Il cavaliere mutilato
La distruzione di Gallipoli
di Augusto Buono Libero


Copertina libro
NESSUNO

Nessuno, in quelle oscure contrade irte di rocce taglienti e pale di fichidindia che si alzano al cielo come dolmen di carne verde, in quelle terre pietrose d'acque avare in cui trasuda lo scirocco affliggendo l'aria con nuvole di tafani neri e danze di polvere rossa e miasmi e odore di marcio dolciastro e fetore di morte; nessuno, in quei sentieri assolati di lucertole grigie e ragani verdi e cardi polverosi e feroci spine, in quelle radure fatte di pietre aguzze e affilate come cocci di vasi , di voli pesanti brevi e pigri di gazze blu sempre in amore e di bianca ottusa fissità del sole; nessuno ricordava più la distruzione di Gallipoli. Nessuno ricordava più l'antico convento dei monaci basiliani , il Magnum Monasterium S.Mariae Servinarum Ordinis S.Basilii, da cui erano fuggiti per non far mai più ritorno i dodici monaci scampati all'eccidio, né la splendida cattedrale ricchissima di marmi di varie specie e di arredi e vasi sacri e di monumenti d'oro e d'argento, dissacrata, saccheggiata e deturpata, da cui era fuggito nottetempo il pio Vescovo Acazio Popone , con il suo piccolo tesoro e la sua ametista, per rifugiarsi in Nardò; nessuno ricordava più l'angoscia, la violenza, il terrore, la spada, lo stupro, il sangue, il fuoco e il sale, la città in rovina, abbandonata e interdetta ai suoi abitanti, da allora esuli e senza patria, lasciata come carogna in preda agli sciacalli e avvoltoi calabresi, messinesi e catanesi.
Nessuno ricordava più quell'amore di città , che si specchiava come una rosa bianca sul mare azzurrissimo , né le poderose mura e i suoi sette baluardi, i sette capitani , il General Sindaco detto l'Apologista al Quadrato , il Governatore e il Gran Consiglio degli Ottanta che formava il corpo dell'università. Nessuno ricordava più il suono del tamburo de lu Pitinu, quel rataplan sonoro che faceva accorrere le donne con la calza fra le mani o abbandonando la sorveglianza della pentola sul fuoco dove bollivano i legumi del pasto quotidiano.Nessuno ricordava più i monelli che sbucavano da per ogni dove e ingombravano le strette e tortuose umide stradicciuole, cantando:
Po- ve - ro Lil - lo fa- ce- va l'or- to- la- no
dal- la mi- se- ria lo sal- vò il gab- bia- no
La- ric- ciun- fe- ral- lil- lal- le- ra la-ric-ciun-fe-ral-lil- lal- là
Nessuno ricordava più la bacchetta de lu Pitinu e la voce stentorea de lu Critì che gridava le ordinanze municipali: pe ordine de lu signore Sindacu ,Sor Ataulfo Panza Quadrato , Sostegno Sicuro della Città Bella, Protetto dal Beato Abibbone e dalla Martire Santa Godolia... Nessuno ricordava più la bellissima Imelda, la contessina di Gallipoli.
Anzi, nonché ricordare, gli abitanti di quelle misere contrade erano talmente sventurati e immemori che dubitavano perfino che fosse mai esistita una città con quello strano nome E tuttavia c'era nella coscienza di qualcuno di loro un rovello, un tarlo, un'inquietudine, quando osservavano in lontananza una fitta barriera di nebbia che saliva fino al cielo, ma dietro quella barriera s'intravvedeva una luce, una luce straordinaria, viva che ti faceva male agli occhi, tale da rimanerne accecato e poi una musica, una musica strana e misteriosa, che ti scoteva fin dalle radici dell'anima...
Ed è per questo che alcuni di loro decisero di andare in giro a far domande a quegli uomini , rari , reputati saggi e istruiti di quel lontano tempo in cui si svolsero i fatti che vi stiamo narrando. ( vds. pagg. 15-16)


LA VECCHIA CHE DORME

La vecchia prese un bastone e cominciò a disegnare figure. Ma che cosa credete, bifolchi che non siete altro. Macara!, strega!, fattucchiera!, così mi chiamate. Nomi che i bambini sciocchi e paurosi danno sempre alle persone di cui non comprendono la scienza e il potere. No, non è vero, noi sappiamo che tu..., si difese Capasa. Taci, bifolco!, voi dovreste essere lapidati con olive verdi e capperi libanesi...siete talmente stupidi!...Diceva bene il mio avo Nazareno Sprizzafico, basta che gli scagli addosso una manticora inferocita che passano dal Crucifige all'Osanna...o viceversa...Quelli restarono ammutoliti senza nulla capire e la guardavano inebetiti,mentre la vecchia che dorme riprendeva...Io guardo attraverso le persone , nel profondo, io vedo ciò che nascondono agli altri e a se stesse. Tocca a loro capire. Qui tra di voi non c'è nessuno che non sia marcio e tarato, ma verrà un giorno uno che è giusto, uno che ha il cuore puro, amore e volontà di ricostruire. Quello, quello vi salverà. E chi è?, chi è?Uno che c'ha dentro di se il passato e il futuro, capito?... E chi è? , chi è? Ma la vecchia che dorme serrò gli occhi e la bocca, si sdraiò lì sulla terra dura , immobile, e non disse altro. A che scopo parlargli, disse Picalonga, è perdita di tempo. Capasa gli si avvicinò, vecchia, vecchia, aiutaci!, almeno un segno! La vecchia lentamente mosse le labbra, ma senza aprire gli occhi, e disse guarda il tuo cavallo. Il tuo cavallo porta nella sua
criniera i fili del vostro destino. Il buon Capasa tentò di rispondere che lui non ce l'aveva il cavallo, mai avuto un cavallo. Ma non poté, rimase immobile. Anche gli altri rimasero come paralizzati. In quel momento preciso passò come una folata di vento gelido una figura irreale. Poi il vento aumentò con tale impeto che tutti furono gettati a terra e dovettero aggrapparsi alle rocce acuminate e alle radici degli alberi per non essere trascinati via; quel soffio di vento era in realtà un cavaliere nero ,su un cavallo nero coperto da una gualdrappa nera, con una lancia nera e uno scudo nero; quel cavaliere-nero che cavalcava un cavallo-nero-nero come l'ebano, quel cavaliere con la corazza-nera su cui scendevano lagrime d'argento aveva la forza dell'uragano e il ritmo e l'irruenza di un fiume in piena. Strappava alla pareti della roccia di Cisternella una musica prodigiosa. La grotta della vecchia che dorme cantava mentre il cavaliere galoppava all'infinito, si lamentava la gola della grotta come un flauto di pietra. Da quale fonte aveva origine e si propagava quel flusso impalpabile e furioso? Da quale abisso provenivano quei gridi lungamente modulati , quegli atroci lamenti , quei singhiozzi senza fine, quel fiume di lagrime d'argento?. Sembravano cento, mille, diecimila cavalieri, ed era uno. Poi tutt'a un tratto il vento cessò e il cavaliere disparve. Capasa non ce la faceva ad alzarsi. E anche gli altri due si sentivano pesanti pesanti, erano come macigni. Che cazzo è stato?, disse Toto Picalonga. Sono come di pietra; anch'io, disse Capasa, e anch'io disse Mazzacani.Ma chi era? Che sortilegio ci hai fatto, vecchia? E' il Cavaliere Mutilato, disse la vecchia che dorme.
Il Cavaliere Mutilato?
Sì, lui potrà dare una risposta alle vostre domande.
E dove lo troviamo più, ora, il cavaliere?, dissero Bobo e Bibo.
Cercate e troverete, un segnale io ve l'ho dato, disse la vecchia e si tacque subito dopo, sdraiandosi a terra. Vecchia, vecchia che dorme, abbi pazienza, abbiamo fatto tanti chilometri, chi è questo cavaliere mutilato?, dove sta ora?, qual è il suo nome?, dicci!...
Niente da fare. La vecchia che dorme...dormiva.
(vds.pagg.18-19)


SUONAVANO LE TROMBE

Le trombe suonavano , ma non si sapeva da dove venissero.
Dalla chiesa, forse? No. Dalla distesa di ulivi frondosi che era poco distante? Forse. Dalle nuvole del cielo, che in alto in alto sembravano assumere l'aspetto di una città fortificata? Nessuno sapeva dirlo. Il loro canto era acuto, gioioso e alato come il vento.
Le trombe suonavano e la gente accorreva.
Ecco allora dopo un poco arrivare Pappo e gli altri tre beati che andavano dietro un grande cavaliere che cavalcava un magnifico stallone nero, che faceva uscire fiamme e fuoco dalle narici. Il cavaliere aveva una gamba e un braccio mutilati e insieme agli altri quattro formava uno strano corteo musicale; era Pappo che suonava divinamente la tromba, ora sembrava che le note musicali fossero angeli bianchi; mentre Picalonga, Capasa e Mazzacani suonavano rispettivamente il tamburo , il liuto e il flauto.Ma c'erano anche altri suonatori sconosciuti e tutti insieme formavano una vera e propria banda musicale.
Bum bum rai rai
zic zac ticche tac...
E la musica si spargeva nelle povere case e nel cuore della gente come un velo di malinconica dolcezza. Dal cavaliere completamente ricoperto di una corazza nera lucente, anche il viso interamente coperto dall'elmo e dalla celata calata; dal cavaliere armato di spada, che brandiva con l'unica mano, la sinistra; dal cavaliere mutilato che dondolava fieramente sul cavallo di purissima razza, veniva un lamento come di flauto di pietra, un sibilo di lancia, un singhiozzo di lira, una malinconia di spada insanguinata, tutto in lui era come una straordinaria sorgente di luce tenebrosa e di musica triste. Le donne, i bambini e i vecchi piangevano senza ritegno e si sentivano felici, mentre gli uomini, pur commossi visibilmente , trattenevano a forza le lacrime, ma poi qualcuno non resisteva e prorompeva in un pianto senza più pudori: come sono felice, compare, come sono felice di piangere. (vds.pagg.22-23)


LA VECCHIA MACARA

Tutti, come se fossero afferrati da una forza strana e terribile, si chinarono a guardare la curva della fiamma del fuoco. Una cosa incredibile, a raccontarla non ci si crede, ma la vecchia aveva cominciato a cantare e la sua canzone saliva verso il cielo tenebroso e stellato come una fontana ardente. C'era di tutto in quella canzone, la vibrazione del gong, il tintinnìo dei cimbali, lo squillare delle trombe e il rauco languore degli strumenti a corda, i liuti, i salteri e le arpe, nei loro toni più bassi. Dove cazzo aveva tirato fuori quella voce, la lorda vecchiaccia! Era una voce di bronzo e di velluto, era un canto che sembrava abitato , cavalcato dai demoni e dai geni stessi della solitudine , dalla notte e dal fuoco. Era un incanto che quei vili e rozzi servi della gleba non avevano mai udito. Impeto furioso e superbo di immensa libertà, invocazione all'infinito che ti toglieva il respiro....Fu allora che videro un cavaliere nero ,su un cavallo nero coperto da una gualdrappa nera, con una lancia nera e uno scudo nero; quel cavaliere-nero che cavalcava un cavallo-nero-nero come l'ebano, quel cavaliere con la corazza-nera strappava alla pareti della roccia di Cisternella una musica prodigiosa...
Ma chi era? Che sortilegio ci hai fatto, vecchia? (vds. pagg.38-39)


IL GIUSTIZIERE DELLA TERRA D'OTRANTO

Serra l'assedio. Sollecitamente. Virilmente. Potentemente. Ti mando rinforzi di balestrieri e altri militi, per tenerli con te, al tuo servizio contro i traditori rifugiati in Gallipoli.
I baroni, che il re vuole morti ad ogni costo, vengono stretti d'assedio ,sia via mare che via terra, ma essi non solo resistono, nonostante i ripetuti e frequenti assalti, nonostante le malattie e la fame, ma addirittura contrattaccano di notte con il cavaliere nero che fa strage di uomini.
Ogni mattino vengono trovati non meno di venti cadaveri davanti agli accampamenti. Chi è questo misterioso cavaliere che da solo tiene in scacco un intero esercito?
Il Giustiziere chiede informazioni , sguinzaglia i suoi informatori.
Andate dappertutto, pure a Napoli, chiedete, pagate, - allunga una borsa con monete d'oro - ma fatemi sapere con chi ho a che fare. Quello da solo è capace di farci rimanere qui una vita senza concludere niente. Ed io che figura ci faccio con il mio re?
Poi comanda ai suoi ingegneri di darsi da fare, di progettare qualche macchina nuova, chiama a raccolta i capi e dice loro di studiare la tattica e i mezzi più opportuni per attaccare il castello e far fuori in primis quel maledetto, stramaledetto cavaliere. Ma chi cazzo è? Qualcuno di voi l'ha visto? Guarguaville disse un mio balestriere l'ha visto. Lo mando a chiamare? E che aspetti! Venne il balestriere. Tu l'hai visto, sì, l'ho visto, Vostra signoria. E com'è? E'...Com'è, balestriere, non aver paura. Parla pure. Non sarà mica un drago che sputa fuoco e c'ha la coda avvelenata, no? No...Però...Parla, cazzo! E'...mutilato. Mutilato? Sì. Ma che vai dicendo, balestriere bugiardo e analfabeta...Vi giuro sul Crocifisso e sulla Sacra Bibbia...Che è...Mutilato? Sì,proprio così... Tenuti in iscacco da un cavaliere mutilato! E il Giustiziere rise rise rise come un pazzo, la sua risata arrivò fino ai merli delle torri che tremarono. Ma non tremò il cavaliere mutilato che con il suo stallone nero stava lassù, con le bandiere che ridevano al vento.
In tutti serpeggiava il terrore del Cavaliere Mutilato, se lo sognavano di notte. Facevano la guardia in quattro alla volta. Ci avete fatto caso?, disse il balestriere fiammingo Tanchelmo agli altri tre soldati di guardia. Che? Il Giustiziere....E Tanchelmo si fermò. Cosa, il Giustiziere, olandese di merda! Parla! Il Giustiziere non fa uso del braccio destro...impugna la sciabola con la manca. Non è il primo che è manco...sai quanti ce n'è di manchi...Sì, sì, e sono i più rognosi, i mancini. E la gamba sinistra, allora?...Cosa la gamba sinistra?... Quando scende da cavallo fa assai fatica a poggiarla, sembra che cammini in equilibrio scemo...Ma che dici, ubriacone di un fiammingo...che vuoi dire, bestia! Niente, niente...Ma...Sei proprio uno stolto!, sei un...un matto!...sei una testa di cazzo! Come puoi pensare che il Giustiziere e il Cavaliere siano la stessa....persona! Ma tu guarda questo di un balestriere, è tuttotocco!...
Cari ingegneri e architetti , disse il Giustiziere, datevi da fare con le macchine, altrimenti qui ne va di mezzo la mia testa. Dovete costruire delle macchine da guerra potenti come quelle che ho visto fare ai saraceni in terrasanta, che ci consentano di poter penetrare nell'agguerrita muraglia della città.Se l'hanno fatto i musulmani, non vedo perchè noi non dobbiamo riuscire, giusto? Giusto, Giustiziere, disse Guarguaville. E osservò che effettivamente il giustiziere aveva il braccio destro sempre coperto, senza mai mostrarlo. E camminando sembrava ciotto.
Tu, Bernardo , sarai il mio referente, il mio alter ego, disse il Giustiziere. Falli lavorare giorno e notte, senza sosta, senza tregua, capitooo? Bernard de Guarguaville s'irrigidì in un attenti perfetto e subito iniziò a lavorare di buona lena... S'impegna a fondo, il buon Bernard, ce la mette tutta e in poco tempo fa costruire una specie di castello di legno, una sorta di cavallo di Troia, per attaccare sul versante orientale, ritenuto il più debole della città.La macchina è ormai pronta e perfetta, i comandanti ne ordinano il faticoso e problematico trasporto, tutto è pronto per l'attacco alla città, la presa del castello, la cattura dei trentatrè...non più trentatrè, ma trentaquattro baroni, quando giunge un nuovo messaggio del re. Lascia stare l'assedio e mandami al più presto tutte le forze dislocate sotto le mura di Gallipoli. ( vds. pagg.76-78)


LA COSTRUZIONE DELLA LIZZA

...Tra di loro un giorno si arruolò un Signore che aveva una sola gamba e un solo braccio. Si diceva che fosse un nobile , qualcuno diceva di Collemito, altri di Provenza, caduto in povertà . Lo chiamarono subito il Cavaliere Monco. E risero di lui, come fa quello a lavorare con un solo braccio e una sola gamba, dissero. In effetti al posto della gamba sinistra e del braccio destro aveva due moncherini, ma quando cominciò a lavorare non se ne accorse nessuno, riusciva a stare anche dodici o quattordici ore curvo a impastare paglia e fango, a mettere mattoni, facendo il lavoro di due o tre uomini insieme. Ma si era fatto assumere nel cantiere accettando solo un salario simbolico, del tutto insignificante, il più basso di tutti .Allora gli altri operai , preoccupati che il Cavaliere Monco potesse fare abbassare le già misere paghe, si misero d'accordo per sopprimerlo; gli tesero un agguato e lo abbatterono colpendolo nella schiena a colpi di martello e gettarono il suo corpo in mare perché non fosse più trovato. Ma i pesci del mare s'ammassarono tutti nei punti in cui si trovava il suo corpo e lo tennero sollevato a filo dell'acqua. Noi tutti , disse il vecchio con un filo di voce, vedemmo quel corpo galleggiare illuminato da tre ceri azzurri sopesi nel cielo. E il corpo del Cavaliere rimase così , sul pelo dell'acqua, illuminato per tutta la notte. (vds. pagg.97-98)


LA DONNA GRASSA

...Quella donna grassa che è morta un attimo dopo che tu sei uscito, disse il vecchio, e sottolineò, ti ripeto un attimo dopo, solo un attimo, capisci?...quella donna....è...
Il ragazzo distolse lo sguardo, si tappò le orecchie. No, non dirmelo, non dirmelo, vecchio!... Quella donna grassa... era...No, non dirmelooo!...era tua madre, ragazzo!
Tua maaadreee!...hai capito? No, nooo, noooo!, taci, taci, taci, maledettooo!
Il ragazzo si mise a correre come un pazzo gridando noooh, nooooh, noooooh!, ma dopo qualche tempo ritornò e vide che il vecchio era seduto su di una pietra e rifletteva. Perdonami, vecchio. Lo sapevo, lo sapevo che era mia madre, disse il ragazzo. Lo sapevo.L'ho sentito. L'ho sentito qua nella pancia. Mi si muoveva qualcosa, nonsocosa, qualcosa dentro nello stomaco...Io sono il figlio dello scudiero innamorato, vero?...Io sono il figlio dello scudiero, vero?Il vecchio non rispose. Si eclissò e si mise in ascolto di se stesso. Ascoltava il risuonare dentro di se del fluire della vita, dell'eco delle valli, la canzone dell'acqua, il sussurrare dei tigli, il sospiro leggero delle farfalle.
Mentre l'anima del ragazzo gridava io soffro, io soffro...
io soffro, io soffro..
io soffro, io soffro.
E con sofferenza, per la terza volta chiese al vecchio se lo scudiero innamorato era suo padre e per la terza volta il vecchio non rispose.
Allora il ragazzo non insistè più. Era molto triste e gli disse va bene, vecchio, non importa, me lo dirai un'altra volta, ora sono molto triste, troppo triste. E voglio che rimanga con me la mia tristezza. Ho rispetto per la mia tristezza.
Io soffro, io soffro, io soffro, io soffro,io soffro, io soffro.
Pensò che sarebbe stato bello piangere come quand'era bambino e cercare il conforto del vecchio, risentire le sue puzze care di vecchio, invece si rannicchiò in se stesso come dentro un guscio,una tartaruga, e cercò il silenzio. Lo trovò e vi navigò come un pesce colorato in un fiume d'acqua dolce, ma ecco che quel fiume alla foce confondeva le sue acque con quelle del mare. Ed era il mare che da millenni rompe le onde sugli scogli e sulle mure di Gallipoli, materiale dell'anima.(vds. pagg.119-120)


IL CAVALIERE INNAMORATO

...In quello stesso istante Ella , che si trovava nella sua casa di campagna, in contrada Pamacchio Senape del Bello, come se avesse percepito le parole di Cosimino, lasciò cadere i ferri con cui stava ricamando un sopracollarino da parata militare e chiuse gli occhi per un attimo. Sospirò. Poi tornò ad aprire i suoi grandi occhi azzurri , ma nel riaprirli non seppe dire quanto tempo era passato da quando li aveva chiusi ,nè su che parte del tempo immenso, teso, si affacciava ora. Chissà in che epoca siamo, si chiese? Ma non aveva importanza. Sapeva che Cosimino P. Suso sarebbe passato a salutarla. L'aveva promesso. Venne prima uno stormo d'uccelli, erano marzaioli, poi sentì i latrati dei cani neri che ,- alcuni vicini,vicinissimi, altri lontani, lontanissimi, - disegnavano le distanze della campagna nella notte. Subito dopo un cavaliere galoppò per un sentiero ed Ella si alzò di scatto e andò sul balcone, coi suoi lunghi capelli neri sciolti sotto la luna. C'era una musica d'arpe e flauti che attraversava la sera e copriva il rumore degli zoccoli del cavallo. Ella fu presa da un attimo di angoscia perchè non sapeva da dove sarebbe venuto il cavaliere , sapeva chi era, ma non sapeva nè da dove veniva, nè dove andava, nè quanto tempo sarebbe durato quel galoppo, nè se avrebbe avuto il tempo di salutarla prima di proseguire il viaggio. Ora la musica si fece danza, canto, colore, profumo d'incenso, il galoppo era più leggero adesso, molto leggero, quasi impercettibile, il galoppo era all'interno delle orecchie di Ella e restò inchiodato lì, dentro le sue orecchie. Ella sorrise. Cosimino G. Suso, disse, ora ti sento. Ti sento. (vds. pag.158)


SUOR MATILDA

...Fu in questo periodo che conobbe la duchessa Matilda di Hackerbon , molto colta e finissima letterata , che si era fatta monaca cistercense ed ora era la Badessa del Monastero di Gissi, ma trovava il tempo per dirigere una scuola di canto e cantava così bene, con una voce così meravigliosa che sembrava uscissero angeli e nubi colorate dalla sua bocca. Ma divenne famosa soprattutto per un fatto singolare.
Era la suora che aveva deciso di pregare per i peccati più schifosi e ributtanti, quelli per cui non pregava nessun altro ,suora o monaco che fosse. Il pagare questi debiti innominabili per la salvezza degli altri, le procurò un costante atroce mal di testa che la afflisse fino alla fine dei suoi giorni. Quando con il passar degli anni tutto sembrava condannarla al pessimismo , alla amarezza, alla sofferenza, alla tristezza, suor Matilda lottò strenuamente e vinse contro questi sentimenti, conservando la sua serenità, il suo gioioso sorriso.
E con questo spirito indomito e sereno, convinse Azzo a non darsi per vinto,a lottare e combattere , non più per la sua gloria personale, ma per la gloria celeste, per la gloria di Dio. E fu lei la prima che gli parlò della contessina di Gallipoli e lo convinse a partir crociato in terrasanta. Ah, suor Matilda, che donna straordinaria!.. (vds. pagg.162-163)


LO SCUDIERO INNAMORATO
Una canzone aveva preso a cantargli nella gola, era felice come mai non lo era stato prima. Era tutto vero, tutto vero, tuttovero! E avrebbe rivisto Marian, prima o poi. Lo sapeva. Non gliela aveva forse detto il vecchio?Aveva voglia di gridare la sua felicità.
Ieri ero sicuro che voleva la mia morte,pensò Azzo. Dove è finito ora quel suo desiderio di vedermi morto?...Spronò Aristide, finchè giunsero sulla serra, dove una striscia sottilissima di terreno petroso che i piedi umani e gli zoccoli animali avevano messo a nudo, lungo i secoli, nel folto della verzura. Correva diritto, scoscesa, fino al mare, che era come protetto da una foltissima rigogliosa pineta. Soffiava una gelida brezza. Azzo de Sancto Bono spronò il cavallo, che esitò...Vai, vai, Arì...Ma Arì sapeva che il suo padrone non era in grado di sostenere la discesa...Infatti dopo pochi metri fu scaraventato di lato con tale violenza che solo il suo istinto di acrobata lo salvò dalla caduta, ma lo sforzo fu talmente superiore alle sue forze che non potè fare a meno di gridare...La gamba!, la gamba!Il balsamo di Marian aveva finito il suo potere.
Aristide si fermò, restò immobile , coi fianchi agitati e il respiro irregolare, la testa bassa e inerte, come attonito, addolorato. Aspettò che Meo si avvicinasse e facesse scendere il cavaliere. Ormai non erano lontani dalla pineta...Vergogna, vergogna su di me...lasciami qui...lasciami morire... prenditi i miei danari, ma lascia libero lo stallone...senza di me non riuscirebbe a sopravvivere...Ma che dici, mio Signore? Io sono il tuo fedele scudiero, te ne sei dimenticato?, disse sorridendo Meo Bentivolio.
Tu avevi un delitto nel tuo cuore, vero? Ma ora è venuta quella puttana e ora non hai più che lei nel sangue, nel cuore, nel ventre...Cane randagio, stupido ignorante gigantesco cencio di fango e cacca! Uccidimi e vai! Ma che dici, Azzo? Io ho giurato a tuo padre che avrei vigilato su di te e lo farò fino alla fine dei miei giorni. Vile! Bugiardo!Tu menti!, disse Azzo Primo di Sancto Bono e poi gli si fece un vortice nella testa...nella sua testa s'affollavano cani senza orecchie e con la gola squarciata che correvano attraverso l'arcobaleno e i laghi d'Abruzzo e lui stesso era travolto e scagliato in un canalone buio...Questa è una fattura di quella zingara puttana, pensò.Aristide si era fermato e lo guardava atterrito. Arì, Arì!..Il cavallo nitrì d'angoscia...Azzo Primo si sentì catapultato nel cielo...il suo corpo toccava la cima degli alberi più alti...volava, sì volava come Gianni il Chierico! Aveva una forza prodigiosa nelle braccia, le roteava e lui volava... volava...finchè toccò terra, pesantemente. Aveva perso conoscenza!
Basta parlare, ora! , disse Meo Bentivolio. E se lo issò sulle spalle. Stavano avvicinandosi alla pineta. Era mezzogiorno, l'ora in cui muoiono le ombre. Non c'era nulla tra il sentiero di rocce e la pineta, e pure Meo Bentivolio, il gigantesco scudiero che aveva ancora sulla spalle il cavaliere di Sancto Bono, vide una macchia bruna proiettata da uno sperone di roccia. No, non poteva essere!... Meo lasciò lentamente il corpo quasi esanime del cavaliere, lo adagiò e si portò una mano agli occhi sottili e lucenti come quelli di un falco e scoprì che l'ombra impossibile era una donna seduta sulla cresta di una pietra. Cominciò a correre con il cuore che tumultuava. Marian, Marian, oh, Marian!...Sia benedetto il Signore!... La nomade puttana!, pensò il cavaliere che aveva riaperto gli occhi.
Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo che.....lo sapevo...Puttana...puttana!...
Marian, Marian!, oh, benedetto Iddio!...continuava a correre come un folle lo scudiero... Avrebbe baciato i suoi piedi, le sue mani, i suoi capelli... l'avrebbe adorata!...Poi quando fu certo che era lei, Marian in carne e ossa, si fermò. Arrossì. Ebbe pudore di abbracciarla,la gioia era troppo grande. Tornò indietro , sempre correndo, dal suo padrone.
E' Marian, padrone, disse.
Con grande sofferenza, Azzo lo fece avvicinare e disse sottovoce: se le vai incontro e insozzi il mio onore, ti faccio saltare gli occhi con il mio scudiscio, hai capito? . Sozza ,immonda bestia, non sai che tocca a lei salutare? ...E Marian , una macchia nera leggera, aerea, venne verso di loro. Senza degnare di uno sguardo lo scudiero, si inginocchiò davanti al giovane cavaliere ferito e appoggiata la fronte alla staffa del suo cavallo esclamò con voce supplichevole: prendimi con te, o signore, prendimi nel tuo viaggio! Non avrai mai serva tanto umile e silenziosa, obbediente alle tue volontà. Non lasciarmi, te ne scongiuro, con la gente della mia tenda.
Da quando è morto mio marito mi tengono come una schiava. Lavoro per loro. Mangio i loro resti. Gli uomini mi stendono a piacere sotto il loro ventre. E per questo le donne mi graffiano e mi battono senza pietà. Lascia che ti segua, o padrone. Non voglio alcuna ricompensa.Un pugno di riso e una coperta sono sufficienti per la povera Marian.
Cagna!,- pensò - tu sei qui in ginocchio davanti a me, ma sei venuta solo per Meo e per lui soltanto. La stava per colpire col suo scudiscio, allora Marian ,come se gli avesse letto nel pensiero, alzò la testa verso di lui. Era bellissima e il sole di mezzogiorno, che illuminava in pieno i suoi lineamenti, li spogliò di tutti i loro artifici.Sotto l'implorazione servile, sotto il belletto stemperato delle lacrime ingannevoli, Azzo scoprì improvvisamente una forza, un'avidità, una determinazione singolari.
La forza di Marian era superiore alla sua. Gettò un occhiata allo scudiero che tremava come un bambino, come un malato. L'adorazione, la speranza, l'angoscia si alternavano, nei suoi occhi.Marian sapeva d'aver vinto. Abbassò nuovamente la testa e premette di nuovo la fronte sulla staffa.
Pietà, o signore!
Il metallo della staffa bruciava, scorticava la guancia di Marian, che restava sempre in ginocchio.Era una bellissima vedova bambina sotto il sole feroce dell'estate salentina.
Puoi seguirci, disse Azzo.E fu come se si fosse frustato.(vds.pagg.167-169)


IL TRADIMENTO

...Oro!,oro, o buon Dio, che fortuna!..Cercò di mettere ordine ai suoi pensieri, che si affollavano disordinatamente nel suo testone...Prima di tutto, prima di tutto Marian...sì, devo dirlo a Marian....a lei...lei mi saprà consigliare...pensava...e le idee si affestellavano nel suo crapone di scudiero...Oh,Marian , Marian, Marian!...disse sottovoce.E le raccontò tutto. Oh, mio grande stupendo scudiero!, disse Marian.E' già deciso. Stanotte stessa, tra poco lo uccideremo e ci impadroniremo di tutto l'oro...Ma certo!, disse Meo. E l'abbracciò e la divorò di baci,la toccò da tutte le parti...Marian si lasciò fare e ,senza porre ulteriori indugi, aveva già messo in mano a Meo , che di suo aveva una spadona, il sottile silenzioso pugnale dei nomadi. Fai finta di partire, vai al galoppo con Aristide... Ora, subito! Non c'è tempo da perdere, mio stupendo scudiero.
E così fece. Ah, Arì!, ah, Arì!...E galoppò per un breve trattò, poi avvolse di stracci gli zoccoli di Aristide e tornò indietro, passò rasente lo steccato , perchè i cani non potessero riconoscerlo, aggirò a distanza la grande tenda dov'era Azzo e aspettò Marian, che arrivò con la leggerezza di un uccello notturno. Rimase in ascolto dietro la tenda, nessun movimento, nessun rumore. In tutta la contrada vegliava soltanto un filo di luce che filtrava dai lembi della tenda dov'era il cavaliere...A lunghi passi silenziosi avanzò, scivolò verso il filo d'oro che bordava la base della tenda, allargò un poco l'apertura di accesso...Sentì la mano di Marian che lo sfiorò...Ora, sussurrò la nomade. Ora!..Ora!...Vide il corpo disteso, la coperta sollevata fino alla prominenza della testa...E se fosse già morto?, pensò. Ma non prolungò ulteriormente il pensiero...Con un balzo fu sul letto sopra il corpo del suo Signore. E Marian lo seguì...Ma ecco che la nomade venne afferrata alle caviglie e cadde di schianto... Aiuto!, Aiu..!..E subito perse la voce.Meo fece per gettarsi addosso all'ombra che aveva afferrato la sua Marian e la teneva prigioniera in una morsa.Se fai un altro passo strozzo la tua puttana, disse la voce. Era quella di Azzo e vide che l'ombra di Marian giaceva a terra e che l'uomo che aveva parlato, drizzato su di un ginocchio, la stringeva alla gola e le soffocava...Io non mi muovo, non mi muovo, ma tu lasciala!...Lasciarla?...Se farai tutto quello che ti dirò,forse la lascerò..
...Ordina, Cavaliere!.
Portami il cavallo, qui, vicino a me...E tu rimani a distanza, altrimenti...
Per il signore Iddio non tenterò nulla, nulla...nulla...mio Signore...
Azzo allentò la stretta, un rantolo uscì dalla gola di Marian. (vds.pagg.179-180)


IL RITORNO DI MARIAN

...approdò sulla spiaggia di Otranto. E qui ,cercando ricci, entrò in una grotta marina, dov'era una donna addormentata. S'avvicinò e il cuore gli sobbalzò in gola. Oh, mio Dio, non è possibile, questo è un sortilegio, si disse. Era Marian, tale e quale come l'aveva lasciata più di trent'anni prima. Oh, buon Dio, com'è possibile? Dormiva. La tenerezza di quel corpo abbandonato ,quel corpo odoroso, fresco e pulito, la mano posata sul soave incavo dei seni, e i lobi delle orecchie, il bronzo della pelle che ora aveva preso una tinta rosata che ornava di grazia e di innocenza il collo incurvato e avvolto in un tessuto chiaro dai ricami consunti...tutto immutato...come se il tempo non fosse passato...Improvvisamente capì che era quel corpo, solo quello il corpo che lui aveva lungamente desiderato dal primo istante che aveva visto la Nomade entrare nella sua tenda, più di trent'anni fa... Ma è un' illusione ottica, un sogno, altrimenti sarebbe una feroce crudeltà del destino... Come era possibile ritrovare la bellissima selvaggia nomade , così come l'aveva lasciata, praticamente intatta? Anche se questo miracolo fosse possibile , vero ,che cosa potrei fare io oggi? Nulla, nulla...Era vecchio e forse impotente. E tuttavia provò ancora il folle desiderio, il bisogno inconfessabile e ossessionante di possedere quella giovane misteriosa fanciulla , per lui inaccessibile, che aveva incredibilmente il volto di Marian.
Ne provò spavento, si ritrasse da quel giovane corpo dormiente e s'allontanò per uscire dalla grotta. Ma prima si voltò ancora e gettò un ultimo sguardo sulla fanciulla in tutto e per tutto uguale a Marian la Nomade. Fra il tuo corpo e il mio desiderio di esso sta l'abisso che tu sia cosciente: ah, potessi amarti senza che tu esistessi!...
Fu allora, in quel preciso istante , che la fanciulla aprì gli occhi d'oro e sospirò...Oh, mio signore, mio signore! Dove vai? Ti ho tanto atteso, ristai.
Ma tu...chi sei , fanciulla?...
Non mi riconosci, mio signore? Sono così mutata?...Io sono Marian la Nomade...
Tu menti! Marian ,se non è ancora morta, è oggi una vecchia zingara...
Ma...guardami, Azzo!, sono io, io che ti parlo, Marian la nomade. E te lo posso dimostrare, se vuoi...Sapessi quanto ho pregato il signore di farmi questa grazia, il miracolo di lasciarmi com'ero allora, perchè dovevo attenderti e baciare le tue mani...le tue meravigliose mani ,le tue nobili mani... (vds.pagg.189-190)