La storia è racconto attraverso i libri 

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

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ANNI IN FUGA

 

di Josef Indig Ithai a cura di Klaus Voigt.

Trad. Loredana Melissari Ed. Giunti. L’edizione del libro è stata promossa dalla Regione Emilia Romagna
 Anni in fuga è la storia di un gruppo di 73 bambini e ragazzi ebrei coi loro educatori in fuga dalla Germania nazista e per una serie di coincidenze "nomadi" alla continua ricerca di un ospitalità sicura e di un passaggio per la Palestina.

I RAGAZZI DI VILLA EMMA A NONANTOLA

dalla prefazione a cura di Klaus Voigt:

Josef Ithai, l’autore di queste memorie, si chiamava originariamente Indig. Assunse il nome ebraico solo dopo essere giunto in Palestina, e nel testo che segue, per volontà della vedova, sarà sempre indicato con il doppio cognome. Per quanto a Nonantola gli fosse stato messo a capo un direttore nominato dalla Delasem, e a Bex l’istituto fosse diretto da un sionista svizzero, rimase sempre l’anima del gruppo, colui che svolgeva una vera e propria opera educativa, e che nel momento del pericolo dimostrò risolutezza e al tempo stesso prudenza. Indig Ithai era nato nel 1917 nella cittadina croata di Virovitica, vicino al confine ungherese, ed era cresciuto a Osijek, dove suo padre era cantore della sinagoga. In famiglia si parlava tedesco. A Osijek frequentò la scuola elementare ebraica, la scuola media pubblica e il liceo, conseguendo la maturità. Influenzato dalla sorella maggiore, convinta sionista, all’età di nove anni aderì all’associazione giovanile sionista Ha-Shomer ha-Tza’ir (La giovane guardia), di orientamento laico e socialista, ma al tempo stesso nettamente contraria all’assimilazione. Indig Ithai rimase sempre legato allo Ha-Shomer ha-Tza’ir: a 14 anni era mertahel, col compito di guidare un gruppo di ragazzi più piccoli, a 20 ma.drich, cui era affidato il gruppo locale di Osijek, e poco dopo divenne membro della direzione nazionale per la Jugoslavia a Zagabria (Croati). Dopo la maturità rinunciò all’università e iniziò un apprendistato come meccanico di automobili, allo scopo di imparare un mestiere utile per la vita in Palestina che aveva scelto come sua futura residenza (ndr: non esistevano ancora trattati internazionali che autorizzavano ciò). Nel suo tempo libero era un appassionato lettore di autori contemporanei in lingua tedesca e ascoltava di preferenza musica moderna…. Dopoguerra 1945 in Palestina: Inizialmente fu addetto a badare al bestiame. Poi poté studiare in un istituto magistrale, divenendo insegnante, e in seguito direttore didattico nella scuola del suo kibbutz. Per alcuni periodi lavorò a Tel Aviv, in corsi di aggiornamento per insegnanti e nella direzione dello Ha-Shomer ha-Tza’ir. Fu decorato dallo Stato di Israele per i suoi meriti pedagogici. E morto nel 1998 all’età di ottantun’anni nel kibbutz Gat ed è sepolto nel piccolo cimitero del kibbutz. Indig Ithai redasse le sue memorie in tedesco, nell’autunno del 1945, subito dopo il suo arrivo a Gat. L’edizione ebraica uscì solo nel 1983, con una prefazione di Recha Freier

Da Le comunità ebraiche di Modena e Carpi di Bonilauri e Maugeri pag 252. Nella primavera 1942. nei boschi intorno a Lesno Brdo (oggi a fianco dell’Autostrada da Trieste per Lubiana) iniziarono ad operare reparti partigiani sloveni. Spesso di notte i partigiani si introducevano nel castello per sfamarsi e curare i loro feriti. Un giorno si presentarono alcune pattuglie di militari italiani, che vollero entrare a loro volta. Per lndig e per i ragazzi la situazione si stava facendo insostenibile, perché pur sentendosi vicini ai partigiani, che lottavano per la liberazione del proprio paese, dovevano mantenere buoni rapporti con le autorità italiane ed evitare a ogni costo che li sospettassero di simpatie per i partigiani. Fu probabilmente Bolaffio a far notare per primo alla Delasem il rischio che ciò comportava. Valobra già in occasione della sua visita a Lesno Brdo aveva considerato l’opportunità di far venire i ragazzi in Italia, in un luogo più adatto alla loro istruzione. Verso la metà di giugno si decise pertanto di sistemarli a Villa Emma. Il 23 giugno quando l’offensiva estiva dell’esercito italiano contro i partigiani era ormai alle porte, l’Alto Commissario per la Prov. di Lubiana Grazioli (alcuni testi  indicano il vecchio Generale Francesco Saverio nella riserva dal 1/1/40) risulterebbe però sostituito da febbraio '42 ed è cosa diversa da Emilio Grazioli accusato poi a più riprese di crimini di guerra durante la R.SI.) accettò il suggerimento della Delasem di trasferire i ragazzi a Nonantola. e chiese l’autorizzazione del Ministero dell’interno. Il 25 giugno questa venne concessa, e il giorno dopo la questura di Modena informò il podestà di Nonantola dell’imminente arrivo dei ragazzi. Il 16 luglio 1942 i ragazzi, che nel frattempo si erano ridotti a 40, lasciarono Lesno Brdo e partirono in treno per Modena, via Mestre e Bologna. Vi giunsero al mattino presto del giorno successivo (17) e vennero condotti alla sinagoga nel cui vestibolo trascorsero alcune ore, assistiti dalla rappresentanza della Delasem*. Nel pomeriggio proseguirono per Nonantola.

 

Dopo essere sfuggiti alle persecuzioni naziste trovano rifugio in Croazia alla vigilia del crollo della Jugoslavia (aprile 1941) e del trionfo di Ante Pavelic capo dei famigerati ustascia - dal libro Pag 72

- Sua eccellenza l’Alto commissario Emilio ?!! Grazioli, che voleva convincere gli sloveni di quanto fosse buono il regime fascista, era disposto a fare qualcosa per i ragazzi. Procurai la raccomandazione a Eugenio Bolaffio, che divenne rappresentante della Delasem nella Provincia di Lubiana. Carlo Bolaffio, fratello di Eugenio, era commerciante di vini. Era di buon cuore e si dava da fare per i profughi ebrei. Una volta, mentre era a caccia nei boschi, notò a Lesno Brdo un vecchio castello semiabbandonato. Decidemmo di dargli un’occhiata. A Lubiana erano già trascorse tre settimane. A Zagabria i ragazzi erano probabilmente convinti che li avessi dimenticati. Il castello si trova sul pendio di una montagna. Carlo e io mercanteggiamo con la proprietaria il canone d’affitto. Una vecchia sta seduta accanto a noi e ci dice che è scandaloso. Finalmente raggiungiamo un accordo. Non resterò a Zagabria. Ormai lì non c’è niente da fare per i nostri giovani pionieri. Dovrei forse rimanere a Zagabria a confezionare pacchi per i campi di concentramento, che poi non arrivano mai alla nostra gente, perché vengono invece svuotati dagli ustascia? Il partito comunista sconsiglia agli ebrei di entrare nelle fila della Resistenza, di essere tra i suoi primi combattenti, perché danneggerebbero la causa... Probabilmente ha ragione. Zagabria. Sensazioni orribili! Nuove affissioni sui muri! Vi si può leggere con i propri occhi: ‘Venti comunisti ed ebrei fucilati...’, ‘Tutti gli ebrei si devono presentare...’, ‘Agli ebrei è vietato..,’, ‘Chi abita da clandestino sarà punito con la morte, e ugualmente chi gli ha dato ospitalità...’. Il treno si ferma. Siamo a Lubiana. Ecco Eugenio, il nostro soccorritore scomparso, con accanto un ufficiale e un’infermiera della Croce Rossa slovena. Scendiamo. Improvvisamente tutti si mettono sull’attenti. Compare un uomo con un’uniforme sfolgorante, coperta da ogni genere di nastri e di medaglie. Sul suo volto si legge una certa collera, e non ci aspettiamo niente di buono.
«Cosa? Quaranta bambini senza genitori? Accidenti, liberate subito la sala d’aspetto! I bambini si devono sedere. Capitano, dia gli ordini!». E un generale, comandante della stazione ferroviaria di Lubiana, Il suo compito è mantenere l’ordine con pugno di ferro, in modo che l’esercito di Sua Maestà l’Imperatore d’Abissinia,5’ Re d’Italia e d’Albania possa raggiungere le zone operative. La piccola truppa di ragazzi lo sconvolge, diventa umano e servizievole. Non chiede carte, documenti, motivi, niente. Nella sala d’aspetto vengono allestiti tavoli, una crocerossina porta tè e pasticcini, e Felix, Jaakov, Lea, Alex, Ehud, Shulamit e l’intera comitiva siedono buoni buoni uno accanto all’altro, mangiano e bevono. Alcuni soldati si affannano per la sala e li servono. Entrano alcuni ufficiali, e più d’uno dei piccoli sente una mano ben curata accarezzargli il volto. La sala è silenziosa. Si sentono soltanto tintinnare i cucchiai, e ogni tanto qualcuno che beve un po’ rumorosamente.
Il generale entra nella sala. Con occhi da generale controlla che i ragazzi siano trattati bene. La sua bocca spalancata e i suoi occhi benevoli, l’aria da benefattore contrastano con le sue spalline, con l’uniforme fascista. «Vi verrà assegnata una carrozza speciale», mi dice. «Ho già predisposto tutto. Alle 14 un treno vi porterà a Lesno Brdo. Dovete scendere a Drenov Gri, la stazione prima di Vrhnika. Vi auguro ogni bene, e dite ai bambini che si facciano coraggio, tutto andrà per il meglio!».

   

Pag 198: Alla prima malattia che vi fu nella casa feci la conoscenza del dottor Giuseppe Moreali. Un uomo piccolo, dalla corporatura minuta, calvo e con uno sguardo fermo. «Accolga l’espressione della mia più profonda amicizia come uomo e come medico!». Questo medico era uno dei più risoluti antifascisti del luogo. Gli manifestai il nostro orientamento politico. Per lui, italiano, non era affatto detto che noi, in quanto profughi ebrei, fossimo antifascisti. Boris e io diventammo suoi amici, e questa amicizia fu per noi preziosa. «State attenti alle spie, Indig! I ragazzi non devono parlare di politica per strada!». Da lui venimmo a sapere quale fosse l’atteggiamento degli abitanti di Nonantola. Solo pochi di loro erano davvero fascisti. E anche questi lo erano per ragioni più o meno pratiche. Lui, Moreali, non porterà mai il distintivo del partito. Perciò non può praticare la professione in una città. Tramite questa persona eccellente feci conoscenza dei sacerdoti della chiesa abbaziale di Nonantola come l’economo don Arrigo Beccari. Dalle spesse mura della chiesa abbaziale e del seminario la vita che si agitava nel mondo esterno filtrava a mala pena. In queste stanze, dove oltre 400 anni fa papa Giulio II era stato abate, i sacerdoti si sentivano al riparo. «L’importante è essere un “signore”», si sentiva ripetere don Beccari. Era una della sue professioni di fede più simpatiche. Quando arrivammo a Nonantola, sui terreni di Villa Emma il raccolto era ormai quasi terminato. Il contadino Ernesto Leonardi, che per 15 anni aveva lavorato da solo, avrebbe dovuto addestrare i nostri ragazzi al lavoro dei campi. Non ne era particolarmente entusiasta. «Già devo consegnare metà del ricavato al padrone. Anche voi vorrete la vostra parte! E a me e alla mia famiglia cosa resta?». La questione fu sistemata. Fino alla fine dell’anno tutto continuò come prima. Poi gli fu corrisposta una paga per l’addestramento agricolo. «Voi vorreste lavorare! In Palestina gli ebrei lavorano nei campi? Non ci credo. Il padrone è ebreo e non ha mai lavorato un giorno in vita sua. Nessun ebreo di Modena ha mai lavorato!».

alla pagina altri argomenti sull'internamento http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/schede/campiebreiitalia.htm

*Pag. 191 a Modena! È mattino presto. Ci accoglie un piccolo ebreo con una barbetta a punta. Il sagrestano! Ancora un po’ frastornati per il viaggio, lo seguiamo fino alla sinagoga. La sinagoga è grande, ma in città gli ebrei sono pochi. Dopo l’introduzione delle leggi razziali molti si sono fatti battezzare. Mentre stiamo lì seduti, compare improvvisamente un rabbino privo di minyan, che vuole approfittare dell’occasione per pregare. Va bene, facciamolo contento! Con sincero rispetto per il suo desiderio ci copriamo il capo con tutti i berretti disponibili. Il rabbino vorrebbe tenerci sotto controllo con il suo sguardo severo, ma dopo un po’ quei birbanti si mettono a ridere. Dopo la preghiera c’è da mangiare. Non possiamo però uscire dalla sinagoga, per non destare attenzione. Da non credersi – due giorni fa eravamo ancora in mezzo ai combattimenti, e adesso siamo nel paese del fascismo. Non c’è coprifuoco! Tutto qui appare calmo, la vita scorre tranquilla, come se le truppe italiane non fossero al fronte e la popolazione fosse d’accordo su tutto. Una città italiana di media grandezza, la tipica vita per le strade. Ora siamo sul treno della ferrovia locale che vi porterà a Nonantola, a Villa Emma. Tutti nella carrozza sono trepidanti. Mi rivolgo agli hawerim: «Che cosa ci attendiamo in pratica da Nonantola?» «Te lo dico io, che cosa tutti si attendono», Pauli, il tribuno del popolo, che tutela gli interessi dei suoi confratelli, si mette in posa: «Innanzitutto una migliore alimentazione. Se dovremo lavorare nei campi, bisognerà anche poter mangiare a sufficienza. Si spera che non ci rifilino le solite porcherie come a Lesno Brdo. E poi vogliamo finalmente poter andare in città, in un posto civilizzato, con monumenti antichi e biblioteche. Ognuno di noi, grandi e piccini, dovrà ricevere una paghetta adeguata. Nella villa non ci dovrà più essere acqua da portare e legna da spaccare!» Il treno si ferma accanto a una casetta con un cartello: “Nonantola”. Dietro a noi una folla di italiani, abitanti di Nonantola, tra i quali vivremo d’ora in poi. Nonantola è un villaggio abbastanza grande e ben sviluppato. Accanto alla stazione della ferrovia locale Modena-Ferrara c’è un imponente capannone industriale. Vi si producono conserve di tutti i generi, con i prodotti agricoli della zona: pomodori, verdure, frutta. Davanti al capannone c’è sempre una fila di carri agricoli a due ruote che attendono di scaricare. La fabbrica è stata fondata da un ebreo. Guardando verso il centro storico, si scorge una torre quadrata antichissima. In seguito ci spiegarono che Nonantola è un villaggio con un passato ragguardevole, che risale ai Romani e ai primi papi. Vi è sepolto Silvestro I papa , e c’è una chiesa abbaziale del X secolo con ogni genere di reliquie. Svoltiamo in una strada asfaltata. I bambini del paese ci ridono dietro. In un primo momento pensiamo che sia per scherno, ma presto ci rendiamo conto, con grande stupore, che è un segno di cordiale accoglienza.
Da dietro gli alberi spunta un edificio magnifico, come dei tempi del Rinascimento. Il nostro accompagnatore si fa più loquace e inizia a spiegare: «In casa non è stato predisposto ancora nulla. Nessuno sapeva che sareste arrivati così presto. Visitate pure la casa, ma ancora non potete occupare tutte le stanze. Le trattative con il proprietario non sono ancora concluse. Per il momento le autorità hanno requisito per voi solo i locali strettamente necessari.» Villa Emma era la residenza estiva di un latifondista ebreo3, che l’aveva chiamata così in onore della moglie. È un grande edificio quadrato con due lunghe ali laterali sul retro. Un’ampia, elegante scalinata dà accesso alla casa attraverso una porta a vetri. Sul loggiato d’ingresso vi sono imitazioni di colonne in stile greco, con decorazioni rinascimentali. Tutto è luminoso, arioso, lineare. Sopra il loggiato d’ingresso, al primo piano, vi è una seconda loggia con belle decorazioni. Le due ali laterali delimitano un cortile lastricato, al centro del quale vi è una aiuola fiorita. In fondo alle ali laterali il cortile è chiuso da un muro con un cancello di ferro. All’interno della casa regnava una sporcizia incredibile, come se da decenni non fosse stata toccata da mano umana. In un angolo erano rintanati alcuni ebrei di Bengasi. I giudizi della hewra sulla casa erano contrastanti. Le stanze erano magnifiche, ma molti erano disgustati per la sporcizia. E davvero non era stato predisposto niente! Di chi era la colpa?
   

I Ragazzi di Villa Emma, film-documentario di Aldo Zappalà, prodotto da Village Doc&Films e RaiEducational in collaborazione con la Fondazione Villa Emma, con il patrocinio e contributo del comune di Nonantola, provincia di Modena, assemblea legislativa della regione Emilia e Romagna, Emilia-Romagna Film Commission e Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Trasmesso su Raitre il 12 novembre 2008, nella rubrica "La Storia Siamo Noi" di Giovanni Minoli lastoriasiamonoi@rai.it   -  http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/index.aspx

Delle 270 pagine del libro solo 60 riguardano il periodo di Villa Emma.  La ricostruzione della vicenda quindi, oltre che parziale, ignora quella che era la tematica principale del libro: l'educazione sionista di quella che doveva diventare la  nuova leva di Israele, Stato libero e indipendente che si costituirà ufficialmente solo il 14 maggio 1948 sulle ceneri del Mandato britannico del 1920 (Accordi Sykes-Picot 1916). Ma non solo questo aspetto viene "escluso" o purgato con altri  in perfetto stile fascista. A ciò contribuisce forse l'atteggiamento antisemita della sinistra (la stessa poi che ha prodotto l'opera) estrinsecatosi nel 2008 nelle manifestazioni della Fiera del Libro di Torino  per il 60° di fondazione dello Stato di Israele e nelle ultime vicende  del conflitto con l'organizzazione terroristica di Hamas.  Poi qualcuno dirà che ci sono sionisti di destra e di sinistra, e terroristi di destra e sinistra come gli Hezbollah e così in rete si può anche leggere.....

... Invitiamo tutte le forze dell'associazionismo palestinese, dei movimenti antimperialisti e di solidarietà, della sinistra italiana a promuovere insieme una iniziativa tempestiva di protesta, a Roma, sotto l'ambasciata di Israele, al fianco dei palestinesi. MARCO FERRANDO (Movimento costitutivo del Partito Comunista dei Lavoratori)

.... Non l'Olocausto come parte della storia europea, ma quasi il contrario. La storia si perde. Il fascismo? Troppo controverso. Il ruolo della Chiesa cattolica? Non se ne può parlare. Pio XII? Insomma, è quasi un santo. Questo atteggiamento filo-sionista della sinistra europea non è una peculiarità italiana (e in questo caso si può persino dire che non è colpa di Israele). Questa collaborazione della sinistra europea con la destra israeliana colma un enorme vuoto in Europa, dalla caduta del comunismo, e serve alla costruzione di una nuova identità europea. I bambini iracheni e palestinesi sono i nuovi «etiopi». A chi importa? Noi europei siamo gli umanisti. Abbiamo la licenza di rimanere in silenzio sull'affamamento della Palestina. La nostra licenza si chiama Olocausto o Auschwitz. Non ci importa di collocarli nella storia. Abbiamo bisogno di mitologia, non di storia. Itzhak Laor (Ebreo non allineato)

L’antisemita di sinistra rimprovera agli ebrei di essere i proprietari di Manhattan, i gestori del capitalismo. È vero ci sono molti capitalisti ebrei...... Allora il sionismo è razzismo ?. Ma non fatemi ridere. Il sionismo è il nome di una lotta di liberazione e come ogni movimento democratico ha le sue destre e le sue sinistre. Nel mondo ciascuno ha i suoi "ebrei". ... Noi siamo gli ebrei di tutti. A quelli che mi chiedono: “e i palestinesi?” Rispondo “io sono un palestinese di duemila anni fa, sono l’oppresso più vecchio del mondo, sono pronto a discutere con loro ma non a cedergli la terra che ho lavorato. Tanto più che laggiù c’è posto per due popoli e due nazioni”. Le frontiere le dobbiamo disegnare insieme. Tutta la sinistra sionista cerca da trent’anni degli interlocutori palestinesi, ma l’OLP, incoraggiata dal capitale arabo e dalle sinistre europee, si è chiusa in un irredentismo che sta costando la vita a tutto un popolo, un popolo che mi è fratello, ma che vuole forgiare la sua indipendenza sulle mie ceneri. C’è scritto sulla carta dell’OLP: “verranno accettati nella Palestina riunificata solo gli ebrei venuti prima del 1917” A questo punto devo essere solidale con la mia gente. Da Radio Radicale Fai Notizia

 
La Nonantola dell'epoca  non era comunque l'isola felice illustrata dal documentario. Nonantola si trovava in uno dei vertici del Triangolo Rosso o della Morte in cui vennero, senza tanti complimenti, giustiziate persone durante e dopo la guerra senza fornire eccessive spiegazioni. Ne cito solo alcune, sulle centinaia classificate, strettamente del luogo. Debbo rilevare, poichè nessuno lo ha fatto, che il nome evidenziato sotto rientra  fra quelli "marginali" iscritti nella vicenda "I Ragazzi di Villa Emma":  -   Il Triangolo della Morte - Mursia Ed. - 1992

- 2 giugno 1945, Ettore Rizzi, partigiano simpatizzante democristiano, sequestrato e ucciso a Nonantola col padre
- 18 giugno 1945 Piccinini Marcello milite della GNR
- 27 luglio 1945, Bruno Lazzari, impiegato comunale democristiano di Nonantola (partito azionista), colpito da raffiche di mitra insieme a Giovanni Zoboli mentre si recava a denunciare gravi irregolarità commesse dal Partito Comunista.
- 26 maggio 1946 Antolini Mario - Brigadiere dei carabinieri.  

riporto di seguito un brano tratto da ..Pag 13 del notiziario "Assemblea Legislativa Emilia Romagna" magg-giu.2008 ... Il religioso (Don Beccari), assieme al dottor Moreali, fu anche di stimolo per la fuga in Svizzera, portata a termine con successo grazie al sacrificio del bidello di Villa Emma, Goffredo Pacifici, catturato e deportato in uno dei suoi viaggi attraverso il confine. Dopo la fuga don Beccari non rimase ad attendere che la guerra finisse, ma lavorò alacremente per salvare altre persone: in seminario organizzò, con la collaborazione di don Tardini, un laboratorio per la fabbricazione di documenti falsi. Ne ottenne qualcuno “in bianco” da Bruno Lazzari, impiegato del Comune, e si fece fare dall’artigiano Apparuti un fantasioso punzone a secco del Comune di Larino, provincia di Campobasso. A firmarsi come Podestà era poi Giuseppe Moreali. Con questo stratagemma vennero nascosti e salvati molti ebrei ferraresi, modenesi e anche di Firenze...
Nel libro Bruno Lazzari non viene citato  espressamente per l'episodio della consegna delle Carte di Identità anche se .. L'Anpi Associazione Nazionale Partigiani ne da questa versione on line  .... Ben presto fu chiaro che la permanenza a Nonantola non poteva protrarsi e il dottor Moreali, don Arrigo Beccari, don Tardini e i responsabili del gruppo ritennero opportuno organizzare la fuga attraverso la Svizzera. A tale scopo essi, in collaborazione con l'impiegato comunale Bruno Lazzari ed il geniale artigiano Primo Apparuti, apprestarono carte d'identità false convalidate col timbro a secco del comune di Larino, della provincia di Campobasso. Dopo un primo tentativo di fuga fallito, nell'ottobre del 1943 tutti i ragazzi raggiunsero la salvezza in Svizzera. Pag 230 del libro (periodo posteriore al 25 luglio 1943):... Dalle case vennero cancellati gli slogan fascisti, e sparirono i distintivi del partito. A Nonantola c’era un fascista della prima ora. In passato era stato segretario locale del partito e all’epoca lavorava nella fabbrica di conserve. Era nostro amico, veniva spesso a trovarci a Villa Emma e ci dava consigli. Se non ce lo avesse detto Moreali, non avremmo mai saputo che era uno dei più grossi fascisti di Nonantola, uno che ne aveva diverse sulla coscienza. I suoi figli erano al fronte. Tutte le volte che il discorso cadeva su di loro e pensava ai pericoli che stavano correndo, gli venivano le lacrime agli occhi, Ma la gente si ricordava tutte le sue cattive azioni. Siamo di ritorno da Modena con le nostre biciclette. Nel campo per i prigionieri di guerra pare non sia cambiato nulla, a parte che i prigionieri non possono più uscire all’aperto. All’imbocco di Nonantola, a lato della fabbrica, scorgiamo una massa di gente. Siamo curiosi e chiediamo cosa succede. «Ha ricevuto la lezione che si merita, quel porco fascista!», ci spiega uno degli astanti. «Ma chi?». «Il segretario del partito, e chi altri. Eccolo lì nel fosso, guardatelo!». Dalla bocca e dalle orecchie gli esce sangue, anche il corpo è imbrattato di sangue. Giace come morto, immobile. La folla lo deride. Pietro era stato denunciato dal segretario del partito e per questa ragione rinchiuso in carcere. Lo avevano interrogato e torturato, con l’olio di ricino e infilandogli aghi! Poi per molti anni non aveva più trovato lavoro. La sua famiglia era ridotta in miseria. Aveva giurato vendetta e stava aspettando l’occasione buona. Adesso il popolo gli  concede la sua vendetta. Nessuno tenta di aiutare l’uomo nel fosso. Arriva il dottor Moreali. Le angherie di quell’uomo hanno reso difficile la vita anche a lui, e ora sta a lui salvarlo. La gente gli fa  rispettosamente strada. Moreali guarda la folla e infine dice: «Amici, aiutatemi a tirare su quell’uomo dal fosso! Sono medico e devo assisterlo!».  Alcuni si voltano dall’altra parte: «Devo andare a casa, mia moglie mi aspetta!». «Che se lo tiri su lui, oppure chieda aiuto a Mussolini!». Il dottor Moreali sta sul bordo del fosso e osserva dall’alto il suo nemico sanguinante. Poi arriva suo figlio e gli dà una mano. Moreali mi disse in seguito: "No, non vogliamo versare sangue per le strade. Dovrà essere un tribunale ordinario a giudicare i fascisti, e il popolo dovrà imparare di nuovo ad avere rispetto per le persone. I linciaggi sono ripugnanti e indegni di noi!"
   

I punti salienti del passo precedente sono stati portati a conoscenza del Dir. Dott. Giovanni Minoli  con una mail datata 17/12/2008 per la parte coproduttiva avuta da RaiEducational nella produzione del film documentario "I ragazzi di Villa Emma". La missiva è rimasta senza risposta !!. Come si direbbe a Roma "Nun ce po' fregà de meno"

«Lezione di Giornalismo» tenuta da Gianni Riotta, direttore del Tg1, all'Auditorium Parco della Musica di Roma il 13 gennaio 2009. Tema dell'incontro la verità al tempo di Internet: “Il bene e il male del mestiere di informare ai tempi di Internet sono indicati in due versetti del Vangelo di San Giovanni, l'autore dell'«Apocalisse» (nientemeno). Il primo dice: «Voi conoscerete la verità e la verità vi renderà liberi» (8, 32) ed è la stella polare di chi fa comunicazione, conoscere il mondo per condividerlo, conoscere la verità e da questa conoscenza, diffusa alla comunità, ricavare libertà. Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura, perseguitato in Africa, spiega bene: «L'oppressione si basa sulla deformazione del vero: senza una menzogna di base nessun sistema totalitario sopravvive»  

(ndr: scopo del convegno avvallare le verità "menzogna" di Rai e disconoscere quelle d Internet: Riotta meglio di così non potevi spiegarti)

   
Il Sionismo è un movimento politico laico di fine 800 ( il caso Dreyfus la molle che lo fece scattare) il cui fine era quello di creare uno stato ebraico come difesa dall'antisemitismo. A questo si contrapponeva l'ortodossia sostenente che gli ebrei costituiscono una comunità religiosa, non un popolo. Col metro di giudizio italiano si poteva dire che i sionisti erano di sinistra ( molte loro strutture produttive originarie ne ricalcheranno il modello (Kolkoz sovietico)).  da Wikipedia: movimento migratorio ebraico già in atto, causato, in Russia, dai pogrom degli anni 1881-1882. Secondo dati del 1930, dal 1880 al 1929 emigrano dalla Russia 2.285.000 ebrei, e, di questi, 45.000 in Palestina. La stragrande maggioranza preferisce recarsi altrove: 1.930.000 scelgono le Americhe, 240.000 l'Europa, i restanti l'Africa e l'Oceania. Dall'Austria, dall'Ungheria e dalla Polonia emigrano, dal 1880 al 1929, in 952.000: 697.000 nelle Americhe, 185.000 in altri Paesi europei, 40.000 in Palestina. Proporzioni analoghe si riscontrano fra i migranti provenienti da altri Paesi. In totale, durante questi decenni migrano 3.975.000 ebrei: 3.250.000 nelle Americhe (di cui 2.885.000 negli Stati Uniti), 490.000 in Europa occidentale  e centrale, e  solo 120.000 in Palestina. Le due anime dell'Ebraismo si scontrano intanto in quella piccola parte d'Italia che è il rifugio di Nonantola. Gli ortodossi della Delasem e il sionismo di Indig plasmato di socialismo. Questo è evidente dal colloquio di pag. 196 che riassume tutta la questione. Bisogna aggiungere che agli Ebrei italiani non erano ancora pervenute nel '42 le terrificanti notizie dei campi di concentramento e che la situazione italiana li spingeva all'ottimismo. I rovesci militari d'autunno in Africa e Russia cambieranno lo scenario.

pag 196 -  Il presidente della Delasem* e altri dirigenti dell’ebraismo italiano ci vennero a trovare a Nonantola a metà agosto. Gran parte di essi fino a pochi anni prima erano stati fascisti, avevano occupato posizioni di rilievo nella vita pubblica, e soprattutto erano molto ricchi. Alcuni di loro flirtavano con il sionismo. Il presidente della Delasem, un goj ebreo, era rimasto fascista nell’animo, anche se nel frattempo si era reso conto di essere ebreo. Date queste premesse, era evidente che difficilmente avremmo potuto trovare un linguaggio comune. Da un lato proprietari terrieri, industriali e avvocati, ancora ben saldi al loro posto, dall’altro profughi che erano sfuggiti alla morte. .... …. Poi il segretario porta il discorso sulla preghiera. Vuole arrivare in fretta alla conclusione. «Non capisco davvero», gli dico, «perché vuole inserire la preghiera nel regolamento della casa!». «Perché no? Nel regolamento sono elencati tutti gli obblighi di questi giovani!». «Obblighi? La preghiera un obbligo?». Interviene il presidente della Delasem, e osserva: «L’ebraismo italiano pretende dai giovani che godono della sua ospitalità una vita religiosa in armonia con la sua lunga tradizione. Vuole essere certo che questi giovani, che tanto hanno sofferto, si rivolgano a Dio, così come usa nell’ebraismo!». La testa mi gira. Mi mancano le parole. Sono assolutamente persuaso che, a parte il secondo segretario, che è davvero devoto, nessuno di questi signori preghi. Poi il secondo segretario legge dal regolamenti della casa: «Tutti i membri del gruppo sono tenuti a partecipare tre volte al giorno alla preghiera». Questo è inammissibile! Spiego ai signori come questa richiesta non sta né in cielo né in terra. Ragazzi con questa mentalità ribelle non possono mica pregare Dio a comando!

*“Nel 1939, Dante Almansi, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, è autorizzato dal governo a creare un’organizzazione per assistere i rifugiati ebrei giunti in Italia da altre parti d’Europa. Conosciuta come Delasem, il nome per esteso di questa organizzazione era Delegazione Assistenza Emigranti Ebrei. Tra il 1939 e il 1943 la Delasem aiuta oltre cinquemila rifugiati ebrei a lasciare l’Italia e raggiungere Paesi neutrali, salvando loro la vita”.

 

LA CONDIZIONE DEGLI EBREI DURANTE L'OCCUPAZIONE ITALIANA IN FRANCIA  - 

Da uno studio del T. Col. Salvatore ORLANDO dello SME. Riassunto

Pag 237 di Anni in Fuga. Inizia l’esodo da Villa Emma. Col buio, quaranta degli hawerim e delle hawerot più giovani si trasferiscono in seminario. Sgattaiolando per le strade di Nonantola, passano davanti alla scuola con i soldati tedeschi e si infilano dentro da un ingresso laterale. Due vecchie suore sono lì ad aspettarli. Si fanno il segno della croce, giungono le mani e pregano al cielo. Le hawerot restano al pianterreno con le suore. Gli hawerim salgono al secondo piano. Passano davanti alle camere dei seminaristi addormentati, che nulla sanno di ciò che sta accadendo nel loro paese. Poi vengono le aule con le panche, i tavoli e il crocefisso alla parete. Questa prima notte dovranno dormire sulle panche. Ci vogliono alcune ore prima che riescano ad addormentarsi. Io mi corico accanto a loro su un tavolo. Nel lungo corridoio arde una debole luce. Ma ecco che si avvicina la figura nera del monsignore. Trascina una branda: «Per lei, Indig! Deve almeno poter dormire bene! Avrà ancora bisogno delle sue forze! I ragazzi non gliene vorranno!» Sono grato a quest’uomo tanto benevolo. Fa tutto con la massima naturalezza: aiuta il prossimo, perché così richiede la sua fede.
Nei locali del seminario regna un silenzio assoluto. Guardo i venti giovani esseri che hanno trovato rifugio tra queste mura, che un tempo hanno ospitato il grande papa Giulio II, un contemporaneo di Michelangelo. Sulle panche Jaakov e Hannan, Zwi e Lezo dormono stretti gli uni agli altri. Io stesso non riesco a prendere sonno, troppe sono le preoccupazioni per il domani. A Villa Emma sono rimasti diversi hawerim più grandi. E poi ci sono ancora il magazzino, l’archivio con i nomi dei profughi, la biblioteca…Mezzanotte. Dabbasso pregano le monache. D’ora innanzi pregheranno ogni giorno per la salvezza dei ragazzi. La loro preghiera viene dal cuore, ed è così partecipe, che dimentichiamo tutte le barriere tra di noi. Siamo grati a queste suore, tanto genuinamente cristiane, anche perché cucinano per noi e curano i nostri malati con grande dedizione. Non le guida uno zelo missionario, ma solo la parola di don Arrigo Beccari:
«Non importa quale siano la fede o le convinzioni filosofiche di un uomo. L’importante è che sia una persona per bene, un gentiluomo!» Gli hawerim e le hawerot più grandi intanto erano stati sistemati da vari contadini. Erano sparsi per tutta Nonantola, dormivano sulla paglia, nei fienili, nelle camere, come capitava. Moreali era proprietario di un piccolo podere coltivato da un contadino. Lì avevano trovato rifugio dieci hawerim. Affrontavano la loro situazione con fatalismo, speranza, senso di sfida, e una buona dose di autoironia. Ormai erano abituati a una vita zingaresca, per cui si adattavano senza difficoltà. In un’aula al secondo piano del seminario venne sistemato il nostro “quartier generale”. Di primo mattino arrivavano già i messaggeri e portavano notizie su come stava il gruppo nella stalla del contadino X o nel fienile del contadino Y. Riferivano che qualche nonantolano aveva paura e non voleva più tenere in casa questo o quel ragazzo. Oppure qualcun altro chiedeva viveri per i suoi ospiti.
Ogni sera alcuni degli hawerim più grandi si radunavano dietro la villa, nel frutteto di Ernesto Leonardi. Qui c’era anche il centro di approvvigionamento. La sera venivano i ragazzi sparsi tra le varie abitazioni e ritiravano pane, formaggio, pasta. Siano resi onore e grazie al nostro negoziante nel paese, che non guardava a tessere annonarie o denaro, ma semplicemente dava quello di cui avevamo bisogno. Anche a Villa Emma vi erano ancora provviste. In soffitta erano rimasti molti sacchi del grano mietuto in estate. Furono portati in seminario su un carretto trainato da un cavallo, passando per la via dei campi. Tutto il carico era ben coperto, in modo che non si potesse vedere niente.
Nel seminario nacque così la nostra “fabbrica di pasta”. Imparammo in breve tempo, e con gli attrezzi da cucina delle monache riuscimmo a produrre da soli centinaia di chili di pasta, che vennero distribuiti ai quattro angoli di Nonantola. Era Jaakov a portare la pasta agli hawerim, con un carrettino. Mentre va con aria svagata, fischietta una canzone italiana. Così i crucchi lo prenderanno per un italiano! I suoi riccioli scuri e i suoi occhi neri lo fanno sembrare tale: non è un bel ragazzo?. Correva voce che il comandante tedesco della piazza ci avesse mandato a dire: «Perché siete scappati e ora vivete come zingari? Fintanto che sono io il comandante, non vi sarà torto un capello. Tornate a casa vostra.» Poiché non sapevamo per quanto tempo sarebbe rimasto comandante, continuammo a comportarci come se questa comunicazione non ci fosse mai stata, anzi stavamo più attenti che mai.

Le leggi razziali fatte a bella posta per l’alleato, dietro la facciata di durezza non sortirono gli effetti nefasti visti poi in Germanai ma anche nella “democratica” Francia che si classificava collaborazionista a differenza dell’Italia che si poneva come alleata e “autonoma”. Dal tempo dei Savoia, della affrancatura del 1848 non c’era nulla che sconfessasse la religione Ebrea. La prima cosa che fecero i Savoia all’epoca fu anche l’espropriazione dei beni ecclesiastici. L’unico riavvicinamento, per motivi puramente politici, era stato il concordato del 1929 di Mussolini. In Italia mancava un antisemitismo di massa e proliferava solo una "marginalità intellettuale" di ideologia antisemita fascista. La cittadinanza aveva accolto le leggi razziali come l’ennesima cag…. alla Starace. Le norme italiane valevano anche per i territori occupati e/o governati dall’Italia, il che era una garanzia su peggiori sviluppi (fin che durava). Fra gli Ebrei protetti ricadevano dal novembre 1942 (11) anche i francesi delle Alpi Marittime ad opera della IV armata Verzellino. Negli otto dipartimenti sotto giurisdizione italiana la presenza ebraica andò via via crescendo e parallelamente si sviluppò in intensità la durezza della politica antisemita delle autorità di Vichy !!!: dalle 15-20.000 persone localizzate originarie si arrivò a 40-50.000 (addirittura dal Belgio e dall'Olanda). Già a partire dall'inverno '40-'41, le autorità prefettizie e di polizia francesi!!, si adoperarono per arginare tale flusso adottando provvedimenti d'allontanamento degli ebrei stranieri e, soprattutto, predisponendo misure di residenza coatta o d'internamento nei campi di Gurs e di Rivesaltes. Nel luglio '42, infine, con l'acuirsi della pressione tedesca sul governo di Vichy e con il ritorno al potere di Laval, si ebbe un notevole recrudescenza delle misure antiebraiche con l'impegno diretto da parte francese di consegnare ai tedeschi circa 50.000 ebrei, dando così inizio ad una feroce caccia all'uomo. In questa prima fase, il ruolo italiano nell'attività di contrasto di tale politica persecutoria, si manifestò prevalentemente a titolo individuale, grazie all'attività delle autorità Consolari e delle Delegazioni di controllo della CIAF (Commissione Italiana d'Armistizio con la Francia) dislocate a Nizza e in altre località del Midì francese, che, dietro intercessione dal dott. Angelo Donati, garantirono la protezione a decine di persone.
Dal novembre ‘42 nonostante le insistenze tedesche non vennero più consegnati ebrei. Qui comando io e qui decido io diceva Verzellino. Città come Grenoble, Chambéry e Annecy della ex Savoia, Aix-les-bains, Megéve e Chamonix si riempirono. Lo stesso accadde in Costa Azzurra. Il nervosismo nei rapporti coi tedeschi era latente. Vere e proprie organizzazioni Ebree internazionali (Comitè Dubouchage) e italiane (Delasem) provvedevano al sostentamento
- Il desiderio italiano di non cedere sulla questione degli ebrei fu tale che, quest'atteggiamento eccentrico rispetto alla politica antigiudaica dell'Asse rimbalzò ai livelli più alti della gerarchia politico-militare e fu decisivo, affinché fosse creato a Nizza uno speciale nucleo di polizia razziale. Il neo istituito Commissariato per gli Affari Ebraici nizzardo fu affidato all'Ispettore Generale Guido Lo Spinoso e ignorò completamente il protocollo già istituito nella altre zone della Francia occupate. il Comitè Dubouchage continuò a svolgere il proprio lavoro.
Il 25 Luglio (43) anziché migliorare la situazione la peggiorò poiché tutti i reparti del regio Esercito d’ora in poi agivano per un rischieramento (più sicuro) in vista dell’Armistizio. (decisione del C.S. italiano di porre fine all'occupazione della Francia meridionale, rimpatriando la 4^ Armata). Diffusasi tra i rifugiati la notizia, molti di costoro, mostrarono l'intenzione di seguire le truppe italiane oltre la linea Tinea-Varo; la questione fu discussa a Roma a livello interministeriale il 28 agosto e fu deciso di non ostacolare coloro che desiderassero entrare in territorio italiano. Con un telegramma del 7 settembre !!! il Ministero degli Esteri invitava le autorità consolari ad "avviare in Italia quelle persone a cui presumibilmente potesse essere accordata la cittadinanza italiana, anche se non se ne avesse la certezza". Chi non si salvò o venne nascosto dai Francesi fini in mano ai tedeschi. moneta lager
Attraversato lo spartiacque alpino a scaglioni quindi e con mezzi d'assoluta fortuna, questi profughi si riversarono nel territorio dei comuni di Valdieri ed Entraque mentre gli ultimi arrivati si diressero verso il fondovalle in direzione Borgo San Dalmazzo. L'inaspettato arrivo, assieme ad un certo numero di soldati della 4^ Armata, mise in allarme le locali autorità podestarili, che approntarono le prime forme d'assistenza e, come nel caso del dott. Gerbino, podestà d'Entreaque, provvidero anche ad informare la sezione della Comunità israelitica di Torino a Cuneo e della DELASEM. Nel giro di pochi giorni i soldati sbandati evacuarono i due paesi, mentre la maggioranza degli ebrei, con l'eccezione di coloro, circa una trentina, che si diressero in Valle Vermenagna salendo sino a Palanfrè, decisero di rimanere nei due paesi della Valgesso. Il 12 settembre un reparto della 1^ SS Panzerdivision Leibstandarte Adolf Hitler, guidato dal Maggiore Joachim Peiper, assunse il comando delle truppe tedesche della provincia di Cuneo, adottando le prime misure di repressione; il 16 fu ordinato a tutti gli stranieri che si trovassero nel territorio di Borgo San Dalmazzo di presentarsi al locale Comando tedesco pena il passaggio per le armi, mentre il giorno prima a Valdieri senza alcun bando si era già provveduto ad effettuare il primo rastrellamento di ebrei. I profughi ebrei di Entraque e Valdieri non porsero alcuna resistenza, consegnandosi volontariamente nelle mani delle SS; altri rastrellamenti seguirono a distanza di 15 giorni in tutta la Valgesso a Stura e Vermenagna, preludio dell'internamento e della partenza per la Germania in Novembre per circa 400 persone. Il resto è storia conosciuta

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