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Premessa del curatore (a cura di ...)
Con il «diario» del bersagliere Ivo Brogini inizia la pubblicazione di una
serie di volumi dedicati alle memorie autobiografiche scritte od orali
sulla seconda guerra mondiale il cui scopo principale è quello di
riportare alla luce e valorizzare un patrimonio di testimonianze
originali, che possano essere un utile contributo all’indagine
sull’atteggiamento dell’individuo comune nei confronti della guerra. La
nostra attenzione non si rivolge quindi a uomini che furono protagonisti
attivi degli eventi storici o che contribuirono a determinarli, ma a
coloro che non ricoprirono un ruolo di primo piano, individui «senza
storia», persone semplici che si trovarono coinvolte in guerra spesso
senza capirne le motivazioni, uomini la cui principale aspirazione era
quella di sopravvivere, cercare di vincere la fame, il freddo, la paura e
gli altri disagi di ordine materiale e psicologico che la partecipazione
al conflitto poneva in essere.
L’autobiografia di Ivo Brogini qui riportata si divide in due parti,
entrambe limitate alla sola esperienza bellica del protagonista: una prima
parte, costituita da memorie scritte nel periodo immediatamente successivo
agli eventi vissuti, e una seconda, orale, frutto di un intervista fatta a
quasi sessanta anni dagli avvenimenti in cui egli venne coinvolto. La
possibilità di confrontare l’autobiografia scritta con quella orale ci
offre così l’opportunità di valutare come l’esperienza eccezionale e
traumatizzante della guerra si sia fissata nella memoria del protagonista,
di come essa sia rimasta impressa a distanza di molti anni e soprattutto
quali rimozioni e trasformazioni essa abbia subito con il passare del
tempo e l’accumularsi di altre esperienze di vita successive.
La testimonianza scritta di Ivo Brogini, mezzadro senese, la cui adesione
al fascismo — come rivelano le pagine delle sue memorie — risulta alquanto
superficiale, non contiene «rivelazioni» particolari per quanto
concerne la guerra. Essa, tuttavia, almeno per la parte che riguarda la
partecipazione al conflitto contro la Grecia, arricchisce un settore dove
la memoria scritta appare limitata a pochissime voci, quasi tutte
appartenenti ad ufficiali. I suoi «diari» offrono al lettore la
possibilità di vedere gli eventi con gli occhi di un uomo comune,
proiettato in un contesto estraneo al normale vivere civile e in cui
mutano radicalmente i valori comuni. Un contesto la cui eccezionalità
venne avvertita dal protagonista in modo così evidente da dargli una
spinta emotiva tanto forte da indurlo a scrivere, a fissare sulla carta la
propria esperienza, quasi a volerla rendere più credibile assieme ai
ricordi delle sofferenze patite. E a distanza di anni, parlando con Ivo
Brogini, è facile intuire come quelle motivazioni che lo spinsero a
scrivere siano ancora vive, al punto da procurargli un forte desiderio di
farsi ascoltare, di raccontare la propria guerra. |
Edizioni
Cantagalli -
Siena Via Massetana Romana
12
achille@edizionicantagalli.com
Ivo Brogini, classe 1915, viene chiamato
alle armi a 20 anni al 5° Bersaglieri di Siena (24° Btg). Per il
carattere svegli viene, dopo la sequenza dei gradi inferiori,
considerato idoneo per la nomina a sottufficiale. Nel 1937 viene posto
in congedo, ma richiamato nel maggio del 1940 per le avvisaglie di
Guerra. Ripasso di armi e procedure e partenza per l'Albania dove si
svilupperà il conflitto con la Grecia a fine ottobre. Il 5° di Siena è
inquadrato nella divisione Meccanizzata Centauro che noi chiamiamo
corazzata. A metà novembre, nel pieno dell'offensiva greca per noi
fatale, Brogini viene ferito come tanti altri e rimpatriato. Per essere
il terzo di fratelli in armi dopo la convalescenza verrà posto in
congedo illimitato (Non confonda la parola, illimitato non vuol dire
nulla). Nel marzo del 1943 viene richiamato, ma la sua decisione di
sposarsi lo riporta a casa per 30 giorni che vanno a scadere il 18
maggio. Brogini si presenta al 6° reggimento Bersaglieri di Bologna dove
è in allestimento coi richiamati feriti un battaglione di difesa
costiera numerato 558°. Il viaggio verso Sud, dove si aspetta lo sbarco
degli alleati lo scaraventa in una realtà fatta di incursioni aeree e di
decisa impreparazione rispetto alla forza che questi sono in grado di
schierare dopo la Tunisia. Delle tradizionali licenze agricole non si
parla più. Tutti sono impegnati ora a difendere il "bagnaasciuga" con
l'aiuto dei tedeschi.
nota 19: Significativo, per meglio comprendere
lo spirito di corpo di queste truppe, è il «Decalogo dei Bersaglieri»
che si componeva di dieci punti: 1) Obbedienza; 2) Aspetto; |
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Critica del testo originale pag 28 e segg. ... Dalle sue
annotazioni si capisce che egli partì senza farsi troppi problemi o
mostrare un rincrescimento particolare per il fatto di dover abbandonare
(1) la propria casa e i suoi cari. La
guerra, per Ivo Brogini, era semplicemente qualcosa che doveva essere
fatta e basta, senza farsi troppe domande riguardo alle sue motivazioni
(2). Su questo atteggiamento «passivo»,
con ogni probabilità, dovettero influire diversi fattori. Certamente
pesò la giovane età, che lo portava ad affrontare con una certa
incoscienza (ndr: la differenza fondamentale fra giovani e vecchi è
proprio questa. capita infatti di trovare politici giovani di età e
vecchi di coscienza ma coscientissimi del malloppo su cui hanno messo le
mani: Ergo ai giovani non resta che l'incoscienza) e poca
riflessione un futuro che poteva riservare anche brutte sorprese; un
ruolo fondamentale, poi, ebbe senza dubbio l'educazione ricevuta in seno
alla famiglia contadina, tutta protesa all'obbedienza
(3) e al rispetto per chi ricopriva un
posto superiore. Ma un ruolo sicuramente non secondario dovette avere
anche l'apparato propagandistico (4) messo
in piedi dal regime, che accompagnò Ivo Brogini nella delicata fase
di passaggio dall'infanzia all'adolescenza. Infatti, per quanto le
memorie rivelino solo una blanda politicizzazione e una basso profilo di
adesione al fascismo da parte dell'Autore, risulta evidente che una
parte almeno della propaganda messa in atto dal regime venne da lui
recepita procurando pure una certa partecipazione emotiva. Rivelatrici
di questo processo di assimilazione appaiono innanzi tutto le frasi
contro la «schifa dell'Inghilterra» (5), la
quale, nella mente di Ivo Brogini, finisce di fatto per rappresentare -
almeno sino a quando non si verificherà la rottura con gli alleati
germanici - il nemico per eccellenza (se non l'unico nemico)
dell'Italia; in secondo luogo, le annotazioni riguardo al duce, verso il
quale l'Autore - soprattutto nelle pagine iniziali - manifesta una forte
ammirazione e fiducia, che si traducono in «obbedienza assoluta».
Altrettanto forte, e comunque da non sottovalutare, per cercare di
comprendere lo stato d'animo con cui Ivo Brogini si accinse ad
affrontare la guerra, è la fierezza di essere membro del corpo dei
Bersaglieri, cioè il senso di appartenenza ad un reparto di élite,
composto da uomini scelti (6) e affiatati
(19)" Si tratta di un elemento
difficilmente quantificabile, ma che senza dubbio ebbe un suo peso
nell'infondere al protagonista della vicenda quel «senso di sicurezza»
che traspare da una lettura delle prime pagine del «diario». E la cosa
risulta ancora più comprensibile tenendo conto del mondo rurale da cui
proveniva e della sua limitata esperienza di vita sociale al di fuori
di quell'ambiente contadino (7)
di cui era partecipe. L'estraneità a tutto ciò che non si richiamava
alla vita di campagna e ai suoi ritmi particolari, infatti, potevano
facilmente indurre un osservatore con un basso livello d'istruzione
(8), quale era l'autore a incorrere in
distorsioni della realtà e in facili entusiasmi di fronte a
manifestazioni di potenza e modernità che erano tali solo sulla carta....
Nota critica da
parte di questo sito: Non conosco la preparazione
storico-militare del curatore che si avventura in terre a lui
sconosciute e
mi limito quindi a "raddrizzare" certe cialtronerie
universitarie tipiche della
"nouvelle vague" degli scrittori e giornalisti riferite a queste poche
pagine (28/29/30). Per il resto faccia il lettore
(1) - Abbandonare (verbo improprio
meglio lasciare) la propria casa era una delle consuetudini più diffuse
della fine dell'800 e anche del periodo fascista. Si lasciava la casa
per lavorare o per trovare occasioni di lavoro in città e all'estero
sperando sempre di ritornare. E' cosa naturale ancora oggi per qualcuno
ma non per molti. Il mammismo o "bamboccismo" allora
non era di casa e di moda. Il fatto che il curatore sia nato ricco non
lo esime dal prendere in considerazioni le classi inferiori, almeno
quelle del passato che dovrebbero essere pane del suo studio.
(2) - Suo padre (di Brogini) avrà fatto la guerra
e forse anche suo nonno e bisnonno. Nessuno si chiedeva il perché o
glielo diceva. Non
usa neanche oggi negli Usa, in Russia, Inghilterra, Italia etc... Il
Presidente della Repubblica dice che lo facciamo per combattere il
terrorismo......altri dicono per cose diverse. Vi esimo dalle mie per
non guastare i Vostri ideali.
(3) - L'autore ha nostalgia del
disordine sociale e morale che anche una famiglia contadina all'epoca
cercava (se poteva) di evitare.
(4) - Affermazione parzialmente
corretta (vedi anche passi ulteriori del testo) anche se dal punto
di vista culturale l'italiano è poco propenso ad aprirsi al primo (o
ultimo ) arrivato. Ne ebbe occasione (in varie occasioni) lo stesso
Mussolini di lamentarsi. La "provvidenza" è sempre stata per gli italiani
una speranza non una certezza.
(5) - L'Inghilterra forse più di
altre si guadagnò il ruolo di nemica (per le tante volte che s'era
intromessa negli affari interni del paese (due esempi ma ce ne sarebbero
migliaia: Garibaldi sbarcò a Marsala coperto dagli inglesi, gli stessi
che nel 1849 avevano preso a cannonate Genova per fare un favore ai
Savoia), ma posso assicurare il curatore che era lo stesso per
Francia e anche per Germania checchè ne dicesse l'asse di ferro con
quest'ultimo.
(6) - Anche in questo caso posso
assicurare il curatore che scelti lo erano proprio di nome e di fatto,
a
casaccio, come si usava nei distretti militari. Il trucco del corpo
(allora e per molto tempo, non oggi) era prendere delle persone comuni e
farne delle persone affiatate e affidabili. A ciò serviva l'esempio e la dedizione di
ufficiali comuni, vecchi combattenti della Grande Guerra spesso sopra la media (bassa) del periodo.
(7) - (8) - per fare il contadino
occorrono tecnicamente 5 lauree in discipline diverse non ultima quella
di progettista di mobili e suppellettili domestiche. Per fare il
professore ne occorre una. Fate un po' voi chi è il più ignorante come
sostiene il curatore. E mi fermo qui per non infierire oltre e per
lasciare il passo al racconto di un eroe "naturale o normale" come Brogini
nella sua lingua. a..w. |
3) Conoscenza assoluta della propria arma; 4)
Molto addestramento; 5)
Ginnastica sino alla frenesia; 6) Cameratismo; 7) Sentimento della
famiglia; 8) Onore della Patria; 9) Onore al Capo dello Stato; lO)
Fiducia in sé stessi fino alla presunzione. Su questo aspetto si vedano
le osservazioni di C. BIAGINI, op. cit., pp. 17-18 e 42-44.
Brogini avrà ripetuti attacchi di
malaria anche in seguito ma ne la sospirata fine della guerra che per
ora è rimandata ne il passaggio del fronte lo porteranno a casa. Il
governo di Badoglio ha replicato al sud la pletora di comandi, stati
maggiori e funzionari governativi senza avere un esercito. La parentesi
bellica di Montelungo della prima metà di dicembre del 43 si apre e si
chiude in fretta. Il problema principale restava la volontà effettiva di
combattere un'altra guerra di questi ragazzi.
- Come dice Brogini a pag 113 le cose erano peggiorate..
pure li, che ci erano scalzi e mezzi nudi, di tutte le specie (di
vestiario: Non davano le scarpe perché con
le scarpe il militare fuggiva).
. Quando anche Siena sarà liberata e la
viabilità tornata accettabile, col fronte stabilizzato sopra Firenze,
Ivo potrà tornare a casa.
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passi da pag 89 a pag. 105 - I giorni della sconfitta
.... Giorno e notte del giorno 8 (luglio) si sentì gran
bombardamenti in Sicilia che non cessavano mai, sempre tutto una romba e
albore di fuoco. Non si vedeva che disastri. Così la mattina del giorno
9 luglio si sentì dire che erano sbarcati (gli alleati) in Sicilia. Noi
tutti si diceva: presto sarà la nostra, perché il cannone già si sentiva
tuonare sempre più vicino, e quindi non si aspettava l'ora e il momento,
da un giorno e l'altro, che venisse la pace.! E il cannone sempre si
avvicinava più vicino. E seguitava sempre allarmi e bombardamenti di
notte e di giorno. Giorno 11 e 12 di nuovo grandi incursioni su Reggio,
Messina e Villa, di notte e giorno, non si aveva più un minuto di bene
(lo sbarco c'era già stato). Tutti i Bersaglieri sotto a quella brutta
pioggia e temperia di bombe e mitralie che sembrava filimondo. Il cuore
ci scoteva come un martello da fabbri e nessun ordine ci era di
spostarsi di quella posizione. Noi si diceva: o morti o prigionieri.
Quando arriveranno? (in Calabria). lo e il mio amico Falciani si era
fatto una buca assieme e lì ci si faceva coraggio un con l'altro. Privi
di notizie dalla famiglia che non poteva venire posta, perché i treni
venivano bombardati nelle ferrovie e nelle stazioni. Figuriamoci che
vita. Così ogni tanto ci raccomandiamo alla Santa Madonna.
Giorno 14 e 15 di nuovo allarmi. Grandi incursioni su Reggio e Messina
di notte e di giorno; e si sentivano e si vedevano scoppi di polveriere
e fiamme che bruciava un mulino di grano Reggio, vicino il porto, e
munizioni che bruciavano, dove veniva caricata tutta la roba che andava
in Sicilia. Caricavano i Bersaglieri. Giorno 18 di nuovo incursioni su
l'Aeroporto di Reggio, colpi di sottomarini che picchiavano sulla costa.
Non si poteva riposare mai un'ora in pace. Il cannone sempre più vicino
si sentiva. Noi Bersaglieri ci si era fatto un po' l'abitudine, ma però
fra la paura e poco mangiare si era doventati un po' deboli. Lì passava
molto male quella vita. La notte del 25 luglio fu una notte un po'
silenziosa. Tutti si era in tenda che si dormiva, alle ore 2 la notte
viene uno dal comando in corsa a svegliare diversi suoi amici, che aveva
senti[to] parlare l'Aradio che aveva trasmesso che Mussolini aveva dato
dimissioni. Quindi subito corse voce nelle tende e a tutti andò via il
sonno dagli occhi, e tutti si discuteva la guerra fenisce presto.! Così
si stava un po' più tranquilli, ma però passava dei giorni e la guerra
continuava.
Lì ci si aveva mangiare e bevere vino e altri liquori quanto uno voleva.
Olio a piacimento, polli accalo, uva e fichi, fagioli verdi, pomodori,
patate come ci pareva, e si cucinava da noi come ci pareva. In questo
frattempo ho trovato un bersagliere paesano che rientrava dalla Sicilia.
Ebbi molto piacere di vedersi e più lui rientrava al 5° Bersaglieri di
Siena, così mandai pure notizie alla famiglia, che io non sapevo se mia
posta gli giungeva. Che da il mese di Luglio non avevo più notizie dalla
famiglia. Il giorno 20 Agosto è cessato i bombardamenti e mitragliamenti
a Gioia Tauro, si sentivano soltanto alla lontana. Così si è prencipiato
a riposare un po' più discretamente e passare le giornate un po' più
tranquilli. Gli apparecchi passavano sopra e andavano in cerca dei
Tedeschi, che di lì erano dove eravamo noi già erano andati via. Già
correva voce che dovevano rientrare in Germania perché dovevano
sgomberare l'Italia. Noi tutti non si sapeva nemmeno come dire: delle
volte si sarebbe quasi restati convinti che se ne andavano nel vedergli
fare quelli spostamenti. La Sicilia stava per cadere e c'era in giro le
voci che sarebbe venuto l'Armistizio.
Ma si sarebbe aspettato momento per momento e non si sentiva dire più
nulla di armistizio. I colpi sempre si sentivano un po' al distante. Il
giorno e notte 1° Settembre (31/8) si sentirono gran colpi di cannone
verso Reggio Calabria e Villa S. Giovanni, con la durata di un giorno e
una notte, che sparavano su la costa dove si trovano il mio battaglione;
sparava l'artiglieria e marina. Giorno 2 si sentì dire che gli Americani
e Inglesi sono sbarcati a Reggio Calabria. E seguitavano l'avanzata. Il
mio battaglione, dopo aver sofferto tutti quei bombardamenti, furono
fatti tutti prigionieri e furono portati vicino il porto in campo di
concentramento, sotto gli ulivi. Noi della 23a compagnia che si stava a
Gioia dopo qualche giorno ci dissero: del battaglione dei Bersaglieri
non si sa più nulla, sono stati fatti tutti prigionieri senza perdite e
2 feriti soltanto. Noi non si sapeva come dire: si diceva quest' altra
volta sarà la nostra; così i colpi di mitraglie e cannoni si
avvicinavano e noi non bisognava abbandonare i posti di guardia. Ci
eravamo messi nell'idea: qui o prigionieri o morti, perché s'era tutti a
piedi, senza motori, quindi ancora scappare non si sapeva come fare. Noi
eravamo aggregati alla base 52 e loro partirono per Napoli con motori e
dissero veniva sfatta la base 52, noi non apparterremo più a loro. Al
Battaglione non si poteva rientrare perché era già prigioniero. Così per
noi c'era la circolare che si doveva rientrare a Bologna e non si sapeva
con che cosa andare; il fronte era già a pochi metri. Allora nel nostro
accampamento ci erano dei trattori novi che restavano prigionieri, e non
si potevano mettere in moto perché avevano le batterie scariche. Così ci
erano diversi bersaglieri che sapevano portare la macchina. In fretta e
in furia andarono a farsi trapelare a un trattore per metterlo in moto,
così riuscimmo a metterlo in moto uno, e con quello funno messi tutti in
moto a forza di trainarli. Così prendono 4 trattori e vengono al nostro
accampamento e si carica tutto sopra, che si erano pienati di tutto,
pure un bel rifornimento di petrolio, e circa 20 Bersaglieri sopra. Nota
del sito Verranno fermati e i trattori requisiti da un comando italiano.
Giorno 8 settembre di sera verso le 5 (è una notizia captata perchè
l'annuncio di Badoglio è successivo) si sente voce che l'Italia chiesto
l'armistizio: non troppo sicuri vanno di nuovo a sentire l'aradio delle
ore 8. Così è stato la verità. Tutti contenti. Ma però ci era un dubbio
pei Tedeschi, che erano sempre in Italia. Così detta fatta, il giorno 9
cominciano i tedeschi a volerci levare le macchine; allarmati, noi non
gli vogliamo dare nulla, si messe le nostre armi piazzate davanti ai
nostri motori che nessuno le toccasse. La mattina all'alba arriva la
retroguardia dei Tedeschi lì accampati dove eravamo noi, con motori e
carri armati. Noi non eramo tanto contenti che venissero lì: ci si
guardava male come il cane e il gatto. Noi si fu costretti spostarsi di
lì perché si aveva paura dei bombardamenti a essere fra loro. Così a
sera venne ordine di spostarsi e andare verso Cosenza. Così la sera di
notte si parte con gli autocarri carichi di tutto e noi. Per la strada
si vedevano Tedeschi che minavano ponti e strade. Venne pure un
apparecchio sopra di notte a mitragliare e gettare bombe sopra alla
nostra colonna. Per fortuna le gettò tutte fuori dalla strada. Così noi
andiamo a fermarsi a S. Lorenzo e a Spezzano Albanese, vicino
Castrovillari in provincia di Cosenza. Giunti lì 11 Settembre, venivano
squadriglie di apparecchi Inglesi e Americani per andare a mitragliare e
gettare bombe sopra a Tedeschi. Noi non ci noiavano più perché si alzava
la bandiera italiana. Quindi giorno stesso è venuto di nuovo i Tedeschi
a prendere autocarri e se le trovavano soli con l'autista prendevano
tutto. Cercavano pure di disarmare soldati e officiali. I Tedeschi si
presero 6 autocarri e se ne andiedero. Il comando nostro diede ordine di
andare ancora in altro posto più distante dai Tedeschi per salvare le
macchine. Quindi si andava in un paesino distante di lì 20 km che si
chiamava S. Marco Argentano. Si andava di notte per la strada, fatto
circa 5 km si incontrò di nuovo i Tedeschi che erano di retroguardia. Ci
fermarono la colonna delle macchine, piazzarono due carri armati
davanti, non fanno passare perché volevano gli autocarri. Diversi furono
in tempo a rigirare indietro, così tornarono di nuovo a S. Lorenzo. E
diversi si restò nel mezzo perché avevano piazzato le armi davanti e di
dietro.
Giorno 12. Diversi noi amici si pensò di andare in compagnia di una
famiglia per levarsi di mezzo da quei farabutti Tedeschi. Come già
diversi nostri amici erano già andati per conto suo e diversi
bersaglieri erano andati all' ospedale da campo di Spezzano Albanese per
via della malaria. lo con diversi amici si andò per nostro conto in una
famiglia contadina, vicino Spezzano. L'altri che erano restati là ci
dissero che erano in paese con il comandante di compagnia. A noi questa
famiglia ci offrì subito se si aveva bisogno di nulla. Noi ci si guardò
in faccia tutti e 10 e si rispose: si avrebbe bisogno di mangiare; ci
fate una pastasciutta con 2 pollastri col pagare?.La massaia ripose si.
Noi tutti contenti ci sistemiamo bene la pancia e dopo si riposa
tranquillamente; e la sera ci dicono: se volete stare qui state quanto
volete. Così si aspettava che se ne andasse i tedeschi e giungesse gli
Inglesi e Americani. Dopo la nostra idea di andare dietro loro, verso
casa nostra. Passa ancora qualche giorno e i Tedeschi già partiti e
Inglesi non si vedono. A me giorno 15 Settembre mi viene un po' di
febbre e fui costretto presentarmi all' ospedale da campo di Spezzano.
Lì trovai molti miei amici della mia compagnia ricoverati per malaria.
Pure me mi ricoverarono. Febbre a 38, giorno dopo febbre a 40; mi fanno
lo sdriscìo (analisi) e dicono: febbre di malaria. La mattina dopo
febbre, dopo due giorni di nuovo febbre a 41. Lì feci la cura di chinino
e passa dei giorni; passa lì il mio male con un po' di cura. Diversi
miei amici già sfebbrati non sapevano dove mandarli perché la compagnia
era già partita. Ci era pure un sottotenente della mia compagnia, li
porta a raggiungere di nuovo la compagnia e gli avevano detto che dopo
San Marco si portavano a Catanzaro. lo e gli altri bersaglieri restiamo
ancora all' ospedale per fenìre la cura. Passa dei giorni e non si sa
più nulla dove si trova la 29a (23a) compagnia. Così passa pure gli
Inglesi, e noi stiamo ancora lì sempre con quella speranza che facessero
presto a scacciare i Tedeschi fuori dal suolo italiano, perché non si
sarebbe veduto 1'ora e il momento di rivedere la famiglia. Perché se
fosse stato le strade libere si sarebbe venuti in convalescenza. Quindi
toccava a stare lì in quelle terre con gran pensiero della famiglia che
i farabutti dei Tedeschi pubblicava i radio che facevano disastri in
Italia; così ci era un gran pensiero verso queste cose perché eravamo
pure privi di notizie da diversi mesi dalla famiglia. Chissà cosa era
successo?
Un bel giorno si sentì dire che il nostro Maresciallo Badoglio à
dichiarato guerra alla Germania. Così si diceva finirà prima! E passano
i giorni senza far nulla, e domandare alcuni amici dove si trovava la
nostra 23a compagnia. Dicono che era facile si trovasse a Lecce, ma però
non erano tanto sicuri. Noi non si sapeva dove farci mandare, si pensò
di farsi inviare a Lecce. Sortito dal convalescenziario il 5 Novembre e
inviato a Lecce per trovare la mia compagnia. Eravamo 3 colleghi. Si
andò alla stazione, si prende il treno e si parte per Lecce. Il viaggio
non fu troppo piacevole perché non ci era possibilità di viaggiare coi
treni. Il giorno 7 Novembre 1943 sono giunto a Lecce, lì fortunatamente
ho trovato subito la mia compagnia con diversi miei amici che erano
passati tutti effettivi al Quartier Generale del Ministero della Guerra.
Così pure io sono entrato a far parte con loro. lo ci stavo un po' più
volentieri che negli altri posti, perché si mangiava discretamente e
altre cose un po' meglio. Così si passa le giornate e serate in libera
uscita con discorrendo sempre quel pensiero di tornare alla casa per
vedere cosa sarà successo. |