1933 la percentuale degli italiani decresce all'1,3% della popolazione della provincia di Kerč. Quando arrivò la grande purga staliniana che colpì la stessa comunità italiana di Mosca, di italiani in Crimea non ce ne erano molti, ma quei pochi sopravvissuti alla purga presero la via dell’Asia centrale (deportati a Karaganda e lasciati a se stessi) per aver fraternizzato col nemico tedesco (che non era ancora arrivato si badi bene). Ritornarono quando Kruscev nel ’56 li "liberò". Aveva detto Kruscev: deportammo solo questi che non erano "allineati" col comunismo perche gli ucraini da deportare erano troppi e non sapevamo dove metterli. Oggi sicuramente si tratterebbe di spostare qualche decina di milione di persone. dal link http://digilander.libero.it/frontedeserto/memory/bossolicrimea.htm
Narra Giulia Boiko nel suo libro: « Tutta la strada da Kerch al Kazakistan è irrigata di lacrime e di sangue dei deportati o costellata dai nostri morti, non hanno nè tombe nè croci »: oggi gli italiani di Crimea ammontano a circa 300 persone, residenti soprattutto a Kerč. Si distinguevano per l’accanimento persecutorio alcuni esponenti del PC

Torna all'indice libri