La castrazione, la ferita fallica, le infinite patologie indotte dalla possessività della Grande Madre, portano all'immobilità psicologica e affettiva. Nella narrazione del Parsifal', Amfortas, il ferito Re Pescatore, è immobile dinanzi ai fuochi accesi del castello di Montsalvastch. LIew sarebbe immobilizzato tra la quercia e la terra, se non ritrovasse un colpo d'ali.
Nel malessere tipico della tarda modernità, le immagini ipnotiche proposte dalla Grande Madre di tutti i consumi sono pietrificanti, sotto la loro apparente mobilità. L'immagine personale, il portafoglio, il conto in banca possono variare, ma tu sei comunque queste tre cose. Puoi cambiare i tuoi consumi, ma non puoi sottrarti al destino di essere ciò che consumi, di venire definito dal consumo. Ma l'identificarti con le cose, i denari, le merci, ti pietrifica, ti toglie senso, direzione e dinamismo profondo. Anche se attraversi l'Atlantico due volte la settimana sei sempre allo stesso punto. Un punto morto, per ciò che riguarda il senso della tua vita.
La nevrosi contemporanea è caratterizzata dall'immobilità psichica, anche quando è travestita da un movimento superveloce, di carattere maniacale', che lascia però le cose sempre uguali a se stesse. L'euforia (sorriso smagliante, lustrini, stilisti, viaggi continui), che rappresenta lo stile di vita della tarda modernità occidentale, nasconde la depressione, sempre uguale a se stessa, che riemerge, sorda, nei momenti di down.
Riprendere movimento
La migliore illustrazione del carattere pietrificante di questo stile è offerta proprio dal suo massimo modello: lo star system. Un vorticoso movimento di matrimoni, residenze, viaggi, per lasciare l'individuo sempre uguale a se stesso, in un'immobilità da cui cerca di uscire con lo stordimento dell'alcol, della droga o coi mille farmaci che dovrebbero dar, gli una sensazione di movimento illusorio. Qualsiasi psicanalista dotato di esperienza sa che il paziente che parte prognosticamente più sfavorito è il membro del jet set.
Uscire dalla nevrosi, cioè tornare a essere liberi, uscire dalla coazione a ripetere, si manifesta allora attraverso il recupero di un autentico movimento psicologico, della capacità di cambiare, di muoversi. (Che in qualche caso significa, fisicamente: imparare a star fermi.)
E questo il modo più efficace per sfuggire alla pietrificazione consumistica. Mettersi, interiormente, in movimento. Come il bambino che reagisce alla madre che lo paralizza ingiungendogli di non muoversi, di non andare a giocare con gli amici (forse dei pochi di buono) e scappa via.
La figura dell'Errante, oggi
Si tratta, insomma, di diventare interiormente un errante. E per poterti controllare che la Grande Madre ti vuole psicologicamente immobile. Naturalmente, se cambi fede ogni due anni, look, residenza e lavoro in continuazione è ben contenta: verrai comunque controllato, a ogni passaggio e intanto consumerai di più. Anche se sei disposto a indebitarti per andare in vacanza in paesi lontani, come fanno ogni anno gli americani, con apposite carte di credito, reclamizzate su Internet. Ma si tratta, appunto, di falsi movimenti. In apparenza ti muovi: da una religione all'altra da una città all'altra, da una donna all'altra, da un continente all'altro. In realtà sei immobilizzato, inchiodato nell'angoscia dello schiavo della tarda modernità, che deve muoversi per credersi libero.
L'errante invece si muove in profondità, anche se magari non va più lontano dell'isolato in cui abita. Egli è colui che non si lascia fissare dai mille controlli della modernità, sempre all'erta nel registrare quanti soldi hai, come passi il tuo tempo libero, che sport fai, dove andrai in vacanza.
L'errante rompe i giochi, neutralizza i controlli. L'identikit che i fornitori, le associazioni, i centri di controllo sociale si sono fatti di lui non riesce mai a fissarne la fisionomia. t quello che non compra mai il libro che gli propongono gli esperti dei club di editori, sulla base degli acquisti precedenti. t la variabile imprevista nei comportamenti elettorali. t la delusione dei venditori a domicilio o per corrispondenza: lei signor tal dei tali, che abita nella tal via e ha il tal reddito, non potrà non avere... E invece lui non ha.
E ha magari altro, di più o di meno, non importa, ma quel che ha incontrato lui, personalmente, nelle sue scorribande, e che gli interessa. Non quello che gli propone il venditore telefonico, supplicando un appuntamento.
L'errante, colui che non è mai, interiormente, dove la Grande Madre lo aspetta, rifiuta senza proclami la legge non scritta secondo la quale la forza fallica, la volontà di potere su di sé, sia un peccato di superbia, di cui il bravo cittadino delle democrazie occidentali non deve macchiarsi. Egli sfugge silenziosamente al destino già scritto per lui di suddito devoto e di disciplinato consumatore. Sfugge all'alienazione e all'angoscia che tormenta gli individui a identità debole, imposta dall'esterno e sollecitata a continui mutamenti dal ciclo incessante dei consumi. Ma neppure cade nella follia. Quella alta in cui scivola l'ultimo Nietzsche, che si crede Dioniso, ma anche quella, post modema e metropolitana, verso cui corre la comprensibile rivolta di una figura a noi più vicina: il ribelle di Fight Club.
..........
Lo straniero interiore. Diversità e integrazione
Fare spazio allo straniero, all'errante, dentro di noi, significa far spazio alla consapevolezza della diversità. Diversità di noi dagli altri. Degli altri da noi. Diversità dei nostri aspetti interiori dalla maschera abituale dell'Io, e della Persona. Questa consapevolezza della diversità è fondante dell'identità. Non possiamo essere noi stessi senza ri conoscere la nostra differenza dall'altro.
I primi stranieri della nostra vita siamo noi stessi, nei confronti della madre e dell'universo materno.
Questa consapevolezza della diversità ci consente di sviluppare una distanza interiore, sia nei confronti degli altri, sia nei confronti degli aspetti più convenzionali dell'Io. Una sensazione di. distanza suscitatrice di un senso di solitudine, che compare spesso, nei sogni, con immagini di paesaggi ghiacciati, innevati, luminosi ma freddi. E proprio questa istanza, d'altra parte, che ci consente di vedere le cose come stanno, senza lasciare che la nostra visione venga fuorviata dal bisogno del tepore della rassicurazione affettiva, dai legami e dalle complicità. E che ci dà la forza di spostarci psicologicamente, di andare altrove. Dunque di cambiare.
Questo senso di estraneità e di straniamento deve essere valorizzato fino in fondo: per questo viene a noi, nei sogni, ma anche nella realtà, la figura dello straniero.
L'Ombra dello straniero: il 'figlio della casa'
Se la tensione straniante non viene retta, la figura dinamica e carica di energie ancora inconsce dello straniero perde la sua potenzialità trasformativa Questa tentazione, che a livello psicologico ognuno di noi vive quando entra in contatto con la figura interiore dello straniero, era ben nota agli gnostici. Che nelle loro narrazioni descrivono come lo straniero, quando subisce questo processo di addomesticamento, "si inserisce troppo bene, dimentica di essere uno straniero e si perde". Diviene così un 'figlio della casa'.
Quando questo accade, nota Jonas parlando delle narrazioni gnostiche (ma si può dire lo stesso parlando dei sogni), lo straniero si aliena da se stesso, dalla sua diversità originaria, e l'angoscia sparisce. Ma proprio questo è una tragedia. Perché solo la reminiscenza che lo Straniero ha della sua origine, il riconoscimento del suo posto di esilio per quello che è, gli consente di poter 'tornare' all'origine, alla luce, persa nell'opacità della materia. Insomma è la coscienza della propria diversità, della propria alterità irriducibile, il motore del movimento psicologico.
L'adattamento, come vedeva bene Nietzsche, è l'arresto dell'azione, dei movimento, quindi la fatale anticamera della regressione. Mentre il risveglio del desiderio della patria perduta (legato alla figura dello straniero), della nostra personalità autentica, segna l'inizio del ritorno a noi stessi.
E' solo in quanto l'estraneità venga riconosciuta nella sua sofferenza che può diventare anche un segno di eccellenza, di elezione. Una fonte di direzione e di vita segreta, sconosciuta all'ambiente circostante, e fortunatamente impermeabile per esso, perché incomprensibile a chi ha accettato di identificarsi fino in fondo con 'questo' mondo.
Lo Straniero e la condizione maschile
E' ancora l'eterna storia di LIew, del maschile che si perde giù e attraverso il basso mondo e deve trovare il modo di risalire su di nuovo, di ritrovare la luce".
In questo modo l'immagine dello straniero, creando antagonismi, polarità, distanze, ha un effetto dinamizzante sulla psiche maschile. Che riprende movimento. Torna a volare, come nel mito fa Llew, trasformandosi in aquila e risalendo verso il cielo.
Riprendere a volare, muoversi, cercare la direzione, che per l'uomo è essenzialmente lungo l'asse verticale, lo trasforma, lo fa crescere, lo distanzia dalla madre, lo fa divenire altro.
In questa spinta a diventare altro sta un'altra delle tensioni coi femminile e soprattutto col materno, che lo vuole, invece, uguale a se stesso. Come osserva Foucault: "Il nuovo, l'interessante è l'attuale. L'attuale non è ciò che siamo, ma ciò che diventiamo, che stiamo diventando, ossia l'altro, il nostro divenir altro. Il presente, al contrario, è ciò che siamo, e, proprio per questo, ciò che non siamo già più. Dobbiamo distinguere non solo il passato dal presente, ma, più profondamente, il presente dall'attuale". L'erranza è dunque la pratica e l'osservazione di questo passaggio, dal presente all'attuale.
Proprio per questo l'erranza, quella vera, vale a dire quella interiore, non è affatto apprezzata. A differenza dell'erranza esteriore, materiale, che invece è molto lusingata, perché procura mano d'opera a basso costo e distrugge culture d'origine estranee alla società dei consumi.
L'erranza profonda, psicologica, è invece diretta alla curiosità, alla condivisione autentica con soggetti e gruppi diversi, scelti o incontrati di volta in volta, anziché alla condivisione convenzionale e collettiva con gruppi fissi, stabiliti una volta per tutte dalla statica della Società Grande Madre. In base alla quale occorre scegliere il prima possibile con chi stare: il gay coi gay, l'eterosessuale con gli etero, i piemontesi coi piemontesi, i vegetariani con gli altri come loro e, una volta ti dentro, nel ghetto tranquillizzante, non uscirne più.
E proprio per contrastare questa tendenza della modernità alla staticità concentrazionaria, a fissare gli uomini in una posizione precisa (che diventerà poi, sempre più esplicitamente, quella del consumatore) che, al passaggio tra Otto e Novecento, con Baudelaire, e nei primi decenni de Novecento, con Benjamin e buona parte della ricerca artistica del secolo, prende forma la figura del flâneur.
Il flâneur
Il flâneur (all'interno del vasto popolo degli erranti nella storia e della psiche dell'uomo) rappresenta l'aspetto che ha assunto nella modernità la spinta allo scorrere con e lungo i fenomeni piuttosto che lasciarsi ingabbiare da essi, e diventare 'cose' al loro interno 16. Di fronte all'irrompere nella storia della folla e della massa, il flâneur, colui che cammina senza un preciso obiettivo lungo gli stessi percorsi, i passaggi della massa, rappresenta una spinta vitale a scorrere, a essere presenti e godere dei fenomeni di massa, nelle folle della modernità, ma in modo individuale.
La sua connotazione di genere è fortemente maschile: per la sua spinta alla ricerca, al mettersi in gioco e la sua disponibilità a darsi senza contropartita. E anche per la sua spinta, fallica, a trarre piacere dal movimento e dalla materia. In questo senso il flâneur è qualcuno che, come dice Baudelaire in Lo spleen di Parigi, "conosce l'arte di godere della folla", che della modernità è in un certo senso la 'prima materia' umana. Solo lui "può fare un banchetto di vitalità a spese del genere umano".
Il flâneur è dunque anche, per certi versi, un vampiro. E del vampiro conosce " il gusto del travestimento, della maschera, l'horreur du domicile (la ripugnanza per la stabilità) e la passione per il viaggio".
La figura leggendaria del vampiro nasce infatti contemporaneamente a quella del flâneur e ritorna poi alla ribalta, circondata da grande popolarità, al passaggio del secolo e del millennio.
...........
La contaminazione
Tuttavia, la disponibilità a contaminare e ad essere contaminati, come narrano ancora i sogni, è anche un modo di scambiare finalmente qualcosa, uno dei pochissimi ancora concessi dalla modalità tendenzialmente autistica della società di massa. Anche i pugni che il protagonista di Fight Club chiede all'amico, come condizione per prenderlo con sé, sono uno strumento di contatto contaminazione, dunque di relazione profonda e trasformatìva. Eventualmente distruttiva. E' la contaminazione che consente di divenire altro, piuttosto che rimanere eternamente imprigionati nelle propria attuale forma e identità. Quella fredda e ossificata del vampiro, che brama il sangue degli inglesi. E quel, la degli inglesi, che lo incontrano per ottenerne l'oro: simbolo di energie, di valori simbolici di provenienza arcaica, che essi non possiedono da molto tempo. Il flâneur vampiresco, aristocratico e artistico, di Baudelaire Stoker, che entra, anche fisicamente e organicamente, nella folla, realizza un movimento dinamico e insieme si diverte.
Come dice Baudelaire, "chi facilmente si sposa alla folla conosce febbrili godimenti, dei quali saranno eternamente privi l'egoista, chiuso come un forziere, e il pigro, segregato come un mollusco. Egli adotta come sue tutte le professioni, tutte le gioie e tutte le miserie che la circostanza gli offre".
Ecco un'efficace descrizione dell'atteggiamento fallico, maschile, contrapposto a quello anale dell'egoista, e alla debolezza vitale dei pigro. Tuttavia, data la relazione tra erranza ed errore, la questione del rapporto tra erranza, potere e morale non è evitabile.
Sì può abbordarla con l'osservazione che Bruce Chatwin propone nel suo progetto di libro L'alternativa nomade. "Il primo capitolo potrebbe porre la domanda: perché errare? Potrebbe cominciare con la leggenda greca di lo e del suo forzato vagabondare e avere per titolo 'IL TAFANO DI IO'." E' una buona idea, quella di Chatwin, di cominciare a cercare la pulsione all'erranza nella storia di lo, inseguita dal tafano.
..........
L'erranza e l'errore
Questo errare porta a rischiare e ad accettare dì commettere l'errore. E separa quindi il maschile errante da chi l'errore lo teme o ha in odio erranza ed errore e accusa dunque l'errante di ogni malefatta. Per esempio di psicologia puerile o di indifferenza morale o almeno di fatale imprudenza o incoscienza. E ancora Chatwin a osservare che " i nomadi erranti hanno per forza di cose un'influenza disgregatrice, ma il biasimo di cui sono l'oggetto è sproporzionato al danno materiale che causano". Per ragioni morali i nomadi sono esclusi; sono dei reietti.
Il maschile è diventato, nel corso dell'ultimo secolo, il grande 'errore' dell'umanità. E stato considerato la causa della guerra, della malattia (perché aveva relazioni sessuali irregolari e infettava), del tradimento, della dissoluzione della famiglia. Un ministro della difesa, Carlo Scognamiglio, ha applaudito all'ingresso delle donne nell'esercito italiano, sostenendo che con loro sarebbero comparse tra i sol, dati la tenerezza e altre qualità, secondo lui evidentemente assenti dall'animo maschile.
Gran parte di queste colpe, naturalmente, sono legate all'erranza, che è sempre toccata all'uomo. In ogni tempo, l'uomo ha errato per il mondo. Per cercare lavoro e mantenere la famiglia. Per andare in guerra, difendendo così il territorio dei gruppo e, ancora una volta, della famiglia, del, la sua donna e dei bambini.
L'erranza. maschile è anche dovuta a una spinta più personale, meno direttamente altruista. L'uomo ha anche errato (come accade nel mito alla sua Anima, la Vergine lo, che fugge il conservatorismo possessivo della Grande Madre) per conoscere il mondo e l'umanità, perché a questo lo spingono la sua spinta fallica e insieme la sua anima Vergine e avventurosa, la sua vocazione di, esploratore e trasformatore della realtà.
Tornare a essere uomini: le sfide di oggi
E adesso, pover'uomo?
Come riprendere movimento interiore, dunque sostanziale, in una società, una cultura, un sistema di potere, che ne consente solo di esteriori, di immagine? E impone invece una sostanziale immobilità, chiedendo di rimanere all'interno di un'identità vuota e uguale per tutti? E che fa valere la sua norma, mai detta, con una certa ferocia, giacché punisce i trasgressori con la morte, come ha fatto coi Davidiani di Waco Texas, coi Serbi, i Ceceni e tanti altri, in giro per il mondo.
Come ritrovare la qualità della libertà, costitutiva del maschile, in un sistema che in un secolo e mezzo ha moltiplicato per centomila i reati e si regge sulla produzione di infiniti, e sempre più sofisticati, 'dispositivi di controllo', come ha messo bene in luce Michel Foucault, anche per questo relegato ai margini della riflessione contemporanea, nonostante nessuno osi contestare. la fondatezza delle sue conclusioni?
Come riaprire la dimensione verticale, anch'essa costitutiva dell'identità maschile, nelle sue due direzioni: verso il basso, il corpo, la terra, la natura, la stirpe, e verso l'alto, la trascendenza e il divino? Con la consapevolezza, inoltre, che anche il 'basso' è tutt'altro che materia inerte, semplice res extensa cartesiana, ma esprime una 'trascendenza dell'al di qua', riflesso di quella dell'al di là, cui sono legati la sua vita e il suo sviluppo? Entrambe queste direzioni sono state chiuse. Quella verso 19 alto, dal processo di 'secolarizzazione' che, a partire da un bel pezzo e in particolare dalle rivoluzioni borghesi in poi, ha separato l'uomo occidentale dal sacro. Con la secolarizzazione, che ha rinchiuso l'esistenza umana nell'ambito delle cose, gli dèi sono diventati malattie, come ricorda lo psicanalista James Hillman. Vederli, ascoltarli è ormai segno di disordine mentale, come sostiene Freud. Ma anche la direzione verso il basso della linea verticale, quella verso il corpo, è stata chiusa dallo sviluppo occidentale. Il secolo scorso, dopo aver decretato la morte di Dio, ha sancito anche quella della natura. Essa non è più necessaria: al suo posto ci sono le tecnologie, alimentari, genetiche, sessuali, cellulari, che hanno il pregio, rispetto alla natura defunta, di essere fabbricate, e quindi di assicurare al produttore e al venditore un guadagno, che nel regime della 'vecchia' natura era appunto quello, del tutto simbolico, di Dio.
Per questo, perché intralciavano il processo di accumulazione e di circolazione dei capitale, Dio e natura sono stati, nel secolo scorso, entrambi accantonati.
Il recupero della forza maschile è dunque oggi fortemente antagonistico rispetto alle principali caratteristiche del sistema occidentale. Per realizzarlo, l'uomo deve dunque ritrovare dentro di sé, riattivare l'energia di un archetipo che gli consenta di opporsi a forze apparentemente soverchianti.
Si tratta dell'archetipo del guerriero.
Il guerriero errante
E' il guerriero che si oppone sia al Re, dunque al sistema di potere vigente, sia al Sacerdote, dunque al rappresentante delle credenze condivise. Questa opposizione è stata ben descritta negli studi dell'antropologo culturale Georges Dumézil sulla 'tripartizione, la configurazione tradizionale degli archetipi indoeuropei.
In essa il guerriero possiede la stessa sorgente di forza che sta dietro l'anima dell'errante: è quella del dio Indra, che si oppone tanto a Varuna (il re), quanto a Mitra (ossia il prete).
Il filosofo francese Gilles Déleuze e lo psicanalista Félix Guattari, animatori nel 1968 del movimento psicanalitico e politico dell'Antiedipo, si ispirarono in lavori più recenti alla figura di Indra per descrivere l'antagonismo tra lo stile della subalternità, perseguito dall'ordine borghese (che nella sua versione consumistica io vedo come essenzialmente femminile materno) e lo stile dell'iniziativa, dell'erranza, e della libertà". Le intuizioni già presenti nell'Antiedipo vengono così sviluppate con ampiezza dai due autori in scritti successivi, tra i quali il Traité de nomadologie: la machine de guerre (Trattato di nomadologia: la macchina da guerra). In esso Déleuze e Guattari contrappongono la forza di Indra, che anima l'immagine della machine de guerre (la macchina da guerra, che prepara la guerra, ma non necessariamente la fa) allo Stato, alle sue istituzioni e al suo diritto. La machine de guerre, la guerra movimento, come il guerriero nomade nella sua infinita guerra con la staticità istituzionale, sono animati appunto dalla forza del dio guerriero Indra, che si oppone tanto a Varuna, il re, quanto a Mitra, il prete, sostengono i due autori, riprendendo le analisi di Georges Dumézil".
Indra, osservano, non si identifica con i due centri del potere politico, ma ciò che è ancora più interessante è che non costituisce un terzo centro di potere. Indra non diventa un terzo centro di potere, perché non è il potere sugli altri che gli interessa. E proprio questo tratto che lo porta in conflitto con le altre due divinità, che interpretano il potere come potere sugli altri, dunque istituzionale, non come potere individuale, indifferente ed esterno alle istituzioni. Con la sua presenza, e col furor libero che impersonifica, Indra sottrae il potere alle istituzioni del potere e lo dà all'uomo, come possibilità e responsabilità umana.
Ed è proprio questo non interesse di Indra a rappresentare un 'terzo potere', a farsi istituzione, che apre la strada alla forza trasformatrice. Essa si manifesta quindi come irruzione del movimento, dell'erranza dei guerrieri nomadi di Indra, nell'universo statico delle istituzioni. Ed esprime, a livello profondo, l'inarrestabile potenza della trasformazione, contro il ricorrente tentativo del mondo di rimanere sempre uguale a se stesso.
Nella manifestazione di questa forza, indrica o fallica come si preferisce, svolge un ruolo decisivo l'aspetto collettivo: la folla o almeno il gruppo, cui mischiarsi come guerriero o come flâneur.
Il guerriero e il suo gruppo
Perché, paradossalmente, non si può errare e neppure sbagliare da soli. L'individuo è fatalmente pesante: non produce trasformazione né la percepisce e non diventa altro che se stesso. Al di fuori di una relazione con altri non si pecca né si diventa: si implode e basta (la depressione può essere una forma di quest'implosione). Il mistico non contraddice a questa regola: egli è solo, ma unito in profonda comunione al mondo naturale e cosmico, al mondo delle forze.
E la relazione con il flusso vitale collettivo che dinamizza l'individuo e gli consente di trasformarsi. E l'immagine dell'altro nel mondo che sollecita e muove le forze 'al
tre' dentro di sé. Parsifal può rimanere a lungo da solo, perché c'è una folla di cavalieri, in gruppo o solitari, di fianco a lui o contro di lui. Egli, da vero errante, partecipa senza
tirarsi indietro al 'ricco banchetto' della cavalleria, come il flâneur otto novecentesco farà poi con la folla delle città. E' per unirsi a questo banchetto che Parsifal fugge dalla madre e la fa morire di crepacuore. Anche se poi vuole essere lui a scegliere le forme del banchetto: per esempio non quello edonista di Artù e della Tavola Rotonda, ma quello
sacrificale del Re Pescatore e della sua corte, assai più profonda e sottile.
Indra dunque, la forza archetipica che spinge gli erranti a torme, a bande, ad associazioni di solitari mobili, toglie il faccio posto da Varuna il Re per legare i sudditi, così come tradisce i patti, sul cui mantenimento veglia invece Mitra, il Sacerdote. Ma naturalmente Indra, liberando dai legami, erra, pecca. E lo fa perché egli, come spiega Dumézil, può peccare: in quanto errante non è infatti identificato col rtà, l'ordine morale, oltre che cosmico e rituale, come lo sono invece Varuna e Mitra, le istituzioni del potere.
Indra e i suoi guerrieri nomadi, certo, devono difendere l'ordine dei rtà, dagli attacchi ostili dei demoni. Ma per poterlo fare essi devono innanzi tutto possedere, sviluppare delle qualità che assomigliano stranamente. ai difetti dei loro avversari.
"Ebbri o esaltati, devono mettersi in uno stato nervoso, mentale, muscolare, che moltiplica e amplifica le loro facoltà, le trasfigura, ma anche le sfigura, li rende estranei nel gruppo che essi devono proteggere; ... e soprattutto, consacrati alla forza, sono le vittime trionfanti della logica interna della forza, che si prova solo oltrepassando i limiti, anche i suoi." Siamo ancora nella categoria, tutta maschile, dell'eccedenza, della lussa, del dono di sé, anche distruttivo, anche contro le regole.
Indra, dice Sten Rodhe, "è il peccatore tra gli dèi", is the sinner among the Gods.
Siamo allora sulla cattiva strada? Ci stiamo lasciando prendere la mano dal lato delinquenziale del maschile? NO, siamo solo a uno dei punti più difficili di tutta la questione, quello in cui confliggono, già nel mito, la perversione originaria del politically correct,, ispirata al mito 'virtuista', (come lo chiamava con disprezzo uno dei fondatori della sociologia alta, Vilfredo Pareto), e la capacità trasformativa della passione fallica, pur nella sua violenza, scorrettezza e persino empietà. Infatti, questa possibilità di peccare del guerriero nomade Indra è benefica per gli uomini.
Il guerriero, a favore dell'uomo
Anzi, è proprio quella la forza che difende uno spazio propriamente umano, tra 'inesorabilità delle istituzioni, e il 'dover essere' della giustizia div ina che esse pretendono di rappresentare. Quando infatti il rtà, l'ordine morale, è in sé duro, inumano", allora violarlo, peccare contro Varuna, rappresenta un progresso nella dimensione umana. "La morale di Indra," nota Dumézil, "fa allora spazio all'aspetto dell'Eroe rispetto a quello del Sovrano, come quando salva in extremis vittime umane già designate o sostituisce il rito del sacrificio del cavallo a quello nel quale la vittima sacrificale era l'uomo."
E' proprio Indra, il guerriero peccatore, che, dice Dumézil, "mettendosi al di fuori dei codici si prende la responsabilità di introdurre nel determinismo dei rapporti umani il miracolo dell'umanità". Di fare dell'iniziativa umana, mossa dalla passione, un'importante variabile nei programmi già scritti dalle leggi e dal potere.
Indra, il guerriero errante, aggiungono Déleuze e Guattari, fa valere (oltre al movimento contro l'apparato istituzionale) "il furor contro la misura, la velocità contro la gravità... un segreto contro il pubblico... una potenza contro la sovranità". Vale la pena di guardare bene dentro ognuna di queste caratteristiche: il furor, la velocità, il segreto, la potenza senza autorizzazione.
Perché questi comportamenti, fortemente espressivi del mondo maschile, sono tra quelli oggi inibiti agli uomini. Il furor è un crimine di guerra. La velocità è un 'eccesso, il segreto, un'illecita mancanza di fornitura di informazione, la 'potenza senza autorizzazione', un attentato alle istituzioni. Tutte queste modalità d'azione tendono a essere configurate come reati proprio perché a essere bandita è l'archetipica forza fallica di Indra che, intervenendo a favore dell'uomo e dell'ampliamento del suo sviluppo vitale, va contro le istituzioni.
Queste, sempre tendenzialmente conservatrici, sono oggi ispirate da una visione femminile, orizzontale, della vita, che si autotutela proprio mettendo al bando Indra e la sua capacità di spendersi per creare, anche attraverso il conflitto, uno spazio di libertà all'uomo.