Florio è una persona squisita che sa esprimere il proprio pensiero con eleganza e
con l'umiltà di chi sa di non sapere. Non a caso l'asino arpista, personaggio fantastico tratto dal mosaico di Otranto e scelto dall'autore a simboleggiare se stesso, non è altro
che la metafora del suo voler essere poeta, del suo voler suonare la cetra di
Apollo senza saper toccare le corde o farle armoniosamente vibrare. Ma al di
là dell'apparente auto-ironia c'è certamente una grande maestria, soprattutto
nella modulazione del verso che nelle sue mani si trasforma e diventa musica.
Una musica che incanta tra l'utile e il dilettevole.
Infatti queste due
categorie per Santini non sono separate: bellezza e utilità servono alla vita
di ogni giorno di migliaia di uomini che vivono il Salento e le sue
cose.
Pertanto Santini fa dialogare nelle sue poesie l'arco e la conchiglia,
la chianca e la ruchetta, il gabbiano e la pignata che diventano emblemi di
un micro-mondo dei buoni antichi costumi. Un favoleggiare arcaico, lo chiama
lo stesso autore, in cui l'uomo-poeta si pone quale arbitro imparziale, quale
artefice, quale osservatore di una contesa immaginaria fra un prodotto della
natura (conchiglia, gabbiano, ruchetta), e uno dell'arte o, meglio,
dell'artigianato salentino (chianca, arco, pignata).
Per il poeta non c'è
alcuna distinzione; entrambi gli oggetti, l'artificiale e il naturale, sono
belli e utili.