IL VENERDÌ di Repubblica

E i ricordi di Helga, otto anni, portata in gita premio da Hitler

Era una «perfetta bambina ariana» quando fu invitata nel bunker di Hitler. Oggi racconta in un libro come, anche ai suoi occhi innocenti, il Führer apparve per ciò che era: un fantasma chiuso nel suo delirio

di Antonella Barina

«A un tratto si sentono dei rumori e da una porta sulla sinistra entra un gruppo di giovani SS che si dispongono lungo la parete di fronte a noi. (...) Ed ecco che arriva lui, Adolf Hitler, il Führer del Terzo Reich! (...) È così diverso da come lo avevo immaginato: il passo lento e strascicato, le spalle curve, il braccio sinistro rigido come se fosse di legno e un vistoso tremolio al capo... Non posso crederci. Sarebbe questo il Führer della Germania?». Quante descrizioni abbiamo avuto di Hitler allo stremo, barricato nel bunker sotto la Cancelleria del Reich, mentre Berlino è in fiamme, rasa al suolo dagli Alleati. Ma questa è una testimonianza diretta, vissuta da una bambina di otto anni, che nel '45 in quel bunker c'è stata tre giorni e oggi racconta un'altra tragedia provocata dal mostro che pretendeva di dominare il mondo: quella di tanti ragazzini tedeschi, troppo piccoli per avere condiviso con la folla il suo delirio, e che pure l'inferno della guerra e della disfatta l'hanno subito. Riportandone cicatrici indelebili. Helga Schneider, autrice di romanzi di successo come Il rogo di Berlino (Adelphi) e Il piccolo Adolf non aveva le ciglia (Rizzoli), ora pubblica con Einaudi una nuova testimonianza della follia di quel periodo: lo, piccola ospite del Führer, il ricordo di un'agghiacciante gita-premio nell'epicentro del Male, il covo sotterraneo di Hitler. Organizzata dalla zia Hilde, nazista senza riserve, che lavorava al ministero della Propaganda. Fu lei ad approfittare dell'ultima mossa propagandistica di Goebbels: concedere a un gruppo di «perfetti bambini ariani» il privilegio di incontrare il Führer. Fu lei a inserire tra i prescelti anche Helga e il fratellino Peter di cinque anni. Allettando quei bambini affamati con la promessa di un piatto di salsicce da mangiare laggiù, nelle viscere della terra. Per Helga bambina, l'abbaglio dei tedeschi per il Führer non fu solo una tragedia collettiva - anni sfigurati dalla fame, dal terrore, dall'odore dei morti - ma anche una tragedia personale. Aveva quattro anni quando sua madre l'abbandonò per arruolarsi nelle SS: da grande Helga scoprirà che era diventata guardiana del campo di sterminio di Birkenau, collaborando perfino agli esperimenti su cavie umane, e lo rivelerà, straziata, in una delle più efficaci denunce della miserabile onnipotenza nazista, Lasciami andare, madre (Adelphi). E quando durante la guerra anche suo padre se ne andò, prima reclutato al fronte, poi «disperso», lei rimase ad affrontare quei giorni tremendi con una matrigna feroce. Scrivendo, Helga continua a scavare le radici del suo dolore. È stato il film di Oliver Hirschbiegel La caduta. Gli ultimi giorni di Hitler, interpretato da Bruno Ganz, a far riaffiorare nuovi ricordi. Come il volto del dittatore: «Ero ammirata dalla prestazione ineccepibile di Ganz in quel ruolo difficile e scomodo, ma non ho visto nei suoi occhi i bagliori della lucida follia del Führer» spiega la Schneider. «E il film mi ha causato malessere, anche se ho trovato il bunker troppo illuminato e i corridoi più larghi di quanto non fossero in realtà». Ecco allora il bisogno di raccontare, in un nuovo libro, la sua versione di quella tana sotterranea degli ultimi mesi prima della disfatta. Un portellone di ferro. Una scala ripida. Un dedalo di corridoi umidi e bui. Un puzzo insopportabile di muffa e diesel. E poi i rituali di una disciplina ottusa e ossequiosa. Visita medica, perché nessuno rischi di contagiare il Führer. Lampada solare, perché lui non sopporta l'idea che i bambini berlinesi siano smunti e denutriti. L'agognata salsiccia, che quei piccoli stomaci disabituati a mangiare vomitano subito. Quindi le prove del fatidico incontro. (Quando arriva Adolf Hitler, fare il saluto nazista, ma non gridare troppo forte perché il Führer ha l'udito sensibile. Restare disciplinati in fila e sorridere. Per nessun motivo mettersi a chiacchierare con lui e rispondere solo “Ja mein Führer” o "Nein, mein Führer. Reprimere tassativamente colpi di tosse, starnuti, pruriti, mosse agitate, raschiamenti di gola. E se dovesse porre delle domande, per nessuna ragione tediarlo con notizie negat­ve del genere "ho paura dei bombardamenti" o "papà è caduto al fronte"». Tre giorni in cui la mente di Helga torna di continuo alla realtà di Berlino in superficie: alle colonne di sfollati, al cadavere di un bambino divorato dalle fiamme, al fanatismo arrogante della gioventù hitleriana, che intendeva ancora incutere paura al mondo. Fino al momento clou: «Come ipnotizzata, ricambio lo sguardo del Führer. Quegli occhi fissi, di un blu profondo, le pupille dilatate, l'espressione malgrado tutto ancora autorevole, che incute paura e soggezione. Ma, al contrario, la stretta della sua mano è molle. "Ti piace stare in questo bunker, Helga?". Rispondo all'istante: "Ja!", Che bugiarda». Finito l'incontro, tra i bambini «comincia un chiacchiericcio confuso. Tutti vogliono esprimere le sensazioni provate. Nessuno però osa dire di aver visto una specie di fantasma che sembra sopravvivere a fatica alla sua stessa ombra».

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Genocidi diversi: i superstiti si incontrano

Da quello armeno alla Cambogia passando per la Shoah: uno speciale del Tg1

Era il 1917 quando il presidente americano Wilson spedì un cameraman in Armenia per riprendere i sopravvissuti al genocidio costato un milione e mezzo di persone. Nacque una pellicola in bianco e nero, senza sonoro, che il 27 gennaio Roberto Olia, già curatore del ciclo Combat film, riproporrà in uno speciale Tgl (seconda serata) dedicato alla Memoria. Insieme a incontri d'eccezione tra scampati a genocidi diversi: Ida Marcheria, sopravvissuta ad Auschwitz, con Charles Aznavour, figlio di un superstite del genocidio armeno. Tatiana Bucci, salvata dagli esperimenti genetici di Mengele, con Ong Thong Hoeung, sfuggito agli eccidi cambogiani. Piero Terracina, reduce dai lager, con Sunao Tsuboiv, testimone di Hiroshima. (Marianna Buonassisi)

Il Venerdì di Repubblica, 20 gennaio 2006

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