La storia è racconto attraverso i libri  

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

76

PIERRE RENOUVIN (1893/1974) 

La prima guerra mondiale (La Première guerre mondiale, 1971)  Lucarini Roma Conoscere 1989

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

(cause e responsabilità del conflitto)

Introduzione ….passi…. Al momento dello scoppio della « Grande Guerra », all'inizio dell'agosto 1914, l'Europa non aveva vissuto conflitti generali da quando avevano avuto fine le guerre napoleoniche. Perché, dopo un secolo, ritroviamo tutte le grandi potenze di nuovo impegnate in una guerra « totale »? Le circostanze di una crisi diplomatica - quella del luglio 1914 - non possono essere sufficienti a darne ragione. È necessario anche tenere conto della situazione delle relazioni internazionali nel corso dei dieci anni precedenti. Tra il 1904 e il 1914, l'Europa aveva visto sorgere quattro volte la minaccia di una guerra generale: nel 1905-1906, in occasione delle iniziative prese dalla Germania per ostacolare l'espansione francese in Marocco; nel febbraio-marzo 1909, in seguito all' annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria-Ungheria; nel luglio-agosto 1911, al momento della nuova crisi marocchina provocata dalla politica tedesca; nel 1912-1913, durante le due guerre balcaniche che avevano messo in pericoloso contrasto gli interessi della Russia e dell' Austria-Ungheria. Tranne che nel 1907 e nel 1910, la pace era stata quasi costantemente in pericolo. Quali erano le cause profonde di questa precarietà? Da una parte le energiche manifestazioni del sentimento nazionale, sotto la forma sia dei movimenti di protesta delle « minoranze nazionali », sia dei nazionalismi espansionistici dei grandi Stati; dall' altra, la rivalità degli interessi economici e finanziari. Le correnti del sentimento nazionale e gli interessi materiali avevano contribuito, insieme alle crisi politiche, a formare gli orientamenti. Nel momento che la guerra sembrava cosa naturale e irrinunciabile l'orientamento degli Stati Maggiori fu quello di mettere l'esercito e la flotta in grado di affrontare la guerra; volevano perciò accrescere il potenziale bellico e aumentare il numero degli effettivi del tempo di pace per ridurre il tempo necessario alla mobilitazione. … I popoli  prestavano ascolto più volentieri alla propaganda nazionalista che agli appelli pacifisti ed erano disposti a sacrifici personali a favore del riarmo; dopo le ripetute minacce, essi erano arrivati a provare una rassegnazione fatalista di fronte alla prospettiva della guerra; alcuni ambienti pensavano addirittura che, per sfuggire alla tensione nervosa, sarebbe stato meglio « farla finita (subito)». Dopo un lungo periodo di pace - nonostante questa pace fosse incerta - questi popoli non si rendevano conto di cosa avrebbe significato l'appello alle armi.

Antonio Ghirelli La prima guerra Mondiale

Cause e responsabilità del conflitto.

 

La questione delle cause e delle responsabilità della guerra occupa naturalmente un posto di rilievo nel dibattito storiografico. L'importanza di tale controversia interpretativa, la sua genesi contestuale (e quindi la sua incidenza) rispetto agli avvenimenti in atto, sono confermate dal fatto che in un certo senso essa prese forma, attraverso il gioco diplomatico, già prima dello scoppio del conflitto, come tentativo di predeterminarne un'immagine favorevole; tanto sul piano interno come su quello internazionale, a ciascuno dei contendenti. Ciò è vero specialmente nel caso tedesco: la decisione intorno al se e quando scatenare il conflitto, nelle sfere dirigenti dell'impero guglielmino (II Reich) fu largamente fatta dipendere dalla possibilità di presentarlo come frutto di un'aggressione, quindi di associare alla mobilitazione patriottica il decisivo consenso popolare e in qualche modo l'appoggio preventivo della potente socialdemocrazia. Due quindi le principali interpretazioni della guerra elaborate e sostenute da ciascuno degli schieramenti: quella dell'Intesa che, con varie accentuazioni, rappresentò la guerra come reazione inevitabile all'aggressività e all'espansionismo tedesco, e soprattutto come scontro tra democrazia liberale e autoritarismo, come guerra per l'indipendenza dei popoli e l'affermazione del principio di nazionalità; e quella degli Imperi Centrali e particolarmente della

L'ambasciatore di Francia a Berlino scriveva, il 12 giugno 1914: « Sono lungi dal credere che in questo momento ci sia nell' aria qualcosa che rappresenti per noi una minaccia; proprio al contrario ». (ndr: Poi le cose andarono come sappiamo) a fine mese tutta l’Europa centrale e balcanica era in subbuglio) …A quel punto il conflitto austro-russo diventa europeo. La Germania proclama lo stato di « pericolo di guerra » e, il 31 luglio, invia alla Russia un ultimatum che esige la sospensione delle misure di mobilitazione; nello stesso tempo chiede alla Francia, alleata della Russia da ventidue anni, l'impegno a restare neutrale in una guerra russo-tedesca. Il governo francese rifiuta di fare questa promessa, e decreta, contemporaneamente al governo tedesco, la mobilitazione generale. La sera del 10 agosto, la Germania dichiara guerra alla Russia. Il 2 agosto intima al Belgio, nonostante lo statuto internazionale di neutralità che lo protegge, di permettere il passaggio alle sue truppe. Il 3, invia alla Francia la dichiarazione di guerra. Alla violazione della neutralità belga, la Gran Bretagna risponde con la decisione di entrare in guerra a fianco della Francia e della Russia, mentre l'Italia, nonostante sia dal 1882 alleata dell' Austria-Ungheria e dalla Germania, dichiara la propria neutralità. Perché questa crisi non è stata risolta con gli strumenti diplomatici? Il governo austro-ungarico ha voluto sfruttare l'occasione che gli offriva l'attentato di Sarajevo per stroncare, con le armi, il movimento nazionale serbo. Il governo russo si è rifiutato di lasciar schiacciare la Serbia, perché l'Austria-Ungheria avrebbe conquistato una posizione preponderante in tutta l'area balcanica che, da circa un secolo, era teatro di una lotta tra i due Imperi per l'influenza nella zona. La Germania e la Francia hanno creduto che fosse indispensabile mantenere le alleanze. La Gran Bretagna è stata consapevole dei propri interessi generali che le imponevano di sbarrare la strada ad una egemonia tedesca sul continente. Nella crisi del luglio 1914, la pressione degli interessi economici (che era stata notevole negli anni precedenti) non si è manifestata affatto; sono state unicamente le preoccupazioni di sicurezza, di potenza o di prestigio ad orientare le scelte decisive. Certo nessuno dei governi aveva premeditato la guerra generale. Ma l'Austria-Ungheria e la Germania avevano elaborato un piano d'azione di forza che, in un'Europa inquieta, implicava il rischio di un grande conflitto; esse hanno rifiutato ogni soluzione diplomatica; esse ancora, quando si è affermata la resistenza della Russia, hanno preferito la guerra generale all'abbandono del proprio piano.
Germania, che vide in essa la risposta obbligata a un tentativo di strangolamento delle proprie energie espansive, ivi comprese le iniziative coloniali. Quanto alla prima interpretazione, benché non le mancassero punti di appoggio specialmente nella presenza di forti spinte all'autonomia nazionale nei popoli compresi nella monarchia austro-ungarica, essa rivelava una sostanziale debolezza in ordine a molti fattori: dalla netta prevalenza di obiettivi

Lenin: « Quale altro mezzo poteva esserci, in regime capitalistico, per eliminare la sproporzione tra lo sviluppo delle forze produttive e l'accumulazione di capitale da un lato, e dall'altro la ripartizione delle colonie e delle "sfere di influenza" del capitale finanziario, al di fuori della guerra? ». La pregnanza di tale interpretazione (che queste parole sintetizzano in forma inevitabilmente sommaria); e la sua caratterizzazione rispetto a quella prima enunciata sulla corresponsabilità di tutte le potenze in campo, consiste nell'uscire da un ambito prevalentemente politico-diplomatico, per investire il terreno delle dinamiche socio-economiche profonde e dei processi di lungo periodo. In questo senso essa rinvia alle teorie sull'imperialismo, all'analisi della fase imperialistica del capitalismo e in particolare del capitale finanziario, tutti temi che non possono qui essere trattati estesamente. Basterà ricordare che da tempo il capitalismo internazionale aveva registrato, nell'imponente crescita, anche vistose modifiche qualitative e profonde contraddizioni interne, aveva visto accendersi crescenti rivalità commerciali (in particolare si era profilata la temibile concorrenza di Stati Uniti e Germania nei confronti della tradizionale supremazia produttiva e commerciale britannica)

imperialistici nella maggior parte dei paesi della Intesa, spesso (come nel caso dell'Italia) contraddittoriamente sovrapposti a quelli di autonomia nazionale, fino alla presenza in quel campo di uno stato - l'impero zarista - ben lontano dal poter essere additato quale campione della democrazia. Non lo fu neppure dopo la rivoluzione di febbraio e la successiva defezione russa, guerra della democrazia contro l'autoritarismo (ché anzi vide accentuarsi al massimo, in quasi tutti i paesi dell'Intesa, le tendenze all'accentramento e all'esercizio autoritario del potere), anche se una interpretazione del genere fu rilanciata nello scorcio finale del conflitto dal pacifismo wilsoniano, non a caso scarsamente influente sui suoi esiti, tutti condizionati dai prevalenti interessi imperialistici e dalle preoccupazioni della politica di potenza.

Quanto alla seconda interpretazione, neppure questa regge al vaglio della critica storica, e anzi ha avuto un declino più rapido dell'altra. Nella stessa Germania, le tesi difensive elaborate nel dopoguerra hanno piuttosto puntato, di contro all'univoca colpevolizzazione del II Reich, sulla corresponsabilità di tutte le maggiori potenze, impegnate in una competizione senza quartiere e in una corsa agli armamenti delle quali la guerra era il risultato se non inevitabile almeno largamente prevedibile e in qualche modo preventivato. In diverse accezioni, quest'ultima interpretazione ha goduto di ampio credito, sottolineando come le crescenti rivalità tra le potenze non fossero certo imputabili alle iniziative della sola Germania. … Non meno ancorata alla dinamica degli avvenimenti e delle forze storiche in campo, ancorché svincolata dalle ragioni di entrambi gli schieramenti, è la terza fondamentale interpretazione intorno alle cause della guerra: quella che risale all'ala sinistra della social democrazia e in particolare all'elaborazione di Lenin, vale a dire l'idea della guerra come risultato di uno scontro interimperialistico.

Conclusioni … passi… Nel quadro mondiale, i risultati essenziali della guerra sono, da una parte, il declino dell'Europa occidentale e centrale (vinti e vincitori), dall'altra, la « ascesa» della potenza degli Stati Uniti e del Giappone. Da forza trainante economica (avevano dato impulso allo sfruttamento delle risorse dei « paesi nuovi (colonie o ex colonie)» con la loro tecnica e i loro investimenti di capitali). Questo ruolo è stato decisamente logorato durante gli anni di guerra. Gli esportatori europei hanno perduto dei mercati, perché l'industria, assorbita dalle necessità militari, non era in grado di fornire i prodotti; gli investimenti di capitali sono cessati. Nel 1919, la crisi di sottoproduzione e la crisi finanziaria non permettono di riprendere, a breve scadenza, lo sforzo di espansione economica e finanziaria. L'influenza politica è minacciata ancora più direttamente, perché le colonie, nel momento in cui hanno visto i colonizzatori dilaniarsi l'uno con l'altro, hanno intuito la possibilità di liberarsi dalla dominazione degli Europei. Queste aspirazioni alla indipendenza sono state incoraggiate sia dalla diffusione dei principi wilsoniani d’autodeterminazione dei popoli» sia dalla dottrina comunista; le ideologie americana e sovietica per quanto opposte possano essere, trovano un punto di convergenza, che è la condanna del « colonialismo ». Movimenti di resistenza alla dominazione degli Stati europei si sono manifestati nel 1919 in India, in Egitto, nell'Unione sud-africana, in Africa del Nord, nelle Indie olandesi, e nello stesso tempo dei movimenti ostili all'influenza politica degli « Occidentali» si sviluppavano in Cina e tra le popolazioni turche ed arabe dell' antico Impero ottomano e per l'Inghilterra nella vicina Irlanda cattolica. Quasi ovunque gli Europei sono rimasti padroni della situazione. Ma questi primi tentativi di « decolonizzazione » segnano l'avviarsi del mondo in una nuova direzione. Mentre si manifestano questi segni del declino dell'Europa, i due grandi concorrenti che l'espansione europea nel mondo aveva già incontrato nei primi anni del XX secolo sono in pieno sviluppo. Il Giappone, tra il 1914 ed il 1918, ha conquistato importanti vantaggi politici; nel maggio 1915, ha ottenuto in Cina ampi privilegi economici e finanziari e ha occupato la provincia cinese di Chantoung; in Siberia tutta la parte orientale si trova, dal 1918, sotto una occupazione interalleata che è, di fatto, un' occupazione giapponese; nel Pacifico, la stessa sorte tocca agli arcipelaghi tedeschi situati a nord dell'Equatore. Dunque in Estremo Oriente è stabilita un'egemonia nipponica. Questa si appoggia, nella mentalità collettiva, su un forte nazionalismo e si avvantaggia della crisi interna che imperversa in Cina, in balia, dal 1918, della guerra civile. Tuttavia, le basi economiche sono fragili. Gli Stati Uniti, con il ruolo di fornitori degli Stati belligeranti che hanno avuto per due anni e mezzo, hanno aumentato, a ritmo veloce, la propria produzione industriale; hanno quadruplicato il tonnellaggio della flotta mercantile: in quattro anni hanno raggiunto, nella propria bilancia commerciale, un surplus pari a quello che era stato realizzato tra il 1787 ed il 1914. Detentori del la metà delle risorse mondiali d'oro, hanno prestato 10 miliardi di $ agli Stati europei e riacquistato una gran parte dei titoli americani che si trovavano nelle mani dei capitalisti stranieri. Infine, mentre fino al 1914, erano sempre stati importatori di capitali, ne sono ora divenuti esportatori, ed hanno ora un posto di primo piano nella vita finanziaria del mondo. Si rassegneranno i grandi stati industriali europei?. Non appena avranno potuto riorganizzare la propria vita economica, si sforzeranno di riprendere le posizioni che avevan perduto nel commercio mondiale. Non arriveranno tuttavia a recuperare tutto il posto che vi avevano avuto prima del 1914. La loro influenza politica ne soffrirà. Le iniziative degli Stati Uniti e l'influenza della Russia comunista diventeranno ormai dei fattori essenziali nella vita del mondo.

 

Torna all'indice libri