Vittore Fiore
a cura di Giorgio Barba



Vittore Fiore Solo pochi giorni prima della sua morte era giunta la notizia che il Consiglio dei Ministri aveva attribuito il vitalizio Bacchelli a Vittore Fiore, uomo prima che poeta e letterato. Egli infatti instancabilmente ha combattuto tutte le battaglie possibili per far risorgere il Meridione dalla sua condizione di cadavere assistito con benevolenza da uno Stato che non rivaluta con innovazioni le peculiarità di un territorio, ma tenta gattopardianamente di mantenere in vita l'esistente, condannando la società del Sud alla subalternità e a certe pratiche clientelari.
"...C'è qualcosa
di nuovo intorno, se ha un legame 
col passato non so né saprò mai.
E allora prendo le distanze,
nell'atto di ricomporre l'edificio
di un tempo che è stato distrutto".
Con questi versi Fiore nel 1989 chiudeva il suo poemetto "Qualcosa di nuovo intorno", pubblicato con coraggio e stima da un piccolo editore di Parabita (Edizioni "Il laboratorio", Parabita). Era il suo testamento spirituale: una sorta di critica denuncia della società, della cultura, dell'ideologia del tempo (ma in fondo di ogni tempo), fatta senza rassegnazione, senza esaltazioni e soprattutto senza alzare la voce, ma con la calma di chi sa di avere buoni motivi per non credere alle promesse da campagna elettorale, mentre il Sud va in rovina, non solo sul piano politico, ma anche economico, sociale e territoriale.
Vittore Fiore era figlio di Tommaso Fiore, il celebre meridionalista che con una limpida metafora definì la gente del Sud un "popolo di formiche". Come il padre fu meridionalista convinto e antifascista, tanto da essere arrestato nel 1942 e mandato al confino a Camerino. Rilasciato, fu di nuovo arrestato nel '43 a Bari e liberato successivamente durante i giorni concitati dopo il 25 luglio, quando il generale Roatta fece sparare sulla folla che si recava al carcere per liberare i prigionieri politici. In quella sommossa perse la vita il fratello di Vittore, Graziano, che il poeta ricorderà sempre nei suoi interventi e nelle sue interviste.
Dal Partito d'Azione al PSI il passo fu breve, egli si interessò soprattutto dei rapporti intercorrenti tra il liberalismo e il socialismo, ma col passare del tempo, quando si rese conto del fallimento dei governi di centro-sinistra, non si stancò di criticare il trasformismo imperante nella cultura politica italiana dall'unificazione ai nostri giorni.
Egli, insomma, seppe innestare gli insegnamenti di Gramsci e Gobetti nel filone meridionalista di Salvemini, proponendo una visione personale per superare i condizionamenti e i limiti del socialismo. nell'affrontare il problema meridionale non più con l'assistenza, ma con interventi strutturali. Fu un attivo giornalista: capocronista del giornale barese "Libera Voce", fondatore della rivista "Il Nuovo Risorgimento"; organizzò le manifestazioni del "Maggio di Bari", fondò il gruppo dei meridionalisti pugliesi; fu capo ufficio-stampa della fiera del Levante; ricoprì diversi incarichi in Istituti pubblici e privati (CSATA, IASM, ANIMI, SVIMEZ).
Un intellettuale impegnato si potrebbe definire, un intellettuale che, dalle pagine delle riviste con cui collaborava o che dirigeva, ha tenuto desto il dibattito sul Mezzogiorno e i suoi problemi, considerandosi figlio del Sud e precisamente figlio del Salento.
"Ero nato sui mari del tonno", ha scritto Vittore ed infatti egli è nato a Gallipoli nel 1920, sullo Ionio solare, dove la Magna Grecia ha lasciato tracce indelebili e la scienza di Pitagora vi ha portato l'armonia dei numeri. Quella terra gli ha fatto scoprire il divario "tra il bene e il male" e gli ha lasciato, dopo il trasferimento a Bari, un filo di speranza per poter meditare sulla sorte del Sud, dove ancora si comprano i braccianti, dove "il viso dei pescatori/ ha la forma del vento/ e fra mare e terra vi è un unico spazio", dove i vecchi sostano vicino ai bar e le donne vestite di nero sfilano in cortei.
La sua poesia non è innamoramento, non è contemplazione idillica, non è evasione dalla realtà; egli s'interroga sul destino della sua terra; non si rifugia nell'oscurità, nell'ermetismo, nonostante alcune concessioni ai modi della letteratura ermetica e surrealistica. Con un lessico chiaro e comprensibile denuncia le attese disattese, descrive i paesaggi del Salento, immersi nel caldo sole estivo, o fa intravedere le scogliere di Leuca o i luoghi pietrosi delle Murge attraverso sonorità aspre e cadenze ritmiche martellanti.
La poesia di Vittore Fiore, dalla sua prima raccolta poetica "Ero nato sui mari del tonno" sino a "C'è qualcosa di nuovo intorno", si potrebbe definire neorealistica per molti aspetti, senza connotazioni, però, negative. Una poesia che trae linfa vitale dal vissuto quotidiano non per celebrare le magnifiche sorti e progressive di un popolo conquistato e neanche per piangere la miseria di una terra ostile e aspra, ma per trovare forza nell'unione e per combattere il malcostume di coloro che fingono di essere meridionalisti, attendendo dallo Stato i soliti aiuti, le solite elargizioni, i soliti contributi che vanno ad alimentare false speranze e clientelismo:
"… quello che abbiamo dentro
si vede: il bello eterno dei notabili,
per iniziarci all'obbedienza,
il disfarsi delle maschere libertarie,
le ambigue sentenze, l'inafferrabile
gorgo del nuovo potere."
Uniamoci - dice Fiore - uniamoci contro la morte, per non patire le angherie della storia, per non subire i sortilegi della terra immersa in un'aria afosa. Il suo grido non è di rassegnazione, ma di speranza, la speranza di inserire il Sud in un contesto europeo più ampio al di là delle false aspettative dei riformisti del Nord che predicano innovazioni senza tenere nella debita considerazione le peculiarità di una terra, ricca di storia e di cultura, di umanità e di tradizioni, di splendidi paesaggi marini sferzati dal vento e di distese di campi di tabacco. La sua è una terra di frontiera, tra gli scogli proiettati sul Mediterraneo e la terra bruciata che diventa la porta dell'Europa: "Prossimi alle scogliere noi
parleremo del Sud, dell'Europa,
dell'uggia e del campo di tabacco
che avanza in bilico tra noi e il mondo" (Salento).
E' incredibile constatare che Fiore, sino alla fine, ha creduto con coraggio nelle potenzialità del Meridione, proponendo una riscossa in nome del liberal-socialismo e, una volta fallita questa ideologia, come tante altre, ha continuato a sostenere senza campanilismi e senza risparmiarsi polemiche e confronti dialettici, la possibilità di uno sviluppo graduale, basato sulle piccole aziende e non sui grandi progetti statali e parastatali favorevoli alla nascita di cattedrali nel deserto, mostri immensi immani voraci del denaro della comunità.
Fiore è morto in una casa di riposo e la vita, come giusto riconoscimento dei suoi meriti, non gli ha riservato l'assistenza tardiva dello Stato.