La storia è racconto attraverso i libri  

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

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Renata Broggini

PASSAGGIO IN SVIZZERA


L'anno nascosto di Indro Montanelli -
Ed. Feltrinelli 2007

Quel che conta è che l'invenzione sia verosimile. T. Giglio - Un certo Montanelli

Io sarei stata felicissima che il libro uscisse quando era ancora vivo. Perché potesse controbattere. Comunque, non è che non mi sia misurata con lui...» E come ne uscì? «Ero un po’ emozionata la prima volta nel ‘76. Però mi sembrò subito reticente. Così anche nell’ ‘86. Ancora più reticente mi apparve l’ultima volta che lo incontrai». E si insospettì. «No. Ma mi incuriosiva il silenzio, lui di solito tanto facondo, sul periodo svizzero. Soprattutto sui cinque mesi passati a Davos. Tutte cose che lui raccontava a modo suo. Cambiando spesso versione». Renata Broggini

Enrico Arosio: Indro, Miss Brulatour e le SS
Sui nove mesi di Montanelli nella Confederazione Elvetica si sapeva poco. Le informazioni, si scopre ora, erano spesso imprecise, abbellite o inventate: truccate dal protagonista. Questa la tesi, assai dura, di un libro che Feltrinelli pubblica a fine settembre e che 'L'espresso' ha letto in anteprima, scritto da Renata Broggini, ricercatrice svizzera specializzata sulle vicende dei rifugiati italiani durante la Seconda guerra mondiale. Ha sondato gli Archivi federali di Berna e Bellinzona, l'Archivio di Stato a Roma, memoriali, epistolari, naturalmente gli scritti di Montanelli, e raccolto testimonianze nuove. E il risultato è imbarazzante: Montanelli appare come un manipolatore della propria biografia, impegnato con tutta evidenza ad addolcire, dopo gli anni da entusiasta del fascio (non troppi per la verità), il suo rientro nell'Italia libera. Broggini riscrive molti episodi, da lui minimizzati o travisati, che gettano una luce sconcertante, pur in tempo di guerra, sulla statura morale del più celebrato giornalista italiano. Montanelli non operò da spia in favore dei tedeschi, questo Broggini lo esclude con nettezza. Ma volle accreditarsi come antifascista fin da subito, a Lugano; si vantò, fece imprudenze, ebbe toni sprezzanti. Si lamentò dell'ostracismo ("Trattato come un cane") dei fuorusciti, gli antifascisti storici, che sospettavano in lui una spia. Ma più che i suoi ardori di volontario in Africa orientale, gli esuli gli rimproverarono la finta fuga autorizzata dai tedeschi. Il ruolo avuto da Osteria (il Dottor Ugo) fu infatti divulgato incautamente dallo stesso Montanelli, parlando troppo, per superbia o presunzione o cinismo; il 'Dottor Ugo' ne uscì bruciato, e vanificato il suo avvicinamento agli alleati di Allen Dulles (lo arresteranno gli inglesi, mesi dopo).... La Broggini, impietosa, smaschera una fantasia dopo l'altra. In carcere, a Gallarate, poi a San Vittore, non vi è traccia di una effettiva "condanna a morte"; quando 'evade', così risulta, è ancora sotto inchiesta. Il presunto maggiore Boehme, cui Montanelli attribuì il suo 'Todesurteil' (appunto la condanna a morte), non poteva trovarsi a Gallarate nel 1944. Il giornalista ricordò un telegramma di Mussolini che "chiedeva la mia immediata fucilazione"; altrove il telegramma era firmato dal ministro Buffarini Guidi; un'altra volta raccontò che per salvarlo dalla morte era intervenuto dalla Finlandia il maresciallo Mannerheim, eroe della resistenza antisovietica: non vi è nessuna prova di queste tre affermazioni, dichiara Broggini. ...L'ennesima fantasia Indro Montanelli la produce a guerra appena finita. S'inventa di essere rientrato a Milano subito dopo la Liberazione, il 27 o 28 aprile. E di aver assistito, sdegnato, il giorno 29 all'atroce esposizione del Duce, di Claretta e dei gerarchi alla pompa di benzina di piazzale Loreto. In verità Montanelli, così gli archivi svizzeri, rientrò in Italia il 22 maggio 1945. Non vide mai il Duce appeso. Era una bugia da giornalista smanioso, o un altro fiore per abbellire una biografia speciale. In attesa di nuove fortune.

RITRATTO D'UNA SPIA - LUCA OSTERIA

Onore a lui. Per la verità, e perfino per le bugie. Indro mentiva, ma meno di chi dubita di lui - M. Cervi:

Ferruccio Parri "Maurizio" Primo capo di Governo dell'Italia post 25 Aprile e Luca Osteria (1905/1988). Parri: - Due mesi con i nazisti. Dal tavolaccio alla branda - afferma che nel dopoguerra i suoi contatti con Osteria si diradarono ed in seguito l'allontanamento fu totale a causa del marcato «anticomunismo» del «Dr. Ugo». Osteria lo aveva "salvato" (ma era una idea anche di Wolff) quando era a San Vittore nel 1945 e dopo la liberazione Parri gli diede l'incarico di gestire un servizio informativo riservato per la Presidenza del consiglio - Luca Osteria fu incaricato di coordinare un gruppo fidato di informatori sotto la copertura di impiegato dell' Ufficio Disciplina annonaria della Prefettura di Roma». Si trattava di una ventina di persone, con basi a Milano, Torino, Firenze e Napoli e con compiti di infiltrazione e raccolta di notizie riservate negli ambienti politici con un occhio particolare per il Pci. Osteria aveva un trascorso nell'Ovra (polizia segreta fascista alter ego della Gestapo) anche fuori dai confini e una collaborazione con Saewecke capo delle SS a Milano (foto a destra), cacciatori di partigiani.

Classe 1905, marittimo genovese, dal 1928 Luca Osteria era uno dei fiduciari principali dell'Ovra per l' Italia settentrionale (43). Come infiltrato nel Pci, aveva partecipato a convegni internazionali, incontrato Togliatti e spedito in galera una cinquantina di militanti prima di essere smascherato, con un articolo sull' Unità stampata a Parigi, nel gennaio 1930. Giocando sugli scarsi contatti fra gli antifascisti, si era riciclato come spia nelle file di Giustizia e Libertà: nuovi incontri e convegni, nonché nuovi arresti, per altri tre anni prima di essere nuovamente bruciato. Infaticabile, dal ' 34 al ' 40, aveva organizzato una finta rete clandestina per smascherare i corrieri dell' opposizione al regime che sfruttavano i piroscafi mercantili diretti al porto di Genova. L' operazione gli era riuscita tanto bene che, con lo scoppio della guerra, l' aveva ripetuta in funzione antibritannica, ingannando il servizio segreto inglese per depistarne i rifornimenti e le operazioni di sabotaggio. Un uomo fatto per gli intrighi. «Lo spionaggio era il suo mestiere», scriveva Ferruccio Parri. Mannucci Enrico (25/7/2004) - Corriere della Sera

Ferruccio Parri Pinerolo 1898-Roma 1981
funzionario e politico. Redattore del "Corriere della Sera" nel 1922-1925, collabora alla fuga di Filippo Turati in Francia. Condannato a 5 anni di confino, viene rilasciato nel 1930. Lavora all'ufficio studi della Edison. Tra i fondatori di "Giustizia e Libertà" e del Partito d'Azione nel 1942, dopo 1'8 settembre 1943 è dirigente del CLNAI e nel 1944 vicecomandante del CVL. Catturato dai tedeschi nel gennaio 1945, a richiesta degli Alleati è condotto in Svizzera 1'8 marzo durante la trattativa della operazione "Sunrise" della resa tedesca in Alta Italia. Rientrato, partecipa alle giornate insurrezionali. Presidente del Consiglio nel 1945, Democrazia repubblicana nel 1946. Deputato dal 1948, senatore a vita dal 1963.

da IL GIORNALE del 2 settembre 2007 .. ...nel costruire i suoi straordinari articoli e libri, Montanelli a volte modificava questo o quel particolare. Voleva che la storia risultasse più giornalistica, voleva accentuare la sua presenza di testimone dei maggiori eventi ... Montanelli - lo osservo senza voler mancare di rispetto alla signora Broggini - è un bersaglio facile. La copertura della sinistra - che per un certo periodo lo coccolò in odio a Berlusconi - s’è attenuata, la copertura del centrodestra è svogliata. La memoria di Indro sta subendo il processo d’emarginazione politica che gli toccò quando arrivò in Svizzera: e quando a lui, braccato dagli uomini di Salò, gli antifascisti di lungo corso che là si trovavano fecero la faccia feroce. Non potevano sopportare il suo passato, non potevano sopportare il suo successo.....Mario Cervi

nota del sito: Ascoltati detrattori e amici cerchiamo di ricostruire l'opinione del lettore di strada "sconvolto" come dice Cervi dalla dissacrazione dei miti, partendo da un suo mini profilo biografico che non vuole rubare nulla a nessuno nemmeno al Paolo Granzotto (un altro castronerista montanelliano, ex corrierista ed ora su fattorino del GIORNALE) di "Montanelli" Mulino Editore, Bologna 2004. Il libro vince il Premio Capalbio per il Giornalismo e la sabbia rossa!!!  licenziato dalla giuria presieduta da Paolo Mieli, giornalista e presidente di Rizzoli Corsera Libri (ex di Potere Operaio, i libri se li fanno e se li premiano in casa) che dicono infarcita di errori a cominciare dalle date di nascita e di morte di Montanelli; vedi di seguito la divertente recensione di Serena Gana Cavallo. http://www.deportati.it/recensioni/montanelli.html  Montanelli? Grande, troppo Grande - Massimo D'Alema

Figlio di Sestilio Montanelli (1880-1972 nipote di Giuseppe famoso risorgimentalista) e di Maddalena Doddoli (1886-1982), Indro, nacque a Fucecchio (FI) il 22 aprile 1909. Laureato in scienze politiche e giurisprudenza a Firenze, con un anno di anticipo discute una tesi, si dice, di spiccato contenuto antifascista: lo poté grazie ai professori dell'ateneo non ancora allineati. Montanelli... Il mio inserimento nella politica, che fu poi l'inserimento "ideologico" nel fascismo, risale al 1932, grazie a Diano Bricchi, che mi fece leggere «L'Universale», battagliero foglio fiorentino, presentandomi quasi subito a Berto Ricci, che ne era il fondatore e direttore. Grazie agli articoli sull'«Universale», ottenni qualche collaborazione al «Popolo d'Italia». Poi Mussolini, dopo aver riunita a Palazzo Venezia l'intera redazione dell'«Universale» (...), pur definendoci «la punta più avanzata del fascismo» eccetera, finì per sopprimere la rivista. Se ne andò quindi a Parigi come corrispondente del "Paris-Soir" nel 1934 ma anche di "L'Italie Nouvelle" diretto da Italo Sulliotti, settimanale del fascio in Francia. Fu poi mandato come corrispondente in Norvegia, da lì in Canada sempre per Paris Soir e poi assunto alla United Press negli Stati Uniti fino a quando, lui italiano interventista si propose come loro inviato in Etiopia, ma l'agenzia al tintinnio delle sanzioni non acconsentì, e così Indro ritornò in Italia per partire volontario (ott.’35) come comandante di un battaglione di Ascari (XX Btg. coloniale eritreo): « Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di 13 anni di scuola. E, detto fra noi, era ora » E' di questo periodo il matrimonio provvisorio, madamato, con una ragazza Eritrea: per la legge italiana odierna sarebbe pedofilia. Il padre Sestilio è preside di liceo a Rieti quando Indro lo frequenta e nel 1936 il padre viene inviato all’Asmara come commissario per gli esami di maturità è qui vi trova il figlio ferito. Su solleciti del padre amico di  Leonardo Gana collabora a "Nuova Eritrea" e "Corriere Eritreo". (la guerra di Montanelli durò però solo dall'ottobre (inizio ufficiale delle ostilità) al dicembre del 1935. Indro ottiene così la tessera da giornalista, che al momento non aveva, e che, nel gennaio '36, con l'ulteriore aiuto di Mario Badoglio (figlio di Pietro Badoglio mandato a sostituire De Bono), rende possibile sia la pubblicazione su Civiltà fascista di un pregevole pezzo sull'inferiorità razziale "dei negri" (vedi sotto: avrà smesso di andare a letto con l'Eritrea alla voce amorazzi), sia il provvedimento con il quale "[Montanelli] viene trasferito dal XX Battaglione Eritreo al Drappello Servizi Presidiari e assegnato a prestare servizio all'Ufficio Stampa e Propaganda" (Lenci, op. cit.). Dell'esperienza bellica scriverà "XX Battaglione eritreo" pubblicato nel 1936. Ricordarsi questo perche tornerà utile in seguito quando grazie all'esperienza bellica avrebbero dovuto assegnargli il comando di una unità partigiana nell'Ossola. Di esperienza bellica dubito ne abbia comunque avuta perche fino a gennaio del 1936 il fronte etiopico si distingueva più per l'immobilismo che per il fulgore delle armi italiane, non casualmente De Bono era stato silurato. L'unica ad operare era in effetti l'aviazione e il mai sopito sospetto dell'uso di gas nervino (anche per questo vedi sotto sue parole). Tornato in Italia nell'estate del 1936, riparte per la guerra civile spagnola (1937), corrispondente sia per il romano "Messaggero" sia per il settimanale "Omnibus" di Leo Longanesi uscito nel marzo del '37. Saputo dell'offensiva su Santander "si accodò alla 5° Brigata nazionalista di Navarra per darne testimonianza..". Il 18 agosto del 1937 telegrafò un articolo che, descrivendo la presa, cominciava così: "Una lunga passeggiata e un solo nemico il caldo...". Le perdite totali del C.T.V. in questa operazione (25/26 agosto 1937) sono state calcolate in 424 caduti (31 ufficiali) e 1.596 feriti (104 ufficiali).  La sua simpatia per gli anarchici spagnoli, diceva sempre lui, lo portò ad aiutarne uno, "accompagnandolo" fuori frontiera (Andorra). Il gesto venne ricompensato da "El Campesino", capo anarchico (repubblicano) della 46° divisione nella Guerra di Spagna, con il dono di una tessera della Federación Anarquista de Cataluña di cui Montanelli si sarebbe sempre fregiato. Naturalmente per l'articolo di Santander viene espulso dall’Albo e sospeso dal Partito fascista. continua sotto al blu....

Parla Montanelli in una intervista in Spagna ? -"Sempre en el bar Basque, un matí, un mariner espanyol em lliurà un sobre dins del qual hi havia una targeta amb aquesta inscripció: "Al señor Monticelli Indro (sic), socio honorario de la Federación Anarquista de la Virgen del Pilar (sic). Firmado, el Campesino". Continua Montanelli: "Era el nom de guerra de Valentín González, l'heroi roig de la revolució espanyola. A ell no l'havia entrevistat, però per compensar-ho havia trobat el seu pare i germana, els vaig trobar penjats en una placeta d'un poble d'Extremadura. La ràdio franquista l'havia donat per mort, al Campesino, tres o quatre vegades, però mai no se'n trobà el cadàver. Aquella targeta me la vaig guanyar pel fet d'haver recollit pel camí un milicià anarquista amb una cama destrossada, i haver-lo portat fins a Andorra, amagat en el maleter del meu automòbil". segue traduzione

   

Traduzione: "Sempre nel bar basco, una mattina, un marinaio spagnolo mi consegnò una busta all'interno della quale vi era una carta (tessera) con questa iscrizione:" Al Signor Monticelli Indro (sic), socio della Federazione Anarchica Honorario della Virgen del Pilar (sic mi risulta fucilassero gli ecclesiastici). Firmato il Campesino. "sempre Montanelli diceva:" era il nome di guerra di Valentin Gonzalez, l'eroe rosso della rivoluzione spagnola. Lui non l’avevo intervistato, ma in compenso avevo trovato suo padre e sua sorella appesi da tedeschi in una piazza d'una città in Estremadura. La radio Franchista lo dava fra i morti, per tre o quattro volte ma non hanno mai trovato il suo corpo. Quella l’ho avuta perché ho raccolto lungo il cammino un membro della milizia anarchica con una gamba distrutta e nascosto nel bagagliaio della mia macchina l’ho portato ad Andorra"

Il Campesino fu più fortunato di tanti altri anarchici uccisi, perché fini nei Gulag sovietici e il salvato, pure lui internato in Russia, in punto di morte. gli raccontò del salvataggio (secondo versione Montanelli). Il campesino poi fuggi in Persia e di qui a Parigi dove nel dopoguerra incontra Montanelli. Come si vede anche sotto per ogni fatto ci sono sempre almeno due versioni.

Parri e La Malfa a destra

Anni dopo ne "la Stanza di Montanelli" Pagina 41 (7 ottobre 1999) - Corriere della Sera - La Dolores Ibarruri non l' ho mai conosciuta. Il Campesino (alias Valentin Gonzales) sì, e anche abbastanza bene, ma naturalmente "dopo" la guerra civile spagnola, anzi dopo quella mondiale, quando (anni '50) c' incontrammo a Parigi. In compenso, avevo conosciuto suo padre e sua sorella: li avevo visti appesi a una forca nella piazzetta di un villaggio di Estremadura. "Io sono il Campesino, ex eroe della Repubblica di Catalogna, oggi semplice evaso da un gulag siberiano...". La sua deposizione diede la vittoria giudiziaria a Rousset e provocò polemiche in seno alla Sinistra. Fu lui che volle conoscermi. Sapeva che avevo salvato la vita a un (compagno) miliziano che, ferito e rimasto dentro le linee franchiste, avevo raccolto e traghettato con la mia auto ad Andorra. Era stato lui, che si chiamava Jesus ed era iscritto alla Federazione anarchica catalana della Vergine del Pilar (cose che si possono vedere e sentire soltanto in Spagna), a raccontare al Campesino questa vicenda prima di spirare tra le sue braccia nel gulag siberiano. Tessera anarquista virtuale dunque !?!!.
   
Montanelli è uno che spiega agli altri quello che non capisce. È un misantropo che vive in mezzo agli altri per sentirsi più solo. Il loro incontro non fu dei più facili. Leo l’accolse piuttosto male. Non gli piacevano i tipi alti. Montanelli gli disse subito (l’aveva saputo da Maccari) che l’articolo di apertura del giornale aveva provocato una reazione negativa di Mussolini. Longanesi lo aggredì con un paio di forbici, «Sei una spia?” e Indro: “Non arrivo a piegarmi, i buchi della serratura sono troppo in giù. E lei?» “Lascia perdere, dammi del tu”. Nel 1955, in un articolo intitolato “Proibito ai minori di anni 40”, pubblicato su “il Borgheseedito da Leo Longanesi, Montanelli scrive: "Credevo di essere diventato antifascista, ma non era vero, ero soltanto un fascista strano e stanco, anticipavo di qualche anno l'Italia di oggi, smaliziata e utilitaria, degli italiani che non credono più. Entrai nella compagnia dei grandi scettici. Mai più mi sentirò come mi sentii allora, accanto a Berto Ricci, parte di qualcosa e compagno di qualcuno, voglio dire che mai mi ero sentito e mai mi sentirò giovane come in quegli anni e non solo perché ne avessi venti. Io sono fra i rassegnati, so benissimo che di bandiere non posso averne altre e l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella che disertai prima che cadesse. Ora che le commissioni di epurazioni non ci sono più, e quindi più non siamo obbligati a mentire per le solite ragioni di famiglia, forse è venuto il momento di rendere giustizia ai nostri venti anni e di riconoscere che essi furono migliori dei quaranta, e di dare ragione a chi morendo l’ebbe. Fummo giovani soltanto allora, amici miei". Longanesi. http://www.circoloculturalelagora.it/montanelli.htm  
   

THEODORE SAEWECKE

Occorre sapere, e se ne da qui solo un breve accenno rimandando al capitolo "Resa tedesca in Italia" una biografia più ampia di Saewecke (o Saevecke). Saewecke scampò la forca in Italia (e a Norimberga), grazie anche al famoso armadio sigillato nel dopoguerra pieno delle pratiche dei crimini nazisti. Fu dapprima agente Cia poi poliziotto tedesco fino a ricoprire il grado di vicedirettore dei servizi di sicurezza del Min. degli Interni. La notte del 27 ottobre 1962 organizzò ed eseguì una irruzione illegale ed intimidatoria ai danni delle redazioni del settimanale Der Spiegel a Bonn e ad Amburgo. Ne seguì invece una violenta campagna stampa contro Saevecke che condusse alla formulazione di accuse circa la sua partecipazione alla consumazione di guerra in Tunisia e in Italia. Allarmate, le autorità tedesche chiesero alle omologhe italiane notizie sull'attività di Saevecke durante la guerra. Dalle indagini condotte dal giudice milanese Guido Salvini, in qualità di consulente della commissione parlamentare, è emerso che nel 1963, a seguito della richiesta tedesca - la Procura Generale Militare e il Gabinetto del Ministero della Difesa si scambiarono il fascicolo per lungo tempo senza mai trasmetterlo a Bonn ed archiviandolo il 20 maggio 1963. In tal modo Saevecke proseguì indisturbato o quasi la sua carriera nella polizia tedesca sino alla pensione. Saewecke muore nel 2004. (Notizie storiche tratte dal libro di Luigi Borgomaneri "Hitler a M ilano" liberamente scaricabile da Internet )

Granzotto (pag.87) riferisce di una lettera di Saeveke scritta a Montanelli negli anni '80 (Borgomaneri dice "negli anni '70"), nella quale questi scriveva "Una delle cose di cui vado fiero è di aver favorito il salvataggio di un uomo come lei. Perché se crede che sia avvenuto senza o contro il mio consenso, si sbaglia di grosso.". Che i rapporti tra i due fossero rimasti buoni lo dimostra il fatto che il giornalista depose come testimone a discarico ("rasentando in alcune dichiarazioni il ridicolo e suscitando, per altre, lo sdegno dei familiari" Borgomaneri, ibidem) nel processo per l'eccidio dei partigiani a Piazzale Loreto, celebrato contro Saevecke nel 1999 presso il Tribunale militare di Torino (vedi di seguito) e conclusosi con la sua condanna ma non con la sua estradizione dalla Germania. Morirà 5 anni dopo.

TRIBUNALE MILITARE DI TORINO - REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Militare, composto dai Signori:
Dott. Stanislao SAELI Presidente
Dott. Alessandro BENIGNI Giudice
Cap. A. M. Maurizio NANNELLI Giudice militare
con l'intervento del P.M. in persona del dott. P.P. Rivello ha pronunciato in pubblica udienza la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale a carico di: SAEVECKE Theo, nato il 22/03/1911 ad Amburgo (Germania) e residente a Buchholzstr 4 in Via 49214 Bad Rothnfelde (Germania);
IMPUTATO

…Anche fra i testi sentiti in dibattimento vi è concordia nell'indicare l'imputato come una sorta di "deità" (cfr. deposizione Montanelli) all'interno del carcere di San Vittore in Milano da cui sono state tratte le vittime dell'eccidio. I testi Melli e Montanelli hanno dichiarato che il potere di Saevecke si estendeva perfino alla possibilità di far liberare personaggi di primo piano nella lotta antifascista come Ferruccio Parri e lo stesso Montanelli. Non risulta che per tali liberazioni (peraltro dallo stesso imputato rivendicate a suo merito) egli abbia subìto conseguenze dai superiori. Ciò implica logicamente l'assolutezza dei suoi poteri, libero da qualsivoglia controllo sia pure del suo superiore diretto che aveva i suoi uffici nello stesso stabile ,all'hotel Regina in Milano.
Saewecke capo delle SS in Milano
……
DICHIARA
Saevecke Theo, contumace, responsabile del reato ascrittogli e concesse le attenuanti generiche subvalenti rispetto alle contestate e sussistenti aggravanti, lo
CONDANNA
alla pena dell'ergastolo; spese e conseguenze di legge.

Torino, nove giugno millenovecentonovantanove.
Il Presidente Estensore dott. Stanislao Saeli

All'epoca del processo non si conoscevano i risvolti della liberazione di Montanelli come si conoscono oggi dal libro della Broggini. I suoi superiori ne conoscevano il meccanismo e quindi si smentisce la "Deità" attribuitagli cosi come la liberazione concordata di Parri da Wolff di cui si da nota nel capitolo "La resa tedesca in Italia"

   

..... così è cominciata questa guerra, la cui eventualità cinque giorni or sono ci sembrava per sempre scartata. Coltine di sorpresa, questi finnici dai riflessi lenti, vi reagiscono con ammirevole freddezza. Qualunque possa essere la sorte di questo popolo (finlandese) di 3 milioni e mezzo di uomini impegnato in lotta contro un colosso di 180, non possiamo che guardarlo con ammirazione.... l'evacuazione è stata dichiarata obbligatoria per vecchi e bambini ...una interminabile filastrocca di popolo in marcia a piedi. Uno spettacolo triste, scorante ma interpretato da personaggi che parevano al di sopra della mischia, chiusi in una maschera di indifferenza. Sempre Montanelli-"Per due volte il Minculpop (Ministero della Cultura Popolare fascista) chiese il mio ritiro perché le mie corrispondenze erano pro finlandesi... Appelius (allineato) sul fascista "Popolo d'Italia" aveva in quel momento una posizione filosovietica o filocomunista - avevo un lasciapassare di Mannerheim, mio amico, per usare i mezzi militari negli spostamenti ". Sempre dal Corriere 14/9/2002  - da Appelius Dio stramaledica gli Inglesi - si apprende che "In quel periodo, come già in Spagna, l' agenzia nazionale di stampa Stefani continuava a fare «buchi» (non aveva la notizia fresca ma solo riportata) e a prendere cantonate che trassero in errore i giornali minori, costretti a servirsi dei suoi dispacci......

segue da sopra ....Lo salva l’intellettuale del regime, un altro bastian contrario toscano, Giuseppe Bottai, che prima gli trovò in Estonia un lettorato di italiano nell'Università di Tartu !!, poi lo fece nominare direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Tallinn, la capitale !!. Se non era un esilio poco ci mancava. Dall’Estonia collaborava con La Stampa e  l’Illustrazione Italiana. Ritornato in Italia, entrò nel 1938 al Corriere della Sera grazie anche all'interessamento di Ugo Ojetti, che "credeva" nel suo talento giornalistico. Ojetti, ex direttore del Corriere, fece il suo nome ad Aldo Borelli, il direttore in carica, che lo assunse come "redattore viaggiante", con l'incarico di occuparsi di articoli di viaggi e letteratura, e con la consegna di tenersi lontano dai temi politici e dai confini nazionali. Montanelli fece l'inviato in giro per l'Europa. Nel 1939 fu in Albania, diventata  quell'anno colonia italiana. Venne poi la Polonia  e la Finlandia dove lui c'era "sicuramente"?! allo scoppio delle rispettive guerre. Il 1º settembre 1939, conobbe infatti sul Corridoio di Danzica (Ponte di Graudenz sulla Vistola) nientemeno che Adolf Hitler, alla presenza dello scultore Arno Brecker e dell'architetto Albert Speer (che confermò poi, nel 1979, la veridicità di quell'incontro). (nota del sito e appunto a sinistra: dubito che Speer (1905/1981) unico sopravvissuto alle "forche" di Norimberga ricordasse o gli convenisse ricordare simili frangenti e le relative "stupidaggini" del Back Stage italiano. Era si disponibile a confermare qualsiasi cosa che non lo riportasse sul banco degli imputati). In Finlandia Montanelli fu appassionato testimone del tentativo d'invasione da parte dell'URSS; nei suoi articoli traspariva una forte propensione per la causa finlandese !!!. (<< a fianco) Tra l'altro Montanelli raccontava di una storia di amore con la figlia del maresciallo finlandese Mannerheim che smentì seccamente dichiarando di non conoscerlo nemmeno. Avevano altro per la testa lui e la famiglia. Smentì anche quando attribuirono nuovamente a lui, Mannerheim, la sua (di Indro, liberazione) da San Vittore nel 1944). Paolo Granzotto rincara le castronerie di Indro e scrive che i numerosi corrispondenti stranieri " non avendo gli scrupoli né la passione del collega italiano, quando i sovietici minacciarono di bombardare la capitale....se ne andarono alla chetichella, lasciando Montanelli solo." (pag. 66). Purtroppo in Finlandia nulla sanno di questo fatto increscioso. Nell'ottobre 1999 a Helsinki fu esposta una targa commemorativa nell' Hotel Kamp alloggio e punto di riferimento della stampa estera (Press Room) in rappresentanza dei 303 giornalisti di 23 paesi che vi lavorarono nel periodo del conflitto. Nel dare conto dell'avvenimento il sito governativo finlandese cita una corrispondenza ( http://virtual.finland.fi/finfo/english/kamp_press.html ) di Edward Ward, della BBC corredata da una foto di gruppo, piuttosto folta, scattata alla Kamp Press Room il 23 marzo 1940. In essa si riconosce, tra gli altri, Martha Gellhorn, che Granzotto cita come unica altra giornalista rimasta sul campo (vedi fondo pagina). Dato l'affollamento non si riesce a capire se Montanelli ci fosse veramente. Da deportati.it Serena Gana Cavallo

I tedeschi entrano a GraudenzAll'estremità del ponte di Graudenz (Grudziadz), sulla Vistola polacca dove si erano ricongiunte le truppe tedesche che venivano dalla Prussia orientale con quelle da Ovest (i polacchi hanno tenuto coi denti... la ritirata non si è tramutata in fuga, rimorchiandosi dietro i morti e i feriti, devastando il paese di messi e bestiame, hanno rinculato...) Hitler vide l'unico borghese che stava li e allora chiese chi fosse. Gli risposero che era un giornalista italiano.....cominciò a parlarmi blaterando le solite cose... (i tedeschi poi mi proibirono di dire quello che aveva detto Hitler: I suoi ufficiali erano impassibili, non erano dei piaggiatori come i nostri scodinzolanti col Duce. Non si capiva che cosa provassero, ma era facile intuire che quella guerra li sgomentava). Debbo dire che non c'era nessun entusiasmo nelle file tedesche. No, proprio nessun entusiasmo. Il 20 settembre in seguito alle mie corrispondenze i tedeschi chiesero il mio ritiro. Andai nei paesi baltici.

Fù poi sulle alpi francesi e in Albania ma la sua vena ebbe una parentesi « Rimasi su quel fronte vari mesi, senza scrivere quasi nulla, un po' perché mi ammalai di tifo e molto perché mi rifiutati di spacciare per una gloriosa campagna militare lo squasso di legnate che ci beccammo laggiù. »  (Tiziana Abate, Indro Montanelli, «Soltanto un giornalista»)

 

Montanelli ? Grande, troppo Grande - Massimo D'Alema - ...Quando mandò a fanc....Berlusconi, Montanelli divenne l'idolo della sinistra ma non delle Brigate Rosse che lo gambizzarono. Quando pubblicarono le sue missive postbelliche agli americani che invocavano un loro intervento nel caso di presa del potere da parte del PCI perse la simpatia della sinistra.

 

Da Storia in rete Luglio agosto 2008 Renata Broggini risponde piccata ad alcune delle accuse mossele.…. Proprio per «l'amore di verità» evocato da Staglieno mi trovo a dover precisarne punto per punto le contestazioni. Premessa: non ho mosso «accuse» a Montanelli. Basandomi sul Personaldossier a Berna (n. 23.681) ho ricostruito i fatti e su molti altri documenti da archivi italiani, statunitensi e britannici. Da 30 anni mi occupo di vicende di rifugiati italiani in Svizzera nel 1943-'45. Ho pubblicato sull'esilio di Amintore Fanfani, Filippo Sacchi, Dino Risi, Luigi Berlusconi, Edda Ciano Mussolini, Eugenio Cefis, Gianni Brera, Franco Fortini, Alberto Mondadori, don Carlo Gnocchi (vedi scheda nei personaggi), Luigi Comencini. .. Montanelli e la lettera 22Finora non c'è stato da ridire. Perché testimonianze e carteggi combaciavano. Sul caso Montanelli, invece, o insulti o silenzio. Per me il motivo è chiaro: nel suo caso racconti e documenti non combaciano. E quelle che non tornano sono le sue «memorie»: sessant'anni di interviste e scritti, quasi da tutti presi per buoni. Soprattutto perché chi cercava di puntualizzare non trovava ascolto. Specie in giornali e settimanali, «tribune di libertà di pensiero e di parola». Con la museruola, però. Montanelli, ancora per precisare, non è diventato argomento di ricerca della sottoscritta, «inviperita perché alla fine degli anni Ottanta la mandò stizzito al diavolo».

Considerato finito il suo praticantato venne assunto in pianta stabile al Corriere e come dice la Broggini nel libro- si trova a pubblicare articoli di taglio culturale e di costume politico: e nel settembre 1942 avviava su Tempo la rubrica -Tempo Perduto- con lo pseudonimo di Calandrino. Il 23 novembre 1942 sposava a Milano Margarethe de Colins de Tarsienne "Maggie" l'austriaca che lavorava al salone Elizabeth Arden in via Montenapoleone (conosciuta nel '38) con Dorothy Gibson Brulatour (vedi profilo sotto). La caduta del regime il 25 luglio 1943 cambia la situazione. Si alternano più responsabili fino alla firma di Ettore Janni. Montanelli con una serie di articoli ironici, dissacranti e antifascisti si mette nei guai per quando torneranno i fedelissimi del duce a fine settembre. Montanelli vanterà anche il suo arresto 6 mesi dopo e la sua caduta in disgrazia a colloqui con Maria Jose tramatrice di pace alle spalle dei Savoia. Il 2 ottobre la direzione del giornale viene affidata a un fedelissimo, Ermanno Amicucci che reggerà il giornale fino al 25 aprile 1945 (verrà condannato a morte ma anche amnistiato come se fossero la stessa cosa uno l'appendice dell'altro).

dal libro della Broggini -

Le autorità fasciste iniziano a ricercare chi ha "tradito" o non si "allinea" per deferirlo ai tribunali; e Amicucci provvede su ordine del ministro della Cultura popolare, Fernando Mezzasoma, a rimettere "in linea" i giornalisti del "Corriere". A fine settembre vengono censiti assenti ingiustificati trenta giornalisti'" che allegano certificati attestanti "esaurimenti nervosi, vecchie ernie, cistiti e deperimenti organici'; e a seguito delle pressioni esercitate dal gerarca Roberto Farinacci, dal podestà di Milano, Piero Parini e da Karl Wolff, SS perché il "Corriere" riprenda il suo corso, il direttore scrive a ciascuno di loro e ordina visite fiscali: sedici redattori e giornalisti sono "considerati dimissionari senza diritto a liquidazione, con elenco reso pubblico alle autorità fasciste e tedesche". Nella lista compare anche Montanelli. A stilare elenchi di "renitenti" sarebbe il capo ufficio stampa della prefettura, Francesco Fuscà, rimasto in carica dopo il 25 luglio e tornato in auge l'8 settembre. I repubblichini non ammettono defezioni, non si può restare neutrali e chi non aderisce al regime della Repubblica di Salò è considerato nemico. Montanelli, precettato, si eclissa. La notizia raggiunge altri "corrieristi" che si sono resi irreperibili, e anche qualcuno dei più compromessi che hanno dovuto sparire. A fine 1943, "abbandonato ormai da tempo il progetto di rifugiarsi in Svizzera" , scompaginato il gruppo del Partito d'Azione, Montanelli è ridotto a vagare in periferia. Andrea Damiano, collega del "Corriere" in clandestinità, ne lascia un ritratto di desolazione morale: "20 gennaio. Incontrato M.[ontanelli], barbuto, irriconoscibile, in una strada della periferia. Ci abbracciammo come due esuli del tempo romantico. Poi, deambulando, ragionammo a lungo di cose nostre, delle patrie sciagure, del disgusto e della miseria del tempo. M. ha realizzato tutto se stesso, perché più giovane di me, negli anni in cui imperò il fascismo. Come tutti noi, è incompleto, ma di un'incompletezza che risolve in un giudizio assolutamente negativo le possibilità dell'Italia di domani. Mi disse le solite frasi inquietanti, e, aggiungo, comode per chi le dice, perché in esse è chiara la tendenza a eludere i problemi, a dar tutto per perso, insomma a vivere in un clima di disinvolte liquidazioni. Disse: 'L'unica speranza che ci rimane è di diventare un Dominio britannico’. …L'occasione per sparire dalla circolazione arriva infine da altri amici. "Ricevetti un messaggio dell'architetto milanese Filippo Beltrami, capitano di Artiglieria alpina, che s'era dato alla macchia con i suoi uomini in Val d'Ossola. Decisi di raggiungerlo perché volevo fare la Resistenza in divisa".Una vicenda anche questa dai risvolti controversi.

 

 

..."Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale. Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo. Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro. Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello. Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...." (P. C. Dominioni)... http://zxk357w.altervista.org/storia/02.10a.html

L'ARRESTO E L'INIZIO DELLE INVENZIONI - Beltrami non era venuto all' appuntamento perché il suo reparto era stato accerchiato, annientato e lui ucciso, proprio quel giorno. Indro Montanelli, "L'Europeo"
Il tentativo di unirsi a Filippo Beltrami fallisce: Montanelli ha appena raggiunto l'ultima tappa prima di salire in montagna che i tedeschi lo prendono. La cattura dà inizio alle sue disavventure e il mancato appuntamento diventa un episodio decisivo della sua vicenda. Da clandestino a partigiano gli mancava un passo soltanto, sarebbe diventato un combattente della Resistenza, forse addirittura un caduto per la libertà. Solo per una mancata coincidenza le cose non erano andate così. passi e riassunti da pag 72 a pag 80 del libro
Allora io, accompagnato dalla compagna (sic) di Beltrami - che è la Paola Gadola, tuttora viva, la quale poi sposò Barzini, andai all' appuntamento con i partigiani che era fissato sul lago d'Orta. Nel mio sacco avevo la divisa di capitano !?  (coloniale). Sul lago non trovammo Beltrami, non sapevamo dove andare e chiedemmo ospitalità a Mario Motta, non quello dei panettoni, il Motta dell' elettricità (Edison), che era, anche lui, un mio amico di vecchia data. Ahimè, qualcuno lo seppe e ci denunciò. La mattina, all'alba, la casa fu circondata dai tedeschi. lo mi misi subito la mia divisa d'ufficiale. Non volevo essere arrestato come partigiano, ma come militare, perché sapevo che i tedeschi per la divisa conservavano un certo rispetto. Così fummo presi, Motta ed io. Non sapevo che Beltrami non era venuto all'appuntamento perché il suo reparto era stato accerchiato, annientato e lui ucciso, proprio quel giorno (!!!). Se arrivavo .due ore prima, lo trovavo, andavo con lui ed ero sfottuto". Questa versione è contestata dalla vedova Beltrami e da altri che, sapendo com'era andata, hanno precisato i fatti, avvenuti a inizio febbraio 1944 in uno dei momenti più drammatici della Resistenza nel Verbano-Cusio-Ossola. Senza però ottenere ascolto, perché nel dopoguerra la parola di Montanelli non si discuteva, era "storia". Filippo Beltrami, milanese, era un tenente di Artiglieria ippotrainata (Voloire) sfuggito ai tedeschi nel settembre 1943. Portatosi sul lago d'Orta, poi in montagna organizza un nucleo partigiano divenendo lui in breve il leggendario "Capitano”. La moglie, Giuliana Gadòla, figlia di un imprenditore milanese, lo segue a Quarna, partecipa a episodi di guerriglia e tiene i contatti in città tramite la sorella Paola, "Polly", citata da Montanelli, poi questa seconda moglie del giornalista Luigi Barzini jr. per arrivare in montagna il giornalista deve portarsi a Omegna, sulla riva ovest del lago d'Orta, e da solo pensa di non farcela. Insomma, mia sorella Paola ha dovuto andare a prenderlo lei dopo che è arrivato ad Arona in treno, perché lei lo considerava simpatico, erano amici, e insomma l'ha aiutato" . Montanelli si porta a Pallanza, sul lago Maggiore, nella villa di Giulio Ceretti , padre del collega Emilio, giornalista al "Popolo d'Italia" e al "Corriere della Sera". Da qui raggiunge Stresa, incontra la "Polly", salgono col trenino al Mottarone, scendono a Omegna, sul lago d'Orta, e giungono a San Giulio. "La giornata era bellissima, abbiamo fatto una lunga camminata, siamo arrivati a casa di Galileo 'Leli' Motta, fratello di Mario. 'Leli' doveva farlo accompagnare a Pella a casa di Mario sull'altra riva del lago, io invece ho preso il treno e sono tornata a Milano," ricorda Paola Gadòla Barzini.". Il nipote Gainmario traccia invece un profilo di Mario Motta: "Mio padre e mio zio dopo 1'8 settembre 1943 hanno avviato in Svizzera vari profughi anche importanti, tra cui Ettore Janni, direttore del 'Corriere della Sera', e molti ebrei. Lo zio conosceva piuttosto bene l'alta Ossola dove aveva costruito delle dighe. Mio padre e mio zio hanno poi armato la banda Beltrami, e fatto alcune azioni. Mio zio è riuscito sempre a cavarsela, a destreggiarsi bene tra fascisti e tedeschi proprio perché parlava un ottimo tedesco" pag 75 .
   

Dorothy Winifred Gibson Brulatour la sopravvissuta del Titanic

"Saved From the Titanic" (aka "A Survivor of the Titanic"). the only known prints were destroyed in a 1914 fire at the Éclair Studios, so it is now considered a lost film and by film historians to be one of the greatest losses of the silent era. Released: 16 May 1912 Produced by: Eclair Moving Picture Co.
Distributed by Motion Picture Distributing and Sales Co. Producer: Harry Raver and Jules Brulatour (head of distribution for Eastman Kodak and co-founder of Universal Pictures.
Director: Etienne Arnaud - Screenplay: Dorothy Gibson

Dorothy Gibson’s only surviving film is the adventure-comedy, The Lucky Holdup (1912). Salvaged by collectors David and Margo Navone in 2001, it was preserved by the American Film Institute and is now archived at the Library of Congress. The character of Susan Alexander in Orson Welles’ Citizen Kane (1941) may have been partly based on Dorothy Gibson, along with other real-life figures Marion Davies, Hope Hampton, and Ganna Walska. She was also the inspiration for a character in her friend Indro Montanelli’s novel "General della Rovere", which was turned into an award-winning film by director Roberto Rossellini in 1959.

Fra i fuggiaschi da S. Vittore di quel ferragosto del '44 (Montanelli, Gen. Bortolo Zambon, Anna Fondrini Grella sua segretaria, il vicebrigadiere Luigi Monti e l’innominato “dott. Ugo”) troviamo anche Dorothy Gibson nata Dorothy Winifred Brown in Hoboken nel 1889 da John A. and Pauline Boesen Brown. John, il padre, muore quando Dorothy è ancora bambina e la madre sposa John Leonard Gibson. Dorothy Gibson appeared on stage as a singer and dancer in a number of theatre and vaudeville productions, the most important being on Broadway in Charles Frohman's musical The Dairymaids (1907). She was also a regular chorus member in shows produced by the Shubert Brothers at the Hippodrome Theatre. Dorothy sposa George Battier, Jr. nel 1910 ma si separa quasi subito. Nel 1909 Dorothy era intanto diventata una modella, due anni dopo star della compagnia cinematografica francese Éclair (Dorothy interpretò 20 film di cui 14 con Éclair) e anche interprete di commedie. Il 17 Marzo 1912 dopo aver completato alcuni film Dorothy e la madre si presero alcuni giorni per girare l’Europa, Italia compresa. Qui incontra il produttore Jules Brulatour. After a six-week vacation in Italy with her mother, Gibson was returning aboard Titanic to make a new series of pictures for Eclair at Fort Lee. The women had been playing bridge with friends in the lounge on the night of the ship's fatal collision with the iceberg. With two of their game partners they escaped in the first lifeboat launched. After arriving in New York on the rescue ship Carpathia, Gibson was convinced by her manager to appear in a film based on the sinking. She not only starred in the one-reel drama, but wrote the scenario (sceneggiatura). She even appeared in the same clothing she had worn aboard Titanic - a white silk evening dress topped with a cardigan and polo coat.
In cerca di un passaggio per ritornare negli Usa salirono infatti allo scalo francese di Cherbourg del Titanic la sera del 10 aprile 1912. La notte del disastro, Dorothy e sua madre, in quanto passeggere di prima classe, occuparono la prima scialuppa che venne calata in acqua, la numero 7, recuperata poi dal "Carpathia". Ad appena un mese dal disastro a Dorothy venne quindi chiesto di interpretare se stessa nel primo film sulla tragedia, "Saved From the Titanic". La sua relazione con Brulatour venne a galla l’anno dopo quando la Gibson fu coinvolta in un incidente con morto alla guida della macchina di Brulatour. Divorzio e matrimonio con la Gibson nel 1917 quando lei ottenne il divorzio dal primo marito e lui altrettanto dalla moglie poi divorzio dopo due anni. Dal 1928 le Gibson scelsero l’Europa come residenza. Renata Broggini così la descrive:
Trasferitasi nel 1928 con la madre da New York a Firenze, soggiornava a Parigi frequentando personaggi non sempre ben disposti verso gli Stati Uniti: non a caso era sospettata di spionaggio al servizio dei fascisti. Le Gibson, bloccate a Firenze alla dichiarazione di guerra dell'Italia contro gli Stati Uniti (11 dicembre 1941), per evitare l'internamento chiedevano "passaporti di protezione" alla legazione svizzera a Roma, che lo concedeva solo alla madre. Più tardi, nel 1942, la legazione attestava che anche il passaporto della figlia era valido per tornare negli Stati Uniti ma Dorothy rinunciava al rientro in patria, poiché la madre si era nel frattempo ammalata. Nell'aprile 1944, avvisata dalla questura del suo prossimo invio in campo d'internamento a Fossoli (di Carpi) come "appartenente a nazione nemica", tentava di espatriare. .. era stata arrestata sul confine a Cannobio, sul Lago Maggiore, incarcerata a Como, trasferita poi a San Vittore, da dove era appunto evasa grazie al "dottor Ugo". Questa è dunque la "ricchissima signora americana" evocata da Montanelli come "amica del nuovo ministro degli Esteri spagnolo". Il giornalista allude al gerarca José Félix Lequerica, franchista, ambasciatore a Parigi, poi a Vichy, nominato ministro l'11 agosto 1944: sarà una coincidenza che lo tiri in ballo come "amico" dell'americana ora che gira la notizia della sua nomina?. Comunque, quando comincia a presentarla come amica del diplomatico fascista e a far girare la voce che è il "dottor Ugo" ad averli fatti evadere, l'atmosfera si fa pesante. Il viceconsole degli Stati Uniti a Zurigo, James C. Bell, viene informato dell'arrivo, in circostanze non chiare, di una connazionale "sospetta di spionaggio", i cui documenti sono stati sequestrati dalla polizia a Berna: dice di essere evasa da una "prigionia politica" a Milano, ma le autorità svizzere, scettiche, hanno ordinato un'inchiesta sull'intera vicenda. La Gendarmeria accerta in effetti che un misterioso "dottor Ugo" ha ottenuto la liberazione della Gibson con la connivenza della Gestapo, dietro promessa che avrebbe poi operato come spia in loro favore. Il viceconsole Bell conclude però che la Gibson non è colpevole di spionaggio malgrado i sospetti della polizia svizzera. Arriva inoltre a scrivere che l'accusata non gli sembra "brillante al punto da tornare utile in faccende del genere", e che è "rimasta per davvero allarmata" quando l'ha informata delle voci sul suo conto. La donna, così risulta, viene liberata dall'internamento dopo aver consegnato due affidavit - dichiarazioni giurate - sulla vita condotta a partire dal 1939; nonché sulle ragioni per le quali aveva deciso di trattenersi in paesi occupati dai nazisti, cioè prima in Francia e poi in Italia.'! Quanto alla famosa evasione, la Gibson nel primo dei due affidavit spiega estesamente 1'accaduto: "A San Vittore c'era una persona assai nota, arrestata sotto falso nome. I tedeschi, ignoranti come sempre, non ne conoscevano la vera identità - o 1'avrebbero ucciso - e solo il dottor Ugo lo conosceva, così come un mio amico, Indro Montanelli che era stato condannato a morte due volte:… La Gibson morirà a Parigi all'Hotel Ritz il 17 febbraio del 1946 per infarto. Aveva solo 56 anni. E’ sepolta al vecchio cimitero comunale di Saint Germain-en-Laye. I suoi beni vengono divisi fra Emilio Antonio Ramos, addetto stampa alla ambasciata spagnola  (e non ambasciatore) e la madre.
   

Più che altro era un gran chiacchierone - settembre 2007- Orizzonti - l'Unità

 http://archivio2.unita.it/v2/carta/showoldpdf.asp?anno=2007&mese=09&file=01CUL24a

...ci sono due razzismi: uno europeo - e questo lo lasciamo in monopolio ai capelbiondi d'oltralpe: e uno africano - e questo è un catechismo che, se non lo sappiamo, bisogna affrettarsi a impararlo e ad adottarlo. Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà. Parla uno che comanda truppe nere e che ad esse è oramai attaccato e affezionato quanto alla sua famiglia....Del resto non occorre un intuito psicologico freudiano per avvedersi che un indigeno ama il bianco solo in quanto lo teme o in quanto lo tiene infinitamente superiore a se (non è il caso oggi dei somali di Al Qaeda). Niente indulgenze, niente amorazzi..il bianco comandi...Salvo qualche mezzacoscienza, nessuno di noi si augura che la guerra finisca. Potrà essere sciocco, ma è cosi. Noi soldati non abbiamo che un desiderio: continuare, afferrare finalmente questo nemico fantomatico e stroncarlo. E lo diciamo noi delle truppe indigene che tutti, chi più chi meno, un po' di fuoco lo abbiamo assaggiato. Dirò di più: sentiamo talvolta uno strano senso d'invidia per l'aviazione e l'artiglieria che con le loro mirabili azioni preliminari ci fanno il vuoto davanti... Salvo qualche mezzacoscienza, nessuno di noi pensa che un trattato di pace, qualunque esso sia, possa esaurire il nostro compito qui. Non abbiamo messo in bilancio, venendo, dei mesi di vita, ma degli anni. ...sarà un esame alquanto duro che, a superarlo, richiederà non comuni energie, sia fisiche che morali...Ma gli italiani che vedono l'Africa di lontano o da certe metropolitette possono fare a meno di venire o di restare qui. Possono tornare in Via Veneto a fare magari i reduci con distintivo...Indro Montanelli XX battaglione eritreo

Il commento più divertente è di un certo Giorgio Torelli che gli attribuisce l’innocenza di non sapere che il suo libro -XX battaglione eritreo- prima ancora che si cominci a guerreggiare è già alle stampe (FEBBRAIO 1936). Torelli addirittura lo posiziona in Africa quando è già in Spagna o altrove. Di fatto, Montanelli continua a lavorare nella redazione dell'Asmara, fino all'inizio di agosto del 1936, dopo di che gli succede Appelius. “Tutti eventi ignoti al Montanelli degli ascari che mai avrebbe immaginato le mosse del padre, la insperata risoluzione editoriale di Bontempelli e tanto meno gli allori che il grande accademico Ojetti gli tributava”. dice Torelli. Ojetti lo raccomanderà poi al Corriere della Sera. Degli Ascari Montanelli ebbe poi solo parole buone dicendo che spesso tagliavano la corda col bottino.

   

Fra i collaboratori attivi della resistenza vi sono i fratelli Leli e Mario Motta. Le case di Gozzano e di Pella dei Motta sono punto di sosta soprattutto per l'arch. Beltrami, il " Capitano". Nel novembre, il capo della Provincia, Vezzalini, ordina l'arresto dell'ing. Motta; è una squadra della "Folgore" che procede all'arresto. È ancora Vezzalini che telefona al presidio di Gozzano "per dare l'ordine di sopprimere l'ing. Motta". Il 16 novembre, i carcerieri comunicano all'ing. Motta che è giunto l'ordine di rilasciarlo e che verrà accompagnata da una scorta alla propria abitazione al fine di evitargli spiacevoli incidenti. L'ing. Motta viene invece vilmente trucidato, si legge in un rapporto dell'epoca, "sulla strada di Bolzana Nov.- Novara, a 300 metri dal bivio per Domodossola. Esecutori sono il Sten. Bianchi...un sergente ed un altro" e non si conferma un loro travestimento da partigiani http://www.anpi.it/novara_verbania/storia/novembre.htm 

La sera stessa dell'arrivo Montanelli è traghettato a Pella, in casa di Mario Motta. Dove, pochi giorni dopo viene arrestato dai tedeschi assieme a lui e tradotto in carcere. il suo viaggio si interrompe lì, come la sua vicenda di "partigiano". Qualcosa non ha funzionato. Beltrami verrà ucciso una settimana dopo….. Filippo Beltrami finì per accettare, più o meno con queste parole: "Mandamelo su, lo terremo d'occhio. Ho bisogno di qualcuno che sappia scrivere e un giornalista che vuol rifarsi la verginità può anche servire. Del resto qui prudenza e segretezza sono meno importanti che in città'" . "Montanelli non era stato affatto chiamato da lui a dividere il comando della formazione. Il massimo della sua resistenza partigiana (Montanelli) l'ha fatto in villa Motta ... Aspettava che lo mandassero a prendere, e aspettava senza fretta: Voleva che lo andassero a prendere in auto, tanto che mio marito si è seccato: sì che lo mandiamo a prendere, abbiamo proprio tempo ... prenda lui le gambe e venga su se vuole proprio fare il partigiano cominci a farsi la sua strada. A Montanelli non andava più tanto di salire in montagna. Lui ha capito che la vita in montagna era un po' scomoda, invece in casa Motta ci stava benissimo ... in casa Motta, dalla parte di là del lago d'Orta, si mangiava ... non solo le due uova al piatto ... invece di stare al freddo a dormire sulla paglia, no? Montanelli è stato infatti arrestato in casa di Mario Motta". Il 5 febbraio" la villa veniva circondata dai tedeschi. Durante l'esilio in Svizzera arricchirà il racconto di nuovi particolari: "Sono un uomo di Beltrami, e il suo miglior amico ... Beltrami è morto, adesso. È caduto nel momento stesso in cui io fui catturato ... Ahimè, ero nelle mani delle S.S.! Che mi condussero in una loro caserma di Gallarate ... Quando mi catturarono ero disarmato. Una spia, di cui d'altra parte conosco il nome, mi aveva denunciato come ufficiale di collegamento tra il Comitato centrale e Beltrami ... Accerchiato in una villa sul lago, dove mi ero fermato con la cognata del comandante, fui fatto prigioniero all'alba. Qualche ora dopo, mi ritrovavo nell'umida cella di un sotterraneo. In realtà Beltrami è ancora vivo: cadrà infatti una settimana dopo, il 13 febbraio, a Megolo: "Montanelli era considerato un ospite gradito, ma imprudente", ricorda Paolo Mariani, rappresentante del Partito d'Azione nel Comitato di liberazione nazionale di Orta: "Gli piaceva passeggiare in riva al lago dove era difficile passare inosservato” pag.77  Nella famiglia Motta, perciò, c'era apprensione: "I commenti erano: 'come si espone l'ingegnere .. .'. Era una posizione netta quella di Mario. Dopo l'arresto, però, al carcere di Novara è venuto qualcuno dell'esercito tedesco, Motta ha parlato in tedesco con questo ed è stato liberato. Ma lo hanno ammazzato, pochi mesi dopo, i fascisti". L'arresto di Montanelli e di Motta avviene il 5 febbraio, poco dopo l'arrivo a casa dell'industriale: "Qualcuno lo seppe e ci denunciò", racconterà dicendo di essere stato preso in divisa. Paola Gadòla Barzini è scettica: "era in borghese e non credo avesse con sé l'uniforme militare" . Anche sulla denuncia c'è da dire. È lui stesso che da Pella scrive una lettera o una cartolina alla moglie, e tramite l'autista dei Motta la fa recapitare a casa a Milano. "Ha fatto la grossa cretinata di mandare un biglietto a sua moglie tramite l'autista di Motta," ha ricordato la vedova Beltrami. "La moglie, quando l'autista è arrivato, aveva la polizia in casa sua, in piazza Castello": "Hanno portato via la moglie di Montanelli e l'hanno messa in galera e all' autista gli hanno sequestrato questo biglietto, dicendogli: 'Chi te l'ha dato?' e lui tranquillo 'Me l'ha dato il signor Montanelli, che in questo momento è a Pella a casa del signor Motta'.

Davos molti anni prima

Sopra Davos 1870: sotto la Liberazione di Milano 5 maggio 1945. Da destra a sinistra: Enrico Mattei, Luigi Longo, Raffaele Cadorna, Ferruccio Parri, Giovanni Battista Stucchi, Mario Argenton.

E così Montanelli s'è fatto arrestare come uno sciocco proprio, perché ha scritto questo biglietto a sua moglie dicendo 'Sono qua, aspetto di raggiungere Filippo in montagna. Mi ha accompagnato la Polli fino dal Leli'. Per fortuna ha usato il soprannome di mia sorella e la moglie di Montanelli è stata addirittura picchiata perché dicesse chi era la Polly. E noi le saremo sempre grate perché lei lo sapeva benissimo e ha detto: 'Era un' amica, la chiamavamo così, ma io il suo vero nome non lo so'. Sennò finiva in galera pure mia sorella". Così lo prendono i tedeschi, che lo cercano da mesi, e con lui arrestano Motta. È un disastro perché Beltrami, che sta trattando una "tregua d'armi" con Ernst Simon, un ufficiale delle SS, si trova privo dell'appoggio dell'industriale, mediatore. Dire che il "Capitano" cade anche in conseguenza di ciò è senz'altro eccessivo.

Ma raccontare, come farà Montanelli, che Beltrami era stato ucciso il giorno del loro appuntamento è detestabile, e ha dato origine come visto a contestazioni di famigliari e partigiani. Anche in relazione alla tragica vicenda di Motta. Quanto a Montanelli, il "Corriere" dà notizia dell'arresto tre giorni dopo: "Sul lago d'Orta nella villa di un ingegnere lombardo è stato arrestato Indro Montanelli, noto giornalista, il quale anche sotto pseudonimo di Calandrino, su "Tempo" scrisse articoli diffamanti il Regime. Sulla cattura, invece, ha lasciato scritto nel dopoguerra: "All'alba i tedeschi vennero a prenderci, Motta e me. Entrarono coi mitra e mi dettero nel buio un gran pugno sul viso che mi fece battere la testa contro il muro. Poi m'ingiunsero di levarmi la barba. lo protestai che ci voleva un paio di forbici, ma loro cominciarono a tirarmela. Solo quando ebbi il viso ben bene insanguinato, si persuasero che era vera. 'Heraus' urlarono e mi spinsero fuori con le canne dei fucili. [ ... ] Mi caricarono su una macchina, ammanettato, e filammo verso l'Arena. Era l'alba. Ero proprio sicuro che mi avrebbero fucilato. Sotto casa mia, in piazza Castello, guardai le finestre chiuse. 'Maggie dorme - pensai forse udrà nel sonno la scarica e non sospetterà che sono io che muoio.' Ero abbastanza tranquillo. Invece la macchina infilò l'autostrada, e io non potetti vedere dove mi conducevano. Lo ignorai per una settimana ancora dopo l'arrivo, chiuso com'ero, e ammanettato, in una cella" . Anche le botte non erano vere.

   

Maggie

la moglie austriaca Margarethe de Colins de Tarsienne, che lavorava anche lei al salone Elizabeth Arden in via Montenapoleone a Milano  sposa Montanelli nel 1942 ( lo aveva conosciuto 4 anni prima) e ne divorzia nel 1951.

E proprio per la "cretinata" di voler far recapitare dall'autista dei Motta un biglietto a sua moglie a Milano (la casa di piazza Castello era sorvegliata), che Montanelli fece arrestare nel febbraio del 1944 lei, se stesso e l'incolpevole Mario Motta che sarà poi rilasciato ma pedinato. Fu da allora tenuto d'occhio dai fascisti e nel novembre 1944 Motta, prelevato da una squadraccia, fu trucidato da due militi travestiti da partigiani. Montanelli si era sposato da nemmeno due anni con Margarethe (Maggie). Lui fuggiva in Svizzera, e lei, già agli arresti a Milano, il 7 settembre veniva tradotta al campo di concentramento di Gries presso Bolzano (Matricola 3797, blocco "F"); Margarethe, nelle intenzioni di Saewecke, doveva garantire che il giornalista liberato non desse noia ai tedeschi. Divenne ostaggio prima ancora di capirlo (non era una donna politicizzata, né un'intellettuale). Filippo Sacchi, che era stato direttore del 'Corriere della Sera' commentò: "Guardo come un portento quest'uomo che se ne è venuto via lasciando la donna che ama in quelle grinfie, dopo avercela messa lui con la sua imprudenza". Maggie si salverà dai Lager di sterminio rimanendo a Bolzano in Via Resia. Con lei per un certo periodo Mike Bongiorno che finirà però in Germania.
http://archiviostorico.corriere.it/2002/febbraio/24/Filippo_Beltrami_signore_dei_ribelli_co_0_0202245556.shtml

Filippo Beltrami (Cireggio, 1908 - Megolo, 13/2/1944) oro al V. M. alla memoria

«Primissimo fra i primi volontari della libertà, organizzava la resistenza nelle sue valli ed in pianura, conducendo personalmente le più temerarie imprese. Beltrami e la moglieFerito una prima volta, non desisteva dalla durissima vittoriosa attività e rapidamente conquistava al suo nome una leggendaria e cavalleresca aureola. Di ritorno da un’azione, veniva attaccato da forze venti volte superiori, ma sdegnoso di ripiegare o di arrendersi, si asserragliava con pochi compagni in un casolare e accettava l’impari combattimento. Riportava diverse ferite e continuava nella lotta ardente finché dopo altre tre ore di combattimento cadeva gloriosamente insieme a tutti i suoi compagni » - (fra i quali Antonio Di Dio vedi sotto a seguire)  Megolo (Novara), 13/2/1944   dal sito  http://www.isrn.it/dvd/dvd_chiovini/sentiero_beltrami/3_20.htm

Nota del sito: Non ho accennato alla "fuga" di Montanelli da San Vittore (recluso qui dal 9/5/44) e all'arrivo in Svizzera (14 agosto 1944) e ai suoi trascorsi elvetici che sono il cuore del libro e che dividono il mondo della saggistica Montanelliana in prima e dopo Renata Broggini. La puntigliosa ricercatrice svizzera ha di fatto reso obsoleti tutti i libri scritti prima (ma anche reportage televisivi e interviste che continuano a correre sul piccolo schermo) e sopra se ne può anche avere una idea. Sicuramente si è avvalsa del procedimento deduttivo mettendo insieme le centinaia di errori sparsi "artatamente" nel dopoguerra dal giornalista e che in parte nella tarda età saranno anche da imputare alla "natura" (rincoglionimento da vecchiaia). Se fosse partita dalla induzione sul carattere dell'uomo e sul suo mestiere che non era lo storico e neanche il giornalista bensì il romanziere molte discussioni probabilmente non avrebbero neanche avuto avvio. Se esamino la sua mini biografia, i lombi sacri di nascita, è evidente che è un predestinato. Ma per farsi largo nel sordido mondo editoriale delle veline del ventennio occorre ben altro. E di questo ben altro Montanelli diventa l'inventore. Inventarsi di sana pianta le informazioni. In Etiopia diventa guerriero e il suo riposo è allietato dalla sposa bambina. Alla vigilia delle leggi razziali si proclama di razza superiore, ma il nero può emanciparsi, intanto però niente amorazzi così facili fra gli italiani!!!!. Ma di questi sappiamo si riempirono le cronache e la natalità. Una volta in televisione uno storico, segnato o impegnato come preferite, diede del razzista a un soldato (con moglie o fidanzata in patria) che non voleva "accasarsi" con le eritree del madamato. Se l'avesse fatto lo stesso storico poteva dare del colonialista, violentatore, sfruttatore e schiavista allo stesso. Le facce della storia. Ma andiamo avanti con Montanelli. Non prendo fonti qualsiasi ma spesso quelle di casa Corriere, più volte citato. Per la battaglia di Santander detta il prologo da Salamanca (lontanino) da dove partono i suoi articoli "...mandò il primo articolo il 17 luglio da Salamanca, dove si era acquartierato, prendendo gusto al "risvolto romanzesco" della vita dell'inviato "buoni bar da frequentare, interessanti conoscenze e molta conversazione(..) Guerra, insomma, ....". L'incidente della Spagna non comportò eccessive disgrazie: divenne inviato speciale all'estero, cosa che all'ora distingueva la stampa italiana in cerca delle pagliuzze negli occhi altrui: lo stretto indispensabile "velinato" per l'Italia. Lavoro interessante ma paesi poco attraenti se non che il 1 settembre 1939 scoppia la guerra e come diceva qualcuno le guerre aprono sempre grandi orizzonti per chi li sa cogliere (e grandi disgrazie per chi le subisce). Il suo racconto dai paesi baltici è molto frutto della sua inventiva. Tra l'altro non ha concorrenti o controprove. continua

   
Sempre dal Corriere 14/9/2002  - da Appelius Dio stramaledica gli Inglesi - si apprende che "In quel periodo, come già in Spagna, l' agenzia nazionale di stampa Stefani continuava a fare «buchi» (non aveva la notizia fresca ma solo riportata) e a prendere cantonate che trassero in errore i giornali minori, costretti a servirsi dei suoi dispacci. Paradossalmente l'agenzia Stefani non aveva un corrispondente a Helsinki e raccoglieva a Riga le notizie. Il sospetto, non infondato, è che queste lacune dell' agenzia fossero volute, per ragioni politiche. L' Italia era schierata con la Russia, per l' occasione, dopo il «patto d' acciaio» stretto con la Germania e l' accordo tedesco-russo". I fratelli Di Dio (Alfredo e Antonio) erano nati a Palermo, Alfredo il 4 luglio 1920, Antonio il 17 marzo 1922. Per motivi famigliari si trasferiscono ancora giovanissimi a Cremona dove frequentano le scuole inferiori poi il Liceo (Cassico). Entrambi buoni schermidori si avviano alla carriera militare. Alfredo entra all’Accademia militare di Modena nel 1939 e diviene sottotenente del 1° Reggimento Carristi stanziato a Vercelli. Antonio arriva invece a Modena nel 1941 ed è nominato sottotenente del 114° fanteria dislocato in Calabria. L’8 settembre coglie i due fratelli all’interno di strutture militari: Alfredo a Vercelli e Antonio a Parma alla scuola di applicazione di Fanteria. Al rifiuto del suo comandante di organizzare una difesa Alfredo con i suoi che lo seguono costituisce un primo nucleo partigiano nei pressi di Cavaglio. Antonio intanto ristretto in carcere a Parma riesce a fuggire poi a raggiungere il Piemonte dove opera il fratello. Il gruppo dei due fratelli si fonde a fine dicembre del'43 con il nucleo capitanato da Filippo Feltrami dando vita alla "Brigata Patrioti Valstrona". Il comando della Brigata è assunto da Beltrami mentre ad Alfredo Di Dio ora “Marco" spettano le competenze militari e le funzioni di reclutamento; Antonio è ufficiale d’ordinanza. A gennaio la formazione si trasferisce in Val d’Ossola e Alfredo, inviato in missione a Milano, è arrestato e trasferito nel carcere di Novara. Qui, apprende dai genitori la morte del fratello Antonio e del comandante Beltrami avvenuta il 13 febbraio negli scontri a fuoco presso Megolo a cui Indro Montanelli in un primo tempo fa risalire la sua vicenda partigiana. Alfredo morirà durante una azione partigiana in Val Vigezzo alla fine di settembre. Entrambi i fratelli sono decorati di medaglia d'oro al valor Militare
   

Nota del sito. Del fatto che fosse rimasto solo a Helsinki ho detto. Dall'Albania nell'inverno del '40 non scriveva. Già andava male e ci voleva un prestigiatore per dire che andava bene, poi se volevi scrivere sui fatti dovevi arrampicarti sulle montagne del Pindo, dove di bar e di lenzuola di seta ce n'era veramente pochi, basta chiedere ai reduci che non hanno avuto i piedi congelati. Del Montanelli latitante post 8 settembre '43 non si sa molto, leggere comunque Broggini, fino alla sua cattura che è un florilegio di invenzioni e un "qui pro quò" che ha innescato il resto. Non serve che riepiloghi quanto già scritto ma la cosa notevole è lui in divisa coloniale, ripeto coloniale come da foto in colonna sinistra sopra, in pieno inverno sulle montagne del lago d'Orta. Se è veramente successo nessuno ha riportato le sganasciate che si son fatte i soldati tedeschi. E doveva fare la guerra partigiana (ancora 13 mesi con auto di servizio (e autista) come pretendeva per un pari come lui). Quanto detto ha già dissipato il mito e alla Broggini, se gli si può imputare un errore, è di non aver messo prima le carte in tavola. Da un giornalista del resto non poteva che attendersi questo. La sua non liberazione e il modo con cui è avvenuta, poi portata avanti, hanno fatto si che lui ci potesse ricamare sopra di volta in volta con risvolti diversi e tanti finali. Riassumo: Montanelli venne associato ad altri "fuggitivi" che a vario titolo potevano servire e accompagnato dai tedeschi al confine Elvetico, a Stabio il 14 agosto 1944. "Ignari", se gli si può attribuire questo pensiero, erano convinti di aver dei documenti falsi o un lasciapassare. La loro liberazione rientrava in un gioco di spie non ancora del tutto chiarito in cui Luca Osteria cercava di giocare la sua verginità per il dopo guerra, e ci riuscì, giocando i tedeschi a cui aveva promesso di infiltrare uomini nei servizi segreti alleati in Svizzera e fra i fuoriusciti antifascisti. I tedeschi, almeno alcuni, dal canto loro secondo recenti notizie si giocavano le condizioni per la fine del conflitto con una uscita d'emergenza anche se i contatti ufficiali si fanno risalire ad alcuni mesi dopo (Febbraio 1945). I più increduli erano gli svizzeri e il loro servizio segreto che non distolse mai gli occhi da questi patrioti che si rifugiavano in Svizzera col permesso dei tedeschi. Montanelli poi eviterà il deprimente campo di lavoro, dove ci si doveva guadagnare il pane sudando. 

Oltre ai "Don Abbondiani" del -coraggio scappiamo- già citati dalla Broggini (Amintore Fanfani, Filippo Sacchi, Dino Risi, Luigi Berlusconi, Edda Ciano Mussolini, Eugenio Cefis, Gianni Brera, Franco Fortini, Alberto Mondadori, don Carlo Gnocchi (vedi scheda nei personaggi), Luigi Comencini) ne aggiungo altri spulciati nel libro(mi scuso se non li cito tutti e faccio torto a qualcuno) Luigi Casagrande, Adriano Olivetti, Enrico Dall'Oglio, Giuseppe Volpi di Misurata ex ministro delle finanze e inventore della Mostra del Cinema di Venezia, e il conte Vittorio Cini , Franco Marinotti della Viscosa, Piero Puricelli, Adolfo Tino, Tommaso Gallarati Scotti, Francesco Carnelutti, Ettore Janni, Ferruccio Lanfranchi, Edoardo Clerici,Gioacchino Malavasi, Luigi Gasparotto, Ugo Guido Mondolfo, Bortolo Belotti, Stefano Jacini, Guglielmo Usellini, Fabio Carpi, Luigi Santucci, Giorgio Battisti, Rodolfo Morandi, Piero dalla Giusta, Fernando Santi, Lucio Luzzatto, Ezio Vigorelli, Dino Roberto (13 anni di carcere fascista scontato), Ernesto Carletti, Alberto Damiani, Gianbattista Boeri, Luigi ed Ernesto Rossi, Sante Massarenti, Scerbanenco Giorgio il giallista, Alfieri Dino ex ministro della Cultura popolare fascista e ambasciatore a Berlino (espatriato il 24 ottobre 1943) e Giuseppe Bastianini, ex sottosegretario agli Esteri (fuggito l’11 aprile 1944) entrambi firmatari dell’odg. del 25 luglio 1943, quindi condannati a morte dal tribunale di Verona il 10 gennaio 1944 etc...

Bella compagnia. Vistosi usato, nel dopoguerra, prese a stare a destra se lo usavano quelli di sinistra e a sinistra quando lo usavano quelli di destra. Quelli delle Br per non sbagliare gli spararono al centro (ma l'azione venne un po' mossa e Indro si salvò). Per tutto il resto leggete il libro.

Ciò che conta è informare; e per informare occorre andare, vedere, interrogare, investigare, avere insomma l’umiltà di considerarsi sempre cronisti, come il primo giorno che si entrò. Cesco Tomaselli vecchio corrispondente e quello che ha fatto la Broggini

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Rai 3 nella Rubrica - Correva l'anno - nel suo consueto spirito disinformativo (a spese del contribuente che entro il 31 gennaio di ogni anno deve versare l'obolo alla casta), propone nella serata del 17 agosto 2010 a tarda ora (successivo alla pubblicazione di questo capitolo), una ricostruzione della vicenda "umana" come direbbero loro di Montanelli, aggiungendo se possibile, materiale taroccato per un futuro libro inchiesta della Broggini. Si è vista anche la faccia amena di Granzotto con lo spassoso intermezzo delle scopate di Montanelli e Maria Josè (che fosse figlio suo l'erede al trono Vittorio? venuto così male e il relativo principino Filiberto che lo chiamerebbe nonno), fra Montanelli e la sconosciuta da cui ha un figlio (ma lui non lo vuole vedere, perché è depresso)  e l'ultima quella con la giornalista americana Martha Gellhorn (1908/1998 bollo a fianco) futura moglie di Hemingway (foto a sx) e grande scopatrice (che questi, Hemingway, sposerà il 20 novembre 1940 dopo il divorzio da Pauline) e di cui sopra si è detto della famosa notte del marzo 1940 a Helsinki. Hemingway sarà sempre più irritato dalle lunghe "assenze" e mancanze della moglie tanto che le scriverà: "Are you a correspondent, or wife in my bed?" ("Sei una corrispondente, o mia moglie a letto?"). Anche Lei come Indro hanno avuto un francobollo commemorativo. Un francobollo non si nega a nessuno.