La spinta fallica e il dono

di Claudio Risé, tratto da Essere Uomini, Red Edizioni


Il Fallo, come Shiva, è essenzialmente dono, piacere del dono, godimento profondo nel dare se stessi, fino all'estasi.

Dal punto di vista psicologico, il nucleo centrale del dono è costituito da un'azione, un dare, che va dal soggetto verso l'esterno. Quest'azione è ispirata non da un dover essere, da considerazioni morali (dare è una buona cosa), ma da una libertà desiderio di dare. Quando questa spintadesiderio viene fatta propria da tutta una cultura, allora il Fallo, anche senza essere esplicitamente nominato, viene stabilizzato come principio centrale, ispiratore della Comunità.

Dalla spinta fallica, integrata nel modello di cultura, nasce poi il dono rituale e sociale, la forma di scambio gratuito all'interno della Comunità, da sempre presente accanto allo scambio economico, a titolo oneroso. Il dono rituale è sempre manifestazione di eccedenza e desiderio, e ha grandissima importanza nel costituire l'aspetto erotico del tessuto connettivo della Comunità. Questa, infatti, si aggrega non solo per interesse, ma naturalmente anche per piacere e per un desiderio che rimanda ai valori trascendenti del Fallo: il desiderio di donare agli altri, per puro piacere, esprimendo così una spinta vitale verso la costruzione di un mondo felice. Quando invece quel piacere di stare insieme si affievolisce, anche per il deperire della spinta donativo fallica, la Comunità si incupisce e infine tende a dissolversi. Proprio perché il piacere, in realtà, è un collante sociale più efficace del potere, del dovere, dell'interesse. Anche se è il meno studiato nell'approccio, abbastanza arido, di storici e politologi.

L'importanza del dono nella costituzione, e quindi nella vita della società, è stata poi completamente rimossa dai superficiali studi economici della modernità capitalista o marxista. Poiché al centro di queste visioni sta sempre la categoria dell'interesse, lo scambio attraverso il dono ha finito con l'essere considerato un fenomeno marginale, Superstizioso e senza importanza. La svista, dal punto di vista storico e antropologico, è stata grossa; ma sarebbe sciocco stupirsene. Marxismo e liberismo furono entrambi estranei alla spinta donativa fallica, dunque slegati dall'orizzonte energetico del desiderio e prigionieri invece di quello, materno, dell'interesse. Il ruolo fondativo del dono nella società doveva invece venire poi riproposto dall'antropologia, con Mauss e la sua variegata scuola.

Dalle sue propaggini è nata poi, in anni più recenti, tutta una riflessione anche politica sulla necessità di valorizzare il dono, non in veste dimostrativa o consumistica, ma per utilizzarne la capacità di comunicazione di legami profondi, per la necessaria rifondazione della comunità nella società occidentale, disgregata dal predominio dell'interesse economico.

Ma, di nuovo, il senso sociale e rituale dei dono non è solo l'espressione di un interesse. Né l'interesse economico marxista o liberista né l'interesse comunitario dei neocomunitari.

Il dono che davvero dà vita alle relazioni o alla comunità è il dono libero. dettato dal piacere di farlo. Il dono che prende forma come espressione nell'essere umano della spinta primordiale, archetipica, a dare, a donare.

Una spinta libera, giacché non conosce altro vincolo se non la sua tendenza a realizzarsi, a darsi forma. Una spinta fallica. Che è espressione di questo archetipo e della sua forza, che non si può manifestare senza compiere ciò che nell'antropologia shivaita si intende come 'stabilizzazione del Fallo': il rimettere cioè quest'archetipo al suo posto centrale nella vita degli uomini e della Comunità. Fino a quando insomma i neocomunitari insisteranno nel proporre il dono, evitando di affrontarne il significato sul piano archetipico, nel timore di riproporre un discorso di 'genere' politicamente scorretto o imbarazzante dal punto di vista della 'rispettabilità', è difficile che quest'immagine possa riprendere tutta la sua forza. Proprio perché non accetta di venire inserita in un discorso strumentale, ancora utilitaristico, seppure di utilità sociale, e richiede invece di essere onorata per quello che è: una manifestazione del principio dei piacere, di origine fallica.

Il dono negato e la malattia psichica

La natura libera del dono contraddistingue un individuo e una società psicologicamente sani. La malattia psichica, infatti, si presenti come nevrosi o psicosi, è sempre caratterizzata dall'assenza di libertà. Il nevrotico, per la sua con, dizione, non è libero, ma costretto nel suo agire. Non può compiere un'azione (perché ha paura, non osa, teme la perdita) oppure è costretto ad agire (e dunque non può non farlo). La libertà, la scelta, l'espressione dei Sé non c'è più, e siamo nella contraffazione e nella malattia.

Il dono invece è espressione di libertà, orientata dal desiderio: esso fiorisce in individui e in Comunità psicologicamente sane. Desidero dare qualcosa a qualcuno, perché a questo tende la mia libido, la mia energia complessiva, non solo sessuale. La psicologia dice che questo accade perché sono in grado di 'investire su oggetti' d'amore: ma sarebbe più appropriato dire che faccio l'esperienza di 'direzioni d'amore': I' 'oggetto' è opaco, assomiglia al prodotto, è un altro residuo della modernità, come la psicologia, e il concetto di 'investimento'.

Ma perché il desiderio consenta alla mia libido di dirigersi sul mondo, di creare liberamente forme e relazioni, senza, valutazioni di tornaconto, io devo essere fuori dai condizionamenti, dai calcoli, dai fantasmi che abitano la prigione della malattia psichica.

Interesse, vincolo e bisogno

Al mondo della libertà e del desiderio (dunque del benessere psichico), che è quello del dono, si contrappone quello del vincolo e del bisogno, che è quello dell'interesse. Un mondo caratterizzato dalla qualità è più facilmente riconoscibile della nevrosi: l'assenza di libertà, la coazione. La storia della modernità occidentale, il cui programma operativo è stata la 'teoria della società industriale', poi dei consumi, dimostra come il mondo dell'interesse sostituisca all'uomo integrale, con la sua capacità di amore e di desiderio, l'homo oeconomicus, l 'uomo costretto a calcolare l'interesse di ogni azione. Le due forze egemoni nella modernità occidentale, liberismo e marxismo (qui sta la loro fratellanza), sono convinte entrambe che la dimensione dell'interesse sia la molla che muove gli uomini e la storia.

"Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio," dice Adam Smith, "che ci aspettiamo il nostro desinare, ma dalla considerazione dei loro personale interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro egoismo. "

Il dono, la dimensione donativa, è dunque escluso da questa visione che identifica la vita umana col bisogno e l'interesse, ed esige un perfetto egoismo nell'amministrarlo. Anche se non tutti sono d'accordo. Fra gli stessi liberali: John Stuart Mill, che sembra, per famiglia e tradizione, destinato a incarnare il pensiero liberista, giudica l'uomo economico un uomo fittizio. Gli economisti, ritiene, devono sapere che la loro scienza, con tutte le sue pretese empiriche, è in realtà 'astratta', e che l'uomo 'reale' è un'entità molto più complessa di quella concepibile a partire dalla categoria dell' 'interesse' in cui cercano di stringerlo utilitaristi prima e liberisti poi.

Tuttavia, la linea del "personale interesse", come si esprimeva Adam Smith, è prevalsa ed ha ispirato le strutture e i comportamenti della società, fino alla tarda modernità.

Oggi la partita sembra chiusa. Shiva è lontano, il fallo nella polvere, la conservazione a ogni costo della vita è il principio dominante. Ma è veramente così?

I segni contrari sono numerosi. Né potrebbe essere diversamente. La fine di ogni relazione col simbolo del Fallo coinciderebbe con la fine della vita umana, di cui esso è, insieme col principio femminile, la più potente risorsa.

Per vivere, l'uomo cerca dunque i percorsi di uscita daIla prigione dell'interesse, verso un ritrovato gusto per il piacere, il dono e la libertà.


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