La storia è racconto attraverso i libri  

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

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         La guerra di Giovanni

Figure ed episodi del

RISORGIMENTO italiano

Giovani Rossetti

Ed. Lampi di stampa

Dalla prefazione di Paolo Cirri ...… Il 5 maggio 1860 Garibaldi con un migliaio di volontari partiva da Genova per sbarcare in Sicilia e far deflagrare la rivolta contro i Borbone. Vittorio Emanuele appoggiava abbastanza scopertamente l'impresa, Cavour e il governo erano preoccupati dai problemi diplomatici che avrebbe portato. Le perplessità del conte erano legate anche alla sua scarsa conoscenza della realtà meridionale e al timore di una ripresa dell'iniziativa da parte della componente radicale, mazziniana e repubblicana del movimento patriottico. Quando Garibaldi si impose in Sicilia e, attraversato lo stretto, avanzò sul continente, Cavour decise l'intervento dell'esercito: ufficialmente per venire in soccorso delle popolazioni dell'Italia centromeridionale che si stavano ribellando ai loro aguzzini (ndr: non solo, stavano ribellandosi anche ai nuovi padroni e questo era tremendamente serio), in realtà per controllare movimenti e intenzioni di Garibaldi. In tutta fretta venne allestita una forza di circa 35.000 uomini e 80 cannoni, al comando del generale Manfredo Fanti, suddivisa in due corpi d'armata: l'uno al comando di Enrico Morozzo della Rocca, diretto dalla Romagna verso l'Umbria, e l'altro agli ordini di Enrico Cialdini, destinato ad attraversare le Marche e puntare sul porto di Ancona. Di quest'ultimo faceva parte il 12° battaglione di Rossetti. Il confine con lo Stato Pontificio veniva varcato l'11 settembre e il 18 nei pressi di Castelfidardo l'esercito papalino era battuto definitivamente. Allo scontro prese parte con un ruolo importante la 47a compagnia del nostro bersagliere, che combatté per tutta la giornata, prima contendendo il terreno al nemico palmo a palmo e poi partecipando alla controffensiva. Quale conseguenza del fatto d'armi http://www.milesgloriosus.it/Scenari/Castelfidardo/la_battaglia_di_castelfidardo.htm  , la fortezza di Ancona fu circondata e, grazie all'intervento della marina, cadde il 29 settembre. A questo punto l'armata riunita volse verso le montagne dell' Abruzzo per entrare nel Regno delle due Sicilie. Attraversato il Molise e preso il passo del Macerone, mal difeso dai Borbonici, le truppe sboccarono in Campania. Nei pressi di San Giuliano del Sannio il battaglione di Rossetti si scontrò col nemico rimanendo padrone del campo (26 ottobre). Passato, non senza qualche difficoltà, il fiume Garigliano, le unità sabaude costrinsero i resti dell' esercito borbonico a chiudersi nella fortezza di Gaeta, insieme al giovane Re Francesco II e a sua moglie Maria Sofia di Baviera. Cominciò un lungo e pesante assedio, ben descritto nelle sue fasi e nella sua quotidianità da Rossetti. Alla fine le moderne e ben posizionate artiglierie piemontesi ebbero ragione della resistenza avversaria e la resa venne firmata il 13 febbraio 1861. Ma altri forti si ostinavano a non cedere e il 12° battaglione bersaglieri venne imbarcato per Messina, dove contribuì alla fine dell'assedio, avvenuta il 12 marzo. Il 17 è proclamato solennemente il Regno d'Italia. Il 18 Rossetti e il suo reparto salpano dalla Sicilia alla volta di Genova.

"Non ci sono cento unitari in sette milioni di abitanti"; questo lo riferiva Farini, di Napoli nuovo governatore, a Massimo D'Azeglio (D'Azeglio, Scritti e discorsi politici vol. III (1938) pp. 399-400) poi aggiungeva in un dispaccio del 27 ottobre 1860 "Che paesi sono mai questi ...Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Africa: i beduini, a riscontro di questi cafoni, sono fior di virtù civile...La canaglia dà il sacco alle case de’ signori e taglia le teste, le orecchie a’ galantuomini e se ne vanta. Anche le donne cafone ammazzano".

Giovanni B. Cassinis, Min. della Giustizia, volle andare a Napoli a vedere di persona e riferì: "La parte orribile non è il popolo bensì il ceto medio. Tutto domandano [...] impieghi, pensione, danaro. Stanno attenti gli uni agli altri su chi va più innanzi [...] Ciascuno crede sempre se stesso dieci volte superiore al posto che ha, e tutti vorrebbero essere Presidenti d’Appello, di Cassazione e ministri!. Questo inerte popolo napoletano che ha bisogno d’ozio, di danaro e di disordini. Ma la polizia in mano di chi è?... Dei cosiddetti Camorristi: gente che fa a vicenda la parte dell’agente di polizia e del ribaldo.

IL PIEMONTE E I MERIDIONALI

Pag 91 del diario di Rossetti. ... Giunti nella valle e precisamente nel paese chiamato Isergna (Isernia) si trovammo addirittura in mezzo a colli elevati....nel mentre facevamo le tende vidi S.M. il nostro Re Vittorio Emanuele venire in mezzo a noi come fosse stato un soldato come noi; tanto era familiare; si raccomandò a noi dicendoci: "Cari bersaglieri pensate che questi paesi sono Italiani, ma v'è però gente infami e traditori; quando dovete andare per paglia onde mettere nelle vostre tende, andate metà di corvè e metà armati,e per questo vi spiegherò anche il motivo. Sappiate che in una casa d'Isergna, dove vi sono quelle donne di malavita, fu trovato un Garibaldino con i testicoli in bocca, e cadavere; perciò sappiatevi di portavi bene, perché anche l'altro giorno un certo numero di soldati che si trovavano alla Privianda (sussistenza), era andato per paglia come fate voialtri e non si sa più che fine abbiano fatto. Soggiunse ancora: adesso aspetto che si faccia più notte, poi vado a fare un giro di perlustrazione, onde poter vedere dove si trovano questi maccheroni di Napoli, che sono i nostri nemici"

Nigra (Segretario generale del Governatore delle province meridionali il principe Eugenio di Savoia-Carignano, succeduto in questa carica a Luigi Carlo Farini) in una lettera a Cavour: «Lascerò Napoli diventata davvero provincia italiana, non nello spirito della popolazione (per questo ci vorrà un po’ di tempo), ma nella forma dell’amministrazione. I pericoli però non sono affatto passati. Pensi che abbiamo infiniti soldati borbonici sbandati, senza occupazione, senza vitto. Abbiamo i briganti che in primavera occuperanno i monti. Abbiamo il clero nemico; i garibaldini malcontenti, irritati, affamati. Cinquecento di essi, dopo aver preso congedo e soldo per tre mesi, si trovano ora qui in preda alla peggior consigliera, la fame, che girano le strade di Napoli, rubando per vivere. Abbiamo le febbri tifoidee che imperversano nei reduci di Gaeta e mettono in commozione la città. Gli ufficiali napoletani di terra e di mare irritati, malcontenti, mal ricevuti dai nostri; l’aristocrazia, avversa, fa il lutto dei Borboni a Portici [...]. Gli operai dell’arsenale e delle ferrovie inquieti. L’immenso numero dei municipali offesi nei loro interessi. I devoti in soqquadro per l’abolizione dei conventi. Gl’impiegati, gli infiniti curiali, e l’immensa caterva di chi viveva d’elemosina ufficiale e di ruberie, implacabile [...]. I cittadini reclamanti di continuo contro la gravezza degli alloggi militari. Gli ufficiali piemontesi, gl’impiegati piemontesi e tutto quello che viene dall’Italia settentrionale, non cessano dal dire apertamente e declamare ogni sorta d’ingiurie (talora meritate) contro tutto quello che vedono ed odono qui. Ecco in qual bolgia mi ha mandato. E per sopramercato pochi carabinieri e poca forza nelle provincie. E un’amministrazione corrottissima da capo a fondo. Pessima stampa. Popolo docile sì, ma instabile, ozioso ed ignorante. Viveri relativamente cari. E in capo a questo quadro la figura gigantesca di Garibaldi, che grandeggia dal suo scoglio di Caprera e getta fin qui la vasta sua ombra"

   

Nota del sito: Questa a fianco è una pagina sconclusionata e fuori da ogni logica militare. Il disertore porta informazioni preziose a cui secondo le moderne convenzioni non sarebbe neanche tenuto. Il rimandarlo indietro, oltre che mantenere il numero dei nemici invariato, dissuade altri dal disertare bloccando i flussi di informazione. Non si spiega neanche come questa sarebbe una misura "esemplare" verso il proprio esercito (il piemontese) trattato diversamente dai borbonici quando se ne presentasse l'occasione. Per "misura esemplare" si intende l'avvertimento ai nostri che in caso di diserzione ogni esercito così si comporti il che non è vero.

PRIGIONIERI

V'era delle notti che prendevamo qualche prigioniero che veniva ad arrendersi; trovandosi molti di loro fuori della fortezza, e dietro una trincea stavano in avamposti e perciò qualcuno di questi veniva arrendersi. Allora noialtri gli bendavamo gli occhi e lo conducevamo davanti al Capitano; qui giunto si toglieva la benda e il Capitano faceva quelle interrogazioni che credeva; quindi lo si bendava nuovamente e si portava al Maggiore il quale faceva altrettanto; per ultimo poi al Generale dopo d'averlo per bene interrogato. La notte seguente si bendava ancora e si conduceva fuori dei nostri avamposti e qui giunti gli dicevamo che tornassero nella loro fortezza. Delle notti venivano anche in gruppi e si faceva lo stesso; insomma faceva veramente compassione a vederli piangere e noialtri pensavamo: Poveri loro sono 24 ore che mancano dal loro posto e devono tornare in fortezza disarmati, forse l'aspetta la fucilazione si pensava noialtri: e come l'avevano. Ma noialtri ci rattristava al pensare questo e pensammo un modo onde poter salvarli dalla crudeltà del nostro comandante il Corpo d'Armata, cioè di farli assentare dal loro posto per 24 ore e poi li rimandava disarmati e per sottrarli dal castigo che loro gli aspettava dal loro comandante; così noi a tutti quelli che venivano arrendersi e che poi venivano nuovamente rimandati, noialtri gl' insegnavamo la strada da prendere e il modo di comportarsi, cioè di portarsi sulla nostra destra vicino al mare e costeggiarlo per poi prendere la strada da salvarsi, e così facevamo scongiurando il pericolo.

All' apertura delle ostilità le forze di Francesco II contano “934 ufficiali e 12.000 uomini di truppa. Con essi trovasi la Corte", annota Garnier, "nonché uno stuolo di generali e di ministri che avevano lasciato Napoli, decisi a rimanere fino all'ultimo con la casa regnante. Con re Francesco stava la regina Maria Sofia di Baviera, sua sposa appena diciottenne, salita al trono solo per provarne le amarezze. Nella cittadella vivono 3.000 anime; poco fuori, in località Borgo, si contano 15.000 abitanti, che presto saranno costretti ad abbandonare le proprie case. Ci sono anche prigionieri, in particolare un migliaio di garibaldini presi nelle battaglie precedenti, che verranno scambiati con soldati napoletani, scelti per volere di Cialdini, tra i più restii a tornare sotto le bandiere borboniche". I piemontesi del IV Corpo d'Armata all'inizio dell'assedio contano 15.255 soldati, 808 ufficiali, 1679 cavalli e 42 cannoni. Il numero delle artiglierie, rinforzate dai moderni cannoni "Cavalli" a canna rigata con una maggiore gittata e una più elevata precisione di tiro, arriverà a 160 pezzi. Il Generale Cialdini, occupata Mola, l'attuale Formia, si installa a Cappella di Conca, da dove decide di attuare un'avanzata in grado di assicurargli il maggior numero di postazioni elevate. I cannoni a lunga gittata faranno il resto. Dapprincipio restano fuori dalle mura 15.000 borbonici accampati sull'istmo di Montesecco… Claudio Razeto History Italia settembre 2011

(Si riporta del libro solo piccoli passi e citazioni poiché l'editore non ha acconsentito a una illustrazione più ampia)

L'ASSEDIO DI GAETA 

 

  

"Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900", di Augusto Elia - Roma : Tipo-lit. genio civile, 1904 http://www.liberliber.it/mediateca/libri/e/elia/ricordi_di_un_garibaldino/pdf/ricord_p.pdf
CAPITOLO XXII.
Presa di Capua e di Gaeta.

La mattina del 28 ottobre ambo gli eserciti settentrionali e meridionali erano intorno a Capua. Una conferenza tra Garibaldi ed i generali Menabrea e Della Rocca aveva già determinato il piano di espugnazione della fortezza, per l'esecuzione del quale il generale Menabrea diede i suoi ordini agli ufficiali del genio e prendeva tutte le misure per una pronta espugnazione della piazza, mentre il generale Della Rocca dava le sue disposizioni all'artiglieria ed agli altri corpi, per effetto delle quali, le truppe piemontesi rinforzavano il posto di Caiazzo abbandonato dai borbonici, di S. Maria e di S. Angelo; il genio e l'artiglieria si distribuivano nelle rispettive posizioni intorno alla fortezza e tutto era ordinato per il bombardamento. Più di ventimila borbonici si erano trincerati con potenti artiglierie a Mola di Gaeta. Il 4 di novembre vennero destinati a conquistare quella posizione, la brigata granatieri di Sardegna, il 14° e 24° bersaglieri, due squadroni di lancieri di Novara e due batterie d'artiglieria. Mola, è la parte più a mare della cittadella di Formia, ed è addossata ad una linea di colline che scendono sul mare lasciando appena posto per la strada. Il 24° battaglione bersaglieri si andò a stendere su un'altura a cavallo della strada; a destra, sulle prime alture, si stendeva il 1° reggimento granatieri; il 2° reggimento granatieri si collocava più indietro; il 3° in riserva; il 14° battaglione dei bersaglieri venne mandato a sloggiare i borbonici che occupavano il paese di Maranola, situato in altura sopra Mola. Alle ore 11 s'incominciò l'assalto con fuoco vivissimo da ambo le parti; un battaglione del 1° granatieri è mandato in sostegno del 14° bersaglieri e con vigoroso attacco scacciano i borbonici da Maranola. Il battaglione granatieri dopo di avere cacciato i borbonici da Maranola, rinforzato da altro battaglione del 2° granatieri si scaglia arditamente contro l'alta posizione chiamata Madonna di Ponza fortemente occupata e difesa da due batterie; i nostri con slancio ammirabile vi sono sopra, fugano il nemico e s'impossessano dei cannoni. Eseguite queste due brillanti operazioni, tutta la linea dei nostri si slancia risolutamente all'attacco di Mola sotto il fuoco assai ben nutrito del nemico, attraverso un terreno difficile, seminato da siepi, da muri e da fossi; marciano in testa la(96) 3a e la 4a compagnia del 2° granatieri che primi scavalcano le barricate e penetrano nel paese, mettendo in fuga il nemico(97) che lascia in potere dei nostri undici cannoni. Non restava che di espugnare la posizione del Castellone fortemente tenuta dai borbonici; i granatieri e bersaglieri esaltati(98) dalle riportate vittorie, si lanciano valorosamente all'assalto e, superati tutti gli ostacoli ed ogni resistenza, riescono vittoriosi e l'espugnano. Ricoverati entro le mura di Gaeta, i Borboni di Napoli si sforzavano di tener ancora testa alle forze vigorose dell'unificazione d'Italia, con una guarnigione di oltre 15 000 combattenti e con ben 528 bocche da fuoco.
  Rossetti

Gaeta (C. Bossoli)

Dunque nel borgo di Gaeta v'erano tre Battaglioni bersaglieri, il nostro ordinario (salario) fu aumentato al doppio, e non basta di questo, siccome il borgo era spopolato, i soldati che avevano le mani lunghe andavano per le vie arraffando e quando sentivano odore del vino scassavano la porta, e lì con dei fiaschi si portavano via dai 12 ai 15 litri ciascuno, e se lo portavano al loro posto dove dormivano. I superiori accorgendosi di questo, misero una sentinella in modo che più nessuno poteva entrarvi in quei magazzini di vino, ma da una parte o dall'altra entravano sempre e prima che i superiori se ne accorgessero una gran parte avevano già fatto una buona provvista. Oltre a questo v'erano anche dei magazzini d'olio d'oliva e ne facemmo una bella provvista, dimodoché la sera tenevamo il nostro lume acceso con quel olio e coll'altro che avanzavamo facevamo l'insalata, non mancando questa in quel paese essendo zeppo di giardini. Per i primi giorni quei soldati trovandosi in mezzo a quell'abbondanza prendevano sborgne tremende, e scorpacciate d'insalata, ma poi passata quell'avidità, bevevano tranquillamente senza vedere uno ubriaco. E' vero che nelle marce addietro i carri dei vini non potevano mai raggiungerei e soffrivamo la fame, ma qui mangiavamo e bevevamo non pensando punto al pericolo. …..
   

I battaglioni bersaglieri a cui fa spesso riferimento Rossetti sono il 6-7-11-12° che andranno a costituire il nocciolo del 4° reggimento dalla fine del 1861 con il Q.G a Ravenna.

Quel borgo dove eravamo noialtri, era di già stato distrutto sette volte. Un proclama che ci lesse il nostro comandante generale, non mi ricordo più tutto intero, ma torna a mente sempre i seguenti brani: Soldati, vi ringrazio della vostra resistenza e del coraggio dimostrato, nonché delle fatiche sopportate; sappiate che i primi soldati d'Europa, e si potrebbe dire del mondo, che sono i Francesi, ebbene Napoleone Primo tempo addietro, ci mise sei lunghi mesi per prendere questa fortezza di primo ordine che è Gaeta, e noialtri Piemontesi in tre mesi la prendemmo, costringendo la alla resa. I nostri Ufficiali dopo, ci unirono ciascuno sotto il loro comando e ci fecero questa paternale: Ora la guerra è terminata, guardate d'osservare per bene la disciplina militare da oggi in avanti! Gli Ufficiali dicevano questo perché naturalmente il soldato in campagna, essendo più libero e di più sempre sotto gl'impulsi della guerra, diventa sempre più rozzo e si puol dire quasi bestiale, pensando solo a far denari. Difatti ve lo mostrano i casi seguenti: che tutta la mobilia, nonché la biancheria che si trovava nelle case del paese, fu tutta rapita e venduta dai soldati stessi. Nonché persino le campane che si trovavano in una piccola chiesa, vidi io stesso con una mazza a romperle e poi andarle a vendere, nonché tutta l'argenteria, insomma tutta quella roba che poteva avere un poco di valore, insomma il paese fu veramente derubato. La resa di Gaeta avvenne il 13 Febbraio 186l. Dopo 7/8 giorni arrivò un ordine d'imbarcarsi su di una fregata e partire alla volta di Messina per prendere quella fortezza.
   

Messina, 1861: ecco il «Metodo Cialdini»
da Storia in rete Marzo 2011

 Civitella del Tronto

Sopra la guarnigione di Civitella del Tronto arresasi il 20 Marzo 1861, 3 giorni dopo l'inaugurazione a Torino, del primo Parlamento nazionale con un pezzo di territorio ancora franco (oltre a Roma e le Venezie).

Alla fine di febbraio del 1861, a poche settimane dalla proclamazione del Regno d'Italia (17 marzo), c'era ancora un problema da risolvere per il governo Cavour. Il nuovo regno doveva essere completamente pacificato e invece, nonostante la caduta il 13 febbraio della Fortezza di Gaeta e l'esilio nello Stato Pontificio dei sovrani del Regno delle Due Sicilie, la Fortezza di Messina resisteva ancora così come, in Abruzzo, presso Teramo, quella di Civitella del Tronto. Cialdini, l'uomo che aveva brutalmente piegato la resistenza borbonica di Gaeta venne mandato a risolvere anche la situazione di Messina. Bisognava fare in fretta perché il 17 marzo tutto doveva essere a posto. Al suo arrivo Cialdini rompe ogni indugio anche se è in corso un armistizio tra le parti. Fa sbarcare nuova artiglieria e quattro battaglioni di bersaglieri. Il comandante borbonico, Gen. Gennaro Fergola, dichiara di esser pronto a sparare anche sulla città pur di respingere eventuali attacchi da terra. Cialdini risponde secco: «Proclamato Re d'Italia Vittorio Emanuele, la vostra condotta sarà considerata una ribellione. Dovrete arrendervi a discrezione. Se sparate sulla città, io farò fucilare, dopo la resa della cittadella tanti soldati ed ufficiali della guarnigione, quante vittime avrà fatte il vostro fuoco. Poi consegnerò voi ed i vostri subordinati alla vendetta dei messinesi». Fergola si arrese senza aver sparato sulla città il 13 marzo 1861. Meno bene andò invece ad un altro generale piemontese, Luigi Mezzacapo, che riuscì ad ottenere il 20 marzo 1861 la resa di Civitella del Tronto quando il Regno d'Italia esisteva da tre giorni.
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Il 27 febbraio giunse a Messina il gen. Cialdini con quattro battaglioni bersaglieri del IV Corpo (6-7-11-12°), 6 compagnie del genio, un reggimento di fanteria e con l’artiglieria forte di 43 nuovissimi cannoni rigati e 12 mortai. Il 1° marzo, alle cinque pomeridiane, l’armistizio che durava da più di sette mesi cessò e iniziarono le ostilità. I piemontesi per prima cosa sistemarono sei batterie: ai Gemelli, al Cimitero, al Bastione Segreto, al Noviziato, a Santa Cecilia ed a Sant’Elia. Il 5 marzo iniziò il blocco totale della cittadella. L’8 marzo Fergola ordinò il fuoco contro le opere d’assedio piemontesi. Il 9 marzo alle otto del mattino, mentre i cannoni della fortezza sparavano contro i lavori d’assedio piemontesi, Fergola tentò una sortita dal Forte Don Blasco, ma l’azione fu arrestata dai dei bersaglieri piemontesi, appoggiati dalla loro artiglieria. La potenza e la doppia gittata dei cannoni piemontesi ridussero ad un cumulo di macerie in poco tempo il fortino. Il deposito Norimbergh, pieno di polvere pirica, centrato più volte, prese fuoco, rischiando di saltare in aria. Anche la zona della Cittadella, dove erano ricoverati oltre 1.000 civili (per lo più donne e bambini), subì un forte cannoneggiamento. Da parte borbonica si cercò di allungare il tiro dei vecchi cannoni (alcuni avevano circa 150 anni di vita), interrandoli in parte, ma perdendo così in dirigibilità del tiro. Anche dal mare le navi piemontesi Vittorio Emanuele e Carlo Alberto spararono molte salve, ma senza arrecare alcun danno, perché l’amm. Persano se ne stava prudentemente fuori tiro. Il 13 marzo (4 giorni prima della proclamazione dell'Unità d'Italia), la Cittadella di Messina ormai ridotta al silenzio alzò bandiera bianca.

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