l'Unità
L’Osservatore romano ricorda
Katyn: «I sovietici furono come i nazisti
di Alceste Santini
CITTÀ DEL VATICANO. Con un commento di prima pagina dal titolo «Quella macchina costruita per la distruzione dell'uomo» affidato allo storico cattolico Giorgio Rumi, anche L’Osservatore Romano ricorda che «cinquant'anni fa il mondo prendeva coscienza diretta dei campi di concentramento», e in particolare della tremenda tragedia di Auschwitz, rilevando che «nessuno immaginava la vastità e la sistematica crudeltà antiumana del fenomeno». E, dopo aver rilevato che i soldati alleati poterono toccare con mano «la concretezza dei regime nazista», il giornale scrive che iniziò per tutti, come per la Germania stessa «la consapevolezza di ciò che comportava una revisione critica dell'intera storia tedesca che si è protratta per parecchi decenni alla ricerca dolorosissima delle ragioni per cui una nazione tra le più civili del mondo si era infettata da incredibili germi che l'avevano corrosa e sfigurata sino a rendere irriconoscibile la sua stessa anima, l'altezza unica della sua cultura». Una riflessione critica che hanno potuto fare quanti, in questi cinquant'anni e ancora ieri, si sono recati, come doveroso pellegrinaggio della memoria, ad Auschwitz, constatando che quanto di terribile avvenne in questo luogo ed in altri simili resta in fondo alle nostre coscienze come qualche cosa da trasmettere perché nulla di così orrendo possa ripetersi. Perciò, lo stesso Giovanni Paolo Il, quando nel giugno 1979 vi si recò da Papa, parlò dei nazismo come della «più grande follia dei nostro secolo» e di Auschwitz come del «Golgota» dei nostro tempo a cui inchinarsi. E l'organo vaticano ha fatto bene, ieri, ad ammonire che «gli indicibili sacrifici di quelle generazioni non saranno stati vani se figli e nipoti interiorizzeranno gli errori intellettuali e le degenerazioni criminose» per trarre la necessaria lezione della storia. Non sarà mai troppo meditare su quella «lunga notte della regione». Ma L'Osservatore Romano, dopo aver affermato che «il totalitarisrno non era solo privilegio dell'esperienza nazista» perché «negli alleati del Terzo Reich quel seme aveva dato frutti nefasti, col volenteroso collaborazionismo, con l'imitazione, col contagio ideologico e pratico», sostiene che «il regime sovietico, dal canto suo, non aveva nulla da invidiare al Reich quanto a terrore ed esperienze concentrazioniste» facendo rimarcare che «semmai poteva vantare un vero primato in materia» perché «i fatti di Katyn dimostrano che i comportamenti antiumani di massa superano le differenze ideologiche e gli schieramenti politico-militari». Orbene, non c'è dubbio che il regime sovietico si è macchiato di delitti politici non giustificabili come, di discriminazioni e deportazioni in lager inaccettabili perché atti compiuti in violazione dei diritti umani. Ma va osservato che «i fatti di Katyn», per quanto tragici e condannabili, non possono essere messi sullo stesso piano di quelli che sono stati consumata ad Auschwitz come tende a fare uno storico come Rumi. Quanto, poi, a responsabilità storiche dei cristianesimo nel contribuire, con sentimenti di scarsa stima e persino di disprezzo, «all'emarginazione di questo popolo», il Card. Carlo Maria Martini ha riconosciuto le «colpe», in una intervista trasmessa ieri dalla Radio Vaticana. Perciò - ha detto - l'atteggiamento dei cristiani verso l'olocausto non può che essere di «totale condanna e impegno a prevenire in futuro qualunque cosa che vada nel senso dell'antisemitismo o dell'offesa dei popolo ebraico». E, richiamandosi alle aperture dei Concilio Vaticano Il nei confronti degli ebrei rimovendo antiche condanne e scomuniche ed agli atti ed alla visita di Giovanni Paolo li alla Sinagoga di Roma, il Card. Martini ha affermato che, per rimuovere «ignoranza e pregiudizio», occorre fare «opera profonda di conoscenza che porti alla stima, all'ammirazione, all'affetto per tutto quello che questo popolo porta di tradizioni millenarie, contribuendo al progresso della civiltà».
Kohl: «Pagine nere della nostra storia»
BONN. In una giornata ventosa e sorprendentemente mite, il presidente della Repubblica tedesca Roma Herzog ha partecipato alle preghiere per i morti che centinaia di ebrei di tutto il mondo hanno recitato e cantato nell’ex lager nazista di Birkenau (Auschwitz). Il capo dello Stato ha reso omaggio al monumento delle vittime del nazismo dietro al quale sventolavano 32 bandiere ed ha assistito raccolto alle cerimonie organizzate dal Congresso mondiale ebraico davanti alle rovine di una delle sei camere a gas fatte saltare in aria dai nazisti prima dell’arrivo dell’Armata rossa. «Il capitolo più oscuro e terribile della storia tedesca fu scritta ad Auschwitz»: con queste parole il cancelliere tedesco Helmut Kohl ha esortato il paese a riflettere sulla tragedia dei campi di sterminio nazisti e a isolare quanti minimizzano o addirittura negano l’Olocausto. Dedicando una seduta straordinaria al 50^ anniversario della liberazione di Auschwitz, il Bundestag, la Camera Bassa del parlamento di Bonn, ha voluto ricordare un dramma del passato, ma anche ribadire il proprio impegno affinché quella tragedia non si ripeta. La presidente del Bundestag, Rita Suessmuth, ha avuto parole durissime per i neonazisti e gli storici «revisionisti:» «Coloro che vogliono cancellare le tracce di Auschwitz – ha detto – si rendono personalmente responsabili cancellando il passato e le sofferenze delle vittime e privandole della loro dignità». Il leader dell’opposizione socialdemocratico, Rudolf Sharping, ha sostenuto che al nome di Auschwitz è legato un senso di colpa «che non ci abbandonerà mai».
Da
l'Unità, 27 gennaio 1995