GIUSEPPE LEOPIZZI

Nella sua raccolta di poesie Giochi d'ombre e di vento Leopizzi contesta le nuove Babilonie industriali della società consumistica che contrastano con la bellezza dei luoghi naturali, che egli descrive come un osservatore viaggiante o meglio come un pittore che dipinge con rapide pennellate di parole ora paesaggi della Calabria ora scorci gallipolini, rifacendosi alla sentenza di H. De Balzac: "Descrivi l'universo e parlerai sempre del tuo paese".
L'incanto, lo stupore, la meraviglia che ogni giorno la sua città nativa gli suscita, lo trasportano in un'atmosfera tra l'estatico e il sognante. E Gallipoli rivive come un "fiore di carne e di pietra". Diviene, insomma, un asilo ideale per fuggire dagli affanni della vita quotidiana fino a che la morte non giungerà a liberare l'anima anelante la suprema luce di Dio con la fede che mai può svanire in un uomo che ha scelto la strada del sacerdozio per testimoniare la sua presenza e il suo impegno in questo universo.

a cura di Giorgio Barba