l'Unità
Antisemitismo,
la Storia del cantastorie
di Nicola
Tranfaglia
Così Ernesto Galli della Loggia, in un articolo che incomincia in prima pagina e occupa l’intera pagina 33 della Cultura sul “Corriere della Sera” del 7 gennaio, conclude il suo ragionamento: «Il destino delle minoranze e dei marginalizzati in genere, per esempio, delle popolazioni indigene nelle aree della colonizzazione, delle donne, ovvero l’attenzione per figure come quella del prigioniero, del portatore di handicap, del morente hanno costituito uno spazio via via crescente nella nostra sensibilità e nella nostra cultura, alimentando e confluendo in quell’indirizzo genericamente umanitario che è tra i più tipici e potenti del nostro panorama attuale.Indirizzo che, come il precedente,riguardante l’identità, tende ad essere più o meno consapevolmente applicato con l’effetto di modificarne in modo significativo... ma anche con il pericolo di applicare criteri di oggi a fatti di ieri, di decontestualizzare eventi e protagonisti, di trasformare il giudizio storico in un moralismo fuori del tempo. Così come, mi pare, accada regolarmente ogni volta che viene riaperta la pagina complessa e drammatica del rapporto della Chiesa con i totalitarismi del secolo passato». Ma qual è nella sostanza il giudizio storico che Galli contesta alla fine di un dibattito tra storici e archivisti a proposito di un documento della Nunziatura di Parigi tenuta da Angelo Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII, del 23 ottobre 1946 da cui potrebbe risultare che il Santo Uffizio Vaticano chiedeva ai nunzi e ai vescovi di non restituire alla famiglie i bimbi ebrei ospiti delle istituzioni cattoliche. Direttiva a cui Roncalli, secondo le indiscrezioni su un libro di storia che uscirà l’anno prossimo in Italia, non avrebbe ottemperato. Galli della Loggia non ritiene di poter accettare un giudizio negativo nei confronti della Chiesa di Pio XII come quello espresso sullo stesso giornale qualche giorno fa dallo storico americano Daniel Jonah Goldhagen e giunge ad affermare che si tratta di un modo di fare storia che applica al passato i nostri criteri morali ed è dunque anacronistico. E aggiunge che, adottando un simile criterio, anche Natalia Ginzburg che, nella redazione dell’editore Einaudi rifiuta di pubblicare “Se questo é un uomo” di Primo Levi giudicandola opera di scarso valore e interesse o Benedetto Croce che, nel primo dopoguerra, invitava gli ebrei a superare la propria separatezza, possono essere giudicati antisemiti. Ma tutto l’articolo a me pare (come spesso avviene per il suo autore) scoppiettante di polemiche e di battute, ma assai poco consistente e fondato proprio su quel piano dell’interpretazione storica su cui si vorrebbe collocare. Innanzitutto come si fa a paragonare un errore di giudizio editoriale come fu, senza dubbio, quello di Natalia Ginzburg ai numerosi giudizi di Pio XII sul nazionalsocialismo e sul fascismo italiano per i quali vale la pena richiamare un libro per molti aspetti definitivo come quello di Giovanni Miccoli su I dilemmi e i silenzi di Pio XII. Vaticano, Seconda Guerra Mondiale e Shoa pubblicato nel 2000 da Rizzoli? In quel libro, al termine di un’analisi filologicamente esauriente, Miccoli dava un giudizio delle parole e dell'azione di Pio XII che nulla ha a che vedere con giudizi sommari e superficiali ma che, nello stesso tempo, mette in luce l’inadeguatezza profonda della Chiesa di fronte al terribile massacro. Vale la pena ricordare le parole conclusive del libro di Miccoli : «Mentre la guerra superava per la sua spietata violenza ogni immaginazione e gli errori da elencare diventavano senza fine,coinvolgendo indistintamente militari e civili, i documenti della Santa Sede finiscono a volte col dare l’impressione che sia sempre e solo la guerra - come fatto mostruoso che supera il volere dei singoli - o al più l’umanità nel suo complesso, a subire la chiamata di correo». Non il fascismo e il nazionalsocialismo, in ogni caso. Quanto al postulato di fondo che caratterizza il megarticolo di Galli della Loggia mi pare altrettanto discutibile (ad esser moderati). L’editorialista del “Corriere della Sera” sostiene - e chi lo ha mai negato? - che il concetto di Olocausto (creato peraltro dai suoi molto amati americani e non dagli storici italiani o europei) è una costruzione storica e che c’è il rischio di applicare al passato criteri e giudizi che si sono formati dopo quel tempo e appartengono al presente. Ma non avviene sempre così nella ricerca storica fatta dagli uomini del presente? È vero oppure no come diceva il vituperato Croce che ogni storia è in un certo senso «storia contemporanea» giacché gli uomini, nell’indagare il passato, sono spinti da domande del loro presente e applicano - né potrebbe essere diversamente - moduli culturali e modi di pensare che non sono di quel passato che pure vogliono riportare alla luce. Da questo elemento non é possibile uscire a meno che si intenda la ricerca storica come mero rispecchiamento del passato e dei suoi modi, del tutto inutile a farci capire il nostro tempo,pura e semplice descrizione di quel che è successo o che a noi pare rilevante, mera operazione filologica fine a sé stessa, povera o affatto priva di giudizi di valore? E non sono stati i maggiori storici del Novecento (da Croce a Volpe a Chabod, per restare in Italia) uomini che hanno tradotto, nelle loro opere storiche, criteri e giudizi del loro presente parlando dell’Italia liberale o di quella fascista? Ma questi interrogativi a Galli della Loggia non interessano. Lui che, quando parla del drammatico esperimento storico comunista mondiale si accontenta di applicare le più pesanti e semplicistiche categorie dell’immediato presente berlusconiano, quando, invece, si trova a parlare della Chiesa e dei fascismi preferisce sospendere ogni giudizio e non dire nulla sui silenzi e sui dilemmi di Pio XII. Possibile che, con la sua brillante intelligenza, non avverta una contraddizione?
Da l'Unità, 7 gennaio 2005, per gentile concessione