La storia è racconto attraverso i libri  

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

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RISORGIMENTO

L'unità d'Italia

Ed. Cantagalli Siena

Bio Wkipedia
Giacomo Biffi (Milano, 13 giugno 1928) è un cardinale e arcivescovo cattolico italiano con ultima diocesi a Bologna. Ha ricevuto l'ordine sacro del sacerdozio a Milano il 23 dicembre 1950. È stato insegnante di teologia e parroco a Legnano e nella parrocchia di Sant'Andrea a Milano. Papa Paolo VI lo ha nominato vescovo titolare di Fidene e ausiliare del cardinale arcivescovo di Milano il 7 dicembre 1975; ha ricevuto l'ordinazione episcopale l'11 gennaio 1976. Promosso arcivescovo di Bologna, vi fece il solenne ingresso il 2 giugno 1984. Elevato al rango di cardinale da Giovanni Paolo II nel concistoro del 25 maggio 1985, è membro della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, della Congregazione del clero e della Congregazione per l'educazione cattolica. Ritiratosi nel 2003 per raggiunti limiti d’età, conserva il titolo di arcivescovo emerito di Bologna.

 

LA FINE DEL "PRIMATO"
Paradossalmente, proprio con gli autori che a vario titolo possono ben essere considerati i grandi "vati" del nostro Risorgimento - Foscolo, Leopardi, Manzoni - la letteratura italiana tocca un traguardo che poi non riesce più a oltrepassare. A Risorgimento concluso, non si leverà nessuna voce paragonabile alla loro, che risuoni degnamente e incontestabilmente tra le massime espressioni della poesia universale.
Come si vede, proprio dal momento che, con un governo "italiano", con un parlamento "italiano", con un esercito "italiano", siamo stati accolti nel consesso dei popoli come un soggetto autonomo e ben individuato, parrebbe che non avessimo più niente da dire a nessuno. Naturalmente con le incontestabili eccezioni della musica lirica (basterà pensare a Verdi [+1901] e Puccini [+1924]), e del talento di inventore con cui si è imposto Guglielmo Marconi. Le genti italiche - che, divise, in tutti i campi avevano continuato a insegnare qualcosa a tutti - una volta raggiunta la sospirata unità e indipendenza politica, hanno solo cercato di imitare un po' tutti, specialmente i francesi e gli inglesi, fino a rassegnarsi all'attuale condizione di colonia culturale statunitense. 

A questo punto, credo si possa tranquillamente concludere che - se c'è stato un "risorgere" - è stato un "risorgere" relativo e parziale. Anzi, l'unificazione statuale è stranamente coincisa con un certo calo della nostra connaturale creatività. Sul piano dei valori più \ sostanziali, l'Italia con l'unità ha perso, per così dire, un po' di smalto.

Il cardinale Giacomo Biffi: «L’elemento più potente di aggregazione delle varie genti della penisola è stato il comune possesso della fede cattolica»
Di Benedetta Frigerio
Il cardinale mons. Giacomo Biffi nel libro appena edito da Cantagalli, L’unità d’Italia, ha ben spiegato cosa significhi che “il comune sentire è frutto di un’interpretazione credente”: Il Vangelo di Cristo –  a partire dalla fine del secolo IV – in ogni angolo della nostra terra è stato accolto e assimilato, ovviamente con tutte le lacune, le incoerenze, le contraddizioni comportamentali che non dovrebbero meravigliare nessuno. [...] Le genti d’Italia -tutte le genti-hanno attraversato i secoli nella certezza di provenire da Dio, Creatore e Padre; sorrette dalla speranza di una vita eterna, che va meritata nella vita terrena; con l’impegno a tentare  di vivere come fratelli e a realizzare questo impegno anche nelle opere sociali e di carità». Biffi nel suo libro ricorda che è questo che ci ha sempre uniti, «ha fatto da collante» e a cui forse oggi ci farebbe bene riguardare.

UNIFICAZIONE O CONQUISTA?
L'unificazione - come di fatto è avvenuta - è stata il risultato di un'aspirazione concorde, se non di tutto un popolo (come sognava Mazzini), almeno dei gruppi emergenti e più attivi in ogni regione d'Italia, o è stata piuttosto una "conquista piemontese"? È arduo decidere in modo risoluto e drastico tra queste due "ipotesi di lavoro", che probabilmente hanno ambedue una loro "verità". C'è da dire però che si è fatto ben poco per attenuare l'impressione che la così detta «rivoluzione italiana» (la parola è del Manzoni) fosse piuttosto nella sostanza un procedimento di annessione. Il pluralismo statuale comportava inconvenienti anche gravi, e andava per forza di cose superato. Ma non era un fenomeno del tutto negativo: corrispondeva a un certo genio del nostro popolo e aveva dato tra l'altro, come ammirevole risultato, il fascino impareggiabile di molte città italiane vestite a festa come si conviene alle capitali.
Non se ne tenne conto alcuno. E a una integrazione rispettosa delle particolari ricchezze si preferì la via sbrigativa di una imposizione livellatrice. A tutte le regioni d'Italia, così diverse tra loro per indole, per tradizioni secolari, per condizioni concrete, fu estesa la legislazione, la struttura amministrativa, la burocrazia piemontese. Non ci si curò neppure di salvare le apparenze, anche laddove si poteva farlo con poca spesa. Che cosa sarebbe costato a Vittorio Emanuele II assumere il nome, per esempio, di Vittorio I, in modo da rendere chiaro a tutti che si trattava dell'inizio di un Regno nuovo e diverso, e non di un ingrandimento del Regno. Sardo?
I quattro "padri" del Risorgimento
Una volta conclusa l'azione unificatrice, con molta accortezza si è elaborato e imposto una specie di "catechismo risorgimentale" edulcorato, nel quale Vittorio Emanuele II, Cavour, Garibaldi e Mazzini erano indicati alla venerazione degli italiani come gli "autori" della mirabile impresa. In realtà, la sola cosa che accomunava questi "padri" del Risorgimento è che nessuno di loro poteva soffrire gli altri tre.  segue sotto

   

dal MESSAGGIO DEL PAPA BENEDETTO XVI AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, IN OCCASIONE DEI 150 ANNI DELL’UNITÀ POLITICA D’ITALIA

Spiando alle porte del Vaticano

Nota: Alla fine del Concilio Vaticano II, Paolo VI scese dal trono papale nella Basilica di San Pietro e depose il triregno o Tiara sull'altare quale gesto simbolico di umiltà e di rinuncia a qualsiasi potere di natura politico-umana. Da allora, nessuno dei suoi successori ha portato il triregno. La tiara venne messa in vendita per darne il ricavato ai poveri. Il cardinale Spellman, chiese ed acquistò la tiara. Essa è oggi esposta nella Basilica dell’Immacolata Concezione a Washington. Abolì stemmi, baldacchini, i flabelli bizantini delle fastose cerimonie pontificie, la Guardia Palatina, la sedia gestatoria, le guardie nobili, i cortei di armigeri: il trono fu sostituito da una poltrona.

....Per ragioni storiche, culturali e politiche complesse, il Risorgimento è passato come un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesimo, talora anche alla religione in generale. Senza negare il ruolo di tradizioni di pensiero diverse, alcune marcate da venature giurisdizionaliste o laiciste, non si può sottacere l’apporto di pensiero - e talora di azione - dei cattolici alla formazione dello Stato unitario. Dal punto di vista del pensiero politico basterebbe ricordare tutta la vicenda del neoguelfismo che conobbe in Vincenzo Gioberti un illustre rappresentante; ovvero pensare agli orientamenti cattolico-liberali di Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, Raffaele Lambruschini. Per il pensiero filosofico, politico ed anche giuridico risalta la grande figura di Antonio Rosmini, la cui influenza si è dispiegata nel tempo, fino ad informare punti significativi della vigente Costituzione italiana. E per quella letteratura che tanto ha contribuito a “fare gli italiani”, cioè a dare loro il senso dell’appartenenza alla nuova comunità politica che il processo risorgimentale veniva plasmando, come non ricordare Alessandro Manzoni, fedele interprete della fede e della morale cattolica; o Silvio Pellico, che con la sua opera autobiografica sulle dolorose vicissitudini di un patriota seppe testimoniare la conciliabilità dell’amor di Patria con una fede adamantina ... L’astensione dalla vita politica, seguente il “non expedit”, rivolse le realtà del mondo cattolico verso una grande assunzione di responsabilità nel sociale: educazione, istruzione, assistenza, sanità, cooperazione, economia sociale, furono ambiti di impegno che fecero crescere una società solidale e fortemente coesa. La vertenza apertasi tra Stato e Chiesa con la proclamazione di Roma capitale d’Italia e con la fine dello Stato Pontificio, era particolarmente complessa. Si trattava indubbiamente di un caso tutto italiano, nella misura in cui solo l’Italia ha la singolarità di ospitare la sede del Papato. D’altra parte, la questione aveva una indubbia rilevanza anche internazionale. Si deve notare che, finito il potere temporale, la Santa Sede, pur reclamando la più piena libertà e la sovranità che le spetta nell’ordine suo, ha sempre rifiutato la possibilità di una soluzione della “Questione Romana” attraverso imposizioni dall’esterno, confidando nei sentimenti del popolo italiano e nel senso di responsabilità e giustizia dello Stato italiano. La firma dei Patti lateranensi, l’11 febbraio 1929, segnò la definitiva soluzione del problema. A proposito della fine degli Stati pontifici, nel ricordo del beato Papa Pio IX e dei Successori, riprendo le parole del Cardinale Giovanni Battista Montini, nel suo discorso tenuto in Campidoglio il 10 ottobre 1962: “Il papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione sul mondo, come prima non mai”.
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OMELIA DI PAPA PAOLO VI, G.B. MONTINI PER IL CENTENARIO DELLA MORTE DI PIO IX 5/3/78
.... Il crollo del Potere temporale appariva indebito e grave, e comprometteva l'indipendenza, la libertà e la funzionalità del Papato; minaccia questa che pesò, fino ai giorni della Conciliazione, sulla Sede Apostolica, tenendo vivo con nostalgica amarezza il ricordo dei secoli, in cui il Potere temporale era stato lo scudo difensivo di quello spirituale e in pari tempo il tutore del territorio dell'Italia centrale, vi aveva conservato la memoria e il costume civile della tradizione classica romana, favorendo la promozione della compagine degli Stati del continente, alimentando una coscienza unitaria della civiltà scaturita dall'umanesimo greco-romano, e soprattutto sviluppando negli animi e nei costumi la fede cattolica. Ma lo sviluppo storico e civile dei Popoli e alla fine, dopo la Rivoluzione Francese e l'evoluzione post-napoleonica, verso la metà del secolo XIX, la loro maturità costituzionale, non consentivano più allo Stato Pontificio l'esercizio d'una supremazia ideologica e d'un primato temporale....

  segue

L'indipendenza nazionale
Tre "guadagni provvidenziali" del Risorgimento meritano di essere puntualmente richiamati.
Il primo è di aver definitivamente liberato l'Italia da ogni dominazione non italiana. Pur guardandoci da ogni esasperato nazionalismo (che troppo spesso è stato per i popoli un cattivo consigliere, non vediamo perché in linea di principio una grande Nazione non debba autogovernarsi e sia costretta a subire una egemonia politica straniera.

L'unità politica
Il secondo è di aver radunato tutti gli italiani nella realtà politica di un solo Stato. È senza dubbio più conforme all'autenticità delle cose che quanti sono costituiti nella stessa identità nazionale non siano poi artificiosamente divisi da confini innaturali e arbitrari. L'unità statuale di una Nazione può essere attuata e gestita in vario modo, in vista di ottenere le condizioni più adatte e funzionali al conseguimento del bene comune; ma non può essere rinnegata o rimessa in discussione. Il separatismo poi sarebbe specialmente irragionevole e indecoroso, se fosse suggerito o incentivato dal dissolversi di ogni spirito di solidarietà nei confronti delle regioni più sfortunate ed economicamente più deboli.
La fine del potere temporale
Il terzo "guadagno" rallegra in modo speciale i veri credenti ed è la scomparsa del "potere temporale" pontificio, che nessun cattolico si sogna più di rimpiangere. Era, nelle forme e nelle dimensioni in cui si realizzava, una realtà anacronistica, che non aveva ragione di sussistere nel mondo moderno. E di fatto, da quando non è più intrigato dall'esercizio di un principato civile, il Successore di Pietro può attendere con più frutto alla sua missione pastorale.

Da Impegno per Siena
Un italiano d’eccezione, dunque, offre il suo contributo personale al controverso e multiforme dibattito sul Risorgimento. In occasione del 150° anniversario dell’Italia unita, il cardinale Giacomo Biffi rivolge il suo inconfondibile sguardo ai fatti “provvidenziali” che guidarono il nostro Paese verso l’unità nazionale, senza trascurare le contraddizioni, i limiti e gli effetti a lungo termine dell’opera dei costruttori del nuovo Stato. Si trattò davvero di “risorgere”? Di certo, pur riconoscendo gli effetti positivi  della “rivoluzione” ottocentesca, il cardinale non può fare a meno di notare che gli italiani finalmente uniti sotto il vessillo tricolore abbiano “perso, per così dire, un po’ di smalto”. Divisi, gli italiani,  avevano  dato  prova  di creatività e talento ineguagliabile nell’arte, nella musica, nella poesia, nell’architettura, e avevano offerto importanti contributi alla scienza. Ma all’indomani della  tanto  sospirata  unità nazionale il genio  italico sembra  affievolito  e la sua inventiva  limitata a  riproporre scolorite imitazioni di modelli altrui.
 

Non era però senza fondamento il parere di chi riteneva che una reale e sostanziale indipendenza, anche territoriale, da ogni autorità politica era indispensabile a salvaguardare la necessaria libertà del Vescovo di Roma e Capo della Cattolicità. Pure lo Stato, del resto, è avvantaggiato a non avere tra i suoi amministrati e sottoposti un cittadino ingombrante come il Vicario di Cristo. Sicché la Conciliazione del 1929 - che è riuscita a superare i contrapposti intransigentismi ottocenteschi - può essere considerata il miglior approdo concretamente possibile alla faticosa navigazione risorgimentale.

nota: Ecco il testo esatto delle parole (poi estrapolate ed enfatizzate dai coraggiosi oppositori del fascismo ormai caduto) pronunciate il 13 febbraio 1929 da Pio XI, il quale amava introdurre spesso nei suoi discorsi il richiamo alla Provvidenza: "Per giungere a quelle intese forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare». Il pensiero del papa può essere colto con esattezza, ricordando quanto egli disse poco tempo dopo (il 24 maggio 1929) a proposito degli accordi con il governo fascista: "Quando si trattasse di salvare qualche anima, di impedire maggiori danni di anime, ci sentiremmo il coraggio di trattare col diavolo in persona".

Doveri conseguenti alla laicità dello Stato

Noi non dobbiamo pretendere di qualificare cristianamente le convivenze necessarie, quelle cioè che l'uomo non può nè scegliere liberamente né liberamente abbandonare. E naturalmente nessuno può imporre a noi le stesse "convivenze necessarie" qualificate e gestite in modo contrario ai contenuti della nostra adesione al Vangelo e al Magistero della Chiesa.
"I cristiani non cercheranno di abbassare a cittadini di secondo rango quelli che non hanno le loro convinzioni; ma non possono essi stessi accettare di scadere a cittadini di seconda classe o di essere emarginati a causa della professione della propria fede".
"Per la stessa ragione non sarà lecito alle amministrazioni dello Stato e degli enti locali operare discriminazioni di nessun genere: perciò essi non possono né privilegiare con favoritismi né privare nessuno dei propri diritti in forza del  suo credo religioso, delle sue scelte politiche o delle sue opinioni filosofiche".
"Compito essenziale e irrinunciabile dello Stato è di assicurare ai singoli e ai gruppi la libertà di esistere nella identità culturale prescelta, di proporre agli altri le proprie convinzioni ed educare secondo i propri principi, di far esperienza di vita associata in coerenza alla loro matrice ideale e alle loro tradizioni, sempre nell'ambito del bene comune e nel rispetto della libertà altrui".

 

Angela Pellicciari da Radio Maria http://www.angelapellicciari.it/1/i_miei_libri_742058.html   http://cegliemessapica.splinder.com/post/15275943/non-si-passeggia-nella-cursia

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