La storia è racconto attraverso i libri 

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

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LA CHIESA DI SANTA ZITA

MARCO ZENI

  

DIE ST. ZITA KAPELLE

Prefazione del Webmaster:  L'opera non è il comune saggio ma la ricostruzione storica della vita di un'opera di devozione risalente alla Grande Guerra e recentemente ripristinata. La zona è quella del passo Vezzena, confine austroungarico dal 1866 al 1918 sulla strada per Asiago. Il pianoro antistante il passo è il più noto Basson che veniva a trovarsi fra la vecchia linea di confine e la linea di difesa austriaca incentrata sulla cintura dei Forti che in quella zona comprendeva il Luserna, il Verle e l'Osservatorio di Pizzo Vezzena (m. 1908) o Spitz Verle detto anche l'occhio dell'altipiano. La chiesa di Santa Zita era stata eretta sui resti di un precedente manufatto dedicato a San Giovanni (1660) che aveva sì nelle vicinanze un capitello votivo dedicato alla Santa dei fornai e delle serve (oggi Colf o collaboratrici familiari). Santa Zita, vissuta nel 1200 (epoca di Dante che la cita), è santa per opera di Papa Innocenzo XII dal settembre 1696. La montagna dava spesso il suo contributo di giovani fanciulle alle facoltose famiglie di valle così come lo era per i fornai che prima dell'inverno cuocevano la scorta di pane buono per l'inverno (non c'erano margini per errori) nei forni sociali o cooperativi. Santa Zita fu poi proclamata patrona delle domestiche da Pio XII ed è anche patrona di Lucca dove è "conservata" in una teca nella Chiesa di S. Frediano. Tutti i manufatti che potevano essere d'appoggio al nemico sul campo di battaglia vennero demoliti nel 1915 allo scoppio del conflitto. Passata l'acme dei combattimenti la zona fu completamente libera con la Strafexpedition del maggio 1916 e destinata a retrovia con la costruzione di ospedali da campo e cimiteri, oltre che di comandi e magazzini. La costruzione di una chiesa e il relativo presidio religioso e di circostanza imposero la costruzione di una chiesetta o cappella dedicata a (dedica ufficiale). "Cappella commemorativa dell'Imperatrice Zita, sulla strada militare in Val d'Assa (Vezzena) simbolo della resurrezione a nuovo splendore, a ricordo della vittoriosa offensiva di maggio". Di fatto la chiesa verrà circondata da sepolture e l'esumazione fatta nel dopoguerra porterà anche all'abbandono e al decadimento della struttura religiosa. 

Foto Coll. Giovanni Terranova  

Chi era Zita di Borbone-Parma che portava lo stesso nome della Santa delle servette

DIE  ST. ZITA  KAPELLE  IN VEZZENA  1917-2007

Foto G. Terranova

Zita di Borbone era figlia dell'ultimo sovrano (Roberto I) di quel piccolo regno parmense cancellato dall'unità d'Italia e di Maria Antonia di Braganza della casa reale portoghese e nipote di Maria Luisa di Borbone Francia (o Luisa Maria per distinguerla dall'altra Duchessa, Maria Luisa, moglie di Napoleone prima regina). Luisa Maria morì il 1º febbraio 1864 all'età di 44 anni e fu sepolta col nonno Re Carlo X di Francia nella cripta del monastero di Castagnevizza presso Gorizia allora in Austria (Slovenia). Durante la Grande Guerra l'imperatrice Zita trasferì le salme della nonna e dei congiunti a Vienna ma nel 1919 l'Italia ne ottenne la restituzione per poi riconsegnare tutto alla Jugoslavia alla fine del II conflitto mondiale. Si accede al monastero da una strada che parte da Nova Gorica....la Biografia continua a ......Carneade
La decisione di ripristinare un tempio a Santa Zita e alla pace tra i popoli  venne presa a Trento nel 1996 da un comitato composto dal maggiore Georg Eineder dei Kaiserschùtzen, dall'A.N.A. Associazione Alpini di Trento e dalle amministrazioni delle località interessante civili e religiose sotto il cui territorio ricadeva la costruzione (Comune di Levico, Parrocchia di Luserna). Il maggiore Eineder recupera il progetto originale dell'architetto Ing. Adalbert Erlebach ma i tempi s'allungano per gli impedimenti burocratici che evidentemente "necessitano" anche per simili opere (nel 1917 venne costruita in pochi mesi). Il progetto vede quindi la luce ad opera dell'Ing. P. Luigi Coradello e i lavori possono iniziare nel 2007 e terminare con l'inaugurazione del 17 agosto 2008 a 91 ani e 2 giorni dalla inaugurazione originale.

Carlo I marito di Zita di Borbone

Forte Verle o Werk Verle  http://www.nondimenticare.com/Col BAsson.html  Alle pendici del Pizzo di Vezzena venne costruito, tra il 1907 e il 1913, il Forte Verle o Busa Verle. Posto a m. 1504 dominante il Passo di Vezzena, aveva il compito, assieme ai vicini trinceramenti del Basson, di sbarrare la strada proveniente da Asiago. Era armato con 4 obici da 10 cm in cupole corazzate girevoli, da 2 cannoni da 8 cm in casamatta (Traditor) rivolti verso il Forte di Luserna , da 4 cannoni da 6 cm e da una quindicina di mitragliatrici per la difesa ravvicinata. Subì, all'inizio delle ostilità, l'urto di circa 5000 colpi di medio e di grosso calibro italiani. La guarnigione visse momenti drammatici, ma i profondi trinceramenti antistanti la postazione e il gran numero di mitragliatrici poste a sua guardia, difesero egregiamente il Forte dagli assalti della fanteria italiana. Costantemente rifornito, attraverso un camminamento coperto, dalla base logistica di Monterovere, fu pių volte riparato nei momenti di tregua e, completamente riattivato per l'appoggio alla Strafexpedition del maggio del'16 (prime fasi)

Errata corrige (vedi sotto) -Brigata Ivrea 161/162°- Il 153/154° erano della Brigata Novara

CAPITOLO XIII - La notte del Basson di Marco Zeni

Padre Ortner

 

E’ conosciuta come la strage del Basson, il campo trincerato compreso fra i declivi della Val d'Astico e il fronte a picco sulla Valsugana che si stendeva dai forti di Luserna alle posizioni fortificate di Costalta e del Basson, ai forti di Busa Verle e Cima Vezzena. In agosto (1915)arriva l'ordine di una controffensiva da parte degli alti comandi italiani, nonostante le perdite e la presenza di reticolati indenni sui crinali della montagna a difesa dei vari ordini delle barriere difensive austriache in trincea. L'operazione spetta alla 34a Divisione, comandata dal generale Oro, composta dalla Brigata Ivrea 153°-154° Fanteria (vedi sopra) -  Brigata Treviso 115°-1l6° Fanteria - Battaglione Alpini di Val Brenta- Gruppo Oneglia di artiglieria da montagna ed una compagnia di zappatori del Genio, comandata dal capitano Vece. L'offensiva ha come obiettivo lo sfondamento della cosiddetta "trincea d'acciaio "; la cortina esterna a difesa di Trento. L'ora "X" è fissata per le ore 23 esatte del 24 agosto 1915. In base ai piani, alla Brigata Ivrea e al Battaglione Alpini val Brenta incombe il compito di attaccare e occupare le posizioni nemiche di Vezzena e Verle. Il 115° Fanteria della Treviso con il rincalzo di un battaglione del 116° è chiamato ad agire sul fortino Basson mediante un azione fiancheggiatrice e dimostrativa.
Parte l'attacco. È notte di plenilunio. Il combattimento si fa subito violentissimo. È un massacro.
"La reazione degli austriaci appare micidiale, sorretta dai razzi traccianti, dalle cellule foto elettriche, sistemate nei pressi dei forti, che illuminano a giorno la zona sottostante dei combattimenti. "Decine di mitragliatrici, la fucileria e le bombe a mano crepitavano senza tregua falciando interi reparti. Con un crescendo spaventoso, dalle posizioni retro stanti, le artiglierie sparavano contro di noi, disposti sul terreno completamente scoperto, salve di proiettili la cui intensità per le vampe e gli scoppi era tale da accrescere, persino in mezzo ad un indescrivibile frastuono, la chiarità della meravigliosa notte lunare": È questo un passo della rievocazione da parte di uno dei protagonisti, il generale Zava, l'eroe del tricolore per aver affrontato ogni tipo di pericolo, portando in salvo il vessillo del suo battaglione, scritta in occasione del cinquantenario della battaglia.

Foto G. Terranova

Sono attesi inutilmente i rinforzi invocati. Già alle prime luci dell'alba arriva l'ordine del ripiegamento. Tutt'intorno le urla di dolore dei feriti, le invocazioni di aiuto, il crepitio delle armi, i rastrellamenti per far prigionieri, il silenzio cupo dei morti. Più di ogni cronaca o rapporto militare, anche in questo terribile frangente assume una precisa dimensione, fra le parti, il diario di padre Mattia Ortner, cappellano militare del Reggimento della Milizia territoriale del Tirolo del 26 agosto 1915 (foto a destra sopra). "Ieri (25 agosto 1915) .. .io sono rimasto sul campo di battaglia per l3 ore ... Verso mezzanotte gli italiani si sono lanciati - scrive il religioso - contro un nostro avamposto in notevole superiorità numerica, ma sono finiti sotto il tiro delle nostre artiglierie': "Quasi subito iniziarono i lamenti": "Subito dopo che i miei pochi feriti erano stati portati via, io mi avviai verso il nemico (zum Feinde): la ritirata gli era stata preclusa dalla nostra artiglieria": Sin qui il racconto di padre Ortner tiene perfettamente conto della realtà dei fatti con quel "nostro" e i "miei": aggettivi possessivi che marcano lo steccato della linea del fronte anche per un uomo di chiesa che subito dopo varca però i reticolati per portare conforto religioso ai molti soldati in fin di vita, trascinando dietro di se i propri ufficiali per un'azione non cruenta, pacifica, di soccorso e di messa in salvo dei prigionieri italiani sui quali piovevano non solo le pallottole austriache, ma anche quelle italiane che finivano fuori bersaglio. "Nemico" è la parola usata dal cappellano militare, termine che sfuma nella sua accezione negativa usuale, nel seguito del racconto. Il sacerdote è infatti subissato da invocazioni di aiuto dei soldati italiani feriti che l'avevano riconosciuto "Padre, mio Padre, prete" e implorando la somministrazione dei sacramenti. "Dovetti somministrare i sacramenti ad ognuno"-"Cercai affannosamente quelli che giacevano sfracellati al suolo; talvolta i corpi erano così ammucchiati, che dovetti arrampicarmi sopra. Altri strisciarono e vennero verso di me": "Alcuni attendenti mi prelevarono per raggiungere rapidamente il capitano che stava morendo": "I sani raccoglievano i feriti, usando teli da tenda, coperte e altro, per radunarli" "lo impartivo l'olio santo: Molti morivano durante il santo ufficio": "Mi gridavano: "Siamo tutti cattolici. .. "

sotto coll. G. Terranova

interno vecchia chiesa

"I soldati italiani insistevano verso di me: "salvaci, padre, salvaci dai cannoni':  "Tutti volevano baciare la mia croce, mi abbracciavano, baciavano le mie mani e imprecavano contro i cannoni": È il sacerdote per primo a indicare una via d'uscita per i sani e i feriti meno gravi col prospettare il rifugio sicuro dalla nostra parte, seguendo le trincee ... per avere un rapido soccorso: I soldati indenni furono fatti prigionieri e i feriti portati via dopo un'iniziale resistenza alla vista degli ufficiali austriaci. "Furono esplosi alcuni colpi, -scrive ancora il prete- ma un capitano ferito lo vietò energicamente": Io avevo attorno solo morti e moribondi, che soffrivano in modo incredibile, soprattutto la sete. Per fortuna, tutti i morti avevano con sé le fiasche (boracce in legno) ancora piene e così potei offrire acqua in abbondanza": Ad un frate francescano laico che impetrava la "Santa Comunione" don Ortner può solo assicurare la "Comunione spirituale" e mostrare la "Patria Celeste, certamente più bella"': Non c'erano ostie consacrate da distribuire in quell'occasione. Il termine usato non è "die Heimat" ma "das himmlische Vaterland" non la patria dunque nel senso etimologico, di paese, di appartenenza ad una precisa entità giuridica, etnica, nazionale e sentimentale, ma la patria in una dimensione ben più vasta che l'aggettivo "celeste" sottolinea come casa del Padre. Di fronte ai soldati regge ancora quel "nostro"; nelle parole del cappellano militare, ma di fronte ad un confratello, maciullato da una granata, don Ortner sente di dover condividere la meta ultima di un destino sfortunato, ossia la patria celeste, la più bella delle patrie per qualsiasi cristiano. Per notti e notti onde evitare i cecchini e le fucilerie italiane, i militari austriaci con le loro giumente recuperarono i cadaveri dei soldati italiani morti per dare loro sepoltura in fosse comuni. Alla fine si contano i caduti: 43 ufficiali e 1048 tra fanti e graduati italiani. Le perdite (morti e feriti) raggiunsero i due terzi degli effettivi. Nel trigesimo del Basson, il 25 settembre 1915, Gabriele d'Annunzio fece visita al Reggimento alle Casare di Campolongo, per esternare la sua ammirazione nei confronti dei superstiti e commemorare i caduti. Un cippo in pietra calcarea (a sinistra sopra) li ricorda.

 

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