La materia espressiva
di
Giuseppe Piscopo
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a cura di Giorgio Barba
Un "figurativo baroccheggiante" si autodefinisce Giuseppe Piscopo, scultore nato a Galatina (LE) nel 1915, in alcune note autobiografiche del 1995. Ma, come poi egli stesso specifica, la sua adesione alla cultura barocca salentina non è superficiale ricerca della "maraviglia", dell'estroso, del non comune, del bizzarro, ma scavo interiore, introspezione, desiderio di una certezza tra mille indecisioni e dubbi tortuosi, ricerca, insomma, di una forma plastica che, pur racchiusa in una materia finita, esprime l'ansia dell'infinito e dell'eterno cui l'anima salentina anela.
Così l'artista nelle sue sculture, utilizzando tutti i materiali a sua disposizione (dal legno alla carta, dal ferro all'argilla) comunica la sua visione del mondo, disperatamente ancorata alla vita e misteriosamente proiettata verso la morte, che viene esorcizzata con il ricorso continuo a tematiche che richiamano la famiglia e la maternità in particolare. I soggetti preferiti, infatti, sono le donne-madri salentine con prominenti caratteristiche anatomiche che suggeriscono la fase post-parto e il periodo dell'allattamento, cioè seno abbondante, bacino largo, corpo rotondeggiante, tutti simboli della fertilità e della fecondità che si ritrovano in alcune statuette stilizzate preistoriche raffiguranti divinità femminili. Ma se tali sculture sono prive di qualsiasi umanizzazione, sono oggetti propiziatori, le sculture di Giuseppe Piscopo si caricano del pesante fardello dei sentimenti. La freddezza della materia si riempie di calore umano per comunicare non banali messaggi, bensì l'amore per la vita, il più profondo dei messaggi che un creativo può tentare di trasmettere.
E se da un lato, quando Piscopo usa materiali duri, quali il legno o il metallo, propone una stilizzazione della figura umana; dall'altro, quando ricorre all'argilla, riesce a plasmare e a dare plasticità alle forme che sembra prendano vita propria e si muovano nella loro immobilità perpetua. Insomma Piscopo dimostra di saper cogliere l'attimo culminante di sensazioni profonde, di emozioni non effimere, di particolari stati d'animo per poi fissarlo nell'eternità della materia, quasi per scongiurare la morte fisica e consacrare l'immortalità dei sentimenti umani.