MUSEO DI CARPI

Il "museo monumento al deportato politico e razziale" del comune di Carpi è stato allestito alla fine degli anni ’60 - inizio anni ’70, ed è stato inaugurato nel 1973. L’edificio che ospita il museo è situato al centro della città ed è di epoca antica, perciò vi sono stati fatti numerosi adattamenti.

Il museo è stato ideato da un gruppo di famosi architetti milanesi, con l’intento di creare un monumento alla deportazione nel mondo. Nel cortile sono situati 16 monoliti di cemento armato, dalla foggia molto simile a quella delle lapidi mortuarie, che recano i nomi dei più tragici campi di sterminio nazisti.

Queste "lapidi", come anche il museo ed il contenuto di ogni singola sala hanno un valore fortemente simbolico, ed è per questo che nel prossimo anno (2000) sono previsti dei lavori per un nuovo allestimento caratterizzato da immagini ed oggetti più significativi ed adatti al periodo in cui viviamo noi, in cui tanto ormai si sa dei campi di sterminio.

Il carattere principale di cui si è tenuto conto per allestire il museo è stata l’estrema semplicità. Tutti i muri del museo sono rivestiti di cemento chiaro, nel quale sono graffite immagini e frasi significative, tratte dalle ultime lettere dei condannati a morte della resistenza in Europa, contrassegnate da un bollino di metallo con il nome di battesimo ed il paese d’origine. Non vi sono quindi immagini o scritte cruente e sconvolgenti, ma parole e disegni di artisti come Picasso, Longoni, Guttuso, Cagli e Léger.

Nell’ingresso del museo si viene accolti da un’introduzione di Bertoldt Brecht, che dice: "E voi, imparate che occorre vedere e non guardare in aria, occorre agire e non parlare. Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo. I popoli lo spensero, ma oranon cantiamo vittoria troppo presto: il grembo da cui nacque è ancor fecondo".

L’obiettivo principale di tutte queste lettere, che traspare quindi dalle frasi graffite, è quello di confermare la forza delle proprie idee che continuano anche dopo la morte.

In ogni sala sono affiancate una o più teche alle parole, recanti immagini che si riferiscono al periodo di maggiore attività dei campi di sterminio, accompagnate da didascalie che nel nuovo allestimento si prevede di rendere ancora più precise.

Nella prima sala troviamo un graffito grande come tutta la parete di Alberto Longoni, che raffigura centinaia di deportati così come essi diventavano nel campo: estremamente magri, con gli occhi vuoti e privi di espressione e senza bocca.

Nella teca troviamo urne con la terra dei campi di Dachau, Penzberg e Mauthausen, mentre nella seconda sala si possono osservare immagini dei campi di Auschwitz, Mauthausen e Ebensee. Vi sono vetrine con i distintivi e le piastrine di alcuni deportati politici.

Per quanto riguarda il campo di Mauthausen, esso venne spesso usato come campo di sterminio attraverso il lavoro. E’ infatti tristemente famosa la scala della morte del lager, che portava i deportati nel cuore della cava di pietra nella quale lavoravano; è noto ed evidente che non tutte le pietre venivano usate, e che la cava produceva molta più pietra di quanta ne veniva effettivamente impiegata, ma il campo funzionava comunque a pieno regime, perché serviva all’uccisione indiretta di molti prigionieri che morivano proprio lungo la scala, costituendo così anche un impaccio per quelli che dovevano continuare a lavorare.

In un’altra sala sono invece esposte alcune fotografie che riguardano il famigerato veleno Zyklon B, usato soprattutto nel campo di Auschwitz per eliminare grandi quantità di deportati.

Il primo esperimento su questo gas topicida venne effettuato proprio nella prigione di Auschwitz I, semplicemente chiudendo ermeticamente tutte le fessure. Lo scopo era quello di individuare la potenza del gas e le giuste quantità da impiegare.

Questo veleno nel suo stato normale era a forma di "palline", ma diventava istantaneamente gas a contato con l’aria ad una certa temperatura, e provocava l’immediata paralisi dell’apparato respiratorio.

Nelle camere a gas si arrivò ad uccidere con questo sistema fino a 2000 persone alla volta.

E’ da notare come questo lavoro fosse l’unico svolto personalmente dalle SS, per le quali rappresentava un costo non indifferente, nonché un grosso rischio se il veleno fosse finito in "mani sbagliate"; tutti gli altri lavori venivano svolti dai deportati.

Le SS si dimostravano particolarmente ciniche nel portare a termine il loro compito perché si preoccupavano molto di mantenere la massima calma tra i prigionieri per dargli l’impressione che tutto andasse per il meglio, e che si apprestassero semplicemente a fare una doccia. La guida ci ha spiegato che addirittura si preoccupavano di ritinteggiare le pareti interne della camera dopo ogni "esecuzione".

L’eliminazione di massa rientrava in un preciso piano che era quello di eliminare tutti coloro che non erano di pura razza ariana, e che poteva inquinarla. Per questo si procedeva per esempio anche all’eutanasia, nell’ambito di quella operazione definita "T4", che prevedeva l’uccisione per esempio di bambini e neonati handicappati o con malformazioni. Fu proprio questo il primo utilizzo del gas, che fu utilizzato anche nell’ambito della campagna di Russia nelle retrovie dove operavano carri armati adattati ad essere "camere a gas da campo". E’ entrato nella storia un particolare episodio: i nazisti arrivarono ad uccidere circa 30.000 persone in 2 giorni e mezzo con questo sistema.

E’ difficile pensare a delle persone normali quando si parla di nazisti perché non si capisce come potessero diventare delle tali "bestie". In realtà ormai le persone normali erano tutte entrate in quest’ottica di morte come necessità per depurare la razza ariana; questo non significa che provassero particolare godimento nell’uccidere e questo è dimostrato dal fatto che molti di essi erano alcolizzati, e si ubriacavano per non pensare a quello che facevano.

Così nacquero i ben noti sistemi di "auto-sterminazione", con la creazione del Sonderkommando, che aveva il compito di portare i cadaveri dei deportati dalle camere a gas direttamente nei forni crematori. Ovviamente si trattava di un kommando pericoloso per le informazioni di cui era a conoscenza, e perciò veniva spesso "rinnovato". Esiste in Italia un solo sopravvissuto che ha lavorato nel Sonderkommando.

Nella sala successiva si può ammirare un graffito di Renato Guttuso, che ricostruisce una esecuzione per fucilazione. Vi sono i soldati, raffigurati senza tratti somatici precisi e con fattezze mostruose, e poi davanti a loro vi sono i condannati, che esprimono insieme disperazione e fierezza, poiché "meritavano" la fucilazione coloro che si erano macchiati di gravi infrazioni all’interno del campo, ed erano considerati positivamente dagli altri prigionieri.

Davanti ai condannati ci sono le loro fosse, che essi erano costretti a scavarsi da soli; è noto che i nazisti facevano inginocchiare i poveretti di fianco alle fosse in modo che vi cadessero dentro quando gli veniva sparato.

In questa stanza vi è una frase particolare che colpisce l’attenzione:

"contro l’idea della violenza, la violenza dell’idea" Franz - Austria

Nelle sale successive vi sono due grandi graffiti di Corrado Cagli, che raffigurano la morte che avanza vista dai prigionieri. Sono rappresentati i reticolati del filo spinato, deportati scarni e senza alcuna identità che si trascinano faticosamente e a terra deportati morti che hanno finalmente finito di soffrire.

Le ultime sale sono dedicate ai bambini ed ai giovani.

E’ infatti noto come il flagello della svastica non abbia risparmiato proprio nessuno, ed anzi abbia cercato di fare il "vuoto" attorno a sé.

Un campo particolare ci è stato illustrato a questo proposito: il campo - ghetto di Terezin.

Erano qui internati soprattutto ebrei che godevano di particolari condizioni di beneficio, come per esempio funzionari, artisti, musicisti, politici, ecc...

Essi venivano portati lì con tutta la loro famiglia, in questo posto che tutti vedevano come un paradiso rispetto agli altri campi, perché aveva fama di essere un "luogo felice" per il quale molti arrivarono a pagare sperando nella salvezza.

In realtà il campo non era diverso dagli altri, se non per il fatto che vi vennero uccisi con la fucilazione "solo" una settantina di uomini, una sola volta. Solitamente vi si moriva a causa di epidemie e malattie, portate dal sovraffollamento e dalla malnutrizione.

Terezin venne addirittura utilizzato in una vera e propria campagna pubblicitaria, che diceva: "il Furher regala una città agli ebrei". Ovviamente serviva solo ad ingannare ancora di più quelli che pensavano che se si fossero consegnati spontaneamente all’autorità avrebbero avuto condizioni favorevoli. In realtà tutte le "comparse" che avevano partecipato al video vennero uccise perché erano testimoni pericolosi.

Il campo venne scelto dalla Croce Rossa Internazionale per un controllo che doveva verificare le reali condizioni dei prigionieri e dei campi, ma l’inviato, come era prevedibile, venne brutalmente ingannato, con stratagemmi patetici. Ad esempio venne ridotto il numero dei letti nelle baracche per dare l’impressione che vi dormissero meno persone, vennero ridipinte le pareti e date precise istruzioni agli internati sul "comportamento" che dovevano tenere.

L’inviato farà una relazione positiva, salvo poi in seguito ammettere di essere stato un po’ superficiale ed ingenuo, per non accorgersi della finzione che regnava nel campo, dove tutti al suo arrivo sembravano fin troppo tranquilli.

Abbiamo introdotto Terezin parlando dei bambini, ed infatti nel campo vi erano circa 15.000 giovani con età comprese tra i 3 e i 15 anni.

Di essi rimangono solo 100 superstiti. Nel campo non potevano andare a scuola, così si cercò di improvvisare delle lezioni di nascosto, per distrarre le loro menti dagli orrori che vedevano, e per permettere loro di leggere, studiare e comunicare.

Nel museo vi sono tre disegni e due poesie di quei bambini, vi è però un vero e proprio museo in cui sono riuniti tutti i disegni dei bambini deportati.

Possiamo riconoscere due filoni principali: la rappresentazione del passato felice, e quella della vita del campo.

Un esempio importante è quello di una bambina che venne portata a Terezin e da lì ad Auschwitz. Arrivò al campo all’età di 12 anni e ha testimoniato tutti gli orrori che ha visto disegnandoli. Dopo la fine della guerra è riuscita a recuperare i suoi disegni ed ora attraverso essi racconta la sua storia.

L’ultima sala del museo è quella più spettacolare, perché sui muri e sulle volte vi sono graffiti i nomi di circa 15.000 cittadini italiani morti nei lager nazisti.

"faccio un’ultima volta il mio esame di coscienza. E’ positivo." Gabriel - Francia

"saremo fucilati 7 su 9. Pregate perché gli altri 2 siano salvati." Pol - Belgio

"ho vissuto soltanto 20 anni. Poco, ma tuttavia ho vissuto." Bomus - Cecoslovacchia

 

 

CAMPO DI FOSSOLI

 

Il campo di transito di Fossoli venne inaugurato nel 1942, in un luogo strategico, servito da un importante nodo ferroviario, che passava per l’asse Modena - Bolzano - Germania.

Inizialmente era un campo speciale per ebrei, ma in seguito vi vennero portati anche prigionieri politici, come ad esempio chi aderiva agli scioperi.

Si è calcolato che nel ’44 siano transitati dal campo circa 5.000 prigionieri in 8 masi (Gennaio - Agosto), che dopo essere passati da lì venivano portati alla stazione di Carpi da dove partivano per la Germania.

Quando il campo venne chiuso si dovette procedere ad un frettoloso abbandono e tutti i prigionieri vennero trasferiti a Bolzano.

Il campo è diviso tra campo vecchio e campo nuovo. Al suo interno veniva operata una netta separazione tra ebrei e prigionieri politici, siti in due zone divise.

Agli ebrei erano riservate 8 baracche.

Nel campo non avvenivano subito quelle drastiche separazioni delle famiglie che invece avvenivano negli altri campi. Pratiche del genere vi vennero introdotte solo nel ’44.

Regnava come al solito un clima di calma apparente, perché i deportati che ci vivevano non erano consapevoli di ciò a cui andavano incontro: pensavano solo che si sarebbero trasferiti per andare a lavorare in Germania.

Fino alla chiusura del campo nella primavera del ’44 il campo vecchio era stato usato per i prigionieri in detenzione.

Dopo la guerra il campo divenne un villaggio abitativo, e le baracche vennero adattate per essere "villette a schiera", occupate in un primo tempo da una comunità cattolica, ed in un secondo tempo da profughi.

Ovviamente vennero eliminati tutti i segni caratteristici del campo di transito, come il filo spinato ed è ora presente molta vegetazione.

Nell’80 il terreno è diventato proprietà del comune di Carpi, ma è stato lasciato incustodito e i "vicini" hanno utilizzato i mattoni per uso proprio costruendosi camini e barbecue.

E’ ora in corso di realizzazione un progetto per la trasformazione di questo spazio (l’ex campo vero e proprio più un pezzo di terreno adiacente acquistato dal comune) in un luogo di memoria caratterizzato da elementi simbolici; per il recupero coopereranno architetti italiani ed ebrei.

Non sarà però un’impresa facile, perché i prigionieri che vi sono transitati sono stati quasi tutti poi deportati in altri campi più grossi, come ad esempio Auschwitz o Mauthausen, dove sono stati per più tempo e che sono più vivi nella loro memoria.

Il paesaggio è cambiato notevolmente e ciò crea notevoli problemi di riconoscimento ai deportati, nonché una certa difficoltà nel reperire notizie utili.

Sono riposte in questo senso molte speranze in una donna che ha vissuto nel campo negli ultimi giorni della sua attività, che è riuscita sfuggire alla deportazione in altri campi, e che quindi potrebbe essere in grado di ricostruire un po’ la "geografia" del campo, se fosse possibile eliminare un po’ della folta vegetazione per creare un colpo d’occhio più ampio.

Anche questo è uno degli obiettivi del progetto di recupero.

 

arrowb3.gif (1338 byte) UN VIAGGIO NELLA MEMORIA