l'Unità
La strage di Sant'Anna di Stazzema
22 giugno 2005
Dieci
ergastoli per la strage di Sant'Anna di Stazzema. Giustizia dopo 61 anni
di red
Sono
stati tutti condannati all’ergastolo gli esecutori della strage nazista di
sant’Anna di Stazzema. I dieci imputati tedeschi, ex SS della 16/a divisione
Panzergrenadier. La procura militare di La Spezia li ha condannati anche al
risarcimento dei danni alle parti civili ed al pagamento delle spese
processuali. La sentenza è giunta dopo circa sette ore di camera di consiglio.
I nomi dei condannati sono: tenente Karl Gropler, luogotenente Georg Rauch, il
sottotenente Gerard Sommer, i sergenti Alfred Schoneberg, Ludwig Heinrich
Sonntag, Alfred Concina, Horst Richter, Werner Bruss, Heinrich Schendel e il
caporale Ludwig Goering. Tutti hanno tra gli ottanta e gli ottantacinque anni.
Una piccola folla silenziosa si è radunata davanti al tribunale militare della
Spezia prima della lettura della sentenza. Tra loro decine di superstiti e
familiari delle vittime della strage. La
mattina del 12 agosto 1944 le SS rastrellano circa 560 persone davanti alla
piazza della chiesa, praticamente quasi tutta la popolazione del posto. Il
comandante chiese al parroco, don Lazzeri, di convincere la popolazione a
svelare il nascondiglio dei partigiani. Dopo una breve trattativa senza
risultati arrivò l'ordine di sparare. Morirono tutti e 560, tra i quali 72
bambini con meno di 10 anni, una neonata, anziani e donne. I soldati della VI e
della VII Compagnia cosparsero i cadaveri di benzina e gli diedero fuoco. L'
eccidio di Sant' Anna di Stazzema è il primo di questa entità in Italia
durante la ritirata tedesca. Sarà seguito da quello di Marzabotto, in provincia
di Bologna, dove morirono 800 civili ed è probabilmente maturato dopo l' ordine
del feldmaresciallo Kesselring che, nel giugno 1944, chiese di togliere acqua
alle forze partigiane. Molti furono gli atti formalizzati dalla Commissione
alleata che finirono nel fascicolo di Sant' Anna di Stazzema, finito a sua volta
nel famoso armadio della vergogna. Nel 1951 il maggiore Walter Reder (che
guidava il comando tedesco a Marina di Pietrasanta) venne assolto dal tribunale
di Bologna dall' accusa di aver comandato la strage. Lo speciale pool dei
carabinieri bilingui, istituito dalla procura militare spezzina, ha individuato
10 persone facenti parte delle Compagnie che parteciparono al massacro. Il
processo ha preso il via il 20 aprile 2004 e ha visto la celebrazione di 20
Udienze. Il tribunale è presieduto da Franco Ufilugelli, giudice del tribunale
militare di Napoli. Ufilugelli è affiancato dal giudice togato Enrico Lussu e
dal giudice militare Zanone. Due i pubblici ministeri che in questi mesi hanno
sostenuto l’accusa: il capo della procura militare spezzina Marco De Paolis e
il suo sostituto, il pm Stefano Grillo. Cinque le parti civili: tra loro, la
Regione Toscana. Nessuno degli imputati ha accettato di presentarsi davanti al
tribunale, dunque tutti sono stati dichiarati contumaci. La tesi dell'accusa
verte tutta sulla premeditazione e sul fatto che «tutti gli imputati erano
esperti e addestrati e potevano ben prefigurarsi cosa sarebbe stato loro chiesto
di fare». Erano «veterani», secondo il PM, e sebbene «fossero giovani,
avevano precise responsabilità». Secondo la difesa non esistevano prove
sufficienti a dimostrare che i dieci imputati fossero operativi al momento e
abbiano sparato. Comunque, poiché eseguivano ordini superiori, non avrebbero
avuto ruolo decisionale. Durante la fase dibattimentale si sono vissuti momenti
di profonda tensione e commozione. E intanto due altri procedimenti sono in
partenza: il 5 luglio si terranno le udienze preliminari relative alla strage di
Civitella (203 vittime civili) e Marzabotto (nel complesso 1830 morti). Tutti i
filoni di inchiesta partono dai fascicoli rimasti sepolti nell'armadio della
vergogna. Il giudice De Paolis può contare sul prezioso aiuto di una squadra di
carabinieri altoatesini che conoscono bene il tedesco oltre all'italiano e lo
hanno coadiuvato nelle numerose trasferte in Germania. Un pool di avvocati
tedeschi patrocinerà gratuitamente i superstiti della strage nel processo
tedesco, che dovrebbe iniziare a Stoccarda a carico degli stessi imputati del
procedimento italiano. L' accordo è stato sottoscritto oggi a margine dell'
ultima udienza del processo. «La proposta ci era stata fatta ad aprile a
Berlino - spiega Ennio Mancini, direttore del museo civico di Sant'Anna - siamo
rimasti colpiti dalla disponibilità di questi avvocati a rappresentarci come
parte lesa. Gli imputati dovrebbero essere gli stessi del processo italiano in
quanto abbiamo appreso il processo tedesco dovrebbe iniziare a ruota di quello
italiano ormai concluso». Questo è invece il primo commento del sindaco di
Sant'Anna di Stazzema, Michele Sillicani, alla lettura della sentenza: «Oggi è
stata una giornata estenuante. Dopo 61 anni abbiamo avuto giustizia. Era stata
una strage premeditata - ha continuato il sindaco - non vogliamo nessuna
vendetta, non è con questo spirito che siamo qui. Volevamo giustizia, guardiamo
avanti. Anzi con il governo tedesco stiamo lavorando in modo sinergico perché
le nuove generazioni mettano alle spalle queste bruttissime esperienze. Dico di
più: se avessero fatto in Italia sentenze simili anche per i fascisti e non
solo per i nazisti l'Italia sarebbe stata diversa».
9
giugno 2005
Strage nazista di Sant'Anna di Stazzema, chiesti 10
ergastoli
di red
Dieci
ergastoli, per fare giustizia sulla più grande strage nazifascista, quella di
Sant’Anna di Stazzema. Li ha chiesti il pm spezzino Marco De Paolis giovedì:
la massima pena, l’ergastolo, per i dieci ex gerarchi delle Ss, imputati nel
processo sulla strage del 12 agosto del '44. Il processo, di cui è attesa la
sentenza a fine mese, si celebra a La Spezia. È iniziato l’anno scorso, il 20
aprile. E giovedì 9 giugno 2005 è arrivato alla requisitoria della pubblica
accusa, un’arringa durata quattro ore. Nella quale il pubblico ministero De
Polis ha tratteggiato la ricostruzione degli eventi definendo la 16° divisione
Panzergrenadier Ss autrice della strage «una vera e propria fanatica
organizzazione criminale dedita a suscitare terrore nella popolazione». A
questa organizzazione in divisa del Terzo Reich appartenevano i dieci imputati
non per leva obbligatoria ma per scelta. Spietati fino all’ultimo – e questo
è stato una aggravante in più per la richiesta di ergastolo – i dieci ex
gerarchi hanno mantenuto un totale disinteresse in tutti questi anni in
relazione ai tremendi crimini di cui venivano accusati. «Con imperdonabile
ritardo la giustizia cerca oggi di rimediare e sanare la sete di giustizia», ha
detto il pm tra gli applausi e le lacrime dei parenti degli uccisi. Tra
gli imputati, tutti ottantenni, i principali sono due: gli ex sottotenenti Ss
Gerard Sommer e Georg Rauch. Il primo comandante di compagnia (del secondo
battaglione 35° reggimento), il secondo aiutante e consigliere del comandante
di battaglione. Si sono difesi sostenendo di non essere mai stati a Sant'Anna ma
il pm ha acquisito documenti e testimonianze tra cui quelle di ex Ss che provano
la partecipazione degli imputati alla strage. Gli altri imputati sono
sottufficiali Bruss, Concina,Gropler, Richter, Sonntag, Schendel e Shoeneberg,
tutti capisquadra a Sant'Anna. C'è anche un caporal maggiore, Ludwig Goring,
l'unico ad aver ammesso di aver partecipato alla strage e di aver ucciso venti
donne a colpi di mitra. Durante la requisitoria ricostruite anche le fasi della
strage: civili inermi tra cui vecchi, donne e bambini rastrellati a Vaccareccia,
Sant'Anna, Valdicastello - sempre in Lucchesia - e trucidati a colpi di fucile e
a bastonate. Per la strage di Sant'Anna nel '47 venne condannato dal tribunale
alleato il comandante della 16° divisione Ss Max Simon. Per arrivare al
processo la procura militare ha dovuto frugare per tre anni tra le montagne di
carte dell'archivio militare di Berlino, ma anche negli Stati Uniti e sentire
una decina di testimoni, di cui una cinquantina erano presenti in aula. Tra i
testimoni nelle udienze non ci sono stati solo i sopravvissuti. A novembre si
sono presentati anche due ex Ss ottantenni, Heidhuchel e Beckerth. Il primo non
confermò le dichiarazioni rese durante le indagini sostenendo di non aver mai
partecipato alla strage, il secondo dichiarò commosso di aver visto fucilare
donne e bambini sul sagrato della chiesa di Sant'Anna e riconobbe solo uno degli
imputati, Gropler. Per completare le repliche della difesa, che sono iniziate
giovedì pomeriggio con l'arringa di Carlo Federico Grosso, difensore della
regione Toscana, sono state fissate udienze per il 14, 16, 21, 22 e 23 giugno
12
agosto 2004
«Stazzema: il giorno della nostra vergogna»
di Marco
Bucciantini
«Per noi è il giorno della vergogna», dice il ministro dell’Interno della Germania. Lo fa dalla cima del sentiero che porta alla lapide che commemora i 560 morti di Sant’Anna di Stazzema. Sotto, in mezzo a tanta gente, lo ascoltano anche Enio Mancini e Ada Battistini. Lui, quel 12 agosto del 1944 a sette anni vide il mitra spianato e puntato addosso. «Poi il comandante disse “Raus, raus!”. Non so perché ebbe quel moto d’umanità». Intorno, le altre compagnie di Ss del secondo Battaglione, spalleggiate dai fascisti del posto, uccidevano civili inermi. Poi bruciavano le case. Fecero anche un mucchio di cadaveri nella piazzetta della chiesa, dove Enio solitamente giocava con gli amici. «Ci nascondemmo per 40 giorni nelle grotte del bosco. Uscimmo quando arrivarono gli americani». Anche Ada è invecchiata senza compagnia. Aveva tredici anni, quattro soldati, tre italiani e un tedesco, fecero irruzione in casa sua, dove si rifugiavano 50 persone. Li portarono fuori, per ucciderli: la parte avanzata della fila fu fucilata. Quelli rimasti indietro, nascosti da un avvallamento, si salvarono: «Il biondino ci fece gesto di stare calmi. Poi sparò per aria, alle pecore, al bue. Ci risparmiò, e fece credere agli altri tre di averci ucciso». Il 60° appuntamento con «questo luogo vibrante di tragici sottintesi», come scrive la critica d’arte che presenta “Soffio d’anime”, la mostra sull’eccidio di Finotti con opere in granito e marmo esposte nel giardino della chiesa, ha questo sussulto storico. Mai un esponente del governo tedesco era giunto a Stazzema. Ci viene Otto Schily, insieme con il ministro dell’Interno Beppe Pisanu. Sotto la grande lapide ci sono i fiori freschi. Sul marmo sono impressi pochi cognomi, perché in queste vallate i ceppi sono i soliti da sempre: i Pieri, i Pardini (come Anna, 25 giorni di vita, la più piccola delle vittime), i Battistini. C’è un vaso poggiato da due bambini, con una dedica struggente ai piccoli morti (in 130 avevano meno di 16 anni). Alle 11, con le nuvole basse che nascondono le vette apuane, comincia la cerimonia, i discorsi ufficiali, dopo l’inno italiano, che una signora urla come fosse posseduta. Tocca al sindaco di Sant’Anna, Gian Piero Lorenzoni, emozionato. Quindi ad Otto Schily, in italiano. «Il 12 agosto del 1944 per i tedeschi è il giorno della vergogna. Fascismo e nazismo tradirono i valori europei, i nostri carnefici trovarono alleati anche in Italia, ma fu un’epoca popolata anche di altre persone: dai soldati che si rifiutarono di sparare, dalle vittime e dai loro parenti sopravvissuti che hanno dovuto attendere 60 anni per trovare giustizia. Indagini avviate tanta esitazione e fin troppo ritardo». Poi il ministro tedesco ha esteso alla nuova Europa il monito: «L’Europa è anche il lascito delle vittime del 12 agosto: serva per far nascere una comunità fondata sulla sicurezza, sulla cultura, sulla libertà». Una citazione per i due partigiani, Sandro Pertini e Willy Brandt. Pisanu tributa Sant’Anna, «piccola-grande patria della Resistenza silenziosa, fatta dalla società civile capace di ribellarsi all’oppressione nazista». Il capo del Viminale si richiama ad «Adenauer e De Gasperi, artefici di un’Europa politicamente unita. Ma una Costituzione non basta: dobbiamo lavorare su impegni concreti. Questa collaborazione fra italiani e tedeschi, qui, dalla collina di Sant’Anna, ci fa guardare al futuro con fiducia». Si “allenta” il cerimoniale, la stessa signora che intonava Mameli ora è più in basso e accompagna la Marcia dei coscritti, fieramente eseguita dalla Fanfara degli Alpini della Versilia. «Gnun d’Italia desidera guera, né masacri né scene d’oror...». Ma come, alpini in Versilia? Trombe, clarinetti, tamburi, qualche chilo di troppo, qualche anno di troppo, eh? «Ma così siamo affiatati», e suonano la Trentatré, il loro inno. Suona anche la famiglia Westermann: vengono da Essen, lui, il capofamiglia è prima tromba nell’orchestra della cittadina industriale. Organizzano eventi musicali con i tre figli (anche loro qui con una deliziosa amica) e raccolgono fondi per donare «un organo alla Chiesa di Sant’Anna», strumento che fu bruciato quel 12 agosto, e ancora manca. Fra i loro sostenitori anche Johannes Rau, il Bundespresident, che l’anno scorso andò con Ciampi a Marzabotto, per dire le parole che oggi ripete Schily. Elisa ascolta, si tormenta i capelli. Pisana, 16 anni, piercing ovunque, c’è «perché mi ci hanno sempre portata i miei e ora che sono grande ci vengo da sola». Scambia due parole con un militare bianco vestito (forse è dell’aeronautica). Quattro ragazzi genovesi, tornati a Farnocchia (località del posto) per le vacanze, hanno convinto Claudia a rinunciare al mare: «Ci possiamo andare tutti i giorni, qui solo il 12 agosto». Se la sono fatta a piedi, e da Pietrasanta sono dieci chilometri. Il Parco nazionale della Pace è bello, «Schily ci ha promesso che il governo tedesco contribuirà a completarlo, con le strutture di accoglienza», gongola Lorenzoni. L’altra mostra sono i volti di Oliviero Toscani, i ritratti di oggi dei superstiti di allora. Gli stessi cognomi, ma facce invecchiate, almeno loro: la mascella serrata dei Battistini, gli occhi tristi dei Pardini, i baffi dei Pellegrini, le belle facce tonde con il naso corto e sporgente dei Mancini. C’è anche la foto di Enio, che è il responsabile del Museo di Sant’Anna, «grande oratore», lo definiscono e infatti si propone a radio e tv. Ecco, i 560 sarebbero invecchiati così. Invece ne aleggia una memoria pesante, anime presenti in eterno, si legge su una lapide. E resta qualche oggetto rinvenuto fra le ceneri e raccolto in una vetrina: anelli, un portafoglio con le foto dei figli eleganti e pettinati, cento lire grandi come un fazzoletto aperto. Si torna a valle, al mare. Elisa è un po’ più stretta al milite, e verso il tocco il sole s’affaccia fra le nuvole.
marzo
2004
Cerimonia
per il 58° anniversario della strage. Gemellaggio della memoria con Sant’Anna
di Stazzema. Ciampi commemora i martiri delle Ardeatine
di Maura Gualco
«Vicino
l'autocarro presi in consegna una vittima, il cui nome veniva da Priebke
cancellato su di un elenco da lui tenuto. Altrettanto fecero gli altri quattro
ufficiali. Conducemmo le vittime sullo stesso posto e, con le stesse modalità
vennero fucilate un po' più indietro delle prime cinque». Era il 24 marzo del
1944 quando i soldati nazisti trucidarono alle cave Ardeatine, 335 persone.
Orrori, raccontati dall’imputato Herbert Kappler, e che dopo 58 anni da
quell’eccidio, sono ancora incisi nella memoria di tutti gli italiani. Anche
ieri, come ogni anno, è stata celebrata alla presenza del capo dello Stato
Carlo Azeglio Ciampi, del presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, del
ministro della difesa Antonio Martini e di numerose autorità politiche e
religiose, la commemorazione della strage delle Fosse Ardeatine. Come è
tradizione sono stati letti tutti i nomi dei martiri trucidati dai nazisti e
l'unico intervento è stato quello del presidente dell'Associazione nazionale
famiglie italiani martiri caduti per la libertà della patria (Anfim) Giovanni
Gigliozzi. L'esponente dell'Anfim ha ringraziato il presidente della Repubblica,
che, ha detto, «va ripercorrendo itinerari della geografia del dolore». Tra le
personalità presenti, c'erano il prefetto di Roma Emilio Del Mese, il sindaco
Walter Veltroni, la senatrice Tana De Zulueta, il segretario romano della Cgil
Stefano Bianchi, gli esponenti del Prc Salvatore Bonadonna, Alessio D'Amato,
Elio Romano, il presidente della comunità ebraica Leone Paserman e molti altri.
«In questi cognomi che sono stati scanditi come ogni anno - ha detto Veltroni -
ci sono quelli di molti nostri amici. Penso che sia giusto che la città coltivi
la memoria del dolore e della conoscenza della tragedia che sono state le Fosse
Ardeatine, il fascismo, il nazismo, l'occupazione, la guerra, per evitare che
tutto questo possa ripetersi». Ma la commemorazione dell’eccidio, questa
volta si è allargata ad un’altra strage: quella di Sant’Anna di Stazzema,
paese in provincia di Lucca dove il 12 agosto 1944, furono trucidate oltre 500
persone. Un gemellaggio della memoria durante il quale i familiari delle vittime
hanno ripercorso, durante un incontro avvenuto nel primo pomeriggio, un filo di
dolore che unisce i due eccidi: l’impunità. L’iniziativa organizzata
dall’associazione Garbatelle 1920, ha voluto ricordare - spiegano gli
organizzatori - «come rappresentanti delle istituzioni italiane e
internazionali coprirono gli autori delle stragi nazifasciste che provocarono la
morte tra il 43’ e il 45’ di oltre 15mila persone». A far luce sui motivi
dell’impunità, sono intervenute oltre a numerose testimonianze, tra cui
quella del procuratore militare Antonino Intelisano - titolare dell’inchiesta
sull’eccidio delle Fosse Ardeatine - anche un reportage di RaiNews 24. Un
filmato nel quale attraverso interviste e documenti del ‘46, emergerebbe la
preparazione di una “Norimberga” italiana nei confronti di presunti
criminali italiani e per i quali sarebbero state pronte ben 2000 richieste di
estradizione. Ma anche il ruolo che l’Oss, come si chiamavano i servizi
segreti americani, avrebbe avuto nel reclutare agenti fascisti e nazisti, in
funzione anticomunista. E una testimonianza vivente arriva proprio da un ex
agente dell’Oss, Peter Tompkins, presente nella sala. «Tutta l’attività di
spionaggio americana nei confronti dei russi - racconta Tompkins - era affidata
non soltanto a fascisti, repubblichini ed esponenti della Decima Mas, ma anche
ai peggiori nazisti come il “macellaio” Klaus Barbie. Altro che processarli».
30
gennaio 2004
Chi insabbiò i fascicoli? Andreotti deve sapere
di Franco
Giustolisi
Nel
giugno 1947 il procuratore generale militare Umberto Borsari parla con un alto
funzionario del Mae che si chiama G. Castellani (il quale riferirà al
segretario generale conte Zoppi) e gli dice che sono pronti i processi. Quindi
al giugno 1947 l’armadio della vergogna ancora non esiste. A maggio dello
stesso anno ottiene la fiducia il primo governo De Gasperi senza comunisti e
socialisti. È un momento decisivo. Dal governo De Gasperi in poi qualcuno
decide di non andare avanti. Chi può aver deciso? Chi può sapere? Uno che può
sapere è Andreotti, sottosegretario alla presidenza del consiglio che, pur
avendo la delega allo spettacolo, firma una lettera in cui si parla delle stragi
nazifasciste. Paolo
Emilio Taviani, quando lo intervistai chiedendogli chi poteva sapere, si rifiutò
di parlare di Andreotti. Ecco, io credo che da lui si potrebbero avere molte
risposte importanti
30
gennaio 2004
Le stragi rispondevano a una strategia precisa
di Massimo Rendina
I
nazisti avevano adottato una strategia che deriva da precise disposizioni di
Albert Kesserling, comandante delle forze tedesche in Italia. Vediamo come. Prima
dell’8 settembre i soldati della wermacht, nel corso della ritirata, compivano
furti e stupri. Le popolazioni reagirono, ma non fu una risposta politica. Bocca
lo definisce: «momento anarchico». Le prime stragi naziste furono una risposta
a queste proteste. Dopo l’8 settembre, man mano che i nazisti procedevano
nell’occupazione, iniziarono le stragi sistematiche. Kesserling aveva
prescritto a Wermacht e SS di mostrare in ogni la supremazia dell’occupante
rispetto alla popolazione, anche attraverso esecuzioni esemplari. Le uccisioni
avevano due pseudo-giustificazioni. La prima si basava sull’ideologia del
possesso: bisognava indurre le popolazione ad un ossequio assoluto. Un secondo
tipo di stragi, basate sull’uso del terrore, deriva dalla strategia preventiva
messa a punto da Kesserling. Occorreva dare una dimostrazione pubblica alla
popolazione sia che sul posto ci fossero partigiani sia che non ci fossero,
perché prima o poi ci sarebbero potuti stare. Kesserling diceva agli ufficiali
di non preoccuparsi perché qualsiasi cosa avessero fatto, l’avrebbero fatto
per la Germania. Dunque veniva offerta dall’alto la garanzia dell’impunità.
Questo venne detto dagli ufficiali tedeschi interrogati durante il processo a
Kesserling a Venezia. Risposero sempre di aver ubbidito a un comando superiore e
generale. A un maggiore venne chiesto se era compresa anche l’uccisione di
donne e bambini. Lui rispose: «Era implicito». Questo in obbedienza
un’ideologia per così dire di «reificazione». Tutto quello che doveva
essere distrutto, donne e bambini compresi, diveniva una cosa. Tant’è che
nelle relazioni non compare mai il termine persone. I deportati vengono chiamati
«pacchi», quelli destinati ad essere uccisi vengono definiti «capi», come il
bestiame, o «numeri».
12
gennaio 2004
Stragi nazifasciste. Storia di un insabbiamento lungo
cinquant'anni
di gi. vi.
L’armadio
della vergogna non è una metafora. Era un vecchio mobile marrone scuro,
nascosto in una stanza della Procura militare di Roma, a Palazzo Cesi, via degli
Acquasparta, 2. La stanza era chiusa da un cancello di ferro. Il mobile aveva le
ante rivolte contro il muro. Da
quell’armadio, nel 1994, sono usciti 695 fascicoli, con il timbro «archiviazione
provvisoria», in cui vengono descritti i crimini compiuti da tedeschi e
repubblichini dall’8 settembre 1943 alla fine della guerra, le località dove
erano avvenuti, i nomi delle vittime e quelli dei colpevoli. Una documentazione
certo incompleta, perché le indagini furono insabbiate prima di giungere a
conclusioni, ma di enorme importanza. Quei fascicoli consentivano di far luce su
una pagina in parte ancora oscura della seconda guerra mondiale. Non perché non
si conoscessero già orrori come le stragi compiute da nazisti e fascisti (sì,
perché a quegli eccidi parteciparono anche molti italiani) a Marzabotto,
Sant’Anna di Stazzema e in tanti altri paesi. Ma perché solo grazie a quei
documenti è possibile avere un quadro completo di quelle rappresaglie, stimare
il numero delle vittime (15000, secondo le stime più probabili, condivise anche
dall'Anpi), risalire ai nomi dei colpevoli. I fascicoli sulle stragi
nazifasciste sono riemersi solo negli anni ’90 perché qualcuno, fra il 1947 e
il 1948, decise che era meglio non andare avanti in quelle indagini.
L’archiviazione provvisoria, un istituto di dubbia legittimità, fu disposta
in seguito, il 14 gennaio 1960, dal procuratore generale militare Enrico
Santacroce. Ma precedente è la decisione del potere politico
sull’inopportunità di rendere note le verità raccolte in quei documenti.
Perché? Probabilmente in seguito al mutamento del clima internazionale, con
l’inizio della guerra fredda, e al cambiamento del quadri politico italiano
(la fine dei governi del CLN e il varo, nel giugno ’47 del primo monocolore
democristiano) si ritenne di dover tenere nascosti i fantasmi della guerra. Per
non regalare un argomento propagandistico alla Sinistra. Per fare un favore agli
Alleati, che non volevano ostacoli in vista della ricostruzione dell’esercito
tedesco. Una memoria negata che dovrebbe fra riflettere chi non perde mai
occasione per condannare l’egemonia dell’antifascismo sul dopoguerra
italiano. La scoperta dell’armadio della vergogna ha portato a due risultati.
Ha consentito l’avvio di un’indagine parlamentare sui responsabili
dell’insabbiamento dei processi. Ha permesso di istituire, sebbene con oltre
cinquant’anni di ritardo alcuni processi, come quello per la strage di
Sant’Anna di Stazzema, ripreso il 12 gennaio davanti al giudice per le udienze
preliminari di La Spezia. In Parlamento, nella scorsa legislatura, una indagine
conoscitiva scolta dalla commissione Giustizia è giunta ad importanti
conclusioni, rinviando però il proseguimento del lavoro all’istituzione di
una commissione bicamerale d’inchiesta. «Dalla breve indagine che la
Commissione Giustizia ha svolto - si legge nel documento conclusivo - è emerso
con tutta evidenza che l'inerzia in ordine all'accertamento dei crimini
nazifascisti sia stata determinata dalla "ragion di Stato", le cui
radici in massima parte devono essere rintracciate nelle linee di politiche
internazionali che hanno guidato i Paesi del blocco occidentale durante la
"guerra fredda". Si tratta di un tema che merita di essere
approfondito nella prossima legislatura, al fine di delineare con maggiore
precisione gli ambiti di responsabilità degli organi dello Stato coinvolti. Lo
strumento più adeguato per raggiungere tale obiettivo è sicuramente
l'inchiesta parlamentare ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione».
Commissione che, dopo, un iter tormentato dovuto all’ostruzionismo della
destra (due anni di pretesti e rinvii), è stata istituita e si è riunita la
prima volta il 6 novembre del 2003.
12
gennaio 2004
Strage di S. Anna di Stazzema, rinvio a giudizio per tre
ex SS
di red
«È
stata una strage pianificata, non è stata una rappresaglia»: così il pubblico
ministero Marco De Paolis, procuratore militare di La Spezia, ha concluso
l'esposizione delle prove a carico dei sei nazisti accusati della strage di S.
Anna di Stazzema, dove, all’alba del 12 agosto del 1944, le SS massacrarono
560 civili. De Paolis ha poi sottolineato che i sei imputati «avevano tutti
ruoli di comando» e che hanno eseguito ordini «manifestamente criminali». Dopo
un ora e quaranta di camera di consiglio il giudice per le udienze preliminari
Roberto Rivello ha deciso il rinvio a giudizio per tre imputati. Si tratta di
Gerhard Sommer, 83 anni; Alfred Schonenberg, 83 anni e Ludwig Sonntag, 80 anni,
ex ufficiali del II Battaglione Panzergrenadier, Divisione Riechsfuhrer SS. Per
altre due ex SS, Werner Bruss, 84 anni e Georg Rauch, 83 anni, è stato
pronunciato il non luogo a procedere, mentre per il sesto imputato, Heinrich
Schendel, 82 anni, il Gup ha rinviato gli atti al pubblico ministero fissando in
cinque mesi il tempo per ulteriori indagini. Il sindaco di Sant’Anna Gian
Piero Lorenzoni si dice soddisfatto del risultato della giornata: «Una lunga
attesa di 60 anni potrà trovare finalmente delle risposte. Da questo punto di
vista quella di oggi è certamente una giornata importante e favorevole». Il
processo per la strage di S. Anna di Stazzema nasce dal ritrovamento
dell’armadio della vergogna, dove per quasi cinquant’anni sono stati
occultati i fascicoli sulle stragi nazifasciste in Italia. È un processo
difficile. Bisogna riprendere il filo delle indagini a sessant’anni dai fatti,
cercare i superstiti, interrogarli. Non ho partecipato all’azione, non
ricordo, mi avvalgo della facoltà di non rispondere: sono state queste le
risposte ricorrenti dei responsabili della strage individuati dal procuratore De
Paolis. Ma, nonostante tutti gli ostacoli, il gup ha deciso: il processo può
andare avanti ed essere celebrato. La data fissata è il 20 aprile.
2
dicembre 2003
La Spezia, iniziato il processo contro le SS responsabili
della strage di Stazzema
di red
Si
è aperto a La Spezia il processo contro sei SS coinvolte nella strage di
Sant’Anna di Stazzema, avvenuta il 12 agosto del 1944, uno dei più sanguinosi
eccidi nazisti in Italia. Il giudice dell'udienza preliminare del tribunale
militare della Spezia ha però rinviato al prossimo 12 gennaio 2004 la decisione
per il rinvio a giudizio per i sei indagati per la strage nazista di Sant'Anna
di Stazzema. Il pm Marco De Paolis ha infatti presentato nuovi documenti di
prova relativi ad interrogatori effettuati in Germania e gli avvocati difensori
hanno chiesto i termini a difesa. Per la prima volta in Italia i difensori degli
indagati avevano sollevato un'eccezione di difetto di giurisdizione del
tribunale militare. Il territorio del nord Italia, sostengono gli avvocati, era
riferibile alla sovranità della repubblica di Salò e al tempo dei fatti non
c'era stato di guerra tra quest'organo sovrano e lo Stato italiano. Le eccezioni
sono state subito rigettate. Il
tribunale ha inoltre accettato le richieste di costituzione di parte civile da
parte di Regione Toscana, Provincia di Lucca, Comune di Stazzema e Associazione
«Martiri di Sant'Anna».Il 12 agosto 1944 a Stazzema furono uccisi 560 civili.
L’indagine sui responsabili dell’eccidio è stata avviata di recente. E’
infatti stata resa possibile solo dopo la pubblicazione dei documenti sulle
stragi nazifasciste in Italia contenuti nel cosiddetto armadio della vergogna,
nel quale erano contenuti fascicoli di documenti tenuti nascosti e dimenticati
per oltre cinquant’anni. Per quanto riguarda le altre stragi su cui indaga la
procura militare spezzina il pm De Paolis ha sottolineato che per la strage di
Marzabotto l'inchiesta dovrebbe concludersi a primavera, mentre per quella di
Certosa di Farneta, che ha ormai solo un indagato perché gli altri quattro sono
morti, dovrebbe chiudersi entro la fine dell'anno
11
agosto 2002
I martiri di Sant'Anna di Stazzema, dimenticati dal
Governo
di Franco
Giustolisi
Ah,
se fossi poeta, troverei le parole per descrivere quest’alba livida. Non so se
sia la stessa di 58 anni orsono. Sono arrivato qui, stamane, il giorno prima
della ricorrenza, per il 58° anniversario della strage. Sembra tutto grigio,
come l’enorme pietra che grava lassù, in cima alla collina. E sulla nostra
memoria. E sul nostro ricordo. Ci sono evidenziati, con tante piccole lettere
dorate, i nomi dei morti: 560. Piccole come lo era Anna Pardini che aveva 20
giorni. E come quell’essere senza nome, mai nato. Non figura nella grande
stele, c’è quello della mamma, Evelina Berretti, dal cui seno fu cavato con
la baionetta. Tanti si erano rifugiati nella chiesa che l’umanità nei secoli
riteneva invalicabile. Entrarono, mitragliarono, gettarono bombe e diedero
fuoco. Una donna, Jenni Marsili, il cui emblema è rimasto come simbolo del
massacro, ha uno zoccolo nella mano e fa per lanciarlo, ma non potrà. Ma è già
riuscita a nascondere il suo bambino, Mario di 6 anni, dietro la pesante porta
di legno che separava il verde della campagna dal luogo di culto. Vi rimase
mentre tutto bruciava. Terrorizzato. Immoto. Paralizzato. Si salvò. Porta
ancora sulle spalle, oggi che ha 64 anni, i segni del fuoco. Lì, sullo spiazzo,
un tempo luogo di incontro e di festa, ne uccisero circa 150 che poi livellarono
nell’anonimato con il lanciafiamme. Una foto mostra un vecchio che con la
pala, i giorni dopo, stende un velo di terra sulla catasta dei corpi. Come
definire quelli che impugnavano le armi? Assassini. Ma non basta. Esibivano
sulla fibbia del cinturone il teschio, il loro messaggio verso l’umanità. SS.
Erano gli scherani della XVI Divisione Reichsführer H.Himmler che si era già
guadagnata i galloni di nazismo doc nell’Est europeo. La stessa che, poi, a
Marzabotto, farà 955 cadaveri. Li comandava il generale Max Simon, allevatore
di personaggi come quel maggiore Walter Reder, carnefice di Marzabotto, e quel
capitano Anton Galler, massacratore di Stazzema. Simon il 26 giugno 1947 fu
condannato a morte, a Gorizia, da una corte alleata. Ma dopo pochissimi anni di
comoda prigionia fu liberato, come tanti altri, da Kesserling in poi. Uno dei
pochissimi a finire in fortezza, e rimanerci a lungo, fu Reder. Ebbe persino
l’impudenza, dopo la grazia ottenuta a seguito della domanda di perdono, di
ripudiarla: «L’ha scritta il mio avvocato per farmi uscire». Galler, che
prima di divenire adoratore di Hitler faceva il fornaio, non fu neanche
inquisito. Nel suo rapporto sulla strage del 12 agosto 1944 si era limitato a
segnalare che aveva «annientato 270 banditi». Tra i carnefici c’erano anche
gli italiani, le SS italiche, se possibile anche più feroci dei loro colleghi
tedeschi. E alcuni collaborazionisti, gente che per denaro o altro interesse
aveva aderito alla Repubblichetta di Salò. Uno di loro, Aleramo Garibaldi, fu
visto alla mitragliatrice mentre sparava contro i suoi compaesani. Che paese, il
nostro, mi verrebbe da definirlo in un certo modo, anche per quel che accade
oggi, ma lascio perdere perché non è giusto offendere tanti che non hanno
responsabilità. Già, perché tutte quelle storie e tante altre che raccontano
di Matera e di Barletta, di Conca de La Campania e di Capistrello, della palude
di Fucecchio e di Noccioleta, del Turchino e di Fossoli, di Bolzano e di San
Polo D’Enza, di Fivizzano e di Ronchidosso, di Castiglion Fibocchi e di
Cavriglia, tutte finirono nell’Armadio della Vergogna, in un antico palazzo di
Roma dove aveva sede la procura generale militare. Lì erano elencate con
scrupolo burocratico, fascicolo per fascicolo, crimine per crimine, nome per
nome, quelli delle vittime e degli assassini, le vicende che insanguinarono
l’Italia dall’8 settembre del 1943 al 25 aprile del 1945. Fecero qualcosa
come più di 15mila morti. Ma nessuno pagò, tranne pochissimi, da contare sulle
dita di una mano. Pagò, poi...: fu un pedaggio minimo , la vita da una parte,
dall’altra scarsi anni di carcere in ambienti se non lussuosi, quasi. E tutto
rimase lì, in quell’armadio, nascosto, inchiavardato, protetto. C’era la
guerra fredda, il nemico non era più Hitler, bensì Stalin. E allora si nascose
il passato. Lo si sarebbe fatto per sempre, pensate, se il caso non avesse fatto
saltare fuori quel vecchio mobile tarlato pieno di carte scottanti e
agghiaccianti. Chi ci saremmo aspettato, dopo la straordinaria scoperta? Che
quella realtà tremenda venisse alla luce con forza affinché, anche dopo mezzo
secolo, si arrivasse finalmente a conoscere la verità - chi dette l’ordine
della tumulazione?, del congelamento dei crimini? - ad avere giustizia,
processando in fretta gli assassini sopravvissuti. Macché! Ci fu una specie di
incredulità generale, di indifferenza. Di freddezza. Il tutto facilitato dal
silenzio assordante della grande stampa, tranne rare eccezioni. Soltanto poco più
di un mese fa, la Camera dei deputati ha votato quasi all’unanimità, con il
solo voto contrario di una fascista, un deputato di An, l’istituzione di una
commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi nazifasciste. Il Senato
avrebbe dovuto fare altrettanto, come era stato assicurato, prima delle ferie
estive. Ma la nostra straordinaria maggioranza di governo ha preferito dedicare
il suo tempo al salvataggio di due sole persone, Berlusconi e Previti, con
l’istituzione dell’«illegittimo» sospetto, piuttosto che dare risposta
all’ansia di attesa che dura ormai da 58 anni e che riguarda, direttamente,
decine di migliaia di famiglie. Quei morti lì giacciono, tanto loro non possono
protestare. Tocca a noi vivi. Ma i Titani ebbero cammino più facile. Basterà
assistere alla cerimonia che si terrà domani, per capirlo. Verrà come sempre
tanta gente dalla provincia e dalla regione, autorità locali... Ma nessuno di
coloro che avrebbero il potere di dare avvio alla soluzione del problema che
ancora si trascina: sembra incredibile, ma la procura militare di La Spezia ha
tutt’ora in piedi 63 istruttorie, compresa Sant’Anna di Stazzema, compresa
Marzabotto. E c’è solo un magistrato ad occuparsene. Si è chiesto, si è
detto, si è denunciato: niente. Il ministro della Difesa forse pensa solo alla
guerra con l’Irak. Il ministro degli Esteri, che potrebbe intervenire sui
giudici tedeschi per affrettare le rogatorie, non c’è. Il presidente del
Consiglio è in vacanza con le figlie di Putin, chissà come si trovano...
Nessuno dei grandi del nostro mondo politico interverrà. Qualcuno sostiene, con
macabra ironia, che anche questa è colpa dei tedeschi perché hanno ucciso in
un giorno come il 12 agosto, quando tutti son partiti per le ferie, invece di
farlo a settembre o ad ottobre. Ci sarà, comunque, un grand uomo, l’ex
capitano della Divisione Acqui, Amos Pampaloni, medaglia d’argento al valor
militare. Ha compiuto da qualche mese 91 anni. È uno degli eroi di Cefalonia.
Comandante di una batteria, resisté all’assalto della Wermacht sino
all’impossibile. Poi lui e gli altri furono costretti ad alzare bandiera
bianca. I tedeschi ne uccisero ben oltre 5mila, la punizione per non essersi
immediatamente arresi. «Il più orrendo crimine della storia militare di tutti
i tempi», disse il generale Rod Taylor, pubblico accusatore al processo di
Norimberga. Gli spararono da dietro, a Pampaloni, mentre camminava con i suoi
soldati presi prigionieri. La pallottola gli trafisse la gola, ma non intaccò
organi vitali. Rimase a lungo tra i morti. I greci lo curarono e lo aiutarono.
Quando si riprese combatté insieme ai partigiani. La sua voce è profonda e
roca come ricordo di quella ferita. Anche i fascicoli di Cefalonia e di altri
eccidi di soldati italiani finirono nell’Armadio della Vergogna. Mi ha
ricordato che, recentemente, nel maggio del 2000 a Firenze, durante un grande
convegno internazionale organizzato dall’Istituto per la Storia e la Memoria
(sigla pomposa per nascondere il niente) di cui sono protagonisti personaggi
come Pietro Scoppola, Leonardo Paggi, Giacomo Marramao, non lo fecero parlare.
Voleva denunciare la storia dell’Armadio della Vergogna facendo anche il nome
dei ministri, Gaetano Martino, liberale, e Paolo Emilio Taviani, democristiano,
che nel 1956 affossarono anche l’inchiesta su Cefalonia. «Mi dissero che
c’erano già troppi oratori, per questo non mi fecero parlare - mi confidò -
ma mi trattarono bene». Gli risposi istintivamente: «Ci sarebbe pure voluto
che ti avessero preso a calci in culo...».
24
aprile 2002
"La
Resistenza è un valore". Per non dimenticare Sant'Anna di Stazzema
di Ninni
Andriolo
SANT’ANNA
DI STAZZEMA (Lucca)
Cinquecentosessanta morti. Tra le vittime della ferocia nazista donne, vecchi,
bambini. Una strage per troppo tempo dimenticata, quella del 12 agosto 1944. Una
strage rimasta impunita per 58 anni. Dentro il museo partigiano di questo
piccolo borgo delle Apuane c'è una teca che conserva gli effetti personali
raccolti accanto ai resti di quelle povere vittime: qualche banconota, qualche
foto, alcune croci, un rosario. Un orologio segna le 6,55. Nel museo hanno
esposto la campana in bronzo che porta ancora i segni di quell'incendio. Una
lapide riporta le parole di Piero Calamandrei: «Se voi volete andare in
pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle
montagne dove caddero i partigiani». Dentro il museo l'appello di pace del
poeta Mario Luzi che parla della strage di Sant'Anna come di un «episodio così
efferato che non vorremmo imputare a uomini, cioè a esseri umani».
Piero Fassino, con Vannino Chiti, è venuto qui, in questo
borgo che domina dall'alto la costa della Versilia, per celebrare la Resistenza.
Visita l'ossario, dove deposita una corona di fiori, il museo, si ferma nello
spiazzo dell'eccidio. Lo accompagna il sindaco, Gian Piero Lorenzoni, che
indossa la fascia tricolore e chiede che finalmente «venga fatta giustizia».
Il giornalista Franco Giustolisi saluta il segretario della Quercia come «il
primo politico venuto a Stazzema dopo tanto tempo». Giustolisi ricorda i 695
fascicoli sui crimini nazifascisti prima scomparsi e poi ritrovati a palazzo
Cesi dal pm Antonino Intelisano. «Contenevano tutte le informazioni necessarie
per fare i processi già dal '46 per tutte le stragi». A Sant'Anna di Stazzema
chiedono che si vari finalmente la commissione d'inchiesta parlamentare sulle
stragi nazifasciste già messa in calendario alla Camera. Il segretario dei Ds
assume l'impegno di intervenire personalmente anche sul presidente del Senato
perché l'iter si acceleri. «Cinquanta anni fa, quando la guerra terminò, di
fronte all'orrore dell'Olocausto, si pensò che mai si sarebbero ripetuti tanti
misfatti - dice Fassino - Ed effettivamente abbiamo alle spalle in Europa
decenni di democrazia e di libertà che hanno evitato altre tragedie».
Tuttavia, come ha scritto Brecht, «il ventre che ha partorito il mostro è
sempre fecondo e non è mai sconfitta una volta per tutte la possibilità che
tornino ad affacciarsi le tragedie che hanno segnato la storia dell'Europa». E
il leader Ds ricorda il riemergere dell'antisemitismo, il diffondersi di «sentimenti
di xenofobia, razzismo, intolleranza». «Pensavamo che 58 anni di democrazia
radicata sui valori dell'uguaglianza, dell'emancipazione, del rispetto della
dignità della persona impedissero per sempre il riemergere di questi fenomeni -
afferma il leader Ds - Non è così. E quindi l'impegno a far vivere la memoria
non è soltanto il giusto riconoscimento a chi ha combattuto, ma il migliore
antidoto contro il rischio che possano prodursi le tragedie che hanno conosciuto
i nostri padri». Non dimenticare, quindi. «Non dimenticare le radici della
libertà, della Costituzione, della Repubblica, della democrazia che nel nostro
Paese non è nata per caso, non è stata una concessione o un regalo, ma il
frutto di una conquista dolorosa e drammatica avvenuta nella lotta contro il
nazismo e il fascismo». E Fassino ricorda il padre partigiano. «Ho pensato che
fosse un dovere del segretario dei Democratici di sinistra venire qui, alla
vigilia del 25 aprile, per rendere omaggio alle vittime dell'eccidio - spiega -
Lo faccio con più partecipazione perché la mia storia personale è legata alla
Resistenza. Molti sapranno, infatti, che mio padre è stato un noto comandante
partigiano in Piemonte e io ho passato la mia infanzia accompagnandolo per i
tanti luoghi della sofferenza, della lotta , delle battaglie che hanno segnato
per 18 mesi la storia di questo Paese». Non dimenticare, quindi. «Di fronte al
rischio che il passare del tempo attenui la consapevolezza delle radici della
libertà e della democrazia». In questi ultimi anni, ricorda il segretario Ds,
in Italia e in altri paesi europei, ha «preso piede un'opera di revisionismo
che tende a riscrivere la storia nel senso di occultare le responsabilità e i
torti, mettendo in discussione la verità. Non si esita a cercare di far credere
che l'Olocausto non sia mai avvenuto. Non si esita a cercare di occultare e
ridurre le responsabilità drammatiche del nazismo e del fascismo. Non si esita
a cercare di occultare il valore storico della Resistenza come atto fondante
della Repubblica». Non dimenticare, quindi: «E io sono qui per non dimenticare
un eccidio spaventoso che per 50 anni è stato sepolto nell'oblio - dice il
leader della Quercia - E sono pienamente d'accordo con la battaglia che a
Sant'Anna di Stazzema si conduce da tempo: è giusto rendere giustizia, c'è un
dovere di verità che deve essere soddisfatto, occorre sapere perché è stato
nascosto tutto ciò che si sapeva su questa come su altre stragi, occultando così
la possibilità di individuare i responsabili e non rendendo giustizi a ai morti
e ai vivi che ne sono eredi».
aprile 2002
Fassino:
«La Resistenza è il nostro valore» Il segretario ds a Sant’Anna di Stazzema:
«Razzismo, xenofobia, 58 anni di democrazia non sono bastati»
di Ninni Andriolo
Cinquecentosessanta
morti. Tra le vittime della ferocia nazista donne, vecchi, bambini. Una strage
per troppo tempo dimenticata, quella del 12 agosto 1944. Una strage rimasta
impunita per 58 anni. Dentro il museo partigiano di questo piccolo borgo delle
Apuane c'è una teca che conserva gli effetti personali raccolti accanto ai
resti di quelle povere vittime: qualche banconota, qualche foto, alcune croci,
un rosario. Un orologio segna le 6,55. Nel museo hanno esposto la campana in
bronzo che porta ancora i segni di quell'incendio. Una lapide riporta le parole
di Piero Calamandrei: «Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è
nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani».
Dentro il museo l'appello di pace del poeta Mario Luzi che parla della strage di
Sant'Anna come di un «episodio così efferato che non vorremmo imputare a
uomini, cioè a esseri umani».Piero Fassino, con Vannino Chiti, è venuto qui,
in questo borgo che domina dall'alto la costa della Versilia, per celebrare la
Resistenza. Visita l'ossario, dove deposita una corona di fiori, il museo, si
ferma nello spiazzo dell'eccidio. Lo accompagna il sindaco, Gian Piero Lorenzoni,
che indossa la fascia tricolore e chiede che finalmente «venga fatta giustizia».
Il giornalista Franco Giustolisi saluta il segretario della Quercia come «il
primo politico venuto a Stazzema dopo tanto tempo». Giustolisi ricorda i 695
fascicoli sui crimini nazifascisti prima scomparsi e poi ritrovati a palazzo
Cesi dal pm Antonino Intelisano... «Contenevano tutte le informazioni
necessarie per fare i processi già dal '46 per tutte le stragi». A Sant'Anna
di Stazzema chiedono che si vari finalmente la commissione d'inchiesta
parlamentare sulle stragi nazifasciste già messa in calendario alla Camera. Il
segretario dei Ds assume l'impegno di intervenire personalmente anche sul
presidente del Senato perché l'iter si acceleri. «Cinquanta anni fa, quando la
guerra terminò, di fronte all'orrore dell'Olocausto, si pensò che mai si
sarebbero ripetuti tanti misfatti - dice Fassino - Ed effettivamente abbiamo
alle spalle in Europa decenni di democrazia e di libertà che hanno evitato
altre tragedie». Tuttavia, come ha scritto Brecht, «il ventre che ha partorito
il mostro è sempre fecondo e non è mai sconfitta una volta per tutte la
possibilità che tornino ad affacciarsi le tragedie che hanno segnato la storia
dell'Europa». E il leader Ds ricorda il riemergere dell'antisemitismo, il
diffondersi di «sentimenti di xenofobia, razzismo, intolleranza». «Pensavamo
che 58 anni di democrazia radicata sui valori dell'uguaglianza,
dell'emancipazione, del rispetto della dignità della persona impedissero per
sempre il riemergere di questi fenomeni - afferma il leader Ds - Non è così. E
quindi l'impegno a far vivere la memoria non è soltanto il giusto
riconoscimento a chi ha combattuto, ma il migliore antidoto contro il rischio
che possano prodursi le tragedie che hanno conosciuto i nostri padri». Non
dimenticare, quindi. «Non dimenticare le radici della libertà, della
Costituzione, della Repubblica, della democrazia che nel nostro Paese non è
nata per caso, non è stata una concessione o un regalo, ma il frutto di una
conquista dolorosa e drammatica avvenuta nella lotta contro il nazismo e il fascismo». E
Fassino ricorda il padre partigiano. «Ho pensato che fosse un dovere del
segretario dei Democratici di sinistra venire qui, alla vigilia del 25 aprile,
per rendere omaggio alle vittime dell'eccidio - spiega - Lo faccio con più
partecipazione perché la mia storia personale è legata alla Resistenza. Molti
sapranno, infatti, che mio padre è stato un noto comandante partigiano in
Piemonte e io ho passato la mia infanzia accompagnandolo per i tanti luoghi
della sofferenza, della lotta , delle battaglie che hanno segnato per 18 mesi la
storia di questo Paese». Non dimenticare, quindi. «Di fronte al rischio che il
passare del tempo attenui la consapevolezza delle radici della libertà e della
democrazia». In questi ultimi anni, ricorda il segretario Ds, in Italia e in
altri paesi europei, ha «preso piede un'opera di revisionismo che tende a riscrivere
la storia nel senso di occultare le responsabilità e i torti, mettendo in
discussione la verità. Non si esita a cercare di far credere che l'Olocausto
non sia mai avvenuto. Non si esita a cercare di occultare e ridurre le
responsabilità drammatiche del nazismo e del fascismo. Non si esita a cercare
di occultare il valore storico della Resistenza come atto fondante della
Repubblica». Non dimenticare, quindi:«E io sono qui per non dimenticare un
eccidio spaventoso che per 50 anni è stato sepolto nell'oblio - dice il leader
della Quercia - E sono pienamente d'accordo con la battaglia che a Sant'Anna di
Stazzema si conduce da tempo: è giusto rendere giustizia, c'è un dovere di
verità che deve essere soddisfatto, occorre sapere perché è stato nascosto
tutto ciò che si sapeva su questa come
su altre stragi, occultando così la possibilità di individuare i responsabili
e non rendendo giustizia ai morti e ai vivi che ne sono eredi».
2002
Stragi
nazi-fasciste: la verità che nessuno vuole
di Franco
Giustolisi
Ci
sono voluti ben 58 anni. Mezzo secolo più otto primavere. Poco meno della vita
media di un individuo. Era il 1944 quando i nazisti, spalleggiati dai fascisti,
fecero strage a Sant’Anna di Stazzema. Se la presero con i bambini, le donne,
i vecchi. Il capitano Anton Galler, era il comandante delle quattro compagnie
della sedicesima divisione delle SS Reichsfurer H. Himmler spedite sin lassù,
in quel borgo tra le Alpi Apuane. Spensero i sorrisi dei bimbi, interruppero per
sempre le donne nelle loro faccende, troncarono il sereno oziare dei vecchi.
Cinquecentosessanta furono le vittime. Galler, da fornaio che era nella vita
civile si dette alla bassa macelleria. Ora è morto, ma val la pena di ricordare
un paio di episodi portati a termine da lui stesso o da alcune fiere al suo
comando: spezzarono un tenero virgulto, Anna Pardini che quel 12 agosto del 1944
compiva i 20 giorni di vita; aprirono con le baionette il ventre di Evelina
Berretti, estrassero il feto e spararono alla madre e al nascituro. Tra il 29
settembre e il primo ottobre dello stesso anno la scena si ripete. L’unica
differenza è che i morti furono di più, 955. Fu il maggiore Walter Reder, che
guidava un altro battaglione della stessa divisione, a dirigere il concerto di
morte. Si udiva solo il crepitare delle mitraglie, le urla di orrore, i pianti.
Lui fu condannato all’ergastolo, ma poi i buonisti l’ebbero vinta, e uscì
di fortezza, sia pure dopo trent’anni e passa, non senza aver detto che la
richiesta di perdono non era farina del suo sacco, bensì dell’avvocato. Ma
avevano fatto tutto da soli Galler e Reder? Certamente no. Si conoscevano sin
dal 1945 i nomi dei tanti complici, degli altri assassini. O, meglio, qualcuno
li conosceva, ma fece in modo che fossero coperti dal buio e dal silenzio più
assoluto. Furono i procuratori generali militari ad apporre il sigillo del
segreto in un armadio occultato in un angolo della loro sede, in via degli
Acquasparta, a Roma. L’armadio, l’ho ribattezzato Armadio della Vergogna,
aveva le ante rivolte verso il muro, un cancello di ferro chiuso a chiave lo
proteggeva da ogni curiosità. Fu aperto, non per caso nel 1994: conteneva, lì
sotterrati, secondo quei becchini per sempre, tutti i fascicoli riguardanti le
stragi commesse dai nazisti e fascisti durante l’occupazione. Fecero dai
diecimila morti in sù, chi dice quindicimila, chi ancor di più. Capistrello,
Roccaraso, Gubbio, La Storta, piazzale Loreto, Matera, Barletta, San Polo
D’Enza, il Turchino, i lager di Fossoli e di Bolzano, Sant’Anna di Stazzema,
Marzabotto... Un elenco senza fine di stragi di civili, di gente in tenuta di
lavoro che al massimo poteva impugnare, per difendersi, il coltello di cucina.
Non partigiani, il che fa un discorso a parte. Poi gli eccidi dei militari
italiani che facendo il loro dovere non consegnarono le armi ai tedeschi.
Tentarono di resistere. Furono macellati a migliaia, a Cefalonia, a Spalato, a
Coo, a Koritza, a Rodi, a Scarpanto... Ebbene, in quei fascicoli, c’erano
persino documenti riguardanti le Fosse Ardeatine compresa la deposizione
dell’allora capitano Erich Priebke che si autoaccusava di quella carneficina.
Una, cento, mille Ardeatine titolò «L’Espresso» nel 1996. Quell’armadio
conteneva ben 2274 fascicoli. Alla penultima voce nel registro che lo
accompagnava era registrato uno dei tanti nomi dei fascisti che fecero da
supporto ai loro colleghi dalla croce uncinata: «Vernalini, comandante militare
di Bologna» accusato di reati imprecisati. Al 2273, ecco altri scherani di Salò:
«Galli e Capra, tenenti, ambedue della legione Muti». Le accuse a loro carico:
«arresti, sevizie, fucilazioni». E così per Marzabotto, e così per Stazzema
con nomi, cognomi e grado degli assassini. Dal
‘94 ad oggi sono passati otto anni: molto di più si sarebbe potuto fare se le
procure militari, in particolare quella di La Spezia, competente per queste due
stragi, non fossero state sino a ieri ridotte, in quanto ad organici, a meno del
classico osso. Molto di più si sarebbe potuto fare se la grande stampa, salvo
pochissime eccezioni non si fosse ridotta, non si sa perché, ad un indegno
silenzio. Molto di più si sarebbe potuto fare se i partiti, tradendo il loro
mandato, non avessero colpevolmente taciuto, forse nel timore che da una simile
vicenda che nessun paese civile al mondo ha mai subito, ne derivasse disdoro a
loro carico. Quei procuratori generali, Umberto Borsari, Arrigo Mirabella ed
Enrico Santacroce, che allora venivano nominati dal Consiglio dei ministri,
ubbidivano ad un ordine presidenziale o, quanto meno, ministeriale. Chi fu a
darlo? Certamente non il governo del Cln presieduto da Ferruccio Parri, che anzi
mise su l’apparato per perseguire i colpevoli. Né i governi successivi di
liberazione nazionale. Lo si evince da una lettera di un alto funzionario del
ministero degli Esteri, ritrovata dagli storici Focardi e Klinkammer, nella
quale si registra un colloquio con il procuratore Borsari. Quest’ultimo
segnalava che un gran numero di procedimenti, migliaia di procedimenti, stavano
prendendo l’avvio. Era il giugno del 1947. Un mese prima,
il 31 maggio di quello stesso anno, i giochi cambiano: comunisti, socialisti,
azionisti erano usciti dalla scena governativa, subentrò un De Gasperi di
centro quasi destra. E l’armadio finì in quell’andito buio. Ma chi fu
esattamente a dare l’ordine? Che tipo di ordine fu? Forse i procuratori
militari per eccesso di zelo andarono oltre? Un mistero che non si riesce a
sciogliere perché certe carte, certi documenti sono ben protetti. Il «Comitato
per la verità e la giustizia sulle stragi nazi-fasciste», costituito a
Stazzema il 28 settembre del 2000 si batte da allora per l’istituzione di una
commissione parlamentare di inchiesta che dia risposta a queste domande.
Riguardano la storia e riguardano, infine, la risposta che lo Stato deve, dovrà
dare. Possibile che nessuno voglia saperne di più? Due proposte di legge in
questo senso giacciono alla Camera e al Senato. Ma appaiono più come un gesto
rituale che un impegno vero, sentito, dovuto.
Un
orrore rimasto impunito
di Wladimiro
Settimelli
C’è
di tutto nella terribile strage di Sant’Anna di Stazzema (Lucca): l’odio,
l’orrore, l’uccisione a freddo di donne e bambini, il massacro sulla piazza
del paese e l’uso infame dei lanciafiamme. Ma anche la «ribellione» morale
di alcuni soldati tedeschi che rifiutarono di sparare agli innocenti e spinsero
via la gente perché si nascondesse. Alcuni dei tedeschi, arriveranno persino ad
uccidere pecore per risparmiare i contadini. E non manca neanche la storia
angosciosa di un «IMI» , un internato militare italiano che si era arruolato
con le SS. Nazisti e fascisti, spesso, arrivavano nei campi dei militari
prigionieri e offrivano il rientro in patria a chi si arruolava con Hitler e
Mussolini. Furono un infima minoranza ad accettare. Tutti gli altri rimasero
dietro il filo spinato. Ecco, uno dei soldati italiani arruolato nelle SS, era,
quel maledetto 12 agosto del 1944, a Sant’Anna, sulla piazza del massacro.
Forse, annichilito dall’orrore, rifiutò di partecipare alla strage e venne
ucciso con gli altri ancora con il fucile in pugno. Quell’eccidio fu uno dei
più atroci compiuti dai nazisti nell’Europa occidentale: 560 vittime. Sul
numero dei massacrati ci sono, da anni, polemiche. C’è chi sostiene che gli
uccisi furono molti di più perché in paese c’erano intere famiglie sfollate
dalle città nelle zone di campagna e in particolare a San’Anna. Altri,
invece, affermano che i morti furono di meno. Perché la discrepanza
nell’orrendo conteggio della strage? Per l’impossibilità di identificare
tantissime delle vittime che erano state bruciate con i lanciafiamme. Ma veniamo
a quelle ore e a quel giorno. La tragedia aveva già avuto tutta una serie di
premesse le settimane precedenti, quando le Waffen - SS, insieme a reparti della
«X Mas» (i famigerati gruppi dei «Mai morti») cominciano a rastrellare la
gente, a incendiare e uccidere nei paesetti intorno alla linea Gotica.La mattina
del 12 agosto, tre colonne naziste avanzano sulle strade per Monte Ornato, sulla
Pontestazzemese e dalla Foce del Farnocchia. È iniziata la caccia ad alcuni
nuclei partigiani che operano in alta montagna. Per la verità, Sant’Anna non
ha particolari rapporti con la Resistenza. Quella mattina una quarta colonna di
SS si ferma sopra Valdicastello. Tutte le strade di Sant’Anna vengono così
bloccate.Tra la gente si è già sparsa la voce dell’arrivo dei nazisti e chi
riesce a scappare si infila nei boschi e lungo le pendici dei monti. Per gli
altri è la tragedia. Tutti si affollano nella piccola chiesa del paese, sulla
piazzetta di Sant’Anna. All’interno c’è anche il prete di una vicina
frazione che cerca di intercedere presso i tedeschi. Il sacerdote sapeva che i
soldati avevano soltanto l’ordine di sgomberare gli abitanti della zona. Cerca
di spiegare, di far capire che la gente di Sant’Anna è innocente. Ma i
nazisti, proprio sulla piazza, uccidono il sacerdote. Poi prelevano tutti coloro
che si sono rifugiati in chiesa: si tratta di 138 persone. Inizia subito il
massacro. Poi, quando tutti sono stesi in una orrenda catasta, in mezzo a vere
proprie pozzanghere di sangue, arrivano altri soldati con i lanciafiamme. Dalla
chiesa, intanto, sono state portate fuori le panche,le sedie e le suppellettili
che vengono accatastate sui corpi. Poi partono le vampe di fuoco che tutto
deturpano, distruggono, fondono e amalgamano. È don Giuseppe Vangelisti,
parroco del paese, che racconterà tutto quell’orrore agli ufficiali alleati
che lo interrogano alla fine della guerra. Dice di aver contato, soltanto sulla
piazzetta, almeno 138 morti. Alla domanda se c’erano molte donne e bambini tra
le vittime, il sacerdote risponde: «Circa il 50% erano donne, il 30% vecchi e
bambini il 10% persone molto anziane. L’altro 10% era sopra ai 70 anni. Ho
contato personalmente almeno 30 teschi di bambini e 24 teschi di donne». La
strage sulla piazza è soltanto l’inizio dell’eccidio. I nazisti, infatti,
passano di casa in casa, uccidono gli abitanti a raffiche di mitra e poi
incendiano tutto. In breve, il paese è completamente in fiamme. Dietro il
campanile della chiesa vengono visti, da alcuni testimoni, anche i corpi nudi di
sei donne che sono state violentate. In un casa, alcuni abitanti del paese
costretti a trasportare munizioni e apparati radio dei nazisti, vedono anche
alcuni bambini letteralmente impalati. Altri, più piccoli, sono stati uccisi
dai soldati che li hanno afferrati per i piedi e sbattuti contro un muro. In
ogni angolo, è un orrore senza fine. Aleramo Garibaldi è uno degli abitanti
costretto a portare munizioni. Vede, senza poter far niente, uccidere la moglie
e due figli di cinque e nove anni. Piange e urla, ma non può spostarsi di un
millimetro pena la vita. Agli ufficiali alleati, subito dopo la guerra,
racconterà di aver visto massacrare almeno trecento persone che- spiegherà-
non vennero mai identificate a causa del fuoco. Aleramo Garibaldi, aveva anche
sentito l’ufficiale che comandava i soldati entrati a Sant’Anna, ordinare ai
suoi di uccidere tutti, proprio tutti gli abitanti e poi di incendiare ogni
casa, ogni fienile, ogni capanno e tutte le persone rastrellate o incontrare per
caso. E i partigiani? Nella zona erano presenti, ma non particolarmente a
Sant’Anna. Pare che la reazione dei nazisti e il massacro, siano scaturite dal
ferimento di un sottotenente tedesco. Ma il ferimento non sarebbe stato opera
dei partigiani. Pare che l’ufficiale sia stato colpito dai commilitoni per un
banale errore. A quel punto si sarebbe scatenata l’orrenda furia dei nazisti.
Anche nei giorni successivi, le stragi continuano: 14 fucilati al Mulino Rosso,
6 a Capezzano di Pietrasanta e 53 impiccati a Bardine di San Terenzio. Subito
dopo la fine della guerra, pareva che la strage di Sant’Anna fosse stata
portata a termine dal maggiore Walter Reder che poi infierirà a Marzabotto. Ma
Reder non c’entrava con Sant’Anna di Stazzema. Alcuni dei nazisti
responsabili dell’eccidio, furono identificati e un paio di generali
processati e condannati. Uscirono di carcere molto presto. Anche i condannati a
morte. Altri, tornarono in Germania o in Austria, dove hanno tranquillamente
vissuto. Contro di loro nessun processo e fascicoli sepolti in un grande armadio
presso gli archivi della Procura militare di Roma. I governanti, come è noto,
non volevano alcun problema con la Repubblica Federale di Germania, fedele
alleato nel periodo della guerra fredda.Nel 1996, il Procuratore militare di La
Spezia ha riaperto l’inchiesta sulla strage di Sant’Anna di Stazzema. Ha
subito allegato agli atti il libro: «Sant’Anna di Stazzema -1944 - La strage
impunita», di Paolo Paoletti che ha recuperato straordinari materiali negli
archivi militari americani. Anche noi abbiamo attinto a quel libro.I 560 martiri
di Sant’Anna sono, comunque, ancora in attesa di avere una qualche giustizia.
Sarà bene non dimenticarlo.
Da l'Unità, per gentile concessione