La storia è racconto attraverso i libri 

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

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DIARIO DI GUERRA - IVO BROGINI 1940-1945

  

 

Premessa del curatore (a cura di ...)
Con il «diario» del bersagliere Ivo Brogini inizia la pubblicazione di una serie di volumi dedicati alle memorie autobiografiche scritte od orali sulla seconda guerra mondiale il cui scopo principale è quello di riportare alla luce e valorizzare un patrimonio di testimonianze originali, che possano essere un utile contributo all’indagine sull’atteggiamento dell’individuo comune nei confronti della guerra. La nostra attenzione non si rivolge quindi a uomini che furono protagonisti attivi degli eventi storici o che contribuirono a determinarli, ma a coloro che non ricoprirono un ruolo di primo piano, individui «senza storia», persone semplici che si trovarono coinvolte in guerra spesso senza capirne le motivazioni, uomini la cui principale aspirazione era quella di sopravvivere, cercare di vincere la fame, il freddo, la paura e gli altri disagi di ordine materiale e psicologico che la partecipazione al conflitto poneva in essere.
L’autobiografia di Ivo Brogini qui riportata si divide in due parti, entrambe limitate alla sola esperienza bellica del protagonista: una prima parte, costituita da memorie scritte nel periodo immediatamente successivo agli eventi vissuti, e una seconda, orale, frutto di un intervista fatta a quasi sessanta anni dagli avvenimenti in cui egli venne coinvolto. La possibilità di confrontare l’autobiografia scritta con quella orale ci offre così l’opportunità di valutare come l’esperienza eccezionale e traumatizzante della guerra si sia fissata nella memoria del protagonista, di come essa sia rimasta impressa a distanza di molti anni e soprattutto quali rimozioni e trasformazioni essa abbia subito con il passare del tempo e l’accumularsi di altre esperienze di vita successive.
La testimonianza scritta di Ivo Brogini, mezzadro senese, la cui adesione al fascismo — come rivelano le pagine delle sue memorie — risulta alquanto superficiale, non contiene «rivelazioni» particolari per quanto concerne la guerra. Essa, tuttavia, almeno per la parte che riguarda la partecipazione al conflitto contro la Grecia, arricchisce un settore dove la memoria scritta appare limitata a pochissime voci, quasi tutte appartenenti ad ufficiali. I suoi «diari» offrono al lettore la possibilità di vedere gli eventi con gli occhi di un uomo comune, proiettato in un contesto estraneo al normale vivere civile e in cui mutano radicalmente i valori comuni. Un contesto la cui eccezionalità venne avvertita dal protagonista in modo così evidente da dargli una spinta emotiva tanto forte da indurlo a scrivere, a fissare sulla carta la propria esperienza, quasi a volerla rendere più credibile assieme ai ricordi delle sofferenze patite. E a distanza di anni, parlando con Ivo Brogini, è facile intuire come quelle motivazioni che lo spinsero a scrivere siano ancora vive, al punto da procurargli un forte desiderio di farsi ascoltare, di raccontare la propria guerra.

 

Realizzato grazie ai fondi del piano di Ateneo per la ricerca anno 2001/2 dell'Università di Siena e al contributo del dipartimento di Scienze Storiche, Giuridiche, Politiche e Sociali

 

Edizioni Cantagalli -  Siena Via Massetana Romana 12 achille@edizionicantagalli.com   

Ivo Brogini, classe 1915, viene chiamato alle armi a 20 anni al 5° Bersaglieri di Siena (24° Btg). Per il carattere svegli viene, dopo la sequenza dei gradi inferiori, considerato idoneo per la nomina a sottufficiale. Nel 1937 viene posto in congedo, ma richiamato nel maggio del 1940 per le avvisaglie di Guerra. Ripasso di armi e procedure e partenza per l'Albania dove si svilupperà il conflitto con la Grecia a fine ottobre. Il 5° di Siena è inquadrato nella divisione Meccanizzata Centauro che noi chiamiamo corazzata. A metà novembre, nel pieno dell'offensiva greca per noi fatale, Brogini viene ferito come tanti altri e rimpatriato. Per essere il terzo di fratelli in armi dopo la convalescenza verrà posto in congedo illimitato (Non confonda la parola, illimitato non vuol dire nulla). Nel marzo del 1943 viene richiamato, ma la sua decisione di sposarsi lo riporta a casa per 30 giorni che vanno a scadere il 18 maggio. Brogini si presenta al 6° reggimento Bersaglieri di Bologna dove è in allestimento coi richiamati feriti un battaglione di difesa costiera numerato 558°. Il viaggio verso Sud, dove si aspetta lo sbarco degli alleati lo scaraventa in una realtà fatta di incursioni aeree e di decisa impreparazione rispetto alla forza che questi sono in grado di schierare dopo la Tunisia. Delle tradizionali licenze agricole non si parla più. Tutti sono impegnati ora a difendere il "bagnaasciuga" con l'aiuto dei tedeschi.       

nota 19: Significativo, per meglio comprendere lo spirito di corpo di queste truppe, è il «Decalogo dei Bersaglieri» che si componeva di dieci punti: 1) Obbedienza; 2) Aspetto;

  Critica del testo originale pag 28 e segg... Dalle sue annotazioni si capisce che egli partì senza farsi troppi problemi o mostrare un rincrescimento particolare per il fatto di dover abbandonare (1) la propria casa e i suoi cari. La guerra, per Ivo Brogini, era semplicemente qualcosa che doveva essere fatta e basta, senza farsi troppe domande riguardo alle sue motivazioni (2). Su questo atteggiamento «passivo», con ogni probabilità, dovettero influire diversi fattori. Certamente pesò la giovane età, che lo portava ad affrontare con una certa incoscienza (ndr: la differenza fondamentale fra giovani e vecchi è proprio questa. capita infatti di trovare politici giovani di età e vecchi di coscienza ma coscientissimi del malloppo su cui hanno messo le mani: Ergo ai giovani non resta che l'incoscienza) e poca riflessione un futuro che poteva riservare anche brutte sorprese; un ruolo fondamentale, poi, ebbe senza dubbio l'educazione ricevuta in seno alla famiglia contadina, tutta protesa all'obbedienza (3) e al rispetto per chi ricopriva un posto superiore. Ma un ruolo sicuramente non secondario dovette avere anche l'apparato propagandistico (4) messo in piedi dal regime, che accompagnò Ivo Brogini nella delicata fase di passaggio dall'infanzia all'adolescenza. Infatti, per quanto le memorie rivelino solo una blanda politicizzazione e una basso profilo di adesione al fascismo da parte dell'Autore, risulta evidente che una parte almeno della propaganda messa in atto dal regime venne da lui recepita procurando pure una certa partecipazione emotiva. Rivelatrici di questo processo di assimilazione appaiono innanzi tutto le frasi contro la «schifa dell'Inghilterra» (5), la quale, nella mente di Ivo Brogini, finisce di fatto per rappresentare - almeno sino a quando non si verificherà la rottura con gli alleati germanici - il nemico per eccellenza (se non l'unico nemico) dell'Italia; in secondo luogo, le annotazioni riguardo al duce, verso il quale l'Autore - soprattutto nelle pagine iniziali - manifesta una forte ammirazione e fiducia, che si traducono in «obbedienza assoluta». Altrettanto forte, e comunque da non sottovalutare, per cercare di comprendere lo stato d'animo con cui Ivo Brogini si accinse ad affrontare la guerra, è la fierezza di essere membro del corpo dei Bersaglieri, cioè il senso di appartenenza ad un reparto di élite, composto da uomini scelti (6) e affiatati (19)" Si tratta di un elemento difficilmente quantificabile, ma che senza dubbio ebbe un suo peso nell'infondere al protagonista della vicenda quel «senso di sicurezza» che traspare da una lettura delle prime pagine del «diario». E la cosa risulta ancora più comprensibile tenendo conto del mondo rurale da cui proveniva e della sua limitata esperienza di vita sociale al di fuori di quell'ambiente contadino (7) di cui era partecipe. L'estraneità a tutto ciò che non si richiamava alla vita di campagna e ai suoi ritmi particolari, infatti, potevano facilmente indurre un osservatore con un basso livello d'istruzione (8), quale era l'autore a incorrere in distorsioni della realtà e in facili entusiasmi di fronte a manifestazioni di potenza e modernità che erano tali solo sulla carta....

Nota critica da parte di questo sito: Non conosco la preparazione storico-militare del curatore che si avventura in terre a lui sconosciute e mi limito quindi a "raddrizzare" certe cialtronerie universitarie tipiche della "nouvelle vague" degli scrittori e giornalisti riferite a queste poche pagine (28/29/30). Per il resto faccia il lettore
(1) - Abbandonare (verbo improprio meglio lasciare) la propria casa era una delle consuetudini più diffuse della fine dell'800 e anche del periodo fascista. Si lasciava la casa per lavorare o per trovare occasioni di lavoro in città e all'estero sperando sempre di ritornare. E' cosa naturale ancora oggi per qualcuno ma non per molti. Il mammismo o "bamboccismo" allora non era di casa e di moda. Il fatto che il curatore sia nato ricco non lo esime dal prendere in considerazioni le classi inferiori, almeno quelle del passato che dovrebbero essere pane del suo studio.
(2) - Suo padre (di Brogini) avrà fatto la guerra e forse anche suo nonno e bisnonno. Nessuno si chiedeva il perché o glielo diceva. Non usa neanche oggi negli Usa, in Russia, Inghilterra, Italia etc... Il Presidente della Repubblica dice che lo facciamo per combattere il terrorismo......altri dicono per cose diverse. Vi esimo dalle mie per non guastare i Vostri ideali.
(3) - L'autore ha nostalgia del disordine sociale e morale che anche una famiglia contadina all'epoca cercava (se poteva) di evitare.
(4) - Affermazione parzialmente corretta (vedi anche passi ulteriori del testo) anche se dal punto di vista culturale l'italiano è poco propenso ad aprirsi al primo (o ultimo ) arrivato. Ne ebbe occasione (in varie occasioni) lo stesso Mussolini di lamentarsi. La "provvidenza" è sempre stata per gli italiani una speranza non una certezza.
(5) - L'Inghilterra forse più di altre si guadagnò il ruolo di nemica (per le tante volte che s'era intromessa negli affari interni del paese (due esempi ma ce ne sarebbero migliaia: Garibaldi sbarcò a Marsala coperto dagli inglesi, gli stessi che nel 1849 avevano preso a cannonate Genova per fare un favore ai Savoia), ma posso assicurare il curatore che era lo stesso per Francia e anche per Germania checchè ne dicesse l'asse di ferro con quest'ultimo.
(6) - Anche in questo caso posso assicurare il curatore che scelti lo erano proprio di nome e di fatto, a casaccio, come si usava nei distretti militari. Il trucco del corpo (allora e per molto tempo, non oggi) era prendere delle persone comuni e farne delle persone affiatate e affidabili. A ciò serviva l'esempio e la dedizione di ufficiali comuni, vecchi combattenti della Grande Guerra spesso sopra la media (bassa) del periodo.
(7) - (8) - per fare il contadino occorrono tecnicamente 5 lauree in discipline diverse non ultima quella di progettista di mobili e suppellettili domestiche. Per fare il professore ne occorre una. Fate un po' voi chi è il più ignorante come sostiene il curatore. E mi fermo qui per non infierire oltre e per lasciare il passo al racconto di un eroe "naturale o normale" come  Brogini nella sua lingua. a..w.

3) Conoscenza assoluta della propria arma; 4) Molto addestramento; 5) Ginnastica sino alla frenesia; 6) Cameratismo; 7) Sentimento della famiglia; 8) Onore della Patria; 9) Onore al Capo dello Stato; lO) Fiducia in sé stessi fino alla presunzione. Su questo aspetto si vedano le osservazioni di C. BIAGINI, op. cit., pp. 17-18 e 42-44.

Brogini avrà ripetuti attacchi di malaria anche in seguito ma ne la sospirata fine della guerra che per ora è rimandata ne il passaggio del fronte lo porteranno a casa. Il governo di Badoglio ha replicato al sud la pletora di comandi, stati maggiori e funzionari governativi senza avere un esercito. La parentesi bellica di Montelungo della prima metà di dicembre del 43 si apre e si chiude in fretta. Il problema principale restava la volontà effettiva di combattere un'altra guerra di questi ragazzi.
- Come dice Brogini a pag 113 le cose erano peggiorate.. pure li, che ci erano scalzi e mezzi nudi, di tutte le specie (di vestiario: Non davano le scarpe perché con le scarpe il militare fuggiva). . Quando anche Siena sarà liberata e la viabilità tornata accettabile, col fronte stabilizzato sopra Firenze, Ivo potrà tornare a casa.

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  passi da pag 89 a pag. 105 - I giorni della sconfitta

.... Giorno e notte del giorno 8 (luglio) si sentì gran bombardamenti in Sicilia che non cessavano mai, sempre tutto una romba e albore di fuoco. Non si vedeva che disastri. Così la mattina del giorno 9 luglio si sentì dire che erano sbarcati (gli alleati) in Sicilia. Noi tutti si diceva: presto sarà la nostra, perché il cannone già si sentiva tuonare sempre più vicino, e quindi non si aspettava l'ora e il momento, da un giorno e l'altro, che venisse la pace.! E il cannone sempre si avvicinava più vicino. E seguitava sempre allarmi e bombardamenti di notte e di giorno. Giorno 11 e 12 di nuovo grandi incursioni su Reggio, Messina e Villa, di notte e giorno, non si aveva più un minuto di bene (lo sbarco c'era già stato). Tutti i Bersaglieri sotto a quella brutta pioggia e temperia di bombe e mitralie che sembrava filimondo. Il cuore ci scoteva come un martello da fabbri e nessun ordine ci era di spostarsi di quella posizione. Noi si diceva: o morti o prigionieri. Quando arriveranno? (in Calabria). lo e il mio amico Falciani si era fatto una buca assieme e lì ci si faceva coraggio un con l'altro. Privi di notizie dalla famiglia che non poteva venire posta, perché i treni venivano bombardati nelle ferrovie e nelle stazioni. Figuriamoci che vita. Così ogni tanto ci raccomandiamo alla Santa Madonna.
Giorno 14 e 15 di nuovo allarmi. Grandi incursioni su Reggio e Messina di notte e di giorno; e si sentivano e si vedevano scoppi di polveriere e fiamme che bruciava un mulino di grano Reggio, vicino il porto, e munizioni che bruciavano, dove veniva caricata tutta la roba che andava in Sicilia. Caricavano i Bersaglieri. Giorno 18 di nuovo incursioni su l'Aeroporto di Reggio, colpi di sottomarini che picchiavano sulla costa. Non si poteva riposare mai un'ora in pace. Il cannone sempre più vicino si sentiva. Noi Bersaglieri ci si era fatto un po' l'abitudine, ma però fra la paura e poco mangiare si era doventati un po' deboli. Lì passava molto male quella vita. La notte del 25 luglio fu una notte un po' silenziosa. Tutti si era in tenda che si dormiva, alle ore 2 la notte viene uno dal comando in corsa a svegliare diversi suoi amici, che aveva senti[to] parlare l'Aradio che aveva trasmesso che Mussolini aveva dato dimissioni. Quindi subito corse voce nelle tende e a tutti andò via il sonno dagli occhi, e tutti si discuteva la guerra fenisce presto.! Così si stava un po' più tranquilli, ma però passava dei giorni e la guerra continuava.
Lì ci si aveva mangiare e bevere vino e altri liquori quanto uno voleva. Olio a piacimento, polli accalo, uva e fichi, fagioli verdi, pomodori, patate come ci pareva, e si cucinava da noi come ci pareva. In questo frattempo ho trovato un bersagliere paesano che rientrava dalla Sicilia. Ebbi molto piacere di vedersi e più lui rientrava al 5° Bersaglieri di Siena, così mandai pure notizie alla famiglia, che io non sapevo se mia posta gli giungeva. Che da il mese di Luglio non avevo più notizie dalla famiglia. Il giorno 20 Agosto è cessato i bombardamenti e mitragliamenti a Gioia Tauro, si sentivano soltanto alla lontana. Così si è prencipiato a riposare un po' più discretamente e passare le giornate un po' più tranquilli. Gli apparecchi passavano sopra e andavano in cerca dei Tedeschi, che di lì erano dove eravamo noi già erano andati via. Già correva voce che dovevano rientrare in Germania perché dovevano sgomberare l'Italia. Noi tutti non si sapeva nemmeno come dire: delle volte si sarebbe quasi restati convinti che se ne andavano nel vedergli fare quelli spostamenti. La Sicilia stava per cadere e c'era in giro le voci che sarebbe venuto l'Armistizio.
Ma si sarebbe aspettato momento per momento e non si sentiva dire più nulla di armistizio. I colpi sempre si sentivano un po' al distante. Il giorno e notte 1° Settembre (31/8) si sentirono gran colpi di cannone verso Reggio Calabria e Villa S. Giovanni, con la durata di un giorno e una notte, che sparavano su la costa dove si trovano il mio battaglione; sparava l'artiglieria e marina. Giorno 2 si sentì dire che gli Americani e Inglesi sono sbarcati a Reggio Calabria. E seguitavano l'avanzata. Il mio battaglione, dopo aver sofferto tutti quei bombardamenti, furono fatti tutti prigionieri e furono portati vicino il porto in campo di concentramento, sotto gli ulivi. Noi della 23a compagnia che si stava a Gioia dopo qualche giorno ci dissero: del battaglione dei Bersaglieri non si sa più nulla, sono stati fatti tutti prigionieri senza perdite e 2 feriti soltanto. Noi non si sapeva come dire: si diceva quest' altra volta sarà la nostra; così i colpi di mitraglie e cannoni si avvicinavano e noi non bisognava abbandonare i posti di guardia. Ci eravamo messi nell'idea: qui o prigionieri o morti, perché s'era tutti a piedi, senza motori, quindi ancora scappare non si sapeva come fare. Noi eravamo aggregati alla base 52 e loro partirono per Napoli con motori e dissero veniva sfatta la base 52, noi non apparterremo più a loro. Al Battaglione non si poteva rientrare perché era già prigioniero. Così per noi c'era la circolare che si doveva rientrare a Bologna e non si sapeva con che cosa andare; il fronte era già a pochi metri. Allora nel nostro accampamento ci erano dei trattori novi che restavano prigionieri, e non si potevano mettere in moto perché avevano le batterie scariche. Così ci erano diversi bersaglieri che sapevano portare la macchina. In fretta e in furia andarono a farsi trapelare a un trattore per metterlo in moto, così riuscimmo a metterlo in moto uno, e con quello funno messi tutti in moto a forza di trainarli. Così prendono 4 trattori e vengono al nostro accampamento e si carica tutto sopra, che si erano pienati di tutto, pure un bel rifornimento di petrolio, e circa 20 Bersaglieri sopra. Nota del sito Verranno fermati e i trattori requisiti da un comando italiano.
Giorno 8 settembre di sera verso le 5 (è una notizia captata perchè l'annuncio di Badoglio è successivo) si sente voce che l'Italia chiesto l'armistizio: non troppo sicuri vanno di nuovo a sentire l'aradio delle ore 8. Così è stato la verità. Tutti contenti. Ma però ci era un dubbio pei Tedeschi, che erano sempre in Italia. Così detta fatta, il giorno 9 cominciano i tedeschi a volerci levare le macchine; allarmati, noi non gli vogliamo dare nulla, si messe le nostre armi piazzate davanti ai nostri motori che nessuno le toccasse. La mattina all'alba arriva la retroguardia dei Tedeschi lì accampati dove eravamo noi, con motori e carri armati. Noi non eramo tanto contenti che venissero lì: ci si guardava male come il cane e il gatto. Noi si fu costretti spostarsi di lì perché si aveva paura dei bombardamenti a essere fra loro. Così a sera venne ordine di spostarsi e andare verso Cosenza. Così la sera di notte si parte con gli autocarri carichi di tutto e noi. Per la strada si vedevano Tedeschi che minavano ponti e strade. Venne pure un apparecchio sopra di notte a mitragliare e gettare bombe sopra alla nostra colonna. Per fortuna le gettò tutte fuori dalla strada. Così noi andiamo a fermarsi a S. Lorenzo e a Spezzano Albanese, vicino Castrovillari in provincia di Cosenza. Giunti lì 11 Settembre, venivano squadriglie di apparecchi Inglesi e Americani per andare a mitragliare e gettare bombe sopra a Tedeschi. Noi non ci noiavano più perché si alzava la bandiera italiana. Quindi giorno stesso è venuto di nuovo i Tedeschi a prendere autocarri e se le trovavano soli con l'autista prendevano tutto. Cercavano pure di disarmare soldati e officiali. I Tedeschi si presero 6 autocarri e se ne andiedero. Il comando nostro diede ordine di andare ancora in altro posto più distante dai Tedeschi per salvare le macchine. Quindi si andava in un paesino distante di lì 20 km che si chiamava S. Marco Argentano. Si andava di notte per la strada, fatto circa 5 km si incontrò di nuovo i Tedeschi che erano di retroguardia. Ci fermarono la colonna delle macchine, piazzarono due carri armati davanti, non fanno passare perché volevano gli autocarri. Diversi furono in tempo a rigirare indietro, così tornarono di nuovo a S. Lorenzo. E diversi si restò nel mezzo perché avevano piazzato le armi davanti e di dietro.
Giorno 12. Diversi noi amici si pensò di andare in compagnia di una famiglia per levarsi di mezzo da quei farabutti Tedeschi. Come già diversi nostri amici erano già andati per conto suo e diversi bersaglieri erano andati all' ospedale da campo di Spezzano Albanese per via della malaria. lo con diversi amici si andò per nostro conto in una famiglia contadina, vicino Spezzano. L'altri che erano restati là ci dissero che erano in paese con il comandante di compagnia. A noi questa famiglia ci offrì subito se si aveva bisogno di nulla. Noi ci si guardò in faccia tutti e 10 e si rispose: si avrebbe bisogno di mangiare; ci fate una pastasciutta con 2 pollastri col pagare?.La massaia ripose si. Noi tutti contenti ci sistemiamo bene la pancia e dopo si riposa tranquillamente; e la sera ci dicono: se volete stare qui state quanto volete. Così si aspettava che se ne andasse i tedeschi e giungesse gli Inglesi e Americani. Dopo la nostra idea di andare dietro loro, verso casa nostra. Passa ancora qualche giorno e i Tedeschi già partiti e Inglesi non si vedono. A me giorno 15 Settembre mi viene un po' di febbre e fui costretto presentarmi all' ospedale da campo di Spezzano. Lì trovai molti miei amici della mia compagnia ricoverati per malaria. Pure me mi ricoverarono. Febbre a 38, giorno dopo febbre a 40; mi fanno lo sdriscìo (analisi) e dicono: febbre di malaria. La mattina dopo febbre, dopo due giorni di nuovo febbre a 41. Lì feci la cura di chinino e passa dei giorni; passa lì il mio male con un po' di cura. Diversi miei amici già sfebbrati non sapevano dove mandarli perché la compagnia era già partita. Ci era pure un sottotenente della mia compagnia, li porta a raggiungere di nuovo la compagnia e gli avevano detto che dopo San Marco si portavano a Catanzaro. lo e gli altri bersaglieri restiamo ancora all' ospedale per fenìre la cura. Passa dei giorni e non si sa più nulla dove si trova la 29a (23a) compagnia. Così passa pure gli Inglesi, e noi stiamo ancora lì sempre con quella speranza che facessero presto a scacciare i Tedeschi fuori dal suolo italiano, perché non si sarebbe veduto 1'ora e il momento di rivedere la famiglia. Perché se fosse stato le strade libere si sarebbe venuti in convalescenza. Quindi toccava a stare lì in quelle terre con gran pensiero della famiglia che i farabutti dei Tedeschi pubblicava i radio che facevano disastri in Italia; così ci era un gran pensiero verso queste cose perché eravamo pure privi di notizie da diversi mesi dalla famiglia. Chissà cosa era successo?
Un bel giorno si sentì dire che il nostro Maresciallo Badoglio à dichiarato guerra alla Germania. Così si diceva finirà prima! E passano i giorni senza far nulla, e domandare alcuni amici dove si trovava la nostra 23a compagnia. Dicono che era facile si trovasse a Lecce, ma però non erano tanto sicuri. Noi non si sapeva dove farci mandare, si pensò di farsi inviare a Lecce. Sortito dal convalescenziario il 5 Novembre e inviato a Lecce per trovare la mia compagnia. Eravamo 3 colleghi. Si andò alla stazione, si prende il treno e si parte per Lecce. Il viaggio non fu troppo piacevole perché non ci era possibilità di viaggiare coi treni. Il giorno 7 Novembre 1943 sono giunto a Lecce, lì fortunatamente ho trovato subito la mia compagnia con diversi miei amici che erano passati tutti effettivi al Quartier Generale del Ministero della Guerra. Così pure io sono entrato a far parte con loro. lo ci stavo un po' più volentieri che negli altri posti, perché si mangiava discretamente e altre cose un po' meglio. Così si passa le giornate e serate in libera uscita con discorrendo sempre quel pensiero di tornare alla casa per vedere cosa sarà successo.