IL VENERDÌ di Repubblica

Il caso Perlasca – L’ultimo eroe tv: un fascista che salvò gli ebrei

Il volto è quello di Luca Zingaretti, il «Commissario Montalbano». La storia quella di un commerciante padovano che diventò lo Schindler italiano. Una vicenda nascosta per mezzo secolo. Ecco perché

di Carlotta Mismetti Capua

Era lo Schindler italiano, ma nessuno gli voleva credere. Per quarantacinque anni Giorgio Perlasca, il commerciante padovano, cattolico e fascista, che durante la guerra, dopo una serie di peripezie, finì a Budapest, ha raccontato la stessa storia: nel 1944 aveva salvato, da solo, oltre cinquemila ebrei. Ci era riuscito, ovvio, con uno stratagemma. Si era finto quel che non era: un ambasciatore spagnolo. «Quando gli chiesero perché lo aveva fatto», racconta Luca Zingaretti, il «Commissario Montalbano» del piccolo schermo che gli presta la faccia nel film tv Perlasca, un eroe italiano, «lui rispose: e lei che cosa avrebbe fatto al mio posto?». A raccontare la sua storia ora è un film, tratto dal libro che il giornalista Enrico Deraglio ha realizzato nel ’95, La banalità del bene (Feltrinelli) e dal diario di Perlasca stesso, L’impostore (Il Mulino): una coproduzione da 12 miliardi che RaiUno monda in onda il 28 e il 29 gennaio, in occasione del giorno della Memoria, 27 gennaio (era un 27 gennaio quando gli alleati entrarono ad Auschwitz). Girato da Alberto Negrin nei luoghi in cui la vicenda si svolse, dall’Italia all’Ungheria, da Budapest ad Auschwitz, Perlasca, un eroe italiano, scritto da Stefano Rulli e Sandro Petraglia, gli sceneggiatori della Piovra, è interpretato appunto da Luca Zingaretti e Amanda Sandrelli. «La bellezza della storia», prosegue Zingaretti, «sta tutta nella leggerezza straordinaria con cui quest’uomo fa quello che fa solo perché lo ritiene giusto. Come dire che valori come orgoglio, rispetto, dignità, dovrebbero essere normali». Quando la Germania, il 9 marzo del ’44, occupò militarmente l’Ungheria e instaurò un governo nazista, cominciando la deportazione di oltre quattrocentomila ebrei (solo nella capitale, a quel tempo, ne vivevano 200 mila) Giorgio Perlasca decise di fare qualcosa. Aveva in tasca un attestato che gli era stato consegnato dal governo del generalissimo Francisco Franco, per il quale aveva combattuto durante la guerra civile spagnola – lui giovane innamorato di D’Annunzio e di Salgari – come volontario. Diceva: «Caro camerata, in qualsiasi parte del mondo tu ti troverai, rivolgiti alla Spagna». Così l’italiano si presentò all’ambasciata spagnola, ottenendo alloggio e documenti falsi. Da allora, e per i tre mesi che seguirono, il suo nome fu Jorge, e il suo lavoro quello di salvare il maggior numero di ebrei dai convogli della morte di Adolf Eichmann. Quando l’ambasciatore spagnolo Sanz Briz lasciò precipitosamente l’Ungheria per lasca, rischiando il tutto per tutto, si finse il suo sostituto. Così, in sei settimane, diffuse tremila lettere di protezione.. ma fece di più: ogni giorno andava ai convogli dei treni a tirar giù quelli che poteva salvare. Ogni giorno trattava con i poliziotti, scriveva lettere di protesta al ministero degli esteri, comprava cibo, vestiti, favori per gli ebrei che proteggeva in ambasciata. «Feci quello che un ambasciatore non avrebbe mai fatto» confesserà, giacché a salvare tutte quelle persone – cinque volte di più di Oscar Schindler, il tedesco, e nazista, immortalato da Spielberg, che salvò più di mille ebrei – fu più il suo attivismo che i documenti. «Quando ci ripenso mi sembra impossibile che siamo riusciti a fare quello che abbiamo fatto. A conti fatti è stata una grande capacità di raccontare balle» ricorderà nell’autobiografia. Centinaia di bugie e un coraggio senza precedenti che nel 1988 – due anni prima di morire – gli hanno fatto guadagnare, primo italiano, la più alta onorificenza dello Stato di Israele, quella di Giusto tra le Nazioni, e un albero a sua memoria nel Parco dei Giusti a Gerusalemme, proprio accanto a quello di Simon Wiesenthal, il cacciatore dei nazisti. Ora anche una mostra – ad Abano Terme, dal 3 febbraio, all’hotel Orologio – lo ricorda: in esposizione documenti e oggetti personali. E un sito: www.giorgioperlasca.it. Per 45 anni la storia di questo eroe è stata dimenticata da tutti. Per lasca stesso, tornato in Italia, si ritirò nell’ombra. E poi nessuno gli credette, nemmeno la moglie: «La sua storia non interessava a nessuno», spiega oggi Enrico Deaglio, «perché Perlasca era un fascista e non aveva le credenziali giuste per fare l’eroe. Anche in Ungheria il regime comunista fece in modo che di queste storie non si parlasse più». Quando Deaglio e Carlo degli Esposti, che oggi ha prodotto il film, suonarono alla porta dello Schindler italiano, nell’autunno dell’89, trovarono un pensionato: «Era ancora un bellissimo uomo», ricorda Deaglio, «un metro e 85, occhi azzurri, molto charme. Perlasca piaceva alle donne: era intelligente e aveva un grande interesse per gli altri». Finalmente ricambiato: tra tutte le targhe che ricevette quando la sua storia, alla fine degli anni 80, grazie a un’inchiesta americana sui «salvatori sconosciuti» divenne pubblica – quelle targhe che la moglie, ogni volta che partivano, metteva in una borsa da dare in consegna alla vicina, per paura dei ladri – quella che preferiva gliela donarono i bambini di una scuola del suo quartiere, a Padova. C’era scritto: «Ad un uomo a cui vorremmo assomigliare».

Il Venerdì di Repubblica, gennaio 2003

sommario