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3) L'errore dei fisici
Il chiaro legame diretto, nell'ambito del discreto , fra la velocità e lo spazio, è stato involontariamente spezzato dalle comode invenzioni del continuo e del tempo .
Legame che poi siano stati costretti a ristabilire con le trasformazioni di Lorentz, quando abbiamo scoperto l'esistenza di una velocità limite .
L'errore dei fisici è il semplice non voler ammettere che quelle di Lorentz sono solo un modello ingegneristico che asseconda abbastanza bene il movimento a scatti , con l'annessa dilatazione del tempo, dunque, che non è un fenomeno reale, ma solo la conseguenza del fatto che non conosciamo lo scatto elementare del moto.
Nel discreto diciamo:

il moto nel continuo
e nel discreto più la particella instabile X è veloce, più di conseguenza è grande lo spazio che effettivamente percorre, e ciò visto che aumentano sempre di più il numero di scatti elementari.

Nel continuo invece diciamo:

più la particella instabile X è veloce, più accentuato è l'effetto della dilatazione del tempo, e quindi più grande è lo spazio che effettivamente percorre.

Fra le due interpretazioni dello stesso identico fenomeno, non c'è paragone, la spunta, sotto tutti gli aspetti, la prima interpretazione, quella nell'ambito del discreto.

Ma come è possibile che i Fisici del ventesimo secolo siano stati costretti a inventarsi l'assurda dilatazione del tempo ?

La cosa è abbastanza semplice, vediamo.

In base a ciò che i nostri sensi ci dicono, il movimento ci appare fluente e continuo.

Ma i nostri sensi potrebbero ingannarci, per cui in realtà il movimento potrebbe avvenire per scatti elementari, e dunque per scatti non ulteriormente frazionabili (da qui in poi li chiamerò anche solo scatti).

A scatti o continuo che fosse il movimento, ad un certo punto della sua storia, all'umanità si è presentata la necessità di confrontare fra loro i movimenti.

Confrontare fra loro due movimenti A e B, in base al numero di scatti, fu ed è impossibile, visto che non conosciamo l'entità del singolo scatto.

gli orologi non misurano il tempo,
ma sono essi stessi il tempo In conseguenza di ciò, i nostri antenati, hanno cominciato a confrontare i movimenti con un intervallo di riferimento, il giorno terrestre, il cosiddetto tempo, e hanno optato per il movimento continuo, con dunque una distanza fatta non di un numero finito di scatti elementari, ma addirittura con ogni distanza, qualunque essa fosse, fatta viceversa sempre di numero infinito di scatti infinitesimi tendenti a niente (da qui in poi li chiamerò anche solo scatti infinitesimi).

E siccome i movimenti (e in generale i mutamenti) che occorreva definire erano sempre più repentini, hanno cominciato a dividere il giorno in intervalli sempre più piccoli.

Tutto ciò porta a dire:

nel continuo A è più veloce di B, ma fa lo 
stesso numero di scatti infinitesimi di B - essendo A più veloce di B, A copre una determinata distanza D in un tempo inferiore, con entrambi, A e B, però, che hanno comunque il medesimo "numero" (l'infinito del continuo) di scatti infinitesimi nel momento in cui A ha coperto tutto D, e B solo una frazione di D (FrD).

Cosa, quest'ultima, che evidentemente, nel movimento a scatti, è del tutto falsa, ed infatti:

- se A è più veloce di B, A copre una determinata distanza D in un tempo inferiore, con entrambi, A e B, però, che non hanno il medesimo numero di scatti elementari nel momento in cui A ha coperto tutto D, e B solo una frazione di D (FrD)

nel discreto A è più veloce di B, e fa un
numero maggiore di scatti elementari di B ed al punto che possiamo dire:

- se A è più veloce di B, A non solo copre una determinata distanza D in un tempo inferiore, ma sempre A è in grado anche di coprire distanze maggiori (A copre D, mentre B solo FrD).

Ma a questo punto viene il bello:

si scopre cioè che le particelle instabili coprono distanze maggiori se sono più veloci, e che è esattamente ciò che è descritto appena sopra, è cioè ciò che esattamente accade nel movimento a scatti del discreto.

I Fisici però, legati mani e piedi dal continuo, reputano che, essendo A più veloce di B, A copre una determinata distanza D in un tempo inferiore, con entrambi, A e B, però, che hanno comunque il medesimo "numero" (l'infinito del continuo) di scatti infinitesimi nel momento in cui A ha coperto tutto D, e B solo una frazione di D (FrD).

Perchè tutto torni sono, di conseguenza, stati costretti a inventarsi l'assurda dilatazione degli intervalli di tempo.

l' assurda dilatazione del tempo Con il tempo, visto che ignoriamo l'entità di un singolo scatto del movimento, che è lecito invece utilizzare solo come variabile di comodo per definire numericamente il movimento a scatti.

Ma vediamo di capire ancora meglio il perchè i fisici siano stati costretti a inventarsi l'assurda dilatazione degli intervalli di tempo.

L'Universo tutto, in sostanza, è fatto di piccole caselle, è cioè solo ed esclusivamente discreto.

il nostro Universo e dove tutto è finito
e limitato, è contemplato il vuoto e il 
movimento avviene a scatti E' la natura stessa che c'è lo dice, e proprio attraverso gli esperimenti relativi al moto.

La natura, infatti, interrogata (con degli esperimenti) su piccola e su grande scala, ci restituisce sistematicamente sempre la medesima velocità limite, il che è esattamente tipico di un Universo discreto.

Essendoci lo scatto elementare del movimento ignoto, e ciò perchè infimo, abbiamo aggirato la difficoltà a conoscerne l'entità, inventandoci il tempo ed il continuo.

Quando abbiamo scoperto l'esistenza di una velocità limite, ormai ritenendo il tempo ed il continuo entità vere della Realtà Fisica, siamo stati costretti a inventarci le trasformazioni di Lorentz con annesso obbrobrio della dilatazione del tempo.

Lorentz Il tempo, dunque, nato per fungere da mediatore

(visto che ignoravamo ed ignoriamo, ripeto, l'entità dello scatto elementare)

tra la velocità e lo spazio, l'abbiamo via via trasformato, stravolgendone la sua funzione, e fino a farlo diventare un vero e proprio orrore logico.

In realtà le cose stanno in modo molto più semplice rispetto a quanto viceversa si evince con la dilatazione del tempo.

La Realtà Fisica, cioè, è discreta, ed infatti esiste una velocità limite.

Tutto, dunque, è finito e limitato, è contemplato il vuoto, e il movimento avviene a scatti.

Per cui del tempo, il moto, non sa che farsene.

nel discreto A è più veloce di B, e fa un
numero maggiore di scatti elementari di B Nel movimento a scatti, il tempo, cioè, non è per niente contemplato, perchè esistendo lo scatto elementare, esiste di conseguenza un legame diretto tra la velocità e lo spazio, visto che essere veloci significa semplicemente fare più scatti e quindi più spazio.

Nel discreto dunque resta tutto facilmente spiegato.

I problemi sorgono invece con il continuo.

Nel continuo il legame tra la velocità e lo spazio è mediato dall'invenzione del tempo, non solo, ma il continuo stesso ha anche spezzato il legame che, fra le due suddette grandezze fisiche, nel discreto esiste viceversa chiaramente, e proprio attraverso la scatto elementare.

Legame che abbiamo spezzato quando, optando per il moto fluente e continuo, abbiamo stabilito che, se A più veloce di B, allora A copre una determinata distanza D in un tempo inferiore, con entrambi, A e B, però, che hanno comunque il medesimo "numero" (l'infinito del continuo) di scatti infinitesimi nel momento in cui A ha coperto tutto D, e B solo una frazione di D (FrD).

Con il continuo, così, non esistendo più nei fatti alcun legame diretto fra la velocità e lo spazio, quando abbiamo scoperto l'esistenza di una velocità limite, siamo stati costretti a inventarci le trasformazioni di Lorentz con annesso obbrobrio della dilatazione del tempo.

Quello che infatti ci dice l'esistenza di una velocità limite, è che è sicuro che esiste un legame diretto fra un determinato spazio di lunghezza D e la massima velocità con la quale può essere percorso.

E ciò dato che, qualunque sia lo spazio D, quest'ultimo può al massimo essere appunto percorso con la velocità limite.

La mediazione del tempo, fra velocità e spazio, presente nell'ambito del continuo, cioè, in corrispondenza della velocità limite, svanisce del tutto.

Per qualunque spazio di lunghezza D, infatti, se ci chiediamo:

qual'è la velocità con la quale è possibile percorrere lo spazio di lunghezza D ?

senza problemi di sorta rispondiamo:

qualunque sia lo spazio di lunghezza D, la velocità con la quale quest'ultimo può essere percorso, dipende dal tempo che si impiega a percorrere appunto D.

Mentre invece, sempre per qualunque spazio di lunghezza D, se viceversa ci chiediamo:

qual'è la massima velocità con la quale è possibile percorrere lo spazio di lunghezza D ?

sistematicamente rispondiamo:

qualunque sia lo spazio di lunghezza D, la massima velocità con la quale quest'ultimo può essere percorso, è solo e soltanto la velocità limite.

Ma a questo punto era ed è lecito chiedersi:

nell'ambito del continuo, il tempo gioca un ruolo determinante fra le grandezze fisiche velocità e spazio,
com'è possibile che proprio in corrispondenza di un fatto così importante, la velocità limite, il tempo smette addirittura di esistere ?

La risposta è semplice:

nel discreto A è più veloce di B, e fa un
numero maggiore di scatti elementari di B il moto evolve a scatti, per conto suo, con il tempo che dunque non gioca alcun ruolo effettivo, ma che ha solo una funzione mediatrice, legata all'impossibilità di conoscere lo scatto elementare del movimento.

A tutto ciò si può aggiungere che, con il comodo impiego del tempo, tutto funziona bene fino a quando le velocità in gioco sono piccole rispetto a quella limite.

Ma, man mano che le velocità crescono, il necessario effetto mediazione del tempo, finisce per falsare ciò che realmente avviene nell'ambito del moto, e cioè che la velocità è realmente legata solo agli scatti (ovvero allo spazio), e non anche al tempo.

Tanto è vero che l'impiego dell'invenzione continuo-tempo, non segnalandocela (come invece fa il discreto), sbaglia in pieno proprio in corrispondenza della velocità limite, anzi ci suggerisce che quest'ultima non deve esistere per niente.

Quello che a questo punto abbiamo fatto con la teoria della dilatazione del tempo è ignorare il chiaro segnale che la natura ci ha lanciato, e dando il massimo del credito possibile all'accoppiata continuo-tempo, per evitare la madornale mancata segnalazione, da parte di questi ultimi, dell'esistenza di una velocità limite, per far tornare i conti siamo stati costretti a dilatare gli intervalli di tempo, e secondo una modalità che in progressione tende ad assecondare abbastanza bene ciò che la natura fa con il movimento a scatti.


Giovanni
sabato 26° giorno di ottobre 2002



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