La storia è racconto attraverso i libri

 

         UMBERTO SABA

Di seguito 3 liriche complete e una parziale partendo da quella Ritirata in Piazza Aldrovandi (a Bologna) dove lui spettatore vede i bersaglieri della Caserma Masini (ex Convento Carmelitane Scalze) venuti fin qui a suonare.

I testi che accompagnano la presentazione sono in genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati http://www.cronologia.it/storia/biografie/saba.htm 

La ritirata in Piazza Aldrovandi a Bologna

     

 

  

Saba, nasce a Trieste nel 1883 (la madre era ebrea) e muore a Gorizia nel 1957. Comincia a scrivere versi agli inizi del secolo, già dal periodo che passa sotto le armi, poiché il padre è Italiano, e continuerà fino alla morte.  L’abbandono del padre in tenera età, costringe la madre a metterlo a balia da una contadina slovena di nome Peppa Sabaz che, avendo perso il proprio figlio, riversa sul piccolo  tutto il suo affetto e la sua tenerezza. A lei Saba resterà profondamente legato tutta la vita, tanto che, il rifiuto del cognome paterno (Poli) si risolverà in un omaggio alla madre naturale (Sabaz) e al suo essere ebreo (“saba” in ebraico significa pane). Le leggi razziali lo  obbligheranno poi a lasciare l'Italia e dopo un soggiorno a Parigi ritornerà nel nostro paese per vivere nascostamente presso alcuni amici a Firenze e a Roma. Come detto inizia a scrivere versi quando è a Salerno al 12° fanteria (viene detto 1908, forse ha saltato la sua classe ?!). L’esperienza militare ebbe per lui un’importanza essenziale, sia per la novità del fatto, sia per il contatto diretto con umili soldati italiani; uno stato d’animo rievocato dallo scrittore nella prosa - Il sogno di un coscritto - (1957). In queste pagine ricorda l’incontro d’anima con i commilitoni, nel momento in cui lo considerano uno di loro, uno come loro. Non sfugge alla Grande Guerra ma non combatte, ha oltre 33 anni. Saba toglie quindi nelle sue liriche, al soldato che non fa la guerra, il rivestimento eroico, portando alla luce l’innocenza di bambino adulto; la vita di caserma, monotona e greve, indolente, a volta mortificante, accentuata dalla nostalgia della casa e della ragazza. 

 

Piazza Aldrovandi e la sera d'ottobre
hanno sposate le bellezze loro;
ed è felice l'occhio che le scopre.

L'allegra ragazzaglia urge e schiamazza
che i bersaglieri colle trombe d'oro
formano il cerchio in mezzo della piazza.

Io li guardo: Dai monti alla pianura
pingue, ed a quella ove nell'aria è il male,
convengono a una sola vita dura,

a un solo malcontento, a un solo tu;
or quivi a un cenno del lor caporale
gonfian le gote in fior di gioventù.


La canzonetta per l'innamorata,
un'altra che le coppie in danza scaglia,
e poi, correndo già, la ritirata.

E tu sei tutta in questa piazza, o Italia.

 

Di ronda alla spiaggia

Annotta. Nella piazza i trombettieri
uscirono a suonar la ritirata.
La consegna io l'ho, credo, scordata;
che tendono a ben altro i miei pensieri.
E il mare solitario i miei pensieri
culla con le sue lunghe onde grigiastre,
dove il tramonto scivolò con piastre
d'oro, rifulse in liquidi sentieri. 
Questo a lungo ammirai, ben che al soldato
più chiudere che aprire gli occhi alletta,
che ha i piedi infermi ed il cuore malato.
E seggo, e sulla sabbia umida e netta
un nome da infiniti anni obliato
scrive la punta della baionetta. 

 

 Durante una marcia 


Poi che il soldato che non va alla guerra
invecchia come donna senz´amore,
questo vorremmo: la certezza in cuore
di vincere, ed andar di terra in terra.

Qui andiamo sì, ma a tanta nostra guerra
manca il nemico che ci miri al cuore,
manca la morte che il fuggiasco atterra,
manca la gloria per cui ben si muore.

Son brutte facce intorno a me, e sudori.
Guardo il compagno: mezza lingua fuori
gli pende, come a macellato bue.

O canta, Carmen, le bellezze tue,
le lodi in coro della tua persona.
Il cielo, senza mai piovere, tuona.

 

 

Vita di guarnigione

Picco scrive del fronte:
"Molto freddo, molti soldati,
molto rumore di cannonate".
Ed io son qui, sono a Casalmaggiore,
e ci devo restare;
devo ancora pensare
alla guerra: ci penso a lungo, e dico:
Aver forse paura e non fuggire,
saper uccidere, saper morire,
Dio sa quest'arte s'io l'apprenderò?
Vigilare ora devo sul nemico che ad Ala, a Redipuglia, a Doberdò
i miei bravi compagni han disarmato;
ne intendo i lagni, ne placo le beghe.
"Wie geht's Ihnen, Colleghe?"
la parola così mi fu rivolta
(un poco io ne sorrisi) da una faccia
che sorrideva entro la barba folta.
No, non son pago; no, una prova manca
alla mia vita, che non chiedon gli altri.
"Meglio che al fronte", ed ammiccano scaltri;
vita di guarnigione non li stanca,
di poco onore, di nessuna pace.
Vino buono e a buon prezzo (a me dispiace),
belle ragazze, schive coi borghesi,
ma per noi militari, lungo il fiume,
o in qualunque osteria, molto cortesi;
molto invero disposte a far piacere
a Sancio Panza, che ha messo le piume
di bersagliere.

…………………

Messina (1908)

Io non la vidi mai, che d’essa noto
n’era il nome e non più. Nel mio pensiero,
quanto vedevo immaginando il vero,
è quello che distrusse il terremoto.

Vedea uno stretto da varcarsi a nuoto;
di cupe frondi un dondolio leggero:
col porto di vocianti uomini nero,
sotto un meriggio eternalmente immoto,

biancheggiar la città, vasta aranciera.
ora veggo macerie, onde la fiamma
esce, o un lungo sottil braccio di cera.

Vagano cani ritornati fiere:
mentre al bimbo che piange e chiede mamma
canta la ninna-nanna un bersagliere …

 

Torna all'indice di Carneade

Torna all'indice libri