l'Unità
È morto Simon Wiesenthal, un secolo a caccia di nazisti
di red
Simon
Wiesenthal, il più famoso cacciatore di nazisti, è morto martedì a Vienna a
96 anni. Ne ha dato notizia il Centro che prende il suo nome con una nota
pubblicata su Internet. Il suo nome è associato alla memoria della Shoa, lo
sterminio degli ebrei, e alla ricerca delle sue responsabilità dirette.
Wiesenthal con il suo Centro di documentazione, fondato nel 1961, ha ricostruito
storie e incastrato criminali che erano riusciti a far perdere le proprie
tracce, spesso in base ad accordi tra potenze vincitrici della Seconda guerra
mondiale. Ha incastrato criminali del calibro di Adolf Eichmann, uno dei capi
della campagna di sterminio degli ebrei e Franz Stangl, ex comandante del campo
di Treblinka. Aveva individuato in Cile il tenente colonnello delle Ss Walter
Rauff, morto nel 1984. E Josef Mengele, detto “l’Angelo della morte”, il
dottore accusato di aver massacrato 400 mila ebrei ad Auschwitz, in Polonia.
Wiesenthal ha avuto anche un’altra vendetta sui criminali nazisti che ha
perseguito tutta la vita: essendo morto quasi centenario, li ha visti morire
quasi tutti. Wiesenthal
era del 1908, ebreo della Galizia, allora facente parte dell’impero
austro-ungarico in via di smembramento, impregnato della cultura viennese veniva
da una famiglia facoltosa di Buczacz. Suo padre era un uomo d’affari e abitava
nel cuore dell’Impero: Vienna. «Non eravamo ebrei praticanti – ebbe a
raccontare – ma io lo diventai». Quando Hitler attaccò la Russia nel 1941,
aveva trentadue anni. A quell’età era nei campi. È stato a Buchenwald in
Baviera e a Mauthausen in Austria. Aveva subito torture, aveva visto la sua
famiglia sterminata e cercato il suicidio. Aveva calcolato che lo sterminio ha
riguardato 11 milioni di civili, tra cui sei milioni di ebrei. Nel 1977 il
Centro Simon Wiesenthal Center si strutturò anche come centro di ricerche
storiche e di educazione alla memoria dell’Olocausto e alla tolleranza.
«Cercava la giustizia, non la vendetta»
di Umberto De
Giovannangeli
«Oggi
per Israele è per la Diaspora ebraica è un giorno di grande dolore. Con la
morte di Simon Wiesenthal il popolo ebraico ha perso un vero eroe, il simbolo
della lotta per la persecuzione penale dei criminali nazisti. Simon ha incarnato
la volontà di giustizia di un intero popolo. Giustizia, non vendetta. E al
mondo intero ha lasciato un messaggio indelebile: senza memoria non c’è
futuro. E senza giustizia non vi può essere pace. Per i vivi e per i morti». A
parlare è Efraim Zuroff, direttore del centro Wiesenthal di Gerusalemme. «Il
modo migliore - aggiunge - per ricordare Simon Wiesenthal è continuare la
battaglia con la stessa perseveranza, secondo i suoi principi. Noi abbiamo una
lista di 10 nazisti che continuiamo a ricercare attivamente; costoro
rappresentano la parte visibile dell’iceberg».
Cosa ha rappresentato per Israele Simon Wiesenthal?
«Un
autentico eroe ebreo. Mi onoro di essere stato suo amico. Simon era uscito dai
lager nazisti animato da un insopprimibile desiderio di giustizia. Giustizia,
non vendetta. Questa è stata la grandezza morale di Simon, e Dio sa se non
fosse giustificata anche la vendetta. Una grandezza che va ben oltre l’aver
consegnato alla giustizia 1100 criminali nazisti. La sua grandezza sta
nell’aver contribuito a costruire una coscienza morale sull’immane tragedia
dell'Olocausto. Questo è stato Simon Wiesenthal: parte della coscienza del
mondo. E al mondo ha sempre ricordato che l’impunità dei responsabili di
tragedie immani come fu l’Olocausto è un’ingiustizia che il tempo non può,
non deve lenire; una ingiustizia che dovrebbe essere insopportabile per tutti,
non solo per chi ne fu vittima, per il popolo ebraico».
Coscienza
del mondo. Qual è la lezione di Simon Wiesenthal che non va smarrita?
«È
la consapevolezza che non deve venire mai meno, che senza memoria non c’è
futuro. Che sull'oblio della coscienza non è possibile costruire un futuro
migliore. È la lezione di chi ha sempre creduto che giustizia e verità fossero
valori non negoziabili, principi da difendere e praticare strenuamente. Simon
Wiesenthal era un uomo di pace, profondamente convinto che la pace, quella vera,
giusta, debba fondarsi sulla giustizia, la tolleranza, il rispetto dei diritti
umani. Era un uomo dalla volontà ferrea, dall’inesauribile energia, dotato di
una memoria strepitosa. A muovermi, mi disse un giorno, sono i 6 milioni di
ebrei sterminati nei campi nazisti. E la loro - aggiunse - è una spinta che non
verrà mai meno. Ma Simon non è stato solo il rappresentante vivente dei
milioni di morti del nazismo. È stato anche un faro per le generazioni
successive che non hanno voluto e non vogliono dimenticare e che intendono
battersi contro ogni forma di razzismo e di antisemitismo».
Ed
ora cosa ne sarà dei Centri Wiesenthal?
«Non
smobiliteremo, questo è certo. E se possibile intensificheremo la nostra
azione. Noi abbiamo una lista di 10 nazisti ancora vivi e in libertà a cui non
smetteremo di dare la caccia. E poi c’è l’opera di monitoraggio e di
denuncia sui fenomeni risorgenti di antisemitismo nel mondo. Non è tempo di
abbassare la guardia. Il mondo non è immune dall’odio razziale e antisemita.
Mi lasci aggiungere che in Simon Wiesenthal la consapevolezza dell’unicità
della Shoah non aveva mai fatto velo ad un impegno speso a fianchi di popoli
vittime di genocidi e di pulizie etniche, come i musulmani di Bosnia, e
nell’epoca nazista anche dei Sinti e dei Rom. La volontà di giustizia che ha
animato Simon per tutta la sua vita non conosceva barriere ideologiche o
religiose. Era un uomo Giusto. Un patrimonio dell’umanità».
Da l'Unità, 20 settembre 2005, per gentile concessione