La
Folgore nella battaglia di El Alamein
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... Da quanto precede emerge che la carta
vincente degli uomini Folgore fu, essenzialmente la duttilità nel
comportamento tattico, ossia la capacità di variare il modo di
combattere adeguandolo alle circostanze. Questa capacità, di per sé
abbastanza fuor del comune, si configura in termini di autentica
eccezionalità quando si consideri che fu costantemente tradotta in atto
senza il fondamento di un preventivo, concreto tirocinio di guerra.
Nella battaglia di Alam Halfa il peso degli scontri (nell'ambito
divisionale) fu sostenuto pressoché per intero dai battaglioni IX e X e
dal III gruppo artiglieria i quali non furono invece coinvolti in modo
diretto nella battaglia di El Alamein: le unità Folgore via via chiamate
in causa entrarono quindi in azione senza aver mai visto in faccia il
nemico; senza possedere cioè alcuna esperienza pratica di combattimento.
Né questo fatto, tuttavia, né la sproporzione delle forze, valsero a
sminuire l'intraprendenza e la sicurezza dei paracadutisti i quali, al
contrario, combatterono in ogni occasione con una perizia e un'efficacia
che lasciarono stupefatti i loro stessi comandanti. Ciò fu conseguenza
sia dei criteri seguiti nella formazione dei ranghi divisionali sia
delle qualità intrinseche possedute dagli uomini chiamati a farne parte.
Addestramento e selezione
A causa delle speciali caratteristiche d'impiego l'addestramento
individuale era stato concepito in modo da potenziare grandemente la
resistenza fisica affinando e sviluppando nel contempo quelle doti
morali e spirituali che sono indispensabili al paracadutista militare -
ardimento, saldezza d'animo, autodominio, spirito d'iniziativa - mentre
l'addestramento di reparto aveva mirato ad abituare ogni formazione, e
in particolare la squadra (8 uomini) ad agire con la massima irruenza -
valorizzando il più possibile la sorpresa - e a disimpegnarsi
autonomamente anche di notte e nel più completo isolamento.
Nel fatto, l'addestramento pratico alla lotta armata rimase ancorato a
una certa genericità; e non certo per difetto d'impostazione da parte
dello stato maggiore divisionale o degli altri comandanti ma per
l'obiettiva difficoltà di simulare con sufficiente realismo le effettive
condizioni dell'impiego paracadutistico (i lanci di formazioni
organiche effettuati dai russi in Finlandia e dai tedeschi a Creta,
unici precedenti in materia, servivano più a confondere le idee che a
rischiararle). Assai efficace Invece, e davvero esauriente,
l'addestramento morale e psicologico: teso a fare di ciascun
paracadutista un combattente irriducibile e di ogni reparto, a
cominciare dalla squadra, un'unità tattica estremamente aggressiva,
intraprendente e spregiudicata. I cardini di questa preparazione furono gli
stessi in uso alla scuola paracadutisti: esigere da tutti un completo
autocontrollo nell'esecuzione di qualsiasi esercizio, soprattutto se
rischioso; allontanare chiunque, soldato o ufficiale, mostrasse
incertezza o timore nell'affrontare le difficoltà. La determinazione, la
freddezza, la consapevole audacia di cui gli uomini Folgore diedero
prova di battaglia furono il risultato diretto del severo tirocinio
psicologico e morale che derivò dalla costante applicazione di questo
duplice vaglio.
Connotazione degli uomini Folgore
Considerati singolarmente i componenti della divisione, ufficiali e
soldati, possedevano una personalità ben definita i cui tratti
caratteristici erano però più o meno comuni a tutti: disponibilità al
rischio, spirito d'avventura, animo risoluto, senso del reale, vivacità
di spirito, intelligenza. Possedevano anche una spiccata tendenza
all'individualismo: un individualismo dalle profonde radici, a volte
persino esasperato, comunque incoercibile. Nondimeno i rapporti
disciplinari non ebbero mai a soffrirne risultando anzi ottimi in
guarnigione, decisamente ferrei in combattimento: e questo perché comune
era la volontà di farsi onore, profonda la stima nei confronti gli uni
degli altri, saldissimo in tutti l'attaccamento alla bandiera. Le
difficili prove sostenute insieme, dal soldato al generale, avevano
inoltre favorito il formarsi di un eccezionale spirito di corpo che
facilitava grandemente la pronta accettazione dei vincoli di dipendenza
gerarchica. La non comune compattezza dei ranghi divisionali e, più
ancora, l'irriducibilità sempre mostrata in combattimento da uomini e
reparti sono state spesso attribuite all'influenza di una qualche forma
di fanatismo. Ma non era affatto così: né sarebbe potuto esserlo. Per
sua natura infatti il fanatico tende a distorcere la realtà in nome
delle proprie convinzioni, in particolare e sottovalutare gli ostacoli
che gli si parano dinnanzi. Manca cioè di realismo; e poiché non sa
giudicare le situazioni per quel che veramente sono non è nemmeno in
grado di affrontarle nel modo dovuto. In battaglia, di conseguenza,
saprà magari morire, difficilmente vincere. Che è esattamente il
contrario di ciò che seppero fare i paracadutisti, sempre pronti a
qualsiasi rischio ma a ragion veduta, ossia quando il coraggio,
l'audacia o anche la temerarietà fossero rimaste le uniche risorse a
disposizione. Ne fu un eloquente esempio, fra gli altri, il contrattacco
di Naqb Rala: azione senza dubbio ancor più temeraria che audace ma
dettata da inderogabile necessità non da inconsulta tendenza a buttarsi
allo sbaraglio (come contromossa a un eventuale attacco da tergo era
stata infatti decisa e approvata in anticipo); senza contare che si
inquadrava anch'essa nella già illustrata tecnica del contrassalto
preventivo della quale fu anzi, sia pure in forma del tutto peculiare,
un notevole esempio.
E' da rilevare, inoltre, che sebbene avessero
il culto dell'ardimento gli uomini Folgore ponevano la più grande
attenzione nel contenere al massimo le perdite; evitando con cura, cioè,
di esporsi a rischi inutili. E questo sia da parte dei gregari, che
disapprovavano i superiori troppo inclini all'azzardo, sia da parte
degli ufficiali il cui più grave titolo di demerito era appunto quello
di mettere a repentaglio senza vera necessità la sicurezza dei propri
uomini. Quello che tutti volevano, infatti, era imporsi al nemico,
vincerlo, non immolarsi senza costrutto, Com'è chiaramente dimostrato,
del resto, dal consuntivo stesso della battaglia: battaglia che
nonostante l'enorme preponderanza avversaria e i durissimi, ripetuti
scontri, fu portata a termine non soltanto con successo ma contenendo le
perdite, dispersi compresi, in meno del trenta per cento degli
effettivi. Quanto alla compattezza di reparto, abbastanza sorprendente
considerato l'individualismo dei singoli, essa fu grandemente favorita
dalla fiducia reciproca che caratterizzava i rapporti fra gli
appartenenti alla divisione, In qualsiasi contingenza, e specialmente in
combattimento, ognuno era certo che i colleghi di non importa quale
grado o funzione si sarebbero comportati come lui o meglio di lui; il
che non soltanto spronava tutti a prodigarsi al massimo ma, cosa non
meno importante, faceva sì che chi fosse impegnato in azione non avesse
a temere ingiustificati cedimenti da parte di coloro che gli
combattevano al fianco. Non si deve soltanto a questo, tuttavia, se gli
uomini Folgore poterono far blocco. I loro cemento morale fu, in primo
luogo, l'amore della patria: un amore fortemente sentito, e sempre
affermato con intransigente fermezza, ma in quel modo civile ed
autentico che distingue il vero patriottismo dal cieco ed esasperato
nazionalismo. Assai viva in ciascuno infatti, e saldissima, era la
consapevolezza della propria dignità di uomo e della conseguente
esigenza di tutelarla e salvaguardarla a qualunque prezzo; non solo per
non venir meno al rispetto di sé stessi ma perché è proprio nella
dignità individuale dei singoli che trova fondamento e giustificazione
lo spirito di bandiera. Per i paracadutisti italiani di El Alamein
questo concetto era altrettanto evidente quanto indiscutibile. Così è
chiaro che furono buoni soldati per la stessa ragione per cui erano
buoni cittadini: perché vollero e seppero essere autenticamente uomini.
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di
Renato Migliavacca
Publitalia Voghera 1972
Renato Migliavacca è nato a Besate di
Milano il 20 ottobre 1921. Nel giugno 1940, offertosi volontario, è
stato preso in forza dalla Scuola di Artiglieria di Moncalieri dove ha
conseguito il grado di sottotenente di complemento. Il servizio di prima
nomina è al 14° Reggimento Artiglieri a Treviso e, non appena appreso
della esistenza della Scuola Paracadutisti di Tarquinia è riuscito a
entrarvi nell’unità del 185° Reggimento Artiglieria. Al comando di una
Sez. della 4° Batteria ha partecipato alla battaglia di Alam Halfa e,
in seguito, a quella finale di El Alamein durante la quale, rimasto da
subito unico ufficiale della Batteria, ne ha assunto il comando
mantenendolo per tutta la durata dei combattimenti e del successivo
ripiegamento. Unitamente agli ultimi 300 della Folgore è stato infine
catturato il 6/11/1942 rimanendo in prigionia fino all’agosto del
1946. Una volta rimpatriato si dedicò ad una sempre più intensa attività
letteraria, dapprima collaborando a opere enciclopediche, poi
pubblicando libri e articoli tecnico-scientifici e storici
concentrandosi sugli eventi riguardanti la Folgore. A questo scopo,
insieme a 4 colleghi che con lui avevano combattuto in Africa, ha
costituito il Centro Raccolta e Documentazione Folgore grazie alle cui
attività gli è stato possibile venire a conoscenza certa dei fatti
d’arme di cui la Folgore era stata protagonista e che hanno consentito
di dare alle stampe quattro volumi che riassumono l’intera storia della
Folgore, dalla costituzione della Scuola Paracadutisti alla fine della
Divisione nel deserto di Alamein. La sua ultima fatica è “Nel vivo della
battaglia”, dato alle stampe nel 2004.
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