l'Unità
La
Storia Riveduta e Scorretta
di Nicola
Tranfaglia
L’offensiva
della destra sulla storia del Novecento sta giungendo alle tappe finali e ha
scelto la scuola come terreno privilegiato. C’era da immaginarlo giacché il
controllo quasi completo che la parte ideologica più qualificata della
coalizione di centrodestra (penso agli eredi del fascismo e ai nuovi barbari
della Lega) ha sui telegiornali privati e Rai non basta a raggiungere in maniera
efficace le nuove generazioni che sentono in lontananza un rumore di fondo ma
non prestano, per la maggior parte, attenzione costante ai mezzi di
comunicazione di massa (basta guardare le statistiche in questo campo per
rendersene conto!) e dunque rischiano di non percepire l’attività costante di
alcuni giornali per presentare una versione della nostra storia semplificata che
punta a sostituire al fascismo il comunismo come “male assoluto” del
Novecento e per tacciare di tendenze totalitarie sia l’antifascismo che la
Resistenza e dunque l’attuale Costituzione. Così si cercano nuovi strumenti e
basta seguire con qualche attenzione le bozze dei nuovi programmi ma anche le
iniziative pseudoculturali che si succedono in questi mesi per avere un quadro
realistico della situazione. L’ultima bozza uscita dal ministero a proposito
dei programmi di storia per il nuovo liceo con otto indirizzi che prenderà il
posto degli attuali istituti medi superiori è già molto significativa. Con la
riduzione delle ore di scuola secondo la logica morattiana del meno scuola fa
bene ai giovani (27 ore) sicché le ore settimanali di storia si riducono a due
in tutti gli indirizzi, il programma dell'ultimo anno, il quinto, si segnala per
lo scarso spazio dedicato al periodo successivo alla prima guerra mondiale. Qui
sono scomparse le due parole che indicano i fenomeni nuovi del primo dopoguerra:
il fascismo con il nazionalsocialismo tedesco e il comunismo, e al loro posto si
parla di un fenomeno unico, cioè le «origini del fenomeno totalitario e la
diffusione dei regimi autoritari». All’Italia si toglie la primogenitura,
storicamente accertata, del movimento e del regime fascista. Non si parla di
Stato liberale in Europa e si arriva a un fenomeno totalitario che non distingue
tra le differenti espressioni che si affermano in Europa. Fascismo e
nazionalsocialismo appaiono sullo stesso piano come regimi autoritari e,
naturalmente, l’accenno alla Shoah arriva all’improvviso come espressione
della seconda guerra mondiale. Insomma il risultato più importante della
stesura ultima dei programmi dell’ultimo anno è quello di togliere al
fascismo la sua specifica personalità, la sua capacità di espansione europea e
le sue caratteristiche che hanno segnato profondamente la nostra storia
lasciando una pesante eredità all’Italia repubblicana. Non c'è che dire: se
questa bozza sarà alla base del decreto attuativo della legge Moratti il
risultato sarà quello di togliere dalla testa delle nuove generazioni una
peculiarità fondamentale della storia europea e non solo italiana annegando
tutto in una sorta di fenomeno totalitario che non distingue tra i diversi
fenomeni, che rende fascismo e comunismo in tutto eguali e che non spiega ai
giovani perché l’Italia è stato il primo Stato liberale a veder crollare le
libertà fondamentali di fronte a un partito-milizia che ha conquistato il
potere grazie alla complicità delle istituzioni fondamentali della società
italiana (dal Vaticano all’esercito agli industriali e agli agrari). Ma non ci
si può fermare a questo punto e soprattutto c'è il rischio che i programmi non
arrivino a compimento. E allora l'offensiva si giova di altri strumenti. Nelle
settimane scorse è arrivato in quasi tutti i licei e istituti medi superiori un
libro che fa pensare al «Libro di Stato» che il regime fascista diffuse, o
meglio impose, alle scuole italiane alla fine degli anni Trenta.
Qui si incomincia in sordina: c'è un ignoto «Centro Italiano di
Documentazione Azioni Studi» (Cidas) che invia gratuitamente ai dirigenti
scolastici dei licei, invitandoli ad acquistarle a condizioni speciali il
maggior numero possibile di copie, un «Breve corso di storia patria ad uso dei
politicamente non corretti» a cura dell’economista Sergio Ricossa che, in
dieci brevi capitoli, ricostruisce la storia italiana degli ultimi
centocinquanta anni. Il testo è preceduto da una presentazione dello stesso
Ricossa che afferma con chiarezza quali sono gli obiettivi della pubblicazione:
«La storia patria ci viene solitamente offerta in una visione “ufficiale” e
politicamente “corretta” per cui il bene e il male sono nettamente separati
e il male supremo è il Fascismo, il bene supremo è la Resistenza». Si tratta,
secondo l’economista, di rovesciare simili pregiudizi e concludere «a favore
di una verità che ha sempre molte facce». Poiché, proprio in queste
settimane, la destra a cui si richiama il curatore sta cercando di far approvare
un decreto legge, il n.2244, di cui su questo giornale si è già parlato (ma
non su tutti gli altri del Paese) che stabilisce l’equiparazione dei militi
dell’esercito di Salò a tutti i militari cobelligeranti nella seconda guerra
mondiale, e dunque anche ai partigiani, c’è da pensare che l'obbiettivo sia
quello di rovesciare l’assunto centrale: il fascismo non è il male assoluto
come la Resistenza non è il bene. Di un simile rovesciamento di valori il libro
del Cidas è un’applicazione eloquente soprattutto in alcuni capitoli. A Paolo
Nello si deve una ricostruzione delle origini e dell’ascesa del fascismo in
cui Mussolini campeggia come l'uomo che parlamentarizza il movimento disordinato
delle squadre fasciste, non pensa alla dittatura e al regime che sono
conseguenza della sua capacità di utilizzare gli errori della sinistra come
della classe dirigente liberale. Ma quel che manca nel capitolo di Nello è
l’Italia del primo dopoguerra, la debolezza della tradizione democratica della
borghesia che guida il Paese, la crisi economica dei primi anni venti, insomma
tutto quello che rende possibile la vittoria della sovversione fascista con la
complicità delle classi dirigenti liberali. Ancora più interessante è il
capitolo che Francesco Perfetti dedica all’ascesa e alla caduta del fascismo.
Qui l’idealizzazione del regime e, in particolare della Repubblica sociale
italiana, raggiunge il culmine e si afferma addirittura che la socializzazione
proclamata nel 1944 dal governo repubblicano di Mussolini costituì il maggiore
impegno di quel governo: non esiste nella letteratura critica sul 1943-45
nessuna opera (se si esclude la memorialistica neofascista) che parli di un
impegno reale della repubblica sociale nell’attuazione di quella parola
d’ordine. Potremmo continuare con gli esempi ma non credo che ne valga la
pena. Quello che emerge complessivamente dalla lettura del «Breve corso di
storia patria» è che la storia italiana è tutta da riscrivere secondo una
vulgata che riabilita l’esperienza fascista, fa dell’opposizione al fascismo
come della Resistenza un fatto negativo in quanto dominato dai comunisti, degli
italiani un popolo capace di apprezzare la dittatura e non la democrazia. È
questa la nuova storia d’Italia che preparano gli intellettuali della destra
se Berlusconi resterà al potere anche nei prossimi anni? C’è da averne
paura, soprattutto perché al lavoro di ricerca e di scavo di un sessantennio si
oppongono slogan e chiacchiere dominati dalla nostalgia di un’immagine del
fascismo che non ha nessun riscontro nella realtà storica, in Italia come
altrove.
Da l'Unità, 15 marzo 2005, per gentile concessione