IL VENERDÌ di Repubblica

E la Shoah vista da un nazista scala le classifiche in Francia

L'ha scritta un americano vissuto a Parigi, Jonathan Littel. Che a 39 anni e con un'opera prima ha sfidato un tabù. Stregando anche la critica

di Anais Ginori

 

PARIGI. Un primo romanzo lungo novecento pagine, scritto in francese da un americano che sfida un tabù letterario pressoché inviolato: raccontare la storia della Shoah dalla parte dei carnefici. Nessuno poteva prevedere che l'immenso tomo mandato in libreria da Gallimard a fine d'agosto, con il titolo sibillino Les Bienveillantes (ovvero le «benevole», furie vendicatrici di Eschilo), scalasse in poche settimane le classifiche, superando star come Amélie Nothomb, e ricevendo critiche estasiate e quasi unanimi: da Le Monde al Figaro, tutti gridano al capolavoro. Lui, l'autore del momento, la grande rivelazione di questa stagione letteraria francese (i cui diritti internazionali sono ormai battuti all'asta) è Jonathan Littel. Uno sconosciuto a prima vista. Trentanove anni, faccia d'angelo con sguardo felino, padre di due bambini, sposato con una funzionaria belga di Medici Senza Frontiere con cui ha condiviso un passato di volontario nelle guerre degli anni Novanta, dalla ex Jugoslavia alla Cecenia, al Ruanda. In perfetto stile «bobo», bourgeois bohémien, appena trasferitosi con la famiglia da Belleville sulle ramblas di Barcellona, è solo apparentemente anonimo. Littell è infatti il figlio del maestro di spy-story Robert, detto Bob, già inviato di Newsweek nell'ex Urss e in Medio Oriente, che ha firmato tra l'altro il saggio sulla Cia The Company. Prima di ripercorrere le orme del padre, Jonathan ha atteso parecchio, anche se racconta che l'idea de Les Bienveillantes gli ronzava nella testa da almeno dieci anni. Nato a New York nel 1967, al momento di vergare le prime righe (ha scritto a mano la stesura iniziale) per lui è stato naturale accantonare la madrelingua inglese: cresciuto in Provenza, diplomato a Parigi, Littell si è laureato a Yale in letteratura francese e, per un periodo, Jonathan ha lavorato come traduttore di Sade. Tutto il suo libro è infarcito di citazioni di autori francesi, a partire, dall'incipit, Frères Humains, fratelli umani, dal famoso epitaffio di François Villon. È nel 2001, di ritorno da un nuovo fronte, che Littell si butta nell'avventura letteraria. Lo scatto gli è venuto ritrovando la foto di una donna russa impiccata dai nazisti e abbandonata mezza nuda sulla neve. Cosa accadeva nella testa e nel cuore di quei boia? L'interrogativo attraversa tutto il romanzo, nella voce del protagonista Maximilien Aue, una SS che partecipa freddamente agli orrori nazisti, dalle fosse comuni in Ucraina alla battaglia di Stalingrado alla macchina della morte di Auschwitz. I riferimenti storici e il carattere di molti personaggi, da Himmler a Hitler, sono documentati: per quattro anni Littell ha studiato, viaggiando in Russia, Polonia, Germania, alla ricerca di testimonianze, archivi segreti. «La scrittura invece» racconta «è durata meno di quattro mesi, mi sono messo al tavolo con molta calma e disciplina, dalla mattina alla sera». Un'opera barocca ed epica, che mischia i generi, guarda il male in faccia senza occultare «sangue, sperma e merda», come dice l'autore. «Questo romanzo doveva essere nostro ad ogni costo» ricorda adesso Antoine Gallimard. Per evitare condizionamenti, Andrew Nurnberg, l'agente di Robert Littell, ha mandato in lettura il manoscritto con lo pseudonimo Jean Petit (piccolo, un gioco di parole sul vero cognome). «Il testo aveva solo qualche americanismo» confessano alla casa editrice «ma una potenza degna di Kaputt di Malaparte». In Francia, le polemiche per la scelta di pubblicare le memorie romanzate di un boia sono state in realtà meno di quel che si aspettava l'editore. Nel 1953 Robert Merle fu sommerso dalle critiche per aver osato far parlare un comandante immaginario di Auschwitz in La morte è il mio mestiere. Forse oggi il ricordo dell'Olocausto è più lontano e Littell, di origine ebrea, è riuscito a mantenere uno stile lucido, mai compiacente sulla banalità del male. Nel prologo, la SS Maximilien Aue, ormai vecchio e nascosto in Francia, invita a leggere questa storia «oscura ma anche edificante, come un'autentica favola morale». A giudicare dal successo in libreria, molti lettori lo hanno seguito senza pregiudizi.

Il Venerdì di Repubblica 29 settembre 2006

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