l'Unità

Auschwitz, l'orrore dall'alto
di Nicola Tranfaglia

Da oggi per poco più di 14 euro, le immagini aeree scattate dalla Raf durante la seconda guerra mondiale saranno disponibili all’indirizzo http://www.evidenceincamera.co.uk:/ circa 5 milioni di fotografie dell’Aerial Reconnaissance Archive, messe in ordine e digitalizzate tramite un progetto della Keele University (uno dei luoghi ufficiali di deposito degli Archivi Nazionali britannici) e mai viste finora dal grande pubblico. Dal fumo dalle ciminiere di Auschwitz ai soldati americani dello sbarco in Normandia, trasformati in centinaia di cadaveri sparsi sul mare, alla corazzata tedesca Bismarck nascosta sette giorni in un fiordo norvegese prima del suo affondamento. Le immagini, per dirla con le parole del coordinatore del progetto Allan William, «ci consentono di vedere la guerra vera di prima mano». E anche se furono vitali per lo sforzo bellico degli alleati mostrano anche che, se fossero state esaminate con la dovuta attenzione, avrebbero potuto salvare migliaia di vite umane. La fotografia ad alta definizione di un aereo britannico di ricognizione (apparsa sabato sul "Corriere della Sera" e visibile da oggi, insieme ad altri cinque milioni di immagini scattate dalla Raf, sul sito http://www.evidenceincamera.co.uk/) che l’11 agosto 1944 scorse sul campo di Auschwitz-Birkenau, in Polonia, levarsi una colonna di fumo suscita nello storico che per tanti anni (metà della sua vita almeno) ha studiato le vicende dei fascismi europei, e in particolare del nazionalsocialismo, sensazioni forti e contraddittorie. Quella colonna di fumo segnalava l’attività dei forni crematori e dei campi aperti in cui le SS bruciavano i cadaveri con la fretta indotta dalle sorti della guerra e dalla ormai imminente sconfitta del Reich millenario. Il 27 gennaio del 1945, quel ventisette gennaio che sarebbe diventato per una legge dello Stato il «giorno della memoria» in Italia, l’armata sovietica avrebbe raggiunto Auschwitz e agli occhi dei liberatori sarebbero apparsi i pochi superstiti del più grande barbaro massacro dell’età contemporanea.  Se gli inglesi avessero comunicato la scoperta, l’opinione pubblica occidentale avrebbe avuto la prova, con un certo anticipo, del «terribile segreto» che custodiva la seconda guerra mondiale. Ma questo non avvenne perché le vite di milioni di prigionieri non erano l’obbiettivo politico e militare prioritario: in quel momento gli stati e i governi si preoccupavano prima di tutto di battere Hitler e di sconfiggere definitivamente la Germania nazista con i suoi satelliti (tra cui la Repubblica sociale italiana di Mussolini) e il Giappone di Hiro Hito che ancora combattevano contro gli alleati nell’unico intento ormai di allontanare il giorno della catastrofe politica e militare. Questa è la prima, terribile constatazione che si presenta allo storico scrutando quella fotografia che è stata rilasciata ora dai National Archives di Londra dopo che per cinquant’anni era rimasta inaccessibile. Ma bisogna, subito dopo, ricordare che molti, e da tempo, avevano segnalato quello che stava succedendo nei lager: molti diplomatici a contatto con le autorità del Terzo Reich, una parte del clero e probabilmente della Curia vaticana, la Croce rossa internazionale e i governi dell’alleanza antinazista. Le stesse organizzazioni ebraiche avevano comunicato ai governi di Washington e Londra la loro angoscia per le numerose testimonianze sul massacro che stava avvenendo in Germania e nell’Europa orientale. Non si può dire insomma, dal punto di vista storico, che fosse un segreto assoluto come pure per molto tempo si è preteso di sostenere in libri e giornali del secondo dopoguerra. Quando non si è scritto, da parte dei revisionisti e dei negazionisti, che il grande massacro non fosse avvenuto mai o non avesse comunque le dimensioni accertate a poco a poco dalla ricerca storica: sei milioni di ebrei e altri milioni di oppositori civili e militari di tutta l’Europa caduti nelle grinfie dei nazisti prima e dopo il 1943. Ci fu, insomma, una forte responsabilità dell’Europa e dell’intero Occidente per quello che è successo, per una barbarie che ha distrutto milioni di esseri umani perché ebrei o perché nemici del Reich e dei molti fascismi che si impadronirono negli anni trenta di una parte notevole del vecchio continente. Se si pensa che in quel campo di sterminio almeno mezzo milione di persone venne ancora ucciso nei cinque mesi che separarono la ricognizione dell’aereo britannico dalla liberazione del lager, si ha una misurazione, per così dire esatta, del rilievo di quella fotografia e della completa impotenza che caratterizzò l’azione degli alleati rispetto ai forni crematori del Reich. In un certo senso una drammatica resa di fronte a un nemico che già negli ultimi anni trenta aveva clamorosamente bandito la crociata contro gli ebrei e in nemici del Reich senza che l’Occidente gli credesse e aprisse le ostilità fino all’invasione della Cecoslovacchia e della Polonia dopo che l’anno precedente, nella più assoluta impunità, aveva potuto invadere l’Austria e farla diventare parte del Terzo Reich. A queste drammatiche sensazioni che quella fotografia suscita si aggiunge inevitabilmente un pensiero che sorge immediato di fronte al mondo in cui viviamo oggi di fronte a guerre che continuano senza interruzione come in Iraq, alle quelle che si preparano da parte degli Stati Uniti del presidente Bush contro altri «stati canaglia», ad altre guerre locali del tutto dimenticate dai grandi mezzi di comunicazione perché si svolgono in zone periferiche del mondo. Viene spontaneo chiedersi che cosa sappiamo noi dei teatri di guerra, delle brutalità degli eserciti combattenti, della censura fortissima che tutela ancora la vita e la morte degli uomini impegnate su quei teatri. Sarebbe ingenuo, o addirittura stupido, pensare che, sconfitta la barbarie nazista e fascista, si può essere tranquilli su quello che accade oggi in varie parti del mondo. Ci fu allora una macchina tremenda sostenuta da un pensiero perverso ma la guerra moltiplica sempre la ferocia degli oppressori e c’è da temere che il non rispetto dei diritti umani che sempre nei conflitti bellici e nelle occupazioni troviamo facciano ancora vittime e compiano azioni che l’opinione pubblica dovrebbe conoscere se volesse arrivare davvero a quel ripudio della guerra che è scritto nell’articolo 11 della Costituzione repubblicana e che, se non mi inganno, è ancora pienamente in vigore almeno fino alle prossime venture che prepara il secondo governo Berlusconi

Da l'Unità, 18 gennaio 2004, per gentile concessione

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