IL VENERDÌ di Repubblica

Sophie contro Hitler: l'unica volta che i tedeschi opposero resistenza

La Rosa bianca era un gruppo di universitari cristiani di Monaco. Guidati da una ventenne e dal fratello, cercarono di risvegliare le coscienze contro il nazismo, e trovarono la morte. Una coraggiosa eccezione diventata un film

dal nostro corrispondente Andrea Tarquini

Berlino. Furono un pugno di disperati, furono i primi tra i pochi coraggiosi che in Germania scelsero non la salvezza nella fuga a Londra o negli States, né il silenzio del compromesso con la tirannide, ma la via della Resistenza. Erano giovani, pagarono tutti con la vita: processo farsa di poche ore, torture brutali, poi la ghigliottina. È la storia della Weisse Rose, la Rosa bianca. Cioè del piccolo gruppo di studenti e professori dell'Università di Monaco che, nel 1942, in piena guerra, sfidarono Hitler incitando invano la borghesia e le élite tedesche a opporsi alla «dittatura del Male». Una storia tragica e bella, che il film di Marc Rothemund, premiato al Festival di Berlino, viene ora a raccontare anche al pubblico italiano.

La giovane, brava Julia Jentsch interpreta nel film il personaggio principale, Sophie Scholl, leader del gruppo insieme al fratello Hans. Con loro, fin dall'inizio, furono Christoph Probst, Alexander Schmorell, il professor Kurt Huber, Willi Graf. Idealisti, certo. Ma soprattutto cristiani rigorosi, e accademici di ottima formazione. Giovani modello dell'élite, insomma. Ma nella Germania del 1942, la maggioranza di questa stessa élite borghese aveva tradito se stessa. Come Adrian Leverkühn, il protagonista del Doktor Faustus che Thomas Mann scrisse nell'esilio americano, aveva stretto il patto col diavolo, il diavolo nazista. Taceva, acconsentendo sul genocidio politico d'ogni forma di opposizione politica e religiosa, poi tacque sulla Shoah, poi sulle guerre d'aggressione hitleriane. «Medici, avvocati, professori, voi élite istruite, aprite gli occhi», dicevano i volantini della Rosa Bianca, che Sophie, Hans e gli altri distribuivano all'università della capitale bavarese. Il racconto nel film scorre avvincente. «Da tanto tempo» dice Thomas Assheuer, critico dell'illustre settimanale Die Zeit, «gli attori d'un film tedesco non avevano più commosso e coinvolto il nostro pubblico come è accaduto con Sophie Scholl». Forse non è del tutto casuale che il successo del film in Germania coincida con l'ascesa di Angela Merkel: come la cancelliera designata disse in un'intervista a Repubblica, «le radici del mio partito, la CduCsu, sono nella Resistenza, specie nei gruppi cristiani spariti nelle galere di Hitler».

L'appello al risveglio della coscienza è drammatico, coraggioso. «Che venga la rivolta contro la Dittatura del Male, che ognuno si assuma le sue responsabilità di membro della cultura cristiana e occidentale e combatta contro il fascismo», incitavano i ragazzi di Monaco. Idealisti, ma lucidi. Denunciavano l'élite tedesca, «che non ha tollerato solo il militarismo prussiano e i suoi deliri di potere imperialisti, ma anche la persecuzione degli ebrei e la guerra d'annientamento sul fronte russo, e tutti gli altri crimini contro l'umanità». Sant'Agostino e Pascal, esempi di lucidità dottrinaria, sono per Sophie il credo della sua scelta di resistente. Sullo sfondo, c'era la svolta in atto nelle sorti della Seconda guerra mondiale. La Royal Air Force aveva battuto la Luftwaffe nella battaglia aerea d'Inghilterra, infliggendo al Reich l'umiliazione della prima disfatta. L'America di Roosevelt, aggredita dal Giappone a Pearl Har­bor, era entrata in guerra con tutto il peso insormontabile della sua forza. A Tunisi, britannici e gollisti avevano sconfitto l'Asse sul campo. Infine Stalingrado: grazie alle gigantesche forniture di armi dagli Usa e dall'Impero britannico, l'Armata rossa aveva piegato la Wehrmacht costringendola a iniziare la ritirata. Dalla Polonia alla Francia, dalla Norvegia alla Jugoslavia, i «combattenti del fronte interno», cioè gli eserciti partigiani, incalzavano l'occupante nazista. Giorno e notte, la Grande Germania affrontava i bombardieri pesanti americani e inglesi.

I ragazzi della Rosa Bianca forse sperarono troppo. Sperarono, come confessava Hans Scholl, che la guerra finisse presto. O come Sophie, che la coscienza della Nazione si destasse. Si sbagliarono. Furo­no traditi da un delatore, il bidello Jakob Schmidt, che li denunciò alla Gestapo. Il 18 febbraio del 1943 furono tutti arrestati. Lo spietato giudice speciale Roland Freisler, il Beria di Hitler, li condannò a morte per direttissima. Sophie e Hans furono assassinati già il 22 febbraio, Alexander Schmorell e il professor Huber il 13 luglio, Willi Graf in autunno. La vedova di Huber ricevette un conto di 3000 marchi del Reich, una dettagliata nota spese per pagare «i costi dell'esecuzione del traditore e dell'usura della ghigliottina». La Rosa Bianca fu una sfida sconfitta ma feconda. A lei si ispirarono, il 20 luglio del 1944, i coraggiosi ufficiali che attorno al conte Claus von Stauffenberg tentarono invano di uccidere Hitler. E un altro aristocratico di coscienza, il generale von Choltitz, che disobbedì all'ordine del Führer di distruggere Parigi e la consegnò intatta al generale Leclerc e a Chaban-Delmas. Freisler non uscì vivo dalla guerra: morì in un bombardamento alleato, e nessuno trovò mai il suo cadavere.

Da Il Venerdì di Repubblica, 21 ottobre 2005

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