AUSCHWITZ II - BIRKENAU
Ingresso del campo di Birkenau
Quando siamo entrati nel Lager di Birkenau, ci siamo immedesimati per un momento in Pio Bigo e in Natalia Tedeschi, i nostri due testimoni, (il primo purtroppo non ha potuto essere insieme a noi per una malattia improvvisa), che arrivarono proprio a Birkenau, la Tedeschi nel giugno del 1944 e Pio Bigo il 1 dicembre 1944. « Il primo dicembre 1944, di primo mattino all' alba il convoglio arrivò ad Auschwitz-Birkenau, in Polonia»: così scrive Pio Bigo. Infatti dal maggio del 1944 i vagoni - bestiame dei deportati giungevano direttamente a Birkenau e la "selezione" tra coloro che venivano inviati direttamente alle camere a gas e coloro che erano destinati allo sterminio attraverso il lavoro avveniva sulla banchina situata tra il settore maschile e quello femminile del campo.
Foto di deportati giunti al campo di Birkenau
Abbiamo cominciato la nostra visita del complesso concentrazionario di Auschwitz da Auschwitz II - Birkenau, e non dal campo principale di Auschwitz I, proprio per ripercorrere l'itinerario dei nostri due testimoni, e anche perché è Birkenau, ancor di più di Auschwitz I, la vera e propria "fabbrica della morte". Il sottocampo di Birkenau fu costruito, dagli stessi deportati, tra il marzo del 1941 e il febbraio del 1942, nella località di Brzezinka (in tedesco Birkenau), a tre km dal campo principale, allo scopo di potenziare le strutture dell'industria nazista di morte. Infatti, nel gennaio del 1942, nella conferenza di Wannsee, era stata decisa dai gerarchi nazisti la "soluzione finale" del problema ebraico, della cui preparazione ed esecuzione erano stati incaricati, rispettivamente, Heydrich e Himmler, capo del RSHA (ufficio centrale per la sicurezza del Reich), e per tale progetto di sterminio di massa delle "razze inferiori" (oltre agli ebrei, anche gli zingari) l'unico forno crematorio di Auschwitz I era inadeguato. Così, agli inizi del 1942, vennero installate due camere a gas, in due case di campagna da cui vennero sloggiati i proprietari. I corpi venivano bruciati all'aperto in prossimità di Birkenau. Alla fine del 1942, nel Lager, quando la sua costruzione era ormai completata, c'erano quattro edifici che comprendevano camere a gas e forni crematori. (Crematori II, III, IV, V). Il gruppo di studenti ha fatto cerchio intorno alla guida polacca, che in un discreto italiano ha fornito le notizie essenziali sulla storia di questo campo di sterminio, e, subito dopo, la nostra insegnante di Lettere ha preso il microfono per leggere con voce commossa l'inizio del libro di Giuliana Tedeschi C'è un punto della terra . dove la testimone, ancora vivente, così rievoca il luogo della sua tortura:
«Cè un punto della terra che è una landa desolata, dove le ombre dei morti sono schiere, dove i vivi sono morti, dove esistono solo la morte, lodio e il dolore. Di notte lo circondano e separano dalla vita le fitte pareti delloscurità, di giorno linfinità dello spazio, il sibilo del vento, il gracchiare dei corvi, il cielo tempestoso, il grigio delle pietre. Ci si arriva fiduciosi in treno, dopo una corsa attraverso i verdi boschi della Baviera e lungo le fresche rive della Moldova, ancora contemplate con occhi di turista. Ma quando il cancello si è chiuso e i fili spinati sono oltrepassati, si è nellabisso. La gente laggiù ha gli occhi dilatati e opachi, secchi ed ostili. Chi entra attende che il tempo passi e che i propri occhi diventino inespressivi e torvi o che si chiudano per la stanchezza e per lorrore».
Giuliana Tedeschi, Cè un punto della terra , p.11, Casa ed. Giuntina.
Poi il gruppo si è diviso: la maggior parte di noi ha seguito la guida, mentre alcuni ragazzi e alcuni professori sono rimasti intorno a Natalia Tedeschi che, intervistata dal dr. Henryk Swiebocki, procedeva a passo più lento, sforzandosi di ricordare i dettagli della sua prigionia.
Natalia Tedeschi a colloqio con il Dr.Swiebocki (ricercatore del Museo di Auschwitz)
Abbiamo camminato lungo l'asse dei binari della ferrovia che penetrava dentro il campo, avendo, a sinistra, le baracche in muratura e, a destra, il desolante spettacolo dei camini delle baracche di legno, distrutte dai tedeschi nella loro precipitosa ritirata davanti all'avanzata delle truppe russe.
Baracche in legno destinate ai deportati maschi e camini di baracche andate distrutte
Baracche in muratura destinate alle deportate donne
Al termine del lungo percorso rettilineo abbiamo sostato in meditazione di fronte al Monumento Internazionale alle vittime del Nazifascismo. Proseguendo nel cammino, siamo entrati in una baracca in muratura e siamo rimasti colpiti dallo spazio angusto. Noi, circa 70-80 persone, faticavamo ad entrarci tutti: figurarsi come potevano starci i prigionieri in 600-700 o anche più!! Le "cuccette", della dimensione di un letto a due piazze, arrivavano a contenere fino ad 8 prigionieri, pigiati come sardine. Anche questa compressione dello spazio per muoversi e respirare testimonia la riduzione della persona umana a bestia. Inoltre, come ci hanno detto sia la guida polacca sia Natalia Tedeschi, il freddo dellinverno era insopportabile in quella "stalla" dove mancavano i vetri, la stufa non veniva mai accesa, e ugualmente insopportabile era il caldo estivo per lammassarsi dei corpi.
Interno di una baracca
La cosa più impressionante di tutte, però, è stata la visita alle rovine del forno crematorio II. La guida ci ha illustrato le varie fasi della "morte programmata" di milioni di esseri umani e i luoghi in cui queste si svolgevano: lo spogliatoio dove, come ci ha detto la guida, veniva raccomandato a tutti di ricordarsi il posto dove avevano appeso gli indumenti in modo da poterli riprendere dopo; la camera a gas sotterranea camuffata da doccia, dove venivano ammassati i prigionieri, nudi, ignari della sorte che gli attendeva; il deposito dei corpi, che poteva contenere fino a duemila cadaveri; i forni crematori. Abbiamo poi rivisto questa orribile sequenza ricostruita in un plastico al Museo di Auschwitz. Incaricati della sporca operazione erano gli stessi detenuti ( il SonderKommando), che venivano spesso "sostituiti". Alcuni di loro sono riusciti a scattare delle fotografie di uomini e donne nudi avviati alle camere a gas, terribili documenti di quanto luomo abbia potuto fare alluomo: le abbiamo viste al Museo di Auschwitz.
Vista esterna ed interna dei forni crematori
Rovine del forno crematorio
Cera una baracca, detta "Canada" ( il termine allude alla ricchezza), dove venivano ammassati tutti i beni sottratti ai detenuti avviati alla morte ( vestiti, bagagli, oggetti personali, denti doro, ecc...). Qui, alcuni studenti del Liceo Majorana hanno letto le brevi biografie di bambini deceduti nel campo, sottolineando le date di ingresso e le date di morte, drammaticamente vicine. E stato un momento di grande commozione.
Monumento commemorativo dei deceduti in Birkenau
Abbiamo visitato poi le latrine del campo, che, a nostro parere, evidenziano meglio di ogni altro luogo la distruzione dellumanità nelluomo, di cui parlano Primo Levi, Pio Pigo e molti altri testimoni: tanti fori uno accanto allaltro per le funzioni corporali di "bestie" senza più alcuna dignità.
Latrine
Calpestare lo stesso terreno di milioni di deportati, seguendo il percorso dei binari, girando lo sguardo sulla desolazione dell' immenso campo, con le sue baracche, con le sue torrette, il filo spinato... è stato come tornare per un attimo indietro nel tempo: ci siamo "visti" circondati da schiere di volti disperati che sembravano interrogarsi sul motivo di tanto odio e abbiamo "sentito" il terribile suono degli ordini in lingua tedesca.
Relazione a cura di Bosio Roberto, Grimaldi Marco, Guagliardo Mauro, Tiozzo Alessandro
Classe 5 E Telecomunicazioni
I.T.I.S. Pininfarina