La storia è racconto attraverso i libri

I testi che accompagnano la presentazione sono in genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono spesso indicati

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L'amnistia Togliatti

COLPO SI SPUGNA SUI CRIMINI FASCISTI

 

 

Ed. Mondadori

MIMMO FRANZINELLI
Nato a Cedegolo (Brescia) il 26 aprile 1954.
Premio Viareggio 2000, sezione Saggistica, per il volume "I tentacoli dell'Ovra". 2° premio Acqui Storia 1992 per il volume "Il riarmo dello spirito". Socio fondatore e segretario della Fondazione "Ernesto Rossi - Gaetano Salvemini" (Firenze). Membro del comitato scientifico della Fondazione "Luigi Micheletti" (Brescia). Coordinatore "scientifico" dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia.

LA MORTE SECONDO SCALFARO

Recensioni

Il 22 giugno 1946, pochi giorni dopo la nascita della Repubblica, fu varata l'AMNISTIA TOGLIATTI. Il provvedimento, che doveva pacificare il paese, si tradusse nella liberazione di migliaia di fascisti, compresi i peggiori criminali. Chi lo aveva voluto? C'era qualcosa di sbagliato nei tempi e nella formulazione dell'atto di clemenza? O c'era invece qualcosa di inadeguato nei giudici cui spettava interpretare e applicare la legge? Quel che è certo è che l'amnistia portò all'archiviazione di molti processi, sollevò un'ondata di risentimenti e lasciò senza risposta molte domande. Per far luce sulla complicata vicenda dell'amnistia del '46, Mimmo Franzinelli ha analizzato un'imponente mole di documentazione archivistica in gran parte inedita. Le "carte Togliatti", conservate alla Fondazione Gramsci, testimoniano, fra l'altro, la diretta paternità del segretario comunista nella stesura del decreto, smentendo la tesi che il guardasigilli fosse caduto in un tranello dell'apparato ministeriale (in un congresso provinciale del 1946 a Forli si sostiene che Togliatti l'ha subita!!: diverso il parere della Menapace sotto). Le relazioni riservate di prefetti e comandanti dei carabinieri sulle scarcerazioni consentono di accertare chi beneficiò del "colpo di spugna", come e per quali reati: dai magistrati ai collaborazionisti, dagli stragisti ai delatori, dai torturatori di partigiani ai "cacciatori di ebrei". Le più significative sentenze della Corte di Cassazione ci mostrano direttamente con quali argomentazioni spesso incredibili si decretò l'impunità e perfino la riabilitazione giuridica della classe dirigente del Ventennio e della R.S.I.. Franzinelli affronta il tema di fondo del trapasso dal fascismo alla democrazia e dalla guerra alla pace analizzando i fattori che concorsero a fare dell'amnistia un provvedimento tanto discutibile: il mancato ricambio dell'apparato statale, lo strapotere dei vertici della magistratura, la sottovalutazione dell'impatto che il decreto avrebbe avuto nel paese, l'apertura di Togliatti agli ex fascisti in vista dei nuovi equilibri politici. L'amnistia si inserisce quindi nel quadro più ampio che in quegli anni vide l'insabbiamento di molti procedimenti per crimini di guerra nazifascisti e garantì l'impunità agli italiani colpevoli di crimini di guerra in Africa, Iugoslavia ecc. Dopo sessant'anni è possibile ripercorrere per la prima volta minuto per minuto l'itinerario di un evento, importante e spesso dimenticato, che ha contribuito a definire nel bene e nel male la fisionomia della Repubblica appena nata.

Per saperne di più "I conti con il fascismo" di Hans Woller ed. Mulino.  

di Lidia Brisca "Menapace" (Novara, 3 aprile 1924 - staffetta partigiana e cofondatrice de Il Manifesto nel 1969  promotrice del Movimento Cristiani per il Socialismo.
Vorrei dire qualcosa sul diritto alla resistenza dei popoli invasi. Esso è fondato nel diritto internazionale e per solito non riconosciuto dagli invasori che di volta in volta chiamano ribelli banditi terroristi tutti, indistintamente, i resistenti, considerandoli res nullius, privi di diritti, di cui si può fare quel che si vuole, soprattutto ammazzarli senza alcun processo (Ndr. non è scontato basta non affossare i processi o nascondere i fascicoli). Tutto ciò rende sempre la resistenza un evento difficile e ambiguo, perché la voglia o la decisione di rispondere allo stesso modo viene ed è anche applicata: dopo la guerra, chi tra i resistenti ha replicato violando le leggi, viene per solito amnistiato, date le circostanze tremende in cui ha agito. Questa fu la motivazione per la quale Togliatti ministro di grazia e giustizia subito dopo la Liberazione nel primo governo del CLN fece appunto una amnistia per partigiani e anche repubblichini, cosa giusta che ancora non gli è stata perdonata.

Oggi 2012 il clima è cambiato. I fascisti stanno al governo coi comunisti (li chiamano Cattocomunisti per il risveglio religioso così improvviso e impellente), il Papa invita a pranzo l'esponente principale di questa coalizione e questi nuovi cristiani riempiono le chiese altrimenti vuote per la crisi religiosa. E vissero felici e contenti !! come nelle fiabe

   

L'autore, qui a fianco quando parla di magistrati anziani, non si riferisce a Scalfaro (un giovane della classe 1918 vedi sotto) che proprio sotto il fascismo aveva iniziato la sua carriera giudiziaria. L’autore confida che i suoi odierni lettori prendano per buono che, dopo l’uccisione di migliaia di fascisti, preti compresi, ai magistrati compromessi si sia riservato un occhio di riguardo, non si sa mai. I reati della guerra, gli imboscati dell'armadio della vergogna, vengono ciclicamente tirati in ballo come una minaccia del "riportiamo tutto al punto zero" quando si sa benissimo che gli italiani furono amnistiati (succede anche oggi) fino ai reati comuni più gravi e per i tedeschi, comprati o venduti per motivi politico economci, dipende dal punto di vista. Gli italiani con memoria non dimenticano che in anni non recenti barattammo coi tedeschi il silenzio sulle stragi in cambio di un mega prestito che la Deutsche Bank ci passò in uno dei tanti momenti critici della liretta (ma succederà anche anni dopo con l'euro: noi la parte dello straccione ce l'abbiamo nel sangue). Ci concessero, bontà loro, che la garanzia in quintali d'oro restasse per pudore in Italia, nei forzieri blindati in camera caritatis. Ma non solo col prestito anche con la buffonata della liberazione di Kappler e con la grazia a Reder scambiammo favori contro crimini.  Basta scorrere poi i capitoli delle stragi in "schede" e si trovano criminali diventati preti, capi della polizia, deputati etc. (in Germania addirittura in un partito di sinistra) che sotto l'inquirente tedesco, anche morale, non sono mai passati. E qui si smentisce il fatto che in altri paesi europei i criminali fossero stati esclusi da cariche pubbliche come afferma invece vigorosamente Franzinelli. A tutto questo bisogna aggiungere la superficialità delle documentazioni, come nel caso eclatante di Carpi Cibeno (documentato), dove si spendevano soldi ed energie per un memoriale e non per la ricerca degli effettivi criminali colpevoli. Se non ci pensa lo stato ci poteva pensare in surroga almeno la comunità. Mentre le documentazioni Inglesi erano oltremodo precise, il Gen. Alexander con la stessa penna con cui firmava gli elogi per i partigiani, raccomandava la sospensione della pena di morte per Kesserling, nemico onorevole !!!. Se a questo aggiungiamo le provate intrusioni della politica e del patto atlantico, più desolante di cosi il quadro non  poteva essere.

Intervista con Mimmo Franzinelli da http://www.papillonrebibbia.org/index.php?option=com_content&task=view&id=313&Itemid=31  (ndr: Sgombriamo prima il campo dai dubbi espressi dal titolo: Il colpo di spugna non riguardava solo i criminali fascisti, ma anche quelli militari italiani e dei partigiani)

…Togliatti, laureato in giurisprudenza, aveva scritto personalmente la legge, senza neanche farla correggere dagli specialisti. Questo errore di presunzione lasciò molto campo all'interpretazione estensiva della magistratura, perloppiù composta da uomini anziani e che avevano fatto carriera sotto il regime fascista. Grazie alla formula dell'amnistia che prevedeva l'esclusione "degli autori di sevizie particolarmente efferate", i giudici poterono agevolmente interpretare il provvedimento in senso estensivo. Infatti alla Cassazione amnistiarono persino chi aveva stretto nelle morse i genitali degli antifascisti perchè la tortura non era durata particolarmente a lungo.
D-Quante persone beneficiarono dell'amnistia? Che fine hanno fatto negli anni successivi?
Difficile quantificare il numero esatto delle persone (ndr.un problema ciclico storico non sapere mai quanta gente esce di galera, si spera che si sappia almeno quanti ne entrano). Diciamo che siamo nell'ordine delle diecimila unità. Le prime persone a beneficiare del provvedimento furono i gerarchi di più alto grado, che avevano i soldi a disposizione per pagare i migliori avvocati e per oliare i meccanismi della macchina giudiziaria (ndr: è un peccato che oggi non si possano oliare, sarà anche per quello che si inceppa). Per quanto riguarda invece il dopo-amnistia, bisogna ricordare come negli anni seguenti i 2/3 della base parlamentare del Msi sarà costituito da parlamentari amnistiati. Questo perchè in Italia, a differenza di altri paesi europei, l'amnistia non previde l'esclusione dalle cariche pubbliche per i collaborazionisti, come erano di fatto i gerarchi della RSI.

D-La storiografia comunista cercò di addossare le colpe dell'amnistia Togliatti a tranelli della Dc. Dove sta la verità?
Togliatti scrisse personalmente la legge, ma fece l'errore di sottovalutare il ruolo della magistratura e la forte reazione di protesta della base comunista. Ecco perchè, appena venti giorni dopo il varo del provvedimento, Togliatti scaricò la patata bollente al compagno di partito Fausto Gullo, rinunciando all'incarico di ministro della giustizia nel nuovo governo De Gasperi. Da lì in poi ci fu il tentativo della storiografia comunista di discolpare il "Migliore" che, al momento di lasciare Palazzo Piacentini, portò via con sè le carte sull'amnistia (sull'Iter). Per tutti questi anni i documenti furono dati per dispersi, sino a quando non li ho ritrovati nell'archivio dell'Istituto Gramsci.
D-Esiste una qualche somiglianza tra l'amnistia del '46 e quella di cui si parla oggi?
Anche allora come oggi esisteva un problema di sovraffollamento delle carceri (anche questo fa parte della straccioneria italiana, per noi i problemi sono come la digestione lenta, si ripresenta), che era anzi ben più drammatico di quello attuale. Accanto alle migliaia di detenuti per così dire politici, vi erano anche moltissimi criminali comuni perché la guerra aveva fatto moltiplicare il numero di reati e di banditi. I motivi alla base di quella amnistia furono diversi; studiare quei momenti però mi ha fatto pensare come, anche oggi, l'Italia sia un paese in cui manchi la certezza del diritto. Un paese dove a pene severissime in primo grado seguono revisioni, condoni e amnistie a cadenza periodica che portano a rapide liberazioni
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Il sovraffollamento delle carceri riguarda anche in larga parte procedimenti in corso, in attesa di giudizio, per i quali la macchina giudiziaria per problemi "non suoi", visto che nessuno glieli ha mai contestati non procede spedita come lo fanno in altri paesi. Dal che se ne deduce che i veri criminali spesso se ne stanno fuori od escono subito dopo la condanna.

   
Alla vigilia della liberazione, per contrastare quello che ormai sembrava essere diventato il mattatoio Italia, il CLN decise di costituire un tribunale speciale sulla falsariga di quello Fascista del 1926....

Matteo Dominioni da Intermarx rivista virtuale di analisi e critica materialista:

Le Corti d'Assise straordinarie si pronunciarono per un numero di casi presumibilmente tra i 20.000 e i 30.000. Non erano veri e propri tribunali popolari ma la presenza del popolo era significativa nei processi per più ragioni: i fatti di cui erano chiamati a rispondere gli imputati erano quelli più efferati e che maggiormente avevano formato l'antagonismo della gente verso il regime nazifascista; le aule dei tribunali molto spesso erano colme di persone che "animavano" i processi; il giudizio veniva espresso da una giuria antifascista. Tanto bastò perché gli alleati dopo mesi di caos imponessero un ritorno parziale (Sezioni Speciali) alla giustizia ordinaria.

 

Da “La meravigliosa Italia della Resistenza” di Giorgio Ognibene prefazione On. Arrigo Boldrini “Bulow ( pres. Anpi, Vice Pres. Camera dei deputati) ed. Ape Bologna 1974. Condanne da Tribunali Speciali Fascismo n. 4.471 Condanne a morte n. 29 Confinati n. 15.800. 



N
ella trasmissione del 3 gennaio 2007 il Gt Ragazzi, rubrica educativa per ragazzi di rai 3, dopo una arruffona spiegazione della pena di morte da me contestata, a richiesta la redazione mi  precisava via mail 
Francesca Capovani ....  E' stato detto che il primo stato ad abolirla fu il Granducato di Toscana e che poi fu abolita anche durante il regno d'Italia. La nostra costituzione l'ha abolita nel 1948 per i reati penali comuni.... (ndr: il passo testè citato è  estratto tale e quale da Wikipedia come è d'uso anche nelle redazioni giornalistiche della Rai non metterci del proprioi. Fra due abolizioni c'è sicuramente il reintrodotta, che va dal 1926 al 1948 decreto luogotenenziale del Principe Umberto del 1944, ma questi non c'entra anche perché non ha mai comandato e se ne è andato il 2 giugno 1946. Un pudore quindi di riguardo della nostra rete di stato a sinistra o "sinistra" evitava di parlare di Mussolini (l'applicava) e della applicazione della pena di morte pro tempore dal 1944/1948. Naturalmente l'intero passo a destra esposto è stato portato a loro conoscenza. Anche questo è servizio pubblico finanziato dal canone.

IL CASO SCALFARO e le riabilitazioni

riepiloghiamo da Anpi Ass. Naz. Partigiani -romacivica: Il Tribunale speciale fascista fu istituito nel 1926, con la legge n. 2008 [26 novembre], recante "Provvedimenti per la Difesa dello Stato". Esso reintroduceva la pena di morte per gli attentati contro la persona del Re e del capo del fascismo e puniva con sanzioni severissime ogni attività politica contraria al regime. Tutti i partiti politici erano già stati sciolti e messi fuori legge. Tale attività dunque, era bollata come "sovversiva". Altra specialità di quel tribunale consisteva nel fatto che il collegio giudicante non era costituito da magistrati, ma da ufficiali della milizia fascista. Ciò non lasciava adito ad alcun dubbio sulla loro imparzialità. Per il modo stesso della sua origine e della sua costituzione, era un tribunale per il quale non valeva la norma generale che "la legge è uguale per tutti").
Il decreto che istituì le Corti d'assise straordinarie (22 aprile 1945 n. 142 intitolato"Istituzioni delle Corti straordinarie di assise per i reati di collaborazione con i tedeschi") aveva vigore per sei mesi e sostituiva i tribunali partigiani in cui un dibattimento a senso unico durava in media 2 ore. Furono istituite nei capoluoghi di provincia e nei centri minori come Sezioni delle Corti. Al Cln, che aveva fatto fuoco e fiamme per ottenerla, fu assegnata l'esclusiva della nomina dei giudici popolari, tutta brava gente per la quale la colpevolezza degli imputati era assolutamente fuori discussione: (formazione delle giurie "Art. 5 - Entro sette giorni i Comitati di Liberazione Nazionale del capoluogo ... compilano un elenco di almeno cento cittadini maggiorenni di illibata (etimologia: Non toccato, cuore incorrotto ed immacolato etc....) condotta morale e politica e lo presentano al presidente del Tribunale del capoluogo... Il presidente del Tribunale, entro i successivi sette giorni, compila l'elenco di cinquanta giudici popolari, scegliendoli tra quelli designati dai Comitati di Liberazione Nazionale...".) Con le medesime disposizioni fu previsto che le Corti fossero composte da un Presidente nominato dal Primo presidente della Corte d'appello tra i magistrati di grado non inferiore a quello di consigliere di Corte d'appello e da quattro giudici popolari estratti in sorte dall’elenco. Il funzionamento delle Corti straordinarie d'assise era previsto (art.18) per la durata di sei mesi: successivamente i processi sarebbero stati trasferiti alle Sezioni speciali di Corte d'assise destinate a rimanere in funzione fino al 31 marzo 1947. Con il decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944 n. 159 il governo del Sud aveva già emanato una serie di disposizioni dal titolo "Sanzioni contro il fascismo" che prevedevano da un lato la punizione di coloro che per le cariche rivestite venivano considerati responsabili dell'instaurazione e continuità del regime fascista, dall'altro la punizione di coloro che avevano promosso o diretto il colpo di Stato del 3 gennaio 1925 o avevano in seguito contribuito con atti rilevanti a mantenere in vigore il regime fascista, nonché di chi dopo l'8 settembre 1943 (art. 5) aveva commesso delitti "contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore (...)". La competenza veniva affidata per la prima delle suddette categorie di reati a un'Alta Corte di giustizia e per la seconda categoria alla magistratura ordinaria o militare secondo le norme vigenti. Il 22 aprile 1945, nell'imminenza della liberazione, con decreto legislativo luogotenenziale n. 142 si istituiva come detto le Corti straordinarie di assise a esse affidando l'esclusiva competenza per tutti i reati di collaborazionismo come definiti dal precedente decreto del 27 luglio 1944. Ai comuni omicidi di strada si erano aggiunte le condanne a morte delle corti. Dal 25 aprile 1945 al 5 marzo 1947 vi furono 88 esecuzioni di collaborazionisti. Le ultime tre fucilazioni ebbero luogo nel marzo 1947.
Dalla "Laudatio" in onore di Oscar Luigi Scalfaro pronunziata da Elisabetta Galeotti, Professore ordinario di Filosofia politica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università del Piemonte orientale "Amedeo Avogadro", in occasione del conferimento della laurea h.c., da parte della Facoltà di Lettere e Filosofia in Vercelli il 27 ottobre 2003, ... A conclusione del mio intervento, riportando un episodio dell’esperienza da magistrato del Presidente Scalfaro nel confuso periodo (ndr: confuso per la prof. Galeotti che dovrebbe avere le idee chiare altrimenti cosa insegna ai ragazzi e speriamo non confuso per un giudice) successivo alla liberazione dei nazifascisti, episodio che sintetizza in modo esemplare la sua etica pubblica. La vicenda si riferisce a quando Oscar Luigi Scalfaro, giovane magistrato di 27 anni, si trovò nel 1945 a far parte delle Corti di Assise speciali della sua città, Novara. Pur non essendo originariamente nominato Pubblico Ministero, in una certa occasione, per carenza di magistrati disponibili, si trovò a rivestire questo ruolo per un processo complicato relativo a uno spietato assassinio compiuto dalla polizia repubblichina. Si trattava di un crimine efferato, accertato e ben circostanziato per il quale, seconde il codice penale di guerra allora in vigore, veniva richiesta la pena capitale.

Il giovane magistrato, contrario per principio e turbato dall’idea di dover chiedere la condanna a morte, studiò l’incartamento a lungo e si consigliò (consultò) anche con un sacerdote laureato in diritto civile e canonico. Costui cercò di sollevare dalle sue spalle la terribile responsabilità, ricordandogli che la Chiesa riconosce allo stato il diritto di comminare la pena di morte in casi particolarmente gravi. (ndr sarei curioso di conoscere la versione moderna del consiglio pretale e l'opinione di Scalfaro sulla esecuzione di Saddam Hussein.

(Il "senso cristiano" gli impedì anche alcuni anni dopo di affrontare il guanto di sfida (duello) lanciatogli da uno sfidante offeso di cui sotto si da notizia). Arrivato il giorno del dibattimento, Scalfaro presentò prima i fatti e le responsabilità, affermò che su di essi poggiava la richiesta della pena capitale, ma continuò dichiarando la sua opposizione ad essa e argomentando il perché. Aggiunse anche che se avesse trovato un conflitto tra il dettame della sua religione e la pena di morte, si sarebbe dimesso dalla magistratura, ma poiché la sua religione la autorizzava (la pena di morte la Chiesa riconosce allo stato il diritto di comminare la pena di morte in casi particolarmente gravi).... Le condanne a morte ottenute dal solo Scalfaro nel '45 sono state 7. Fra di esse quella dell'avv. Enrico Vezzalini pubblico accusatore di Ciano al processo di Verona.

Riabilitare un morto  
.da Archivio storico della Resistenza bresciana e dell’età contemporanea
Ancora nel 2007 a distanza di 47 anni dalla riabilitazione il concetto (di riabilitazione) è del tutto ignoto all'archivio della Resistenza http://www.bs.unicatt.it/materiali/ricerca/archivioresistenza/precisazioni_spadini.pdf

.. la contestazione...Nei cenni biografici a corredo della pubblicazione sul terzo Annale (2007) dell'Archivio del diario originale e inedito sempre di Comensoli, alla voce “Spadini Ferruccio” (p. 147) pur indirettamente fornendo “un’involontaria rettifica” nel ricordare che la nomina a Breno di Ferruccio Spadini è del luglio 1944, non si fa però cenno “all’ingiustizia della condanna ed alla successiva riabilitazione del 1960”.
la risposta .... corretto è il rilievo circa la mancata segnalazione nelle note biografiche allegate alla pubblicazione del primo diario Comensoli nell’Annale del nostro Archivio della sentenza riabilitativa della Cassazione del 1960 in favore di Ferruccio Spadini. E’ giusto, perché l’omissione, della quale ci facciamo carico, non permette di avere tutti gli elementi per giudicare questa, comunque dolorosa, vicenda.
Brescia, 18 giugno 2008

*Mimmo Franzinelli si occupa della trascrizione dei quaderni di Comensoli

cito da Repubblica del 1 novembre 2007 FABRIZIO RAVELLI
......
Ferruccio Spadini, professore mantovano, era il comandante della guardia repubblichina a Breno, in Valcamonica. Organizzava e dirigeva i rastrellamenti, arrestava i partigiani e li consegnava ai tedeschi, teneva come ostaggi i familiari dei renitenti e dei disertori. Pochi giorni dopo la liberazione tentò la fuga e venne arrestato in Val di Sole. Fu processato e condannato a morte per collaborazionismo e complicità nella morte di alcuni partigiani. Un suo ricorso in Cassazione venne respinto. La domanda di grazia non fu presa in considerazione dal Guardasigilli Palmiro Togliatti. Il 13 febbraio del 1946 Spadini venne fucilato, pochi mesi prima dell'amnistia. Nel 1960 i suoi familiari presentarono un nuovo ricorso in Cassazione. Le testimonianze di tre ex-partigiani (la più importante fu quella di don Carlo Comensoli*) fecero sì che venisse assolto post-mortem dall'accusa di concorso in omicidio. Il reato di collaborazionismo (che da solo avrebbe giustificato la pena capitale) fu coperto dall'amnistia ndr:(amnistia Togliatti che assolveva analoghi reati compiuti dai partigiani). La famiglia Spadini poté rientrare in possesso dei beni che le erano stati confiscati...
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dalla biografia ufficiale a cura della nipote Barbara.... Rifiutata con convinzione la nomina a questore di Cuneo per la propria avversità alle cariche politiche, resta all’ufficio reclutamento di Brescia fino al dicembre 1943, poi inviato al Castello (Brescia) al comando di un battaglione con il quale egli spera di poter in breve ripartire per il fronte, per assecondare la propria predisposizione di attivo soldato all’ideale di difesa della Patria. Inviato invece il 29 giugno 1944 a Breno, riceve l’incarico di ordine pubblico all’interno della costituita G.N.R. alle dipendenze del Generale Ricci e del Tenente Colonnello Valzelli, col grado di Maggiore. Da questo momento ogni responsabilità d’ordine pubblico della Valle Camonica ricade su di lui, pronto a scontrarsi col generale tedesco di stanza ogni volta un ordine abbia a ritorcersi negativamente sulla popolazione italiana; pronto a scusare l’operato dei partigiani definendoli paternalisticamente “ giovani ribelli”, tanto da essere accusato di debolezza e quasi di collusione con loro. ..
Il 26 aprile 1945 di fronte ad un documento di richiesta di resa non firmato, senza ordini dal comando italiano e tedesco, non ne accetta le condizioni e, messosi a disposizione della Brigata Tagliamento, parte al seguito di questa per Edolo e poi per Fondo( Tn) dove, visto il proclama di scioglimento della G.N.R., si consegna spontaneamente attraverso il parroco del paese al comitato di liberazione ( C.L.N.) locale. Riportato come prigioniero ad Edolo e da qui tradotto alle carceri di Breno e successivamente a Brescia, ripetutamente picchiato e torturato, viene poi processato dalla corte d’assise straordinaria e riconosciuto colpevole d’omicidio di alcuni partigiani. Condannato alla pena capitale, perso il ricorso in Cassazione e respinta la domanda di grazia, inoltrata a sua insaputa, Ferruccio viene fucilato al poligono di Mompiano (Bs) il 13 febbraio 1946. Ferruccio ha 50 anni e lascia la moglie vedova ed i cinque figli orfani alle prese col provvedimento della confisca dei beni, nell’indigenza completa.  segue libro a pagina 19

   

UNA LEZIONE DI

CAVALLERIA

“Ho appreso dai giornali che Ella ha respinto la sfida a duello inviataLe dal padre della  signora Toussan,  in seguito agli incidenti a Lei noti. La  motivazione  del rifiuto di battersi da Lei adottata, cioè quella dei principi cristiani, ammetterà che è speciosa e infondata.  Il sentimento cristiano, prima di essere da Lei invocato per sottrarsi a un dovere che è patrimonio comune di tutti i gentiluomini, avrebbe dovuto impedire a Lei e ai Suoi Amici di fare apprezzamenti sulla persona di una Signora rispettabilissima. Abusi del genere comportano l’obbligo di assumerne le conseguenze, specialmente per uomini responsabili, i quali hanno la  discutibile prerogativa di essere segnalati all’attenzione pubblica,  per ogni loro atto (lo stesso principio che si vorrebbe oggi, si vede che Totò aveva la vista lunga). Non si pretende da Lei, d opo il rifiuto  di battersi, una maggiore sensibilità, ma si ha il diritto di esigere che in incidenti del genere, le persone alle quali il sentimento della responsabilità morale e cavalleresca è ignoto, abbiano almeno il pudore di sottrarsi al giudizio degli uomini, ai quali questi sentimenti e il coraggio civile dicono ancora qualcosa”. Principe Antonio Focas Flavio Commeno De Curtis in arte Totò

TOTO' E SCALFARO

Era il 15 luglio 1950, una estate afosa (“Scalfaro, una vita da Oscar”), altro clima, altra Italia. Il trentaduenne Oscar Luigi Scalfaro entra da “Chiarina”, trattoria di via della Vite a Roma, con amici. A un tavolo vicino siede Edhit Mingoni Toussan, 30anni, accompagnata da due amici  (col difetto di essere iscritta al MSI). Pochi minuti e accade il fattaccio. La signora, tormentata dal caldo, si toglie un corto bolerino , rivelando le spalle nude. A fronte di una simile grave offesa al comune senso del pudore, Oscar si alza dal suo posto, attraversa la sala e tuona: “E uno schifo! Una cosa indegna e abominevole! (io non ci sto) Lei manca di rispetto al locale e alle persone presenti. Se è vestita a quel modo è una donna disonesta. Le ordino di rimettere il bolerino !” E l’onorevole Sampietro che accompagna Scalfaro ci mette il carico: “Lei, signora, così vestita è una bestia!”. Altri si sarebbero intimoriti, ma non la militante del Msi che risponde per le rime. Oscar si precipita fuori e rientra con due poliziotti. Tutti in commissariato e denunce reciproche. Il 14 novembre lo scandalo si trasforma in dibattito parlamentare. Scelba, già in lotta contro i bikini, è diplomaticamente assente (anni dopo a Tv imperante si misero anche a misurare la lunghezza delle mutande ma non le dita dei ladri). Oscar prende la parola, con un virtuosismo retorico definisce la bella Edith una “donna che non è più privata”, ma nella foga aimé ne coinvolge indirettamente anche il padre, il colonnello dell’aviazione grand’ufficiale Mingoni, 67 anni che non sta lì a pensarci e la sera stessa sfida a duello il futuro presidente della Repubblica. I due padrini, per due giorni cercano inutilmente e ovunque lo sfidato. Alla fine, stremati, lasciano all’ufficio postale della Camera il “cartello di sfida cavalleresca”. I giornalisti già pregustano lo spargimento di sangue, ma Oscar li delude dichiarando che sarebbe poco serio accettare, e poi “per obiezione di coscienza”, lui non uccide, non può accettare l’idea di battersi con le armi e casomai ammazzare veramente qualcuno. (col codice si)

  Mi sono (anche) amnistiato

La sfida viene ribadita dal marito della signora, il capitano Aramis Toussan, ma Oscar, vieppiù per il programmatico nome dello sfidante, insiste a negarsi. E’ a quel punto che entra in scena Totò, con una lettera aperta all’Avanti, firmata Principe Antonio Focas Flavio Commeno De Curtis (sopra)

 

Allora, si capisce, l’amnistia non era ancora una “soluzione” istintiva che non risponde a canoni di giustizia”, come oggi affermato nei comunicati del Quirinale. (da: www.politicaonline.net )

In altri termini, taccia. Quanto al giudizio del tribunale non ci sarà mai. La domanda di autorizzazione a procedere: giacque per quattro anni nei cassetti della relativa commissione parlamentare (come i fascicoli sulle stragi naziste, si vede che era un vezzo), della quale Scalfaro era membro, finché un’amnistia sui reati minori estinse il tutto.

Testo della lettera di Cosa Nostra pervenuta il 17 febbraio 1993 all'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro

”Noi ci permettiamo di farle notare continuando di questo passo, di detenuti ne moriranno, ma lei non si curi di loro, tanto si tratta di carne da macello. Per noi e per loro resta solo la consolazione che un giorno Dio, che ha più potere di lei, sarà giusto nel suo giudizio…’.’lei si è vantato più volte di essere un autentico cristiano. Le consigliamo di vantarsi di meno e di amare di più. Non ci firmiamo non per paura, ma per evitare ulteriori pene ai nostri familiari "Ora, se lei ha dato ordine di uccidere, bene, noi ci tranquillizziamo, se non è così guardi che per noi è sempre il maggior responsabile, il più alto responsabile dell'Italia "civile" che, con molto interesse, ha a cuore i problemi degli animali, i problemi del terzo mondo, del razzismo e dimentica questi problemi insignificanti perché si tratta di detenuti, ovvero di carne da macello. Concludiamo scusandoci per la forma arrogante con la quale ci siamo presentati distogliendola sicuramente da problemi più gravi e urgenti di questi”.

del fatto, per eccesso di garantismo, verrà accusato anche Berlusconi. Lo potrebbe essere anche Monti a breve se perdura l'usanza.

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Nel 1993, il Lodo Alfano non c’era ancora ma i magistrati inventarono uno scudo su misura per tutelare il capo dello Stato». Come andò quella storia?. «Alcuni funzionari del Sisde erano stati indagati per peculato dalla Procura di Roma. Alcuni di loro tirarono in ballo Scalfaro. Dissero che all’epoca in cui era ministro degli interni, quindi prima di diventare presidente, gestiva 100 milioni di lire al mese». Una situazione esplosiva.
«A disinnescarla ci pensarono i magistrati della Procura di Roma, non il Parlamento, con un provvedimento mirato». Che cosa accadde?
«Anzitutto quei funzionari furono messi sotto inchiesta per attentato agli organi costituzionali». Risultato?
«Questi 007, rischiando una condanna pesantissima, decisero di tacere, come ci racconta Francesco Misiani che all’epoca era Pm a Roma nel libro La toga rossa. Ma non è questo il punto più importante». E qual è?
«Il passaggio successivo». Ovvero? «Dopo una riunione cui parteciparono alcuni magistrati della Procura di Roma si stabilì di fermare l’indagine su Scalfaro». Su che base?
«Sempre facendo riferimento all’articolo 289 del codice penale, quello che punisce severamente l’attentato agli organi costituzionali». L’articolo 289 come il Lodo Alfano?
«Sì. L’articolo allora suonava così: “È punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un reato più grave, chiunque commette atti diretti a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente, al presidente della Repubblica” e ad altre cariche istituzionali” l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge”. La Procura di Roma stabilì un’interpretazione assai estensiva del codice?
«Certo». L’attentato agli organi costituzionali è un reato gravissimo: è stato contestato, per esempio, ai generali dell’Aeronautica militare che avrebbero mentito e depistato, ingannando il governo a proposito della strage di Ustica.
«Nel 1993 la Procura di Roma fu lodata da tutti per questo gesto che metteva il Quirinale al riparo delle tempeste. In pratica si fece leva sull’articolo 289 per sostenere che un’indagine avrebbe impedito alla presidenza della Repubblica di svolgere i propri compiti». Quindi il procedimento fu sospeso?
«Certo, rimase congelato per sei anni. La controprova è che ripartì solo nel ’99, quando Scalfaro lasciò il Quirinale. E a quel punto fu rapidamente archiviato».

Scalfaro verrà coinvolto anche in un ulteriore scandalo da cui solo la morte lo ha salvato

La lettera di pressioni (inviata dai parenti dei detenuti per mafia sottoposti al regime del 41 bis) era indirizzata a Scalfaro, ma fu inviata anche al Papa, al presidente del Consiglio, a Maurizio Costanzo (poi sfuggito a un attentato, a Roma) e a Vittorio Sgarbi. Dopo avere elencato disagi e ”angherie” i parenti dei detenuti, che comunque non si firmavano, si rivolgevano a Scalfaro come il più alto responsabile dell’Italia ”civile” (a fianco)
Nello stesso anno a 100 detenuti il 41 bis venne sospeso. Scalfaro: «Oggi, avendo recentemente appreso tale notizia dagli organi di stampa, posso soltanto supporre, pur non avendo nessuna conoscenza in merito, che quella decisione sia stata presa dal ministro Conso per ragioni di umanità nei confronti dei detenuti». I due "padri" della patria Scalfaro e Ciampi, all’epoca responsabili di governo, sentiti dai PM, non ricordano quasi nulla dei fatti. Conso in effetti continua ad addossarsi responsabilità che dal punto di vista politico non sono solo sue (non erano atti segreti).
Lo Stato si chinò, anzi s’inchinò davanti alle mani insanguinate dei boss, ma Oscar Luigi Scalfaro Presidente della Repubblica (1992/1999) e Carlo Azeglio Ciampi (all'epoca Presidente del Consiglio poi Presidente della Repubblica (1999/2006) non sanno. Due presidenti, Scalfaro e Ciampi, e un solo silenzio. È il 15 dicembre 2010 quando Scalfaro e Ciampi vengono ascoltati dai pm di Palermo che cercano conferme alla loro difficile inchiesta sulla trattativa fra Cosa nostra e lo Stato. Scalfaro non sa. Ciampi non ricorda. Il primo è granitico, il secondo più sfumato, il risultato è lo stesso. Ciampi: «Non ho alcun ricordo in merito a possibili problematiche e divergenze di opinioni all’interno del governo da me presieduto inerenti l’applicazione del cosiddetto 41 bis. Posso affermare con assoluta certezza che la linea del governo in tal senso era estremamente rigida. Non ricordo che vi fossero ministri che avevano opinioni diverse in tema di contrasto alla criminalità organizzata».dal Giornale.
La morte "giusta" eviterà ad entrambi di giustificarsi. Come direbbe Scalfaro IO NON CI STO, IO NON CI STO PIU'