La storia è racconto attraverso i libri

I testi che accompagnano la presentazione sono in genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati

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ROBERTO BERETTA

Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2005

Storia dei preti uccisi dai partigiani

Paolo Deotto ….. I preti. Perché ucciderli? E perché le uccisioni andarono ben oltre la fine della guerra? Nel primo capitolo, Gli epurati, leggiamo: «Erano colpevoli? E, se lo erano, meritavano di morire come sono stati uccisi, per giustizia sommaria, senza processo, talvolta “prelevati” e mai più ritrovati, tal altra seppelliti senza alcun funerale, fatti fuori anche vari mesi dopo la guerra sulla base di sospetti mai verificati, o anche di vendette personali fatte passare per motivi politici, diffamati in vita e ancor più in morte, perché più l’accusa era importante, più si sarebbe digerito il delitto? Non so, ciascuno giudichi. In me (che la guerra non ho vissuto) ha finito per prevalere la pietà per queste figure, tanto spesso innocenti o al massimo colpevoli quanto può esserlo qualunque uomo messo alle strette dalle circostanze della vita. Ma proprio per questo il viaggio vuol partire dagli “epurati”: ovvero dai sacerdoti uccisi per una colpa tutto sommato facile da comprendere, una collusione più o meno spinta col passato regime, che può lasciar capire (mai giustificare!) la loro eliminazione nella concitazione e tra le passioni di un contesto di guerra. Cominciamo dunque dai più “cattivi”, dai più “neri”» (p. 14). Nel primo capitolo ci parla dei preti più compromessi con il fascismo, partendo proprio da quel don Tullio Calcagno (1899-1945), prima sospeso a divinis, poi addirittura scomunicato per la sua intensa attività politica di indiscutibile fede fascista, andata ben oltre il consentito dalle norme ecclesiastiche. La foto dei cadaveri di don Calcagno e dell’ex prefetto - medaglia d’oro, nonché cieco di guerra - Carlo Borsani (1917-1945), appena fucilati in piazzale Susa a Milano il 29 aprile 1945, dopo la condanna decretata da un tribunale del popolo, appare in prima di copertina, con opportuna crudezza, perché vale più di mille parole per introdurre al viaggio che Beretta propone di fare insieme a lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rossana Maseroli Bertolotti

Per dieci capitoli, leggiamo episodi di cruda monotonia. Un nome, una data, una località, e poi la descrizione dell’evento, più o meno dettagliata, a seconda dei documenti esistenti, della memoria più o meno rimossa, della volontà, o meno, di parenti e amici, di ricordare l’ucciso. Leggiamo le vicende dei cappellani — due soli cappellani di milizia fascista, gli altri semplici assistenti spirituali dell’esercito —, dei «sospettati», dei «padroni» — preti ai quali si poteva imputare la colpa di essere possidenti —, dei «traditi» — preti che aiutavano i partigiani, alcuni addirittura cappellani di formazioni partigiane. Il tono volutamente dimesso con cui Beretta apre il suo lavoro potrebbe trarre in inganno il lettore più disattento. «Erano colpevoli? Non so, ciascuno giudichi», dice, come se volesse disfarsi del problema. Ma poi pone davanti al lettore i fatti, l’unica cosa che conti laddove si voglia fare della storia e non dell’agiografia, di una parte o dell’altra. E i fatti parlano: parlano di una crudeltà cieca, non giustificata da alcuna esigenza militare, che trova nell’odio ideologico e nel fanatismo i suoi alimenti. Un altro fatto è di estremo interesse: leggendo nelle «schede» che chiudono il libro la «Lista cronologica delle vittime» vediamo che le uccisioni continuano ben oltre il 25 aprile 1945. Fino al dicembre di quell’anno la lista è ancora lunga, così come è corposa anche la lista del 1946. Quattro uccisioni sono registrate nel 1947. L’ultimo prete ucciso per «motivi politici» è don Ugo Bardotti, pievano di Cevoli, nella diocesi di San Miniato in provincia di Pisa. Verso le ore 22 di domenica 4 febbraio 1951. Gli assassini politici si spingeranno invece fino alla fine di quegli anni 50.

La Chiesa Reggiana tra fascismo e comunismo
Note editore: Secondo uno studio del 1963, dal 1940 al 1946 rimasero uccisi trecento sacerdoti italiani. L’ultimo fu Don Umberto Pessina, ucciso da partigiani comunisti a Reggio Emilia, il 18 giugno 1946. La storiografia reggiana della Resistenza di quest’ultimo mezzo secolo di dopoguerra ha scelto un silenzio omertoso nei confronti dei sacerdoti uccisi dai partigiani. Questo testo rimane tuttora la versione ufficiale della vicenda del partigianato reggiano, per l’associazione degli ex combattenti e per gli istituti storici della Resistenza. L'incapacità ad affrontare la vicenda dei sacerdoti uccisi dai partigiani permane anche oggi. Rimane isolato lo sforzo di alcuni studiosi della Resistenza cattolici, come Sandro Spreafico e Sereno Folloni, che hanno avuto l’onestà di chiedere il riconoscimento storico dell’esistenza di questi crimini.

Edizioni: IL GIRASOLE D'ORO Collana SAGGISTICA ISBN 8870726258