IL VENERDÌ di Repubblica
Le
eroine anti - Hitler che nessuno ricorda
Giovani, belle, ricche. Si arruolarono come spie e molte morirono: nei lager o giustiziate. Una storia dimenticate che ora un libro riporta alla luce. Con il più classico degli incipit: c’era una volta una principessa
di
Marco Cicala
Saranno
pure foto studiate per la propaganda. Ma in quei ritratti anni Quaranta sembrano
tutte bellissime. La maggior parte di loro veniva dalla buona società. Quasi
tutte finirono male: giovanissime e ammazzate due volte, dalle SS e dai libri di
storia che si sono scordati di loro. Erano le ragazzine del S.O.E. (Special
Operations Executive) la sezione spionistica creata da Winston Churchill nel
1940 per incoraggiare la Resistenza in Europa. Qualche studioso e un romanzo
appena uscito in Italia ci ricordano oggi che il D-Day, lo sbarco in Normandia
del giugno 1944, riuscì anche grazie al contributo di quelle anonime «operaie»
dell'intelligence. Quelle signorine che camminavano rasente i muri della Francia
occupata, con ricetrasmittenti, macchine fotografiche, codici cifrati,
nascosti sotto la verdura nella borsa della spesa. Altro che i sette veli di
Mata Hari: era un lavoro mal pagato, pericoloso e oscuro. Da sbrigare in
un'epoca sordida dove per un nonnulla un balordo poteva diventare un eroe e,
alla minima svista, un eroe trasformarsi in un traditore. Scoprendo questo
capitolo della Resistenza dimenticata, la prima domanda che viene spontanea
è: ma chi gliel'ha fatto fare? Qualche esempio. Ulian Vera Rolfe era nata a Parigi da diplomatici
inglesi. Aveva viaggiato
in America Latina, sfiorato il mondo del cinema. Si arruola volontaria nel
S.O.E. nel ‘43. La Gestapo la arresta in Francia un anno dopo. Nel gennaio
del ‘45 la uccidono con una pistolettata alla nuca nel campo di Ravensbrück.
Aveva 30 anni. Yolande Beekman era figlia di un uomo d'affari svizzero. La
catturarono in un caffè di campagna dal nome scalognato: Moulin brulé
(Mulino bruciato). Fu torturata e la finirono a Dachau nel settembre del ‘44.
A 32 anni. Violette Szabo invece assomigliava a Ingrid Bergman in Casablanca. Aveva sposato un soldatino conosciuto a un ballo del 14 luglio, tra
lampioncini e fisarmoniche, come in un film di René Clair o Marcel Carné.
Anche lei fu fucilata a Ravensbrück. Da bambina, Vera Leigh era stata adottata
da un famoso allenatore di fantini. Giovanissima diventò stilista nel bel
mondo di PIace Vendôme. I nazisti se ne sbarazzarono con un’iniezione
letale e il suo corpo fu cremato nel campo di Stuthof, meglio conosciuto come
Natzweiler. Storie non molto diverse sono quelle di Eliane Plewman, Madeleine
Damerment, Sonia Olschanezky e tante altre. Tutte o quasi avrebbero potuto
seguire la guerra dalle pagine del Times o ascoltando la Bbc nei
salotti. Al limite servire la causa dando una mano agli sfollati in rifugi o
refettori come tante dame caritatevoli della crème. Invece scelsero
un lavoro che assicurava una probabilità su due di uscirne vive. Che non
prevedeva promozioni né compensi speciali. La paga la si riceveva tutta al
ritorno. Sempre ammesso che si tornasse. È quanto racconta Laurent Joffrin,
caporedattore del Nouvel Observateur e autore de La spia che non
poteva uccidere (Sonzogno, pp. 398, 16,90 euro), biografia romanzata di Noor
Inayat Khan, forse la più enigmatica delle piccole spie al servizio di Sua
Maestà. Aveva la faccia triste e il fisico di un’indossatrice di
Chanel. Era una principessa indiana. Benché fosse nata a Mosca, anzi dentro al Cremlino, nel 1914. All'epoca il
palazzo era ancora abitato da Zar e famiglia. Attratta dallo spiritualismo
esoterico (ricordate il monaco Rasputin?) era stata l' «ultima imperatrice»
Alessandra a chiamare a corte il padre della principessa: Inyat Khan, famoso
maestro sufi. Già, il sufismo: quella corrente mistica nata nell'Islam del VII
secolo predicando l'ascesi, la fusione con la divinità e la tolleranza
religiosa. Allo scoppio della prima mondiale però la famiglia della principessa
abbandona la Russia e si stabilisce in Francia. Lei impara a suonare l'arpa e il
pianoforte. Scrive anche favole per bambini e le recita alla radio con un certo
successo. Nel 1940 davanti all'invasione nazista ripara in Inghilterra. Segue
un corso per radiotelegrafisti della Royal Air Force. Poi un giorno legge
su un manifesto che c'è bisogno di volontari bilingue per missioni rischiose.
Si presenta subito al 64 di Baker Street: è lì - pochi portoni prima del
celebre 221 dove Conan Doyle aveva domiciliato il suo Sherlock Holmes - che
Churchill ha piazzato gli uffici del S.O.E. Il primo colloquio dell’aspirante
- spia non è una passeggiata. La principessa è già una brava marconista ma ha due difetti: rifiuta
l'uso delle armi (la sua religione le vieta la violenza) e ha origini indiane.
E in quegli anni in India c'è un altro pacifista ribelle che sta dando filo
da torcere ai colonizzatori inglesi: un certo Gandhi. Però contro i nazisti
c'è bisogno di manodopera. Noor viene reclutata lo stesso. Al corso accelerato
per spie si ritrova come insegnante addirittura il giovane Kim Philby, che
durante la guerra fredda diventerà la più famosa talpa pro-sovietica
infiltrata tra gli 007 britannici. Niente armi da fuoco per la principessa.
Ma usare una ricetrasmittente non è meno rischioso che sparare con un mitragliatore
Sten. Nelle
trasmissioni bisogna essere velocissimi. Wehrmacht e Gestapo controllano
costantemente le frequenze. È necessario spostarsi di continuo. Nel giro di
mezz’ora le SS possono localizzarti e irrompere in casa. Alla fine della
guerra il S.O.E. calcolò che un radiotelegrafista su due era stato arrestato.
Quasi tutti vennero torturati e finirono nei campi della morte. Noor non fece
eccezione. Arrivarono a lei con una soffiata. Da Parigi venne trasferita a
Dachau. Un mattina la portarono in cortile, la fecero inginocchiare e le
spararono in testa. La principessa che odiava le armi aveva 30 anni. Come molte
sue compagne fu ricoperta di medaglie alla memoria: dalla George Cross britannica
alla Croix de Guerre francese. La storia, si sa, la scrivono I vincitori. Ma
i vincitori non sono
tutti uguali. In Francia solo adesso cominciano a ricordarsi di Noor e
le altre. Il
motivo dell’oblio non
è difficile da indovinare. Alla liberazione, per rimuovere le ombre del
Collaborazionismo, la pagina «Resistenza» doveva essere interamente
scritta da francesi: gaullisti o comunisti che fossero. Meglio relegare in
secondo piano quelle ragazze straniere, morte pour la France, certo, ma
agli ordini di volpe Winston Churchill. Facce che sembravano uscite da un album
della Hollywood in bianco e nero. E che invece son finite a ricoprire una
vecchia lapide. A cui qualche mano misteriosa cambia i fiori secchi una volta
l'anno.
da
Il Venerdì di Repubblica, 7
febbraio 2003