l'Unità
Domande
sul razzismo
di
Amos Luzzatto
La
giornata che, ogni anno, ci invita a una riflessione sulla Shoà, i suoi orrori
e le sue cause, ci induce quest'anno a tentare un percorso un po' diverso dal
solito per capire come sia potuto maturare l'odio antiebraico nella sua versione
tipicamente razzistica che ha caratterizzato il secolo scorso. La storia ebraica
in Europa ci stimola a capire meglio il significato e le cause dello sviluppo
ineguale fra le società e all'interno delle società stesse. La
prima violenza (giuridica) nei confronti degli ebrei si è manifestata quando
agli albori del Sacro romano impero è stato loro vietato possedere terre e
avere schiavi o servi cristiani. Venendo così distaccati da quelle che erano
allora le fonti principali della produzione di ricchezza e pertanto del
potere nella società globale nella quale essi erano immersi, gli ebrei, o
meglio la "società ebraica" era condannata a seguire un percorso
profondamente diverso rispetto alla "società generale". Agricoltori,
possidenti e latifondisti ebrei, più tardi aristocratici ebrei erano, da quel
momento, inconcepibili. Il razzista, però, segue un ragionamento diverso.
Egli isola una istantanea del presente, possibilmente molti secoli dopo;
osserva che gli ebrei in questo momento in linea di massima non fanno gli
agricoltori, pochi fanno gli artigiani perché non sono ammessi alle relative
Confraternite; devono limitarsi al piccolo commercio e al piccolo prestito a
interesse (per potere campare; ma questo, il razzista non lo dice); generalizza,
estendendo il discorso dal presente anche al passato e al futuro. Crea così
l'immagine dell'ebreo congenitamente inadatto al lavoro produttivo, parassita
della società e vampiro che succhia il sangue dei laboriosi cristiani. La
storia e il razzismo seguono pertanto due percorsi radicalmente diversi; e
questo vale per il razzismo antisemitico ed anche per qualsiasi altra forma di razzismo. Per
tutte queste forme esiste un
fondamento di violenza (giuridica o bellica; oppure tutte e due, variamente
intrecciate e con influenze reciproche). Ricordiamo le deportazioni violente
di africani verso le Americhe, la loro schiavizzazione e le teorizzazioni
interessate
sulle loro inferiorità, sulla loro inettitudine, per giungere fino alle
ricerche pseudo-scientifiche sul loro congenito basso livello di I.Q. Ma gli
esempi potrebbero essere moltiplicati e soprattutto giungere fino ai nostri
giorni, rivelare la loro minacciosa attualità. Credo che gli stessi discorsi
che si fanno oggi sulla guerra, sul terrorismo e sulla violenza, non possano
prescindere da questa consapevolezza. La violenza genera sviluppi diseguali;
l'ulteriore violenza li rafforza, li garantisce, molto spesso peggiora
l'ineguaglianza, la divaricazione fra sviluppi diversi. La violenza genera
potere, che si conserva coltivando la violenza stessa. Per questi motivi ritengo
che bene abbiamo fatto, come Unione delle
Comunità ebraiche italiane, a promuovere la ricerca fatta dai sociologi dell'università di Roma
sul razzismo nelle giovani generazioni;
"razzismo" tout court, non soltanto "razzismo antiebraico".
Lo scopo deve essere quello di far capire che è la società umana, per le sue
dinamiche interne, che genera differenziazioni al suo interno e non la biologia,
l'eredità, la razza, che genera le differenziazioni fra coloro ai quali
spetterebbe, per diritto naturale, il comando e quelli cui per dovere naturale
spetterebbe l'obbedienza (o peggio). Qui sorge una domanda. Fino a quale
punto può spingersi il razzismo? Detto altrimenti: potrebbe mimetizzarsi
dietro formulazioni meno compromesse, come ad esempio quella della superiorità
dei valori di questa o di quella civiltà? O come quando si afferma a sproposito
che questo o quel gruppo umano avrebbe cambiato "il proprio DNA"?
(Ma come avranno fatto?!) O come quando si dà per scontato per tutti che,
comunque data l'adesione con atto formale a una fede o a un gruppo di opinioni,
questo sia un atto irreversibile, quasi cambiasse la stessa natura di un
essere umano? Nel sottofondo di questi convincimenti mi pare esservi
l'aspirazione a fornire alle azioni umane, alle scelte umane in genere, una
specie di vago fondamento scientifico biologico; vago perché è vago il
concetto di razza, altrettanto quello di "valori", temo anche quello
di "confessioni". Ma anche perché è non meno vaga la connessione fra
questo substrato materiale scientifico e il collocamento dell'essere umano
nella società dei propri simili, il suo comportamento, le sue scelte, le sue
passioni. La vaghezza conduce all'arbitrio. Non
possiedo una risposta a tutti questi quesiti né credo vi siano persone in
grado di fornirla con certezza. Sonò però convinto che si tratti di domande
che nascono o che dovrebbero nascere spontanee proprio nel momento in cui
l'avvicinarsi della Giornata della memoria si accompagna agli incivili,
odiosi graffiti antiebraici sulla Sinagoga romana di Via Fonteiana. E questo
perché non ci sono solo gli autori delle scritte, ma soprattutto perché esse
sono rivolte non tanto ai frequentatori della Sinagoga stessa quanto ai
passanti, agli abitanti del quartiere, ai cittadini casuali; dai quali si
attende, da parte degli autori, un certo plauso per la sollecitazione a odiare
gli ebrei e ad affermare che l' "Olocausto" sarebbe stato meritato.
Non drammatizziamo, ma al tempo stesso non sottovalutiamo. Sappiamo che la
grande maggioranza del popolo italiano non segue questi seminatori di
discriminazione e di odio. E siamo convinti che lo strumento per rispondere a
queste provocazioni sia, oggi più che mai, quello culturale. Nelle Scuole,
nelle Università, attraverso i mezzi di comunicazione, la Storia va fatta
conoscere. Ai giovani va insegnato l'uso della critica e della analisi, non quello
della ripetizione meccanica di frasi a effetto, tanto meno di insulti o
di demonizzazioni gratuite. È una strada difficile, faticosa, non sempre
gratificante.
Ma abbiamo già sperimentato sulla nostra pelle l'alternativa; è appunto
questo che ricordiamo nella giornata della memoria del 27 gennaio
Da l'Unità, 22 gennaio 2005, per gentile concessione